ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 9 gennaio 2019

Queste parole sono troppi pesanti per voi?

IL VERTICE DELLA VITA CRISTIANA


Qual è il vertice della vita cristiana? La differenza abissale fra la catechesi di Benedetto XVI e quella di Francesco, anche se la teologia di Ratzinger non era immune dalla piaga del relativismo, che pure a parole denunciava 
di Francesco Lamendola   


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Qual è il vertice della vita cristiana? In quale forma di vita si porta a perfezione - relativamente parlando, s'intende  - il modello della vita che è propria del cristiano? Per circa duemila anni, la Chiesa ha saputo rispondere senza incertezze a questa domanda: il vertice della vita cristiana si attinge, mediante la contemplazione e l’adorazione, nell’unione mistica con Dio; e quindi vi si sono avvicinati più di tutti gli altri, quelli che hanno lasciato ogni cosa, ogni legame terreno, e hanno saputo spogliarsi del proprio io, per abbandonarsi completamente all’amore di Dio, facendosi tutt’uno con la sua volontà. Oggi c'è, sovente, la tendenza a sopravvalutare la vita attiva rispetto alla dimensione contemplativa; pare quasi che la stessa espressione "vita contemplativa", abbia assunto una sfumatura più o meno marcatamente negativa. 

Vediamo le chiese e le basiliche trasformate in mense e refettori; vediamo il cardinale Crescenzio Sepe che offre la pizza ai poveri dentro la cattedrale di Napoli; vediamo il vescovo di Noto, Antonio Staglianò, esponente di punta di quella cosa nuovissima e meravigliosa che è la Pop Theology, tenere le sue omelie in duomo, durante la santa Messa, suonando la chitarra, sulle note delle canzoni di Edoardo Bennato e di altri cantanti; e vediamo il cardinale Christoph Schönborn mettere la cattedrale di Santo Stefano, a Vienna, a disposizione del transessuale Conchita Wurst, per celebrare l’orgoglio gay e la bellezza del peccato impuro contro natura. Oltre a ciò, abbiamo letto, nell'esortazione apostolica Gaudete et exsultate, scritta dal signore argentino che abita nella Casa di Santa Marta, fra le altre cose, che non è sano amare il silenzio ed evitare l'incontro con l'altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio (nel § 26)Ma se ciò fosse vero, allora potremmo gettare nel cestino secoli e secoli di ascetismo, e specialmente di monachesimo, e insieme potremmo gettare via la cosa più bella, più preziosa, più nobile che sia contenuta nella religione cristiana: l'adorazione di Dio, l'incontro con Lui nel mistero dell'anima, il dissetarsi alla sorgente di Vita Eterna che da Lui inesauribilmente sgorga sovrabbondante. 

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Le catechesi di Benedetto e di Francesco quale abisso le separa !

Certo vi è una differenza abissale fra la catechesi di Benedetto XVI e quella di Francesco. Anche se la teologia di papa Ratzinger non era immune dalla piaga del relativismo, che pure a parole denunciava, non vi è dubbio che la sua catechesi settimanale lasciava il segno, dava alle anime qualcosa su cui riflettere, apriva orizzonti di spiritualità e di speranza cristiana. Il 9 settembre 2009, per esempio, aveva parlato di san Pier Damiani, così come il mercoledì precedente aveva parlato di sant'Oddone di Cluny, e nel mercoledì successivo avrebbe parlato di sant'Anselmo d'Aosta. Rievocando la figura di san Pier Damiani (1007-1702), monaco, asceta, ma anche protagonista della grandiosa opera di riforma religiosa dell'undicesimo secolo. Benedetto XVI aveva affermato che la vita eremitica, per san Pier Damiani, è il vertice della vita cristiana. Essa è al culmine degli stadi di vita, perché il monaco ha reciso ogni legame con il mondo e può, quindi, ricevere la caparra dello Spirito Santo, godendo la perfetta letizia dell’intima unione con il Padre celeste. Non si tratta sicuramente di un concetto nuovo, anzi, esso è perfettamente nel solco della Tradizione cattolica: la sua origine risale al Vangelo e alla celebre frase di Gesù Cristo, rivolta a Marta, la sorella di Lazzaro di Betania, la quale gli chiedeva di rimproverare sua sorella Maria perché non l’aiutava a sbrigare le faccende domestiche, ma stava lì ad ascoltarlo (Lc, 10, 41-42): Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta. La teologia, la pastorale, tutto l’insieme della concezione cristiana si basa sulla intrinseca superiorità della vita contemplativa sulla vita attiva; pur non disprezzando affatto il lavoro e le opere buone (ora et labora, recitava la regola monastica san Benedetto), il cristiano, per quasi due mila anni, ha sempre saputo che il monaco, l’asceta, l’eremita, conducono una vita più perfetta, perché sono più distaccati dalle cose e dall’amor di sé, e quindi sono anche più vicini a Dio, di chiunque altro.

