ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 21 febbraio 2019

Rifiutare Gesù; o accettare Gesù

VIGANÒ SCRIVE AL PAPA E AI VESCOVI RIUNITI IN VATICANO. ENGLISH TEXT TOO.


Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, un messaggio che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto indirizzandolo al Pontefice e ai vescovi riuniti nel vertice in Vaticano nella giornata in cui si ricorda San Pietro Damiano, un grande santo che si batte contro l’omosessualità e la simonia nella Chiesa.

Non possiamo evitare di vedere come un segno della Provvidenza che voi, Papa Francesco e Fratelli Vescovi che rappresentano l’intera Chiesa, vi siate riuniti proprio nello stesso giorno in cui celebriamo la memoria di San Pietro Damiano. Questo grande monaco nell’XI secolo ha messo tutta la sua forza e il suo zelo apostolico nel rinnovare la Chiesa nel suo tempo, così profondamente corrotto dai peccati di sodomia e simonia. Lo fece con l’aiuto di fedeli Vescovi e laici, in particolare con l’appoggio dell’abate Hildebrand dell’Abbazia di San Paolo extra muros, il futuro Papa San Gregorio Magno.
Consentitemi di proporre per la nostra meditazione le parole del nostro caro Papa Emerito Benedetto XVI indirizzate al popolo di Dio nell’udienza generale di mercoledì 17 maggio 2006, commentando proprio il brano del Vangelo di Marco 8: 27- 33 che abbiamo proclamato nella messa di oggi.
“Pietro doveva vivere un altro momento importante del suo viaggio spirituale vicino a Cesarea di Filippo quando Gesù chiese ai discepoli una domanda precisa:” Chi dicono che io sia? ” (Mc 8, 27). Ma per Gesù il  “sentito dire” non era sufficiente. Voleva da coloro che avevano accettato di essere personalmente coinvolti con lui una dichiarazione personale della loro posizione. Di conseguenza, ha insistito: “Ma tu chi dici che io sia?” (Mc 8, 29).
Fu Pietro a rispondere a nome degli altri: “Tu sei il Cristo” (ibid.), Cioè il Messia. La risposta di Pietro, che non gli è stata rivelata da “carne e sangue” ma gli è stata data dal Padre che è nei cieli (cfr Mt 16, 17), contiene come in un seme la futura confessione di fede della Chiesa. Tuttavia, Pietro non aveva ancora capito il contenuto profondo della missione messianica di Gesù, il nuovo significato di questa parola: il Messia.
Lo dimostrò un po’  più tardi, deducendo che il Messia che sta seguendo nei suoi sogni è molto diverso dal vero piano di Dio. Rimase scioccato dall’annuncio della Passione del Signore e protestò, scatenando una vivace reazione da parte di Gesù (cfr Mc 8, 32-33).
Pietro voleva come Messia un “uomo divino” che soddisfacesse le aspettative del popolo imponendo il suo potere su tutti: vorremmo anche noi che il Signore imponesse il suo potere e trasformasse il mondo all’istante. Gesù si è presentato come un “Dio umano”, il Servo di Dio, che ha rovesciato le aspettative della folla seguendo un percorso di umiltà e sofferenza.
Questa è la grande alternativa che dobbiamo imparare più e più volte: o dare priorità alle nostre aspettative, e rifiutare Gesù; o accettare Gesù nella verità della sua missione e mettere da parte le aspettative troppo umane.
Pietro, impulsivo com’era, non esitò a prendere da parte Gesù e lo rimproverò. La risposta di Gesù demolì tutte le sue false aspettative, chiamandolo alla conversione e a seguirlo: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8, 33)”. Non sei tu che devi mostrarmi la strada. Prendo la mia strada e tu dovrai seguirmi.
Pietro apprese così che cosa significa seguire Gesù in realtà. Era la sua seconda chiamata, simile a quella di Abramo in Genesi 22, dopo quella in Genesi 12: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. [8.35] Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”(Mc 8, 34-35). Questa è la regola esigente della sequela di Cristo: bisogna essere in grado, se necessario, di rinunciare al mondo intero per salvare i veri valori, per salvare l’anima, per salvare la presenza di Dio nel mondo (cfr Mc 8: 36-37). E sebbene con difficoltà, Pietro accettò l’invito e continuò la sua vita sulle orme del Maestro.
E mi sembra che queste conversioni di San Pietro in diverse occasioni, e la sua intera figura, siano una grande consolazione e una grande lezione per noi. Anche noi abbiamo un desiderio per Dio, anche noi vogliamo essere generosi, ma anche noi ci aspettiamo che Dio sia forte nel mondo e che trasformi il mondo subito, secondo le nostre idee e i bisogni che percepiamo.
Dio sceglie un modo diverso. Dio sceglie la via della trasformazione dei cuori nella sofferenza e nell’umiltà. E noi, come Pietro, dobbiamo convertirci, ancora e ancora. Dobbiamo seguire Gesù e non andare davanti a lui: è lui che ci indica la via.
È così che Pietro ci dice: pensi di avere la ricetta e che spetta a te trasformare il cristianesimo, ma è il Signore che conosce la strada. È il Signore che mi dice, che ti dice: seguimi! E dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di seguire Gesù, perché è la Via, la Verità e la Vita. “
Maria, Mater Ecclesiae, Ora pro nobis,
Maria, Regina Apostolorum, Ora pro nobis.
Maria, Mater Gratiae, Mater Misericordiae, Tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe.
+ Carlo Maria Viganò
Tit. Arcivescovo di Ulpiana
Nunzio Apostolico
21 febbraio 2019
Memoria di San Pietro Damiano
We cannot avoid to see as a sign of Providence that you Pope Francis and brother Bishops representing the entire Church have come together on the very day on which we celebrate the memory of St. Peter Damian.  This great monk in the 11th century put all his strength and apostolic zeal into renewing the Church in his time, so deeply corrupted by sins of sodomy and simony. He did that with the help of faithful Bishops and lay people, especially with the support of Abbot Hildebrand of the Abbey of St Paul extra muros, the future Pope St. Gregory the Great.    
Allow me to propose for our meditation the words of our dear Pope Emeritus Benedict XVI addressed to the people of God in the General Audience of Wednesday, the 17th of May, 2006, commenting on the very passage of the Gospel of Mark 8:27-33 that we proclaimed on today’s Mass.
“Peter was to live another important moment of his spiritual journey near Caesarea Philippi when Jesus asked the disciples a precise question:  “Who do men say that I am?” (Mk 8: 27). But for Jesus hearsay did not suffice. He wanted from those who had agreed to be personally involved with him a personal statement of their position. Consequently, he insisted: “But who do you say that I am?” (Mk 8: 29). 
It was Peter who answered on behalf of the others:  “You are the Christ” (ibid.), that is, the Messiah. Peter’s answer, which was not revealed to him by “flesh and blood” but was given to him by the Father who is in heaven (cf. Mt 16: 17), contains as in a seed the future confession of faith of the Church. However, Peter had not yet understood the profound content of Jesus’ Messianic mission, the new meaning of this word: Messiah.
He demonstrates this a little later, inferring that the Messiah whom he is following in his dreams is very different from God’s true plan. He was shocked by the Lord’s announcement of the Passion and protested, prompting a lively reaction from Jesus (cf. Mk 8: 32-33).
Peter wanted as Messiah a “divine man” who would fulfil the expectations of the people by imposing his power upon them all:  we would also like the Lord to impose his power and transform the world instantly. Jesus presented himself as a “human God”, the Servant of God, who turned the crowd’s expectations upside-down by taking a path of humility and suffering.
This is the great alternative that we must learn over and over again:  to give priority to our own expectations, rejecting Jesus, or to accept Jesus in the truth of his mission and set aside all too human expectations.
Peter, impulsive as he was, did not hesitate to take Jesus aside and rebuke him. Jesus’ answer demolished all his false expectations, calling him to conversion and to follow him: “Get behind me, Satan! For you are not on the side of God, but of men” (Mk 8: 33). It is not for you to show me the way; I take my own way and you should follow me.
Peter thus learned what following Jesus truly means. It was his second call, similar to Abraham’s in Genesis 22, after that in Genesis 12:  “If any man would come after me, let him deny himself and take up his cross and follow me. For whoever would save his life will lose it; and whoever loses his life for my sake and the Gospel’s will save it” (Mk 8: 34-35). This is the demanding rule of the following of Christ:  one must be able, if necessary, to give up the whole world to save the true values, to save the soul, to save the presence of God in the world (cf. Mk 8: 36-37). And though with difficulty, Peter accepted the invitation and continued his life in the Master’s footsteps.
And it seems to me that these conversions of St Peter on different occasions, and his whole figure, are a great consolation and a great lesson for us. We too have a desire for God, we too want to be generous, but we too expect God to be strong in the world and to transform the world on the spot, according to our ideas and the needs that we perceive.
God chooses a different way. God chooses the way of the transformation of hearts in suffering and in humility. And we, like Peter, must convert, over and over again. We must follow Jesus and not go before him:  it is he who shows us the way.
So it is that Peter tells us:  You think you have the recipe and that it is up to you to transform Christianity, but it is the Lord who knows the way. It is the Lord who says to me, who says to you: follow me! And we must have the courage and humility to follow Jesus, because he is the Way, the Truth and the Life.”
Maria, Mater Ecclesiae, Ora pro nobis,
Maria, Regina Apostolorum, Ora pro nobis.
Maria, Mater Gratiae, Mater Misericordiae, Tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe.
+ Carlo Maria Viganò
Tit. Archbishop of Ulpiana
Apostolic Nuncio
February 21, 2019
Memory of St. Peter Damian

