ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 febbraio 2019

La grande assente

TROVARE E PERDERE LA FEDE


Come si perde la fede e come la si trova. La fede è un dono di Dio che tutti possono chiedere ma con la grande assente della modernità:"l'umiltà". Fede e ragione non sono nemiche, ma sono due strade parallele per giungere a Dio 
di Francesco Lamendola  

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Il problema della civiltà moderna è la perdita della fede e il rifiuto di Cristo: tutti gli altri problemi derivano da questo. Ed è un problema che si pone in termini particolari per l’Europa, che del cristianesimo è stata la culla e che da esso, a sua volta, è stata formata, educata e resa adulta. Senza il cristianesimo, l’Europa non esisterebbe; eppure, a un certo punto della sua storia, essa ha preteso di farne a meno, ha voluto sbarazzarsene, ha preteso di relegarlo fra le “leggende” e fra i “miti” di uno stadio di civilizzazione ancora immaturo e fanciullesco. Pertanto il rifiuto di Cristo, per l’Europa, si pone in termini diversi dagli altri continenti: esso è anche un rifiuto di se medesima, delle proprie radici, della propria identità. 

Infatti, storicamente, la civiltà moderna nasce dalla volontà di rompere con la tradizione cristiana e di produrre una civiltà nuova, che non poteva essere semplicemente a-cristiana, ma che si sarebbe definita, inevitabilmente, come anti-cristiana. Il laicismo non è una presa di distanza e un collocarsi in posizione di neutralità, ma è un creare le condizioni per sferrare l’attacco frontale contro tutto ciò che è cristiano. Logico: se Europa e cristianesimo sono, storicamente, un tutt’uno, una Europa laica non può che diventare una Europa anti-cristiana. Il cristianesimo è stato, per più di mille anni, la religione, la cultura e l’orizzonte di senso dell’Europa; nel momento in cui l’Europa ha deciso di staccarsi dalla religione, ha preso a bersaglio il cristianesimo, non l’ebraismo, o l’islamismo, o l’induismo, o il buddismo.  Anzi, le altre religioni sono servite alla cultura laicista e irreligiosa per sferrare l’ultimo colpo alla tradizione cristiana: equiparando tutte le religioni di fronte alla laicità dello Stato, si è posta l’intera tradizione cristiana sullo stesso piano delle minuscole minoranze religiose, con le loro  rispettive tradizioni. Le altre religioni sono state usate dal laicismo della cultura moderna come una mazza per assestare il colpo di grazia alla pretesa del cristianesimo di svolgere un ruolo speciale nella vita dei popoli europei, proprio come la parità di gender viene usata per scardinare la famiglia formata da uomo e donna. Ora, però, c’è una minoranza che sta crescendo velocissimamente, sotto la spinta delle migrazioni/invasioni africane programmate, ed è quella islamica, che, nella storia d’Europa, ha svolto finora un ruolo marginale. Staremo a vedere come la cultura laicista gestirà il problema, perché senza dubbio si tratta d’un grosso problema, visto che l’islam è una religione che non riconosce una vera distinzione fra legge religiosa e legge civile, mentre il cristianesimo è arrivato, nel corso di secoli, a riconoscerla pienamente.

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Bisognerebbe trasmettere la fede al bambino presentandola non come una conquista umana, o come un bagaglio da accumulare in qualche stanza dell’anima, ma come un dono gratuito di Dio, che nessuno ha il “diritto” di pretendere, ma che tutti possono chiedere, purché si pongano in un atteggiamento di umiltà: chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto.

Vale perciò la pena di chiedersi come è accaduto che gli abitanti dell’Europa, nel corso della loro storia, siano giunti a staccarsi dalla fede avita, a respingere il Vangelo e ad ergersi a nemici irriducibili di Cristo. I meccanismi storici sono abbastanza chiari e ne abbiamo già parlato più volte: ma ci resta da considerare un po’ più da vicino i meccanismi psicologici e intellettuali. Ripensiamo alla nostra infanzia (parliamo per quelli che hanno più di cinquant’anni): siamo stati educati tutti nel cattolicesimo e tutti, o quasi tutti, lo abbiamo ricevuto con fiducia dai genitori, dalle maestre, dai sacerdoti; abbiamo preso sul serio il catechismo, la santa Messa, la prima Comunione, poi la Cresima, e molti di noi anche il Matrimonio e l’Ordine sacro. Bisogna però ammettere che qualcosa, qualcosa di grave, qualcosa di decisivo, è accaduto fra gli anni della Cresima e quelli del’età adulta: la maggior parte di noi ha perso la fede. È stato un fatto pressoché fisiologico: dalla fede dell’infanzia e della prima adolescenza si è passati all’incredulità e all’irreligiosità della giovinezza o dell’età adulta. Molti di noi si sono sposati per forza d’abitudine e per conformismo; e anche molti di quelli che si son fatti preti, sono stati suggestionati più dalle tendenze moderne penetrate nei seminari, con i teologi della svolta antropologica e della “liberazione”, orientati principalmente a criticare la Chiesa e ad attaccare la “vecchia” teologia, in particolare il tomismo, che non dai semi di fede seminati nei primi anni di vita dall’ambiente circostante e accolti con la semplicità, lo stupore e la pulizia morale che sono propri dei bambini.

