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giovedì 14 marzo 2019

Chi ha detto che lo stalinismo è morto?

Triptorelina, le domande a cui Avvenire non sa rispondere

È lecito moralmente "cambiare sesso"? Cosa dicono la Scrittura e il Magistero su riassegnazione del sesso e transessualismo? Ed è lecito bloccare la pubertà senza cambiare sesso? Un lungo articolo di Avvenire sostiene che le risposte a queste domande siano ancora da trovare, ma non è così: legge naturale e magistero della Chiesa sono già chiari al proposito.

Tiene ancora banco sui media la questione sull’efficacia dell’uso della triptorelina per risolvere problemi psicologici di pre-adolescenti e adolescenti che interessano la cosiddetta disforia di genere. Il farmaco verrebbe usato per bloccare la pubertà. In tal modo, si sostiene, il ragazzo avrebbe tempo per superare i suoi disturbi psicologici - non pressato da un corpo che si sviluppa sessualmente e che non percepisce come proprio - e per decidere se “cambiare sesso”. In questo caso il farmaco sarebbe di aiuto perché permetterebbe di intervenire chirurgicamente e in modo più agevole su un corpo che non ha ancora sviluppato appieno i caratteri sessuali primari e secondari.


Sul tema è intervenuto anche Luciano Moia con un interessante articolo, pubblicato ieri su Avvenire, dal titolo “Farmaco gender, servono chiarezza e misericordia”. L’articolo è interessante perché punta la lente di ingrandimento sugli aspetti nevralgici dell’intera questione triptorelina. Partiamo dalla prima domanda che si pone Moia: «Il ‘cambio di sesso’ è eticamente accettabile?». La risposta che noi diamo è negativa: il “cambio di sesso” è azione intrinsecamente malvagia.

Tentiamo di spiegare le motivazioni. Intanto per “cambio di sesso” si intende una serie di interventi chirurgici e/o di interventi attuati tramite preparati chimici sui caratteri sessuali primari (gonadi maschile e femminile) e secondari (gli organi copulatori e di conserva aspetti morfologici come la impalcatura scheletrica, la peluria, etc.) al fine di renderli differenti dal proprio sesso genetico. Dunque le espressioni “rettificazione sessuale” e “cambiamento di sesso” sono menzognere, perché, ad esempio, l’uomo transessuale si travestirà pure da donna, ma continuerà ad essere uomo dato che i suoi cromosomi rimarranno XY (da tener distinto invece l’intervento di rettificazione sessuale per finalità terapeutiche quando si presentano anomalie, ad esempio morfologiche, a danno delle gonadi o dei genitali: in questi casi l’intervento è lecito quando si tenta di armonizzare il corpo con il sesso cromosomico).

"CAMBIAMENTO DI SESSO", ATTO MALVAGIO

Perché il “cambiamento di sesso” è atto intrinsecamente disordinato? Il motivo sta nel fatto che il sesso è aspetto identitario della persona. Attenzione: non il sesso in generale, bensì il sesso maschile è elemento identitario per gli uomini e il sesso femminile è elemento identitario per le donne. Per quale motivo? La nostra identità – chi siamo noi, quell’unico e irripetibile Mario - risiede primariamente nella nostra anima razionale la quale informa il corpo e comunica a questo la sua identità. Ora il corpo umano è la materia adeguata per ricevere l’anima razionale. Potremmo dire che il corpo umano è la custodia adatta per ricevere l’anima razionale. Da ciò consegue che quella particolarissima anima di Mario – l’identità di Mario - necessita non solo di un corpo umano qualsiasi, ma solo di quel corpo umano, proprio perché quel particolarissimo corpo di Mario è l’unico adatto alla sua altrettanta particolarissima anima.

Ciò vuol dire che l’anima di Mario – il suo irripetibile modo di avere l’essere (identità) – non poteva che informare quella precisissima e irripetibile materia umana che ha avuto al momento del concepimento, con tutte le sue peculiari e uniche caratteristiche costitutive ed essenziali tra cui il sesso maschile. Se l’identità risiede nell’anima razionale e se il corpo, come orma nella sabbia, riproduce in sé dal punto di vista materiale tutte le caratteristiche di quell’unica anima, vuol dire che le sue caratteristiche essenziali riproducono l’identità della persona. E quindi la particolare consonanza dell’elemento fisico con l’anima razionale deve essere rinvenuta anche nel sesso genetico.

In questo senso il sesso maschile e quello femminile sono identitari, perché sono peculiarità di una materia umana che è specchio empirico fedele della nostra identità, quasi che la nostra anima imprimesse il suo carattere nella materia, modificandola, anche nel dato sessuale, per essere a lei adeguata. Questo non significa che l’anima abbia sesso, ma l’anima di Mario ha il suo modo di essere immutabile che, tra gli altri aspetti, è consono solo a un corpo maschile, esige quel corpo maschile: l’identità di Mario espressa dall’anima razionale non può che reclamare un corpo maschile. Ecco perché il sesso maschile e il sesso femminile sono identitari, perché riproducono autenticamente nella materia umana l’identità espressa dall’anima razionale. Mario non può che essere maschio perché solo nella mascolinità troviamo riflessa la sua identità.

Ora se il sesso maschile per l’uomo e quello femminile per la donna sono aspetti identitari tutto ciò che riguarda il sesso maschile deve concordare con tale sesso e tutto ciò che riguarda il sesso femminile deve concordare con tale sesso. E dunque dato che Mario è maschio – e a dircelo sono i cromosomi XY – anche i caratteri sessuali primari e secondari devono essere maschili, così come, nella sfera psicologica comportamentale, i pensieri, le abitudini, etc. devono essere maschili. Il “cambio di sesso” invece, ad esempio, vuole mutare i caratteri secondari non accordandoli al sesso genetico. Dunque vuole mutare tali caratteri in contraddizione con un aspetto identitario della persona (e infatti si parla di identità sessuale).

Da qui la illiceità morale della rettificazione sessuale, proprio perché si sceglie di compiere un’azione contraria alla identità personale. Si violerebbe il principio teoretico di non contraddizione che è alla base anche di tutti i principi morali: dico che Mario è maschio ma opto per un’azione che è “femmina”. Dunque il “cambiamento di sesso” è un’azione intrinsecamente malvagia perché il fine prossimo ricercato è “agire in contraddizione con l’identità della persona”.

Cambiare il colore dei capelli, degli occhi, l’altezza e il peso non contraddice l’identità della persona (semmai la può perfezionare), modificare invece una parte del corpo in distonia con il sesso genetico entra in rotta di collisione con l’identità personale. La persona perciò non può essere divisa in sé stessa altrimenti, usando un termine greco, è κρίσις, ossia scissione, separazione, strappo, lacerazione: una parte maschile (sesso genetico, struttura scheletrica, etc.) e una femminile (es. caratteri primari) nello stesso organismo. Da qui tutti i disturbi psicologici che soffrono le persone transessuali. La persona invece è unità, composta da più parti ma in armonia tra loro.

E quindi dato che il “cambiamento di sesso” è atto intrinsecamente disordinato mai si può compiere sotto il profilo morale, né per un fine ulteriore buono né in alcune circostanze particolari.

Quindi, e veniamo a due ipotesi proposte da Moia, non è lecito “cambiare sesso” né al fine di impedire un suicidio né in stato di necessità, ossia se non ci sono altre soluzioni per restituire benessere al minore. Il fatto che il “cambiamento di sesso” sia azione intrinsecamente malvagia supera in radice anche il principio di totalità richiamato da Avvenire: sacrificare una parte del corpo per il benessere totale della persona. Infatti quel sacrificio è atto di per sé malvagio foss’anche benefico sul piano delle utilità sperate.

SCRITTURA E MAGISTERO SONO CHIARI

Veniamo al profilo teologico ed ecclesiale. Moia dichiara che «il magistero – è bene dirlo subito – non ha mai definito la liceità morale della 'riassegnazione chirurgica'». Vero è che non esistono pronunciamenti specifici del Magistero sul tema, così come non esistono pronunciamenti specifici sul sequestro di persona o sulla necrofilia, ma non perché la Chiesa sia in dubbio sul giudizio morale su tale procedura, ma perché ad oggi non è apparso necessario esplicitare la condanna su simili pratiche già implicita in alcuni suoi documenti. Ciò non toglie che in futuro appaia invece necessario pronunciarsi.  

In primis domandiamoci: la Bibbia ha mai condannato il transessualismo? La condanna è implicita in Genesi 1,27: Dio “li creò maschio e femmina”. Se Dio ci crea maschio e femmina appare evidente che dobbiamo rimanere maschio e femmina. In tutto. In merito al Magistero, ricordiamo il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale». Il “cambiamento di sesso” non accetta la propria identità sessuale come abbiamo appena visto. Poi rammentiamo le molteplici catechesi di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo che, per il tema che qui stiamo trattando, si potrebbero sintetizzare in queste parole di Benedetto XVI:

«Il sesso […] non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò”’ (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. […] Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda” (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012).

Inoltre rammentiamo il documento del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari: “Non si può violare l'integrità fisica di una persona per la cura di un male d'origine psichica o spirituale. Qui non si danno organi malati o malfunzionanti. Così che la loro manipolazione medico-chirurgica è un'alterazione arbitraria dell'integrità fisica della persona. È per questo che non si può correttamente assumere il principio di totalità a criterio di legittimazione della sterilizzazione antiprocreativa, dell'aborto terapeutico e della medicina e chirurgia transessuale” (Carta degli operati sanitari, n°66, nota 148).

BLOCCARE LA PUBERTA' SENZA CAMBIARE SESSO

Infine veniamo ad un altro quesito, assai interessante, che è sempre presente nell’articolo di Avvenire. E’ lecito bloccare la pubertà di un ragazzo/una ragazza non al fine di “cambiare sesso”, ma al fine di aiutarlo/a a percepirsi psicologicamente come maschio se è sessualmente maschio e come femmina se è sessualmente femmina? Dunque la finalità questa volta sarebbe lecita, ma esiste un principio morale che così recita: «un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7 c.). In breve l’atto scelto deve essere proporzionato, congruo, consono al fine buono, altrimenti risulta dannoso. Si tratta del principio di efficacia.

La triptorelina è efficace nel curare i disturbi di disforia di genere bloccando l’ingresso nella pubertà al fine di allineare armoniosamente psiche e corpo? Occorre soppesare i pro e i contra tenendo altresì in conto le probabilità che gli effetti positivi e negativi si verifichino. Da queste colonne abbiamo più volte ricordato gli effetti negativi di tale preparato: ictus, patologie cardiache, aumento degli zuccheri nel sangue, costipazione, problematiche in ambito sessuale, diarrea, capogiri, mal di testa, vampate, perdita dell’appetito, nausea, insonnia, fastidi allo stomaco, stanchezza o debolezza, vomito. Inoltre, come ricorda Avvenire, c’è la possibilità di indurre il minore in psicosi, di ridurre la sua fertilità e, aspetto forse più rilevante, di provocare un disallineamento tra mente e corpo.

Lo sviluppo fisico può aiutare il minore confuso perché diventa guida psicologica nella crescita; di contro, come rammentava il Centro di Studi Livatino, «il blocco della pubertà e – quindi – anche degli ormoni sessuali potrebbe compromettere la definizione morfologica e funzionale di quelle parti del cervello che contribuiscono alla strutturazione dell’identità sessuale insieme con i fattori ambientali ed educativi. […] Si induce quindi farmacologicamente un disallineamento fra lo sviluppo fisico e quello cognitivo». Inoltre non ci sono studi approfonditi che possano escludere ulteriori effetti negativi. Infine, se vogliamo registrare altri possibili danni, la commercializzazione di questo farmaco aumenterà esponenzialmente il fenomeno dei baby- trans. E quindi dare semaforo verde alla triptorelina solo per casi eccezionali, porterà di certo al suo uso indiscriminato. Il gioco non varrebbe la candela.

Avvenire invece mette sull’altro piatto della bilancia, non nascondendo invero alcuni effetti dannosi di questo farmaco, anche pareri favorevoli all’uso della triptorelina che provengono dai presidenti della Società italiana di endocrinologia, della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità, della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica e dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere. Ora ci domandiamo, e non è domanda retorica o polemica, ma sincera: queste società scientifiche sono favorevoli all’uso di tale farmaco perché favorevoli al transessualismo? Se così fosse, ovvio che la triptorelina sarebbe il farmaco ideale per “cambiare sesso” in tenera età.

Ma facciamo finta che tali società non siano favorevoli al transessualismo e che dunque il loro placet al farmaco in questione sia dettato dal fatto che esso faccia più bene che male per quel minore che desidera, lui maschio, riconoscersi serenamente come maschio. Visti i pareri discordanti, dovremmo concludere che l’efficacia della triptorelina è oggettivamente controversa. E cosa dice la morale in questi casi, ossia nei casi dubbi? Indica il principio tuzioristico: nel dubbio agisci nel modo più sicuro per il bene del minore. E il modo più sicuro di procedere è quello dell’approccio psicologico, per ipotesi adiuvato anche dai farmaci, ma non dalla triptorelina. Anche in quei casi in cui il minore è a rischio suicidio. Infatti esistono altre soluzioni, oltre alla triptorelina, che possono scongiurare il rischio suicidio e che presentano meno effetti collaterali indesiderati.

In sintesi: il “cambiamento di sesso”, alla luce della ragione, è un’azione intrinsecamente malvagia, che dunque mai può essere compiuta, perché contraddice l’identità personale. La Scrittura e il Magistero lo confermano. Inoltre, ammesso e non concesso che si usi la triptorelina perché si desidera che un ragazzo si percepisca come maschio, allo stato attuale la sua efficacia appare perlomeno controversa e dunque, nel rispetto del principio tuzioristico, è doveroso intraprendere altri percorsi di cura più sicuri.

Tommaso Scandroglio

http://www.lanuovabq.it/it/triptorelina-le-domande-a-cui-avvenire-non-sa-rispondere

Il padrone chiama, Avvenire si rimangia tutto

In un articolo di ieri, 13 marzo, il quotidiano dei vescovi italiani, che era sempre stato critico verso il farmaco blocca-pubertà, cambia improvvisamente linea e si accoda all'aperturismo di Vatican News e della Pontificia Accademia per la Vita. Ecco il retroscena.
«Tutto inutile. (…) Inutili gli appelli degli esperti a proposito dei rischi sconosciuti. Inutili gli inviti alla cautela arrivati dagli stessi medici che si occupano di un disturbo dalle mille ombre che si chiama disforia di genere». Così, appena una settimana fa,il 6 marzo, Avvenire – con la firma di Luciano Moia - commentava negativamente la decisione dell’Agenzia del Farmaco (Aifa) di introdurre la triptorelina tra i farmaci erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, allo scopo di bloccare la pubertà in quei bambini che fanno fatica a riconoscersi nel proprio sesso.
E l’8 marzo, per rispondere al direttore de La Verità, Maurizio Belpietro, che accusava Avvenire di essere un po’ distratto sul tema triptorelina, lo stesso Moia sparava una raffica di articoli pubblicati da Avvenire negli ultimi quattro anni su quello che loro stessi hanno battezzato “farmaco gender”. Ovviamente articoli molto critici.
Poi d’improvviso l’inversione a U. Il 13 marzo, cioè ieri, in grande evidenza a pagina 3 di Avvenire, lo stesso Luciano Moia scopre che in fondo la faccenda non è così chiara. Chi lo dice che cambiare sesso, in determinate condizioni, non sia lecito? La Chiesa non si è mai pronunciata «sulla liceità morale della “riassegnazione chirurgica”». E poi la sofferenza, il discernimento, il caso per caso, addirittura le periferie tanto care a papa Francesco in cui si troverebbe l’etica in questo caso. Certo, ci sono quelli che dicono “no, assolutamente”, però ci sono anche quelli che dicono “sì”. Insomma, tutto un complesso di cose per cui si deve evitare «la pretesa legalistica del “si può”, “non si può”». Che - non siamo scemi - equivale a dire: “si può”.
E cosa sarà mai successo in questi 5 giorni da provocare questa giravolta? Dato l’argomento, non si può fare a meno di pensare all’effetto di un bombardamento ormonale sfociato in una “riassegnazione del cervello”.

