Il politically correct è entrato nelle nostre vite con una martellante opera di propaganda. Se i colpevoli dei mali del mondo siamo "noi", dobbiamo espiare i peccati rinunciando alla nostra identità, per dissolverci nel magma di un mondo dalle identità fluide. Intervista a Capozzi, autore del libro "Politicamente corretto. Storia di un'ideologia".
Uno degli strumenti del potere per non vedere le cose come sono è senz'altro il politically correct. C'è un libro di Eugenio Capozzi che si chiama Politicamente corretto. Storia di un'ideologia (Marsilio 2018) che vale veramente la pena leggere. Un libro che ci conduce all'interno dei meccanismi di questa ideologia, che è poi una gnosi, con grande erudizione e capacità di analisi. Eugenio Capozzi è professore ordinario di storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Napoli "Sant'Orsola Benincasa". La Nuova BQ l’ha intervistato.
Professore, come si è avvicinato al tema del politically correct?
E’ stata la consapevolezza che la rivoluzione culturale prodotta dai movimenti giovanili degli anni Sessanta ha rappresentato forse la cesura più decisiva nella storia politica del Novecento. Se si guarda alle categorie, alla terminologia, ai luoghi comuni, al conformismo di pensiero che connotano attualmente le classi dirigenti delle democrazie industrializzate ci si accorge che tutti questi elementi sono comprensibili soltanto riportandoli a quel grande cambiamento di mezzo secolo fa. Quella somma di censure, delegittimazioni, edulcorazioni linguistiche che oggi chiamiamo "politically correct”.
Come definirebbe il politically correct?
Come un "catechismo civile", una somma di "precetti", di divieti, di censure in cui si compendia la retorica di un'ideologia ben precisa: quello che possiamo chiamare neo-progressismo, ideologia dell'Altro, "utopia diversitaria" (per dirla con Mathieu Bock-Coté). Ossia l'ideologia che condanna in blocco come imperialista e discriminatoria la cultura euro-occidentale, e progetta di cambiare la mentalità dell'umanità per sostituirla con un radicale relativismo culturale ed etico. E’ una retorica che è diventata il tratto distintivo delle élites politiche, intellettuali, istituzionali, mediatiche, e dell'intrattenimento di massa in Occidente tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo, conquistando un sostanziale monopolio sul linguaggio e sull'etica pubblica, in assenza di "narrazioni" contrapposte dotate di pari rappresentatività.
Ci fa alcuni esempi di come il politically correct è entrato nelle nostre vite?
Con una martellante opera di propaganda, di estensione e profondità "orwelliane", che pretende di eliminare dai prodotti culturali, dalla dialettica politica, dai comportamenti pubblici e privati, dai luoghi della formazione, ogni termine o concetto che possano essere considerati "discriminatori", "offensivi", espressioni di una concezione gerarchica e di valori "forti", per imporre un'idea di "rispetto" che in effetti coincide con un totale indifferentismo, nel quale la "verità" politica è decisa volta a volta dalle élite che "dettano la linea" alle società. La tesi principale è quella secondo cui il tramonto delle grandi ideologie europee otto-novecentesche apre la strada ad una potente svolta delle classi dirigenti occidentali in senso relativistico-nichilistico, soggettivistico, edonistico, antiumanistico.
Lei chiama il politically correct una ideologia, una ideologia dell’Altro. Perché?
Nel senso che il nuovo progressismo impostosi con la ribellione dei giovani baby boomers occidentali non rivendica più l'instaurazione della libertà, dell'uguaglianza o della giustizia attraverso misure economiche o provvedimenti politici, ma pretende invece di estirpare le radici del dominio e delle discriminazioni presenti, a suo dire, nella storia culturale occidentale attraverso un radicale processo di modificazione del modo di pensare, dei concetti, del linguaggio. Un obiettivo che in realtà rappresenta un vero e proprio azzeramento, un "parricidio" delle radici culturali occidentali. Se l'uomo occidentale storicamente ha incarnato la violenza, la repressione, l'imperialismo, egli deve essere "rieducato" accogliendo tutti i modelli culturali, tutte le condizioni esistenziali, tutte le componenti minoritarie che ha soggiogato in passato per rinnovarsi e rigenerarsi. L'"altro", ridotto ad un concetto astratto, diventa il salvatore, il redentore di una storia sbagliata, e la radice di una nuova civiltà più gentile, tollerante, in cui i conflitti, una volta eliminato il "peccato originale" del dominio, della gerarchia, del "pensiero forte", dovrebbero sparire.