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San Pier Damiani

Ora, però, a partire dal Concilio Vaticano II, ma specialmente sotto l’attuale pontificato, quello del gesuita argentino che pretende di essere papa, ma non si comporta da papa, questa consapevolezza sembra essersi dissolta, per venire sostituita da una idea del tutto nuova: che viene prima la vita attiva, e, in modo particolare, la pratica delle opere buone, peraltro limitata alle opere corporali e ancor più limitata, o rivolta in maniera preferenziale, ai lontani, e specialmente ai cosiddetti migranti, e assai meno verso i propri connazionali e i propri correligionari. Le pagliacciate del cardinale Sepe e del vescovo Staglianò, che si configurano oggettivamente come profanazioni della chiesa, tempio di Dio e luogo di preghiera e non ristorante, e della santa Messa, celebrazione del Sacrificio eucaristico e non discoteca, si pongono su questa linea e ambiscono, insieme ai sacrileghi concerti omosessualisti nella cattedrale di Santo Stefano, sotto l’occhio benevolo e compiaciuto dell’arcivescovo di Vienna, a interpretare le istanze più avanzate di una chiesa che antepone le opere, esibite sotto le luci dei riflettori (e non, come aveva raccomandato Cristo, fatte nella massima discrezione), alla spiritualità. È un cambio di paradigma, c’è poco da dire. Basterebbe solo questo per capire che la chiesa “uscita” dal Concilio Vaticano II è un’altra cosa rispetto alla Chiesa di prima, cioè alla Chiesa di sempre; e basterebbe solo questo per capire, di conseguenza, che siamo in presenza non di una chiesa rinnovata, come dicono i suoi sostenitori, ma di un’altra chiesa, di una chiesa eretica e apostatica, concepita per confondere le anime e trascinarle nell’errore: dunque una anti-chiesa o contro-chiesa, una sinagoga di Satana, e non altro.

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Che ci crediate o no, questa è la cattedrale di Santo Stefano . . .  offerta dal cardinale Schonborn a oscene esibizioni LGBT

E diciamo queste cose con dolore, con amarezza, dopo aver cercato a lungo, dentro di noi e fuori di noi, una spiegazione diversa, una interpretazione dei fatti che non conducesse a questa tremenda conclusione; ma, pur avendocela messa tutta, non ci siamo riusciti. Del resto, la massima fondamentale della vita cristiana deve essere questa: piacere a Dio e non agli uomini. E se per piacere agli uomini bisogna dispiacere a Dio, allora è chiaro quel che bisogna fare: dire no, senza mezzi termini, e rifiutarsi di partecipare a ciò che non è bene, bensì male, agli occhi del Signore. È male dare scandalo alle anime; è male anteporre le opere all’adorazione di Dio; è male ostentare le opere e farlo nel bel mezzo delle chiese; è male disprezzare la vita contemplativa e la vita claustrale, insinuare che si tratta di forme patologiche, frutto di scompensi o disturbi mentali; è male agire e parlare in modo da deprimere, mortificare, umiliare le suore, i monaci e tutti quei cristiani che hanno scelto la vita contemplativa, come se avessero scelto di fuggire, mentre sappiamo che, con le loro preghiere, essi sono in prima linea, come e più di chiunque altro; ed è male, infine, spingere le anime lontano dall’ovile, rimbrottarle, dileggiarle, calunniale, offenderle, come fa praticamente ogni giorno il signore argentino, sostenuto dai suoi zelanti servitori, dei quali si è circondato, come un satrapo, e che controllano, insieme alle posizioni-chiave nella chiesa, anche tutto l’insieme della stampa cattolica e delle comunicazioni radiotelevisive cattoliche.

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Finte Avellana, l'eremo di San Pier Damiani

Ma ecco quel che aveva detto Benedetto XVI nella udienza generale del 9 settembre 2009:
Pier Damiani concepiva l'universo come una inesauribile ‘parabola’ e una distesa di simboli, da cui partire per interpretare la vita interiore e la realtà divina e soprannaturale. In questa prospettiva, intorno all’anno 1034, la contemplazione dell’assoluto di Dio lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nel monastero di Fonte Avellana, fondato solo qualche decennio prima, ma già famoso per la sua austerità. Ad edificazione dei monaci egli scrisse la Vita del fondatore, san Romualdo di Ravenna, e s’impegnò al tempo stesso ad approfondirne la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico. Un particolare va subito sottolineato: l’eremo di Fonte Avellana era dedicato alla Santa Croce, e la Croce sarà il mistero cristiano che più di tutti gli altri affascinerà Pier Damiani. ‘Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo’, afferma (Sermo XVIII, 11, p. 117) e si qualifica come: ‘Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo’ (Ep 9, 1). Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l'intera storia della salvezza: “O beata Croce – egli esclama - ti venerano, ti predicano e ti onorano la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti, il senato giudicante degli apostoli, l’esercito vittorioso dei martiri e le schiere di tutti i santi” (Sermo XLVIII, 14, p. 304). Cari fratelli e sorelle, l’esempio di san Pier Damiani spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza. Per lo svolgimento della vita eremitica, questo grande monaco redige una Regola in cui sottolinea fortemente il “rigore dell’eremo”: nel silenzio del chiostro, il monaco è chiamato a trascorrere una vita di preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un’obbedienza al priore sempre pronta e disponibile. Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scopre i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale. In questo senso egli qualifica la cella dell’eremo come “parlatorio dove Dio conversa con gli uomini”. La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è “al culmine degli stati di vita”, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve “la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste” (Ep 18, 17; cfr Ep 28, 43 ss.). Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita…

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Antonio Staglianò, uomo di punta della Pop Theology

Quanto sono di perenne attualità le parole di san Pier Damiani: Non ama Cristo, chi non ama la Croce di Cristo. Il segreto del cristianesimo è tutto qui. Il cristiano non teme la croce, non odia la croce, non fugge la croce; e, soprattutto, non pensa che si possa spezzare la croce, che si possa costruire un mondo dove non ci sia più la croce. La croce è la sofferenza, ma è la sofferenza accettata con piena fiducia nella bontà di Dio, nella sua Provvidenza. Chi non accetta la sofferenza con questo stato d’animo; chi non sa trasformare la propria croce in una offerta di amore a Dio (e al prossimo), non è un vero cristiano, ma, tutt’al più, uno che dice di esserlo. I cosiddetti cristiani moderni, in realtà modernisti travestiti da cristiani, dicono di amare Cristo, ma non amano affatto la sua croce. Sì, come dice san Pier Damiani: amare la croce. Non dice: sopportare la croce; non dice: rassegnarsi alla croce; ma dice: amare la croce.

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Il cardinale Sepe fa il pizzaiolo nel duomo di Napoli

Qual è il vertice della vita cristiana?
  
di Francesco Lamendola

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