La realtà però è molto più banale e si potrebbe sintetizzare in “La voce del padrone”. Ecco dunque cosa è successo: il 7 marzo su Vatican News esce l’ormai famosa – almeno per i lettori de La Nuova BQ e di altri organi non allineati – intervista alla bioeticista Laura Palazzani, vice presidente del Comitato nazionale per la Bioetica (Cnb) e membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita(Pav). La Palazzani aveva votato a favore dell’uso della triptorelina, sebbene in casi circoscritti, nel documento che il Cnb aveva pubblicato lo scorso luglio su richiesta dell’Aifa. E su Vatican News ne sosteneva, senza contraddittorio, le ragioni. Giustamente noi – e non soltanto noi - abbiamo dato grande spazio alla notizia perché semplicemente significa che la Santa Sede apre all’uso del farmaco blocca-pubertà e al conseguente “cambio genitale”.

Peraltro questa bella trovata in accoppiata Vatican News-Pontificia Accademia per la Vita ha generato molte reazioni negative, da parte di cattolici giustamente indignati che hanno chiesto ragione di tale scandalo. E allo stesso tempo anche difese d’ufficio, la più comune delle quali sostiene che la Palazzani parlava per sé e non a nome della Pav. Ci si aspettava dunque una qualche correzione del tiro. Illusi: il 12 marzo quindi ripercorrevo gli eventi degli ultimi mesi riaffermando la convinzione che non di svista si trattasse ma di “nulla osta” vaticano.
A quel punto possiamo immaginare qualche telefonata “calda” da Roma verso la direzione di Avvenire. Il grande capo della comunicazione vaticana Andrea Tornielli? Il presidente della Pav, monsignor Vincenzo Paglia? Qualcun altro che si può fregiare del titolo di “molto vicino a Santa Marta”? Provate a indovinare, ma in ogni caso è qualcuno che conta molto e che, scavalcando la Conferenza Episcopale Italiana, può mettere sull’attenti il direttore di Avvenire. E pretendere che un giornalista si giochi la faccia rinnegando pubblicamente quello che aveva scritto fino a 5 giorni prima. E così nasce l'articolo di ieri di Avvenire, in cui tra l'altro si vuole rispondere direttamente alle nostre argomentazioni (senza mai citarci, ovviamente).
Ma si consolino da quelle parti. Non sono i soli a dover piegare il capo, i padroni del vapore devono essere davvero molto contrariati e decisi a mantenere il punto. È successa un’altra cosa strana: ieri mattina sul blog di Costanza Miriano, che aveva scritto un articolo dai contenuti analoghi a quelli della Nuova BQ e che chiamava in causa la Pav, compare il commento di un altro membro della Pav, la spagnola Elena Postigo. Diceva così:

«Come membro dell’Accademia vorrei chiarire che alcuni di noi abbiamo saputo di questa polemica soltanto negli ultimi giorni. La questione non si è studiata in dettaglio nella Pav e quindi non ci siamo pronunciati ufficialmente. Penso infatti che dovremmo farlo.
Personalmente non condivido il parere del Cnb, e alcuni la pensiamo allo stesso modo. Questa decisione ha gravissime implicazioni di carattere medico, antropologico, etico e teologico. Bisogna distinguere il parere di alcuni membri da quello ufficiale della Pav».
Infatti, nel giro di pochissime ore il post del membro Postigo è scomparso. Ritirato. Ne resta la memoria solo in alcuni post di Facebook che l’avevano rilanciato (tranquilli, il fatto che ieri pomeriggio Facebook sia andato in tilt è pura coincidenza, non crediamo siano così potenti).
Possiamo dunque facilmente prevedere che la cosa non finirà qui e avrà il coraggio di parlare soltanto chi sarà disposto a fare quadrato attorno alla Palazzani e alla direzione della Pav.
Chi ha detto che lo stalinismo è morto?
Riccardo Cascioli

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