Afferma nel suo libro che le ideologie sono eredi di una tendenza gnostica della cultura moderna. Quindi il politically correct è fenomeno di tipo gnostico?
Assolutamente sì. Esso rappresenta appunto l'ultima e più radicale forma di gnosticismo moderno. Il male da eliminare dal mondo non è più la dominazione straniera, la disuguaglianza civile e politica, il capitalismo, o altri fattori economici e politici del genere, ma la storia di una civiltà tout court, con la mentalità che essa ha prodotto. E' quella la radice del male, quindi la salvezza non può che venire dalla "de-occidentalizzazione" del mondo e dello stesso Occidente. Se i colpevoli dei mali del mondo siamo "noi", dobbiamo espiare i nostri peccati rinunciando alla nostra identità, per dissolverci nel grande magma di un mondo dalle identità fluide, precarie, affidate totalmente volta a volta all'autodeterminazione dei soggetti.
Come ci si libera dal politically correct?
Pensare che il politically correct possa essere abolito per decreto o in un colpo solo sarebbe un'idea altrettanto ideologica di quella coltivata da chi pensa che il progressismo diversitario e la sua retorica rappresentino una realtà inevitabile e salvifica. Quello che noi possiamo fare è mostrare come esso abbia avuto una precisa origine e dunque non sia né eterno né inevitabile. Non a caso, il monolitico dominio della "narrazione" politicalcorrettista ha cominciato a mostrare le prime, serie crepe quando, a partire dalla grande crisi economico-finanziaria del 2008, quelle classi dominanti sono entrate in crisi, e hanno cominciato ad essere sfidate dai "perdenti della globalizzazione", con la crescita dei movimenti sovranisti, identitari, neo-nazionalisti.
Aurelio Porfiri
http://www.lanuovabq.it/it/politically-correct-e-colpa-nostra-come-catechismo
Lun, 25/03/2019 - 08:12 Fonte:Cristiano Soro
http://www.ilgiornale.it/gallery/vignetta-giorno-papa-scorda-italiani-1668323.html“Così don Marco è finito in carcere”
Cari amici, mi ha scritto un parroco. Si chiama don Riccardo e racconta la vicenda di un altro sacerdote, don Marco, da lui ben conosciuto, finito in carcere con l’accusa di molestie nei confronti di una minorenne. Secondo don Riccardo la sentenza è ingiusta e ci si è arrivati in un modo che suscita, quanto meno, parecchie perplessità.
Don Riccardo esprime dolore per la sorte di don Marco e precisa che non è sua intenzione sollevare ulteriore clamore. Vuole soltanto proporre di guardare alla vicenda dal punto di vista di chi, anche sulla base di fatti concreti, si sente accusato ingiustamente.
Ora non sta certamente a me pretendere di stabilire quale sia la verità. Ho deciso però di pubblicare la lettera di don Riccardo perché solleva un problema reale, ovvero quello della facilità con la quale un sacerdote può essere calunniato e del terreno favorevole che la calunnia può trovare in un momento come l’attuale, nel quale la Chiesa cattolica è nell’occhio del ciclone per la crisi degli abusi.
A.M.V.
***
Sono un prete della diocesi di Bergamo, parroco in tre parrocchie di media montagna in val Seriana. Da tempo sono affezionato lettore del suo blog, del quale apprezzo contenuti e stile: il suo modo elegante di usare la penna, l’onestà intellettuale di affrontare varie tematiche con retta coscienza, la libertà che nasce dalla volontà di comunicare senza dover compiacere nessuno se non Colui che è la Verità, sono una vera boccata di aria fresca che fa bene al cuore.
È da più di un mese che sento l’esigenza di contattarla, ma ho preferito lasciare sedimentare un po’ le cose. Ho avuto modo di seguire, da vicino, un caso giudiziario che coinvolge un prete, caro amico oltre che compagno di Messa, come dalle mie parti si usa definire i condiscepoli di ordinazione. Don Marco da più di un mese è detenuto in carcere con l’accusa più infamante: pedofilia.
