La priorità per il Pontefice è quella della lotta agli abusi da parte di membri del clero.
E sarà l’anno in cui sarà presentata con ogni probabilità la Praedicate evangelium,
la nuova costituzione apostolica che reggerà la curia romana
Foto LaPresse
Roma. I discorsi di fine anno del Papa alla curia romana sono diventati un divertissement per gli osservatori intenti a scrutare i volti stravolti dei cardinali mentre il Pontefice dà loro dei “malati di Alzheimer spirituale” e definisce qualcuno tra loro “traditore”, “lupo” o “seminatore di zizzania”.
Discorsi che sono anche un bilancio dell’anno che si va chiudendo ma che hanno anche una valenza programmatica, un’indicazione della strada che imboccherà l’agenda papale nei dodici mesi successivi. Nell’ultimo messaggio augurale mancava il colpo di scena, improvviso, che alle ore 12 del 31 dicembre ha destato l’attenzione di chi con le faccende vaticane ha a che fare quotidianamente. Il bollettino ufficiale vaticano informava infatti che il Papa aveva accettato le dimissioni di Greg Burke e Paloma Ovejero, rispettivamente direttore e vicedirettore della Sala stampa della Santa Sede. Dell’addio di Burke si vociferava da tempo, ma le tempistiche hanno subito fatto pensare all’ennesima puntata di un movimento tellurico che da anni scuote la complessa realtà delle comunicazioni vaticane, tra avvicendamenti frequenti e ridefinizione di competenze e funzioni. Una partita che appare ben lontana dall’essere conclusa.
Il Papa, però, per il 2019 ha altre priorità. Basta rileggere le parole messe nero su bianco nel discorso alla curia per comprendere ciò che più sta a cuore al vescovo di Roma. Un argomento su tutti spicca, la lotta agli abusi da parte di membri del clero. Nel 2018 la barca di Pietro è stata investita da marosi imponenti su tale versante, dal crollo dell’intera gerarchia cilena alle notizie estive giunte dalla Pennsylvania, dall’agonia senza fine australiana ai rapporti che spuntano fuori dalla Francia e dalla Germania. La reazione vaticana è quella della lotta senza quartiere ai “lupi atroci pronti a divorare le anime innocenti”: una lotta pubblica, che avrà il suo momento culmine tra un mese, quando dal 21 al 24 febbraio si riuniranno oltretevere i presidenti delle conferenze episcopali nazionali “per parlare della prevenzione di abusi su minori e adulti vulnerabili”. Un mini Sinodo – ce ne sarà uno in autunno sull’Amazzonia – che dovrà stabilire linee-guida comuni per cercare di sanare una piaga che ormai ciclicamente, tra dossier di qualche magistratura locale e comunicati di vescovi in quiescenza richiedenti le dimissioni papali, investe la cupola di San Pietro. Il destino del pontificato, o quantomeno la sua eredità, si gioca su questo. Francesco lo sa e tenta di districarsi come può dalla morsa che piano piano si è stretta attorno a Santa Marta, con la cerchia ristretta di entusiasti sostenitori a difendere un fortino che si difende benissimo da solo dagli agguati di chi non vede l’ora di festeggiarne la caduta. Un’assemblea, quella di febbraio, che servirà anche a regolare i rapporti con quelle conferenze episcopali non in sintonia con il nuovo corso. Prima fra tutte, quella americana, già fermata lo scorso novembre dall’adottare proprie linee-guida sul versante degli abusi. Si può cambiare il nunzio, si può mettere la berretta rossa in testa al miglior rappresentante della propria agenda negli Stati Uniti (Blase Cupich, arcivescovo di Chicago), ma se la base dei vescovi è quella plasmata oltre trent’anni fa da Giovanni Paolo II, la risintonizzazione non può avvenire in un lampo.
L’appuntamento di febbraio ha giocoforza oscurato gli altri eventi già programmati e annunciati, non meno rilevanti. Il 2019, almeno per quanto è dato sapere fino a ora, sarà un anno di importanti viaggi apostolici. A fine mese il Papa sarà a Panama per la Giornata mondiale della gioventù, a inizio febbraio ad Abu Dhabi, dove per la prima volta un vescovo di Roma metterà piede. A fine marzo, Bergoglio sarà in Marocco, a maggio in Bulgaria e Macedonia. Molto probabili, anche se ancora non ufficializzate, le trasferte in Giappone e Mozambico. Negli Emirati arabi e in Marocco a dominare la scena sarà il dialogo con l’islam “moderato”. Dopo le tappe al Cairo e in Bangladesh, Francesco aggiungerà due tasselli alla complicata partita che si gioca sul tavolo dei rapporti con le realtà musulmane convinte – più o meno – dell’esigenza di combattere in modo attivo e non solo con ampollose cerimonie e firme di retorici appelli per la pace universale le frange fondamentaliste. Il tutto avviene, paradossalmente, mentre il dicastero vaticano preposto al dialogo interreligioso è vacante dalla scorsa estate, in seguito alla morte del cardinale Jean-Louis Tauran, che per caratura morale e accortezza diplomatica è difficilmente sostituibile con elementi di pari rango quanto a conoscenza della materia ed esperienza. Il 2019, infine, sarà l’anno in cui sarà presentata con ogni probabilità la Praedicate evangelium, la nuova costituzione apostolica che reggerà la curia romana. I tempi sembrano maturi, dopo più di cinque anni di riunioni tra i cardinali del C9 per stendere i punti cardine della riforma. “Tanti si domandano: quando finirà? Non finirà mai, ma i passi sono buoni”, ha detto Francesco lo scorso dicembre augurando buon Natale e buon anno ai curiali seduti dinanzi a lui.
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