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Anna Vickers. Romanzo di una moderna donna americana.

Sinclair Lewis (Sauke Centre, Minnesota, 7 febbraio 1885-Roma, 10 gennaio 1951), è uno scrittore americano non molto conosciuto dalle generazioni attuali, ma che ebbe un momento di gloria, specialmente negli anni ’30 del Novecento, e fu il primo statunitense a ricevere, nel 1930, il Premio Nobel per la letteratura. In un libro del 1933, Anna Vickers. Romanzo di una moderna donna americana, egli descrive, fra l’altro, il processo mentale e psicologico che conduce una persona, in questo caso la giovane protagonista del romanzo, studentessa universitaria che aspira a una piena emancipazione, sia personale che intellettuale, fortemente attratta dalle nuove ideologie progressiste e femministe, a distaccarsi dalle credenze religiose ricevute nell’infanzia e a perdere il dono della fede. Ne riportiamo una pagina significativa (da: S. Lewis, Anna Vickers, , traduzione dall’igkee di Lila Jahn, Milano, Garzanti Editore, 1940, pp.72-74):
Più che tutto, se la prendeva con sé stessa di non aver bene esaminata la sua fede. Nel prim’anno di collegio, dopo profonde sofferenze morali, s’era liberata di alcuni particolari come l’Immacolata Concezione e la Dannazione Eterna. Aveva deciso di non crederci più. Ma poi non aveva mai avuto il coraggio d’affrontare la domanda se credeva veramente nella Vita Eterna, nella reale esistenza ed onnipotenza di Dio, e nella divinità di Cristo.
Ora, sebbene con angosciosa fatica, affrontava quella domanda.  (…)
Anna si attaccò alla Bibbia. Ma quei miracoli non le parevano verosimili ora che li guardava con occhi irritati, inquieti, stranieri. Che senso aveva quel miracolo di Gesù che toglieva da un ossesso gli spiriti maligni e li trasferiva in un branco di duemila porci, sì che gli animali impazziti correvano dal pascolo nel mare ed annegavano? No, questo non era verosimile, pensava Anna. Troppo strano modo di trattare delle bestie innocenti e il loro sfortunato proprietario.
Con occhi nuovi ella si fermò sulle pagine del Vangelo di San Luca, 4, al racconto del diavolo che menava Gesù su un monte e gli mostrava tutti i regni del mondo, e glieli offriva s’Egli lo avesse adorato.
Anna commentava affannata: - Certo è un simbolo una favola drammatica, ma nient’altro che una favola.
Si accorse con stupore che invece prima l’aveva sempre creduta il racconto di un fatto vero, e come fatto vero le era parso d’insegnarlo nella sua Scuola Festiva di Waubanakee. A guardarsi così spassionatamente come se s’incontrasse per la prima volta con sé stessa, ella scoprì di non aver mai pensato alla Bibbia ed al credo insegnatole nella sua fanciullezza. Li aveva solo ingoiati senza assimilarli.  (…)
Questi sono i miracoli, miti bellissimi, ma veri com’è vero il Santo Nonno Natale per un bambino di quattr’anni incantato dalla festa! – si diceva Anna stupita.
Si sentiva come una donna che per anni ed anni fosse stata, senza saperlo, ingannata dal marito, mente tutti gli altri attorno a lei sapevano e ne ridevamo. Cercò di riacquistare la sua fede serena leggendo il Diciannovesimo Salmo:
“I cieli raccontano la gloria di Dio; e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani. Un giorno dietro l’altro quelli sgorgano parole; una notte dietro all’altra dichiarano scienza. Non hanno favella né parole; la loro voce non si ode. Ma la loro linea esce fuori per tutta la terra, e le loro parole vanno infino all’estremità del mondo. Iddio ha posto in essi un tabernacolo di sole. Ed Egli esce fuori come uno sposo dalla sua camera di nozze; Egli gioisce come un uomo prode a correr l’arringo.
“La legge del Signore è perfetta, e ristora l’anima; la testimonianza del Signore è verace e rende savio il semplice. Gli statuti del Signore son dritti e rallegrano il cuore; il comandamento del Signore è puro e illumina gli occhi… sono più desiderabili che oro, anzi più che gran quantità d’oro finissimo, e più dolci che miele anzi che quello che stilla dai favi.”
Per la prima volta le sembrò che fosse poesia, della grande poesia ch’ella declamava in tono magniloquente, grata che Eula [la sua compagna di college] non fosse in stanza a sorridere di lei. Ma per la prima volta anche le sembrò che quella poesia nulla avesse a che fare con la vita quotidiana degli uomini. Parole, per quanto belle, ma parole, come “Kubla Khan” [poema di S. T. Coleridge].  E sentì ancora Glen Hargis [un giovane e attraente professore progressista] deriderla blandamente: - Oh, lei la prende come se fosse un fatto storico documentato, non un bel mito.
Animata dalla più fiera risolutezza, ella s’avviò al Monumento Stanton per trovarsi col dottor Hargis.
Mentre camminavano sull’orlo del piccolo promontorio guardando la valle grigia d’erbe gelate, egli schernì:
- Non ha più pensato ad altro di quella sua interessante religione medievale?
- Sì, ho pensato.
- E come s’è decisa per quella questione dei sette pani e dei pochi piccoli pesci? Una maniera grande, del resto, per risolvere il problema economico…
- Oh, stia zitto. Mi son decisa. Domani sera, - visto che tra un paio di mesi dovrei probabilmente essere eletta presidentessa dell’Y.W.C.A. [Associazione Cristiana dei Giovani] – domani sera alla riunione, darò invece le mie dimissioni motivando il perché me ne vado. Non credo più, e se non credo, non posso mentirlo.