Può immaginare il calvario di questi anni: in accordo con il vescovo, dopo anni di discernimento, dall’autunno 2012 don Marco aveva lasciato il ministero parrocchiale per iniziare un cammino di avvicinamento all’ordine dei frati minori, iniziando il postulandato. Alla fine del percorso, alla vigilia dell’inizio del noviziato scoppia il caso giudiziario: una ragazza diciottenne sporge denuncia dicendo di essere stata molestata nella sua infanzia dal sacerdote, curato dell’oratorio del paese oltre che insegnante di religione nella scuola.
Aberrante il modo in cui don Marco è venuto al corrente della vicenda: alla vigilia della pubblicazione di uno scoop sul Corriere della sera, settimane prima di ricevere l’avviso di garanzia dal Tribunale, la giornalista lo chiama informandolo di quello che l’indomani avrebbe scritto sul giornale e chiedendo dichiarazioni. Altro che presunzione di innocenza!
Ovviamente il cammino religioso di don Marco viene congelato, e inizia l’iter processuale. A parte le prime due udienze, cui per volontà dell’imputato non ho partecipato, poi ho avuto modo di essere presente. Don Marco si è sempre detto innocente e nel primo grado di giudizio ha rifiutato il rito abbreviato per avere la possibilità di difendersi e di dimostrare l’infondatezza delle accuse.
Devo dire che il livore del Pubblico Ministero era impressionante. La parrocchia coinvolta è stata presentata come se fosse il roccolo del peggiore oscurantismo. Una comunità (Serina è un paesotto dell’omonima valle, una costola della Val Brembana, duemila anime, una realtà di forte presenza turistica) presentata al collegio giudicante come un paese arretrato, dove parroco, sindaco, medico e farmacista sono le autorità intoccabili, oltre che il ricettacolo della più becera omertà.
Il primo grado, nonostante il PM avesse chiesto dodici anni di carcere, si conclude con l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non sussiste” e non perché le prove raccolte non permettessero di andare al di là di ogni ragionevole dubbio. Nel dibattimento credo abbia pesato oltre che le contraddizioni di spazio e di tempo della presunta parte offesa, anche una serie di affermazioni che apparivano alquanto inverosimili: le violenze sarebbero avvenute a scuola, in aula, durante le lezioni, oppure in sacrestia prima e dopo la santa Messa (come per il cardinale Pell in Australia) oppure in oratorio, durante le attività estive ma in un’aula dell’oratorio, con la porta aperta, con incuranza del fatto che la situazione poteva essere scoperta da chiunque. Credo abbia pesato anche il quaderno dei verbali della psicologa che nel periodo dell’adolescenza seguì la ragazza (evidentemente con una situazione di fragilità) per conto dei servizi sociali del territorio: dal quaderno infatti non emerge nulla, sebbene la ragazza avesse confidenza con la psicologa, tanto da rivelare anche alcuni dettagli intimi della sua vita personale e alcuni particolari imbarazzanti del suo vissuto familiare. Per di più, la difesa dell’imputato ha messo in luce come da questa fonte si possa leggere il desiderio della ragazza di diventare negli anni delle superiori animatrice per le attività oratoriane estive: inverosimile che, appena terminate le perverse attenzioni del prete, la vittima desiderasse tornare in contatto con lui.
Il PM però decide di appellare. La prima udienza di Appello al tribunale di Brescia inizia con un intervento del Procuratore Generale secondo il quale nulla c’è da eccepire con il primo grado: nel suo ruolo avrebbe potuto respingere l’appello, cosa che, dice, avrebbe fatto, ma “per rispetto al lavoro dei colleghi di Bergamo” opta per proporre il caso alla Corte d’Appello. La presunta parte offesa, appoggiandosi a non ricordo quale deliberazione di qualche ente giudiziario, chiede di essere riascoltata anche presso il collegio giudicante d’Appello, cosa che farà a porte chiuse, quindi senza la presenza del pubblico in aula. Rinvio di udienze, cambio di Procuratore Generale: a gennaio 2018 don Marco viene condannato a sei anni, 15 mila euro di risarcimento oltre che le pene accessorie, benché non si fosse aggiunto un minimo dettaglio che potesse far pensare alla colpevolezza. Gli stessi testimoni della ragazza (ascoltati solo in primo grado) hanno sempre detto di avere raccolto da lei le confidenze riguardo ai presunti palpeggiamenti. La fonte rimane sempre e solo lei. A distanza di un anno, la Cassazione conferma il verdetto d’Appello. Morale della storia, dal 29 gennaio don Marco è in carcere.