Marco Tosatti
21 Febbraio 2019 Pubblicato da  9 Commenti --
Al summit l’omosessualità è tabù. Ma c’è cautela sulla “tolleranza zero”

Nella giornata d’esordio, il 21 febbraio, del summit tra papa Francesco e i capofila della Chiesa mondiale sul tema degli abusi sui minori, la grande assente è stata la parola “omosessualità”. E questo nonostante la grandissima parte degli abusi fin qui censiti avvenga con maschi giovani o giovanissimi, oltre la soglia della pubertà.
La parola “omosessualità” non è comparsa né nel discorso inaugurale del papa, né nei 21 “punti di riflessione” da lui fatti distribuire in aula, né nelle relazioni introduttive del cardinale Luis Antonio G. Tagle, dell’arcivescovo Charles J. Scicluna e, nel pomeriggio, del cardinale Rubén Salazar Gómez.
Scicluna, anzi, interpellato in proposito nella conferenza stampa di metà giornata (vedi foto), ha detto che “generalizzare su una categoria di persone non è mai legittimo”, perché l’omosessualità “non è qualcosa che predispone al peccato”, a cui inclina semmai la “concupiscenza”.
Scicluna è l’uomo chiave del comitato organizzativo del summit. Prima che arcivescovo di Malta è stato per anni promotore di giustizia della congregazione per la dottrina della fede, di cui è tornato ad essere segretario aggiunto con competenza specifica in materia di abusi sessuali. È l’uomo che più direttamente esprime, in questo momento, la volontà di Francesco, dopo che questi ha di fatto esautorato il cardinale Sean P.  O’Malley, fino a un anno fa il massimo fiduciario del papa in materia ma ora rimasto solo “pro forma” presidente del pontificio consiglio per la protezione dei minori.
Risulta quindi cadere nel vuoto, fino a questo momento, l’appello dei cardinali Walter Brandmüller e Raymond L. Burke – e di non pochi altri autorevoli chierici e laici – a contrastare a viso aperto la piaga dell’omosessualità tra i sacri ministri, sintomo di un diffuso abbandono della “verità del Vangelo”.
*
È emersa invece, fin dalle prime battute del summit, la volontà di bilanciare la severità dei processi in materia di abusi sessuali con un maggiore rispetto dei diritti degli accusati.
La “tolleranza zero” è il nome che si dà al rigore puritano con cui si vogliono colpire gli autori di abusi. È un rigore rumorosamente preteso soprattutto dall’opinione pubblica laica. Ma che ha costi molto alti in termini di violazione dei più elementari diritti, come Settimo Cielo ha messo in luce in un recente servizio:
Ebbene, nei 21 “punti di riflessione” consegnati da papa Francesco ai partecipanti al summit si legge al punto 4: “Attuare procedure per il diritto di difesa degli accusati”. Al punto 10: “Preparare itinerari penitenziali e di ricupero per i colpevoli”. Al punto 11: “Riconoscere e discernere i casi veri da quelli falsi, le accuse dalle calunnie”. Al punto 14: “Salvaguardare il principio di diritto naturale e canonico della presunzione di innocenza fino alla prova della colpevolezza dell’accusato. Perciò bisogna evitare che vengano pubblicati gli elenchi degli accusati, anche da parte delle diocesi, prima dell’indagine previa e della definitiva condanna”.
Ma anche nella relazione di monsignor Scicluna, che ha ripercorso tutte le fasi dei processi per abusi su minori, vi sono importanti richiami ai diritti degli accusati.
Pur dopo aver riconosciuto che “la maggior parte dei processi penali canonici sono di tipo extragiudiziale o amministrativo”, Scicluna ammonisce:
“L’essenza di un processo giusto richiede che l’imputato sia a conoscenza di tutte le discussioni e prove a suo carico; che all'imputato sia concesso il pieno beneficio del diritto di presentare la propria difesa; che la sentenza sia emessa sulla base dei fatti del caso e della legge applicabile al caso; che una sentenza o decisione motivata sia comunicata per iscritto all'imputato e che l'imputato abbia facoltà di impugnazione avverso una sentenza o decisione che gli arrechi pregiudizio”.
Più avanti Scicluna chiede ai vescovi somma prudenza ed equanimità nel decidere cosa fare nel caso in cui un processo canonico a carico di un loro sacerdote si concluda non con una condanna o con una assoluzione, ma con una più problematica “decisio dimissoria”, nel caso in cui le accuse siano credibili ma non dimostrate.
Più avanti ancora Scicluna sollecita a dare la massima pubblicità alle sentenze che stabiliscono l’innocenza dell’imputato, poiché “sappiamo tutti che è molto difficile risanare il buon nome di un sacerdote che potrebbe essere stato ingiustamente accusato”.
E infine sollecita la stessa congregazione per la dottrina della fede a derogare solo eccezionalmente alla prescrizione, per i casi di abuso lontani nel tempo: “Il potere della CDF di derogare alla prescrizione ventennale è ancora invocato in un certo numero di casi storici, ma è vero che questo non dovrebbe essere la norma ma, piuttosto, l'eccezione”.
*
Va notato che non sempre la pressione dell’opinione pubblica laica e delle autorità civili pretende dalla Chiesa il massimo della “tolleranza zero” in materia di abusi sessuali su minori, con grave pregiudizio per i diritti degli accusati.
Si può citare, ad esempio, una sentenza della corte di giustizia di Arnhem, che il 18 aprile 2018 ha accolto il ricorso di una fondazione privata olandese, la Stichting Sint Jan, contro la Commissione della Chiesa cattolica romana d’Olanda per l’investigazione degli abusi sessuali.
La corte ha sentenziato che in alcuni casi la Commissione “non ha rispettato le proprie stesse regole e, così facendo, ha violato i diritti fondamentali dell’accusato”, ad esempio quando “una denuncia, che era già stata dichiarata infondata da una sentenza irrevocabile, è stata riaperta e dichiarata fondata”, oppure quando ha accolto come credibile una “isolata e incoerente dichiarazione di un denunciante, sprovvista di sufficienti prove”.
Il comunicato riassuntivo della sentenza, in olandese, in inglese e in tedesco, è nel sito della Stichting Sint Jan.
Settimo Cielo di Sandro Magister 21 feb


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