Alcuni lettori mi hanno chiesto di tornare su due temi trattati in passato e strettamente legati tra loro: laicismo e clericalismo. Così strettamente legati che si potrebbe scrivere Laicismo&Clericalismo, gemelli diversi, ma non troppo. Dunque, mi ripeto, ma su gentile richiesta.
Il concetto da cui partire è quello di laicità, invenzione prettamente anticristiana che solo dei cattolici senza midollo possono prendere per buono mettendosi al riparo della tranquillizzante reminiscenza che il termine laico appartiene in origine al linguaggio della Chiesa e indica la persona non consacrata. Ma questa derivazione linguistica è fasulla e non riguarda la sostanza, in quanto il laico inteso come non consacrato appartiene alla cristianità, mentre il laico comparso nell’epoca moderna appartiene alla laicità. Il laico che taglia teste cristiane in nome della libertà non ha ascendenza alcuna nel laico chiamato così per distinguerlo dal consacrato: è colui che pone nella società un ordine diverso da quello voluto da Dio.
L’idea di un laicismo che sarebbe la fase estrema e maligna di un concetto sano come la laicità è una delle tante facce dell’inganno in cui sono caduti i cattolici. Cosicché diventa praticamente impossibile opporre argomentazioni serie ai due cavalli di battaglia che sono stati utilizzati dal mondo laico per aggredire il concetto di Regalità sociale di Nostro Signore. Il primo sta nell’idea che lo stesso Gesù Cristo avrebbe sancito la separazione tra Chiesa e Stato affermando: “Date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio”. Il secondo sostiene che la laicità e poi il laicismo sarebbero nati per sostenere le ragioni della libertà in contrapposizione al clericalismo.
Rispondere al primo dei due cardini della laicità è molto semplice. Cesare è un uomo e quindi deve a Dio quel che gli devono tutti gli altri uomini. Anzi, deve a Dio più di quanto gli debbano gli altri, perché ha una grande responsabilità sul destino eterno dei cittadini. San Tommaso, nel De regimine principum scrive: “Il fine della vita onesta che qui viviamo è la beatitudine celeste. Perciò rientra nei compiti del re curare la vita onesta della moltitudine, perché concorre al conseguimento della beatitudine celeste, comandando le cose che portano alla beatitudine celeste e proibendo, per quanto è possibile, quelle che le sono contrarie. Quale sia poi la via alla vera beatitudine e quali siano le cose che la ostacolano si conosce dalla Legge divina, il cui insegnamento rientra nel compito dei sacerdoti, secondo quanto dice Malachia”.
Se il primo argomento utilizzato dai laici è falso sul piano dottrinale, il secondo è falso sul piano storico. Si dice che la laicità e poi il laicismo sarebbero nati in contrapposizione al clericalismo per difendere le ragioni della libertà. In realtà, è vero il contrario. Dalla fine del XIII secolo, nella storia europea è iniziato un singolare fenomeno. I laici, questa volta nel senso di non consacrati appartenenti alla cristianità, hanno progressivamente demandato al clero il dovere di essere religioso anche per conto loro. Poco alla volta, i prìncipi e poi la gente comune si sono allontanati dalla necessità di improntare alla fede ogni istante della loro vita pubblica e privata. Ma, demandando a un ceto preposto il dovere di essere religioso per proprio conto, si sancisce il fatto di essere completamente laici, non più nel senso di non consacrati. Si è passata la linea oltre la quale il termine laico muta radicalmente natura e indica un concetto opposto a quello precedente. Il laico non è più il non consacrato che vive secondo religione, ma diviene colui che non ha più niente a che fare con la dimensione religiosa e ripudia la fede come criterio fondante della sua vita, dapprima solo pubblica e poi, inesorabilmente, anche privata: è nata la laicità.
A sua volta, il clero che assume imprudentemente il compito assegnatogli dall’uomo laicizzato, diventa, perdoni il gioco di parole, un clero clericale. Inizialmente applica arbitrari atti di imperio nel campo religioso, ma poi finisce per farlo anche nel campo civile. Questa è effettivamente ingerenza. Ma non è l’ingerenza della Chiesa, non è l’ingerenza della religione: è l’ingerenza di un clero clericalizzato inventato dalla laicità. Questo è tanto vero che il laico è ben contento di avere davanti a sé un clericale, invece che un cattolico. Perché quest’ultimo tornerà sempre all’unica regola del suo agire in campo civile: la Regalità sociale di Nostro Signore, cioè il dovere di fare in modo che Cristo regni sempre e il più possibile su questa terra. Se il cattolico rinuncia senza problemi ai suoi interessi economici e politici per salvare i princìpi, il clericale rinuncia senza problemi ai princìpi per salvare gli interessi economici e politici. Un partitino che usurpa il simbolo della Croce e l’otto per mille, valgono bene una Messa.
Romano Amerio, nel suo Iota Unum, parlando del Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica, firmato nel 1984, riporta l’articolo 1 del protocollo addizionale: “Si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato nei Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”. E poi commenta così: “Questo dispositivo del nuovo patto implica l’abbandono del principio cattolico secondo il quale l’obbligazione religiosa dell’uomo oltrepassa l’ambito individuale e investe la comunità civile. Questa deve come tale avere un riguardo positivo verso la destinazione ultima dell’umana convivenza a uno stato di vita trascendente. Il riconoscimento del nume è un dovere non puramente individuale, ma sociale. Oggi la Chiesa chiama laicità quello che ieri chiamava laicismo”.
Mi pare che non si possa fotografare in modo più impietoso il dramma in atto. Oppure si pensi, per esempio, a un mondo cattolico che, dopo aver combattuto contro la legge sull’aborto, oggi la difende sostenendo che è la migliore del mondo, ma, purtroppo, non viene applicata integralmente. Una metamorfosi prodottasi in soli trent’anni.
Altro esempio veramente clamoroso è stata la cosiddetta vittoria al referendum sulla fecondazione assistita. Il fatto che nella consultazione popolare non sia stato raggiunto il quorum è stato salutato come un successo del mondo cattolico e del genio del cardinale Ruini. Ma nessuno ha avuto il coraggio e l’onestà di dire che quel referendum non passò semplicemente perché nessuno è andato a votare e la maggior parte degli astenuti era composta da gente più interessata al weekend che alla difesa della legge naturale. Senza contare che si fece passare truffaldinamente per cattolica una normativa che alla prova dei princìpi e dei fatti non lo è.
Il problema di fondo non è una questione di strategia, di impegno o di attivismo: è la fiacchezza della fede. Sempre e solo grazie al vigore della fede i cristiani hanno avuto intelligenza e coraggio per ridurre alla ragione gli avversari di Cristo. Penso sempre con ammirazione e devozione all’esempio di Sant’Antonio Abate, che, come racconta Sant’Atanasio, tenne testa ai ragionamenti dei filosofi greci opponendo la fede in Cristo: “I filosofi greci si giravano da una parte all’altra imbarazzati. Allora, Antonio sorrise e disse di nuovo tramite l’interprete: ‘Si vede a prima vista che tali dottrine hanno in se stesse la loro condanna, ma poiché voi vi fondate soprattutto su dei ragionamenti e siete esperti in quest’arte e volete che anche noi non adoriamo Dio prima di aver dimostrato con discorsi la nostra fede, diteci anzitutto: in che modo avviene la conoscenza della realtà e in particolare quella di Dio, mediante dimostrazioni verbali o mediante l’operare della fede? E che cosa è più antico, la fede operante o la dimostrazione per argomenti?’.
Quelli risposero che era più antica la fede operante e che in essa consisteva la vera conoscenza; Antonio allora disse: ‘Avete detto bene, perché la fede nasce da una disposizione dell’anima, la dialettica, invece, dall’arte di chi l’ha composta. Per quelli che possiedono la fede operante, dunque, non è necessaria ed è forse superflua la dimostrazione per argomenti. Quello che noi comprendiamo per fede, voi cercate di dimostrarlo a parole e spesso non riuscite nemmeno a esprimere quello che noi comprendiamo. E così è migliore e più sicura la fede operante che non i vostri ragionamenti sofistici. Noi cristiani non abbiamo ricevuto il mistero tramite la sapienza dei discorsi greci, ma nella potenza della fede che ci viene data da Dio in Gesù Cristo. Ed ecco la prova della verità di quel che diciamo: noi non abbiamo appreso le lettere, eppure crediamo in Dio e riconosciamo per mezzo delle sue opere la Provvidenza universale. La nostra fede è efficace e ne è la prova il fatto che noi facciamo assegnamento sulla fede in Cristo, voi, invece, su discussioni filosofiche sofistiche. L’illusione dei vostri idoli crolla, la nostra fede invece si diffonde ovunque. Con i vostri ragionamenti e i vostri sofismi non convincete nessun cristiano a passare dal cristianesimo al paganesimo, mentre noi, insegnando la fede in Cristo, indeboliamo la vostra superstizione perché tutti riconoscono che Cristo è Dio e figlio di Dio. Voi con la vostra eloquenza non riuscite a ostacolare l’insegnamento del Cristo; noi, invocando il nome di Cristo crocifisso, mettiamo in fuga tutti i demoni che voi temete come dei. E là dove si fa il segno della croce la magia perde ogni forza e i sortilegi non hanno più efficacia”.
Un integralista? Un massimalista? Un pazzo? Cos’altro potrebbe dire un cristianuccio di oggi di un gigante simile? Eppure sono questi integralisti, questi massimalisti, questi pazzi che fanno bene al mondo. Non quelli che ci vanno a letto insieme, financo nelle stanze di Santa Marta.
– di Alessandro Gnocchi
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