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Il rifiuto di Cristo, per l’Europa, si pone in termini diversi dagli altri continenti: esso è anche un rifiuto di se medesima, delle proprie radici, della propria identità !

Come si perde la fede, e come la si trova 
di Francesco Lamendola
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TRAP: NICHILISMO ADOLESCENTE

    La "musica" Trap sta diffondendo presso la prima generazione nata nel Terzo Millennio "un’anti identità", fatta di poche decine di parole, disvalori esaltati come "obiettivi di vita", con ritmi ripetitivi e senza qualità musicali 
di Roberto Pecchioli

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Il sistema di intrattenimento è il veicolo privilegiato per far passare i messaggi voluti dall’oligarchia dominante. Il recente festival della canzone di Sanremo ne è la dimostrazione. Almeno tre obiettivi conseguiti in un  colpo: sdoganare il genere musicale Trap, sotto i riflettori dopo la tragedia dei ragazzini di Corinaldo; inviare un nuovo segnale multietnico, multiculturale e multitutto con la vittoria imposta di Mahmood, cantante “moroccan pop”; far capire al popolaccio, alla plebe televisiva che la sua opinione non vale nulla, giacché la vittoria è stata decretata dagli “esperti” , vil razza dannata postmoderna, i quali sanno, comprendono e giudicano meglio di qualsiasi altro. Il televoto, parodia della democrazia, non conta, proprio come quello della scheda elettorale. Grazie di avercelo ricordato.
Abbiamo tentato, con modesti risultati, di capire qualcosa della musica Trap, di cui ignoravamo l’esistenza sino a pochi mesi fa. Disse una volta Indro Montanelli che il giornalista è un tizio che cerca di far capire agli altri quel che non ha compreso lui stesso. Nel caso di specie, inquadrare il fenomeno Trap è difficile per motivi generazionali, ma è facile rendersi conto che si tratta dell’ennesima colonna sonora di una crisi di civiltà che dura da oltre mezzo secolo, ed ha imboccato decisamente il buio sentiero del nichilismo. L’unica definizione che ci viene in mente è questa: il Trap è la forma adolescenziale, puberale, del nichilismo vincente, unita all’adesione all’ideologia del liberismo libertario fondato sull’immagine, il denaro, la tecnologia, il consumo compulsivo, l’esibizione. I “trapper”, e, dolorosamente, i ragazzini che adorano tale genere musicale, sono una sottospecie particolarmente insidiosa di homo currens, la generazione che corre a perdifiato verso nessun luogo.
Il significato del termine dice già qualcosa: trap, nel gergo giovanile del sud degli Usa, è un luogo fisico, un edificio degradato dove si vendono droghe. Il rapporto con gli stupefacenti e con gli altri paradisi artificiali è il tema centrale dei testi, l’argomentario di fondo dei brani. Droga, sesso e denaro; a differenza del rock, che diffondeva un immagine di ribellione, pur se in buona parte falsa, i miti del consumo, della ricchezza, del successo sono al centro della visione di questa musica. Oltre la metà degli ascoltatori appartiene alla fascia di età da 13 a 24 anni. I bambini, non rilevati dalle ricerche di mercato, danno numeri ancora più schiaccianti.

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La "musica" Trap sta diffondendo presso la prima generazione nata nel Terzo Millennio "un’anti identità", fatta di poche decine di parole, disvalori esaltati come "obiettivi di vita", con ritmi ripetitivi e senza qualità musicali !

TRAP: COLONNA SONORA DEL NICHILISMO ADOLESCENTE


di Roberto Pecchioli

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