La notizia viene data dagli organi di informazione un mese dopo. La comunità di Serina, di fronte a una sentenza che trova profondamente ingiusta ma che pure rispetta, senza la volontà di fare processi in piazza (altrimenti avrebbe agito prima) decide di mandare una lettera all’ex curato, che è stato con loro per dodici anni, sempre amato e stimato. In maniera sorprendente, nel giro di una settimana, vengono raccolte 1300 firme da accompagnare alla lettera. E qui scoppia il caso mediatico.
Tutti i soloni e i leoni da talk-show a scagliarsi sul paese troglodita, oscurantista, medievale e omertoso che, invece di stare dalla parte della povera vittima, ha la sfrontatezza di schierarsi dalla parte dell’orco. Con dignità i serinesi hanno retto al contraccolpo, certamente non voluto né ricercato. Nessuno ha voluto pensare che qualche decina di bigotti baciapile magari da qualche parte possano esistere ancora, ma 1300 persone su 2000 che hanno la forza di metterci la faccia (e i minorenni non hanno firmato) rispetto a un caso bollente come questo è un fatto che qualche domanda dovrebbe sollevarla. Credo che la gente di Serina abbia avuto un coraggio che neppure la Chiesa (penso alla mia Chiesa diocesana ovviamente) ha avuto. Il consensus fidelium qualche volta appare imbarazzante anche per la stessa Chiesa, che preferisce posizioni più comode e pilatesche.
Non nego di vedere in questa vicenda anche lo zampino del Maligno, nella sua atavica battaglia contro Dio e la sua Chiesa, ma questa vicenda, caro dottor Valli, mi angoscia. Non solo per il pensiero di un innocente in carcere, che non è il primo e non sarà l’ultimo, ma anche per la consapevolezza che una vicenda simile possa accadere ad ogni prete, senza che nessuno intervenga. Anche a me. Vuoi far del male a un prete? Calunnia! Quanto più la storia sarà assurda e inverosimile tanto più sarai creduto. Come è stato detto durante il processo di don Marco: l’inverosimiglianza è sintomo di verità; se le accuse fossero inventate sarebbero ovviamente profondamente coerenti!
Don Marco non ha voluto che arrivassero i Carabinieri a prenderlo per condurlo in carcere. Si è presentato da solo, accompagnato dal suo avvocato, da un altro compagno di Messa e da me. Gli ultimi due giorni prima della reclusione li ha trascorsi in casa dell’altro sacerdote che risiede nel capoluogo, per rendere meno angosciante lo strazio suo e della sua famiglia. Don Marco ha voluto celebrare la sua ultima Messa da uomo libero, cui solo io e l’altro sacerdote abbiamo assistito, affidandosi al Signore e alla Vergine, chiedendo la forza di sopportare questa prova e la detenzione a sconto dei suoi peccati e pregando per colei che è stata causa di tutto questo male. Non le nego che io ho pianto per tutta la celebrazione.
Sappiamo, con dolore, anche di tante storie brutte, di preti colpevoli: nella mia esperienza devo riconoscere che tutti i preti che ho incontrato e conosciuto, mi hanno fatto solo del bene, e non credo di essere l’unico fortunato.
Le scrivo non per dare pubblicità ulteriore a questa vicenda, perché l’eccessivo clamore renderebbe ancora più dura l’esistenza intramuraria di don Marco, ma per chiederle che ogni tanto possa spendere una preghiera e una parola anche per i preti calunniati, per quelli condannati ingiustamente e per quelli che, senza essere né tridentini né modernisti, cercano di stare al proprio posto, servendo il Signore, cercando di amare la Chiesa e la propria gente. Di questi tempi si è nella condizione che, di fronte all’acquazzone che si abbatte gagliardo, non si può neppure aprire l’ombrello. Per don Marco, davvero, le cose sono andate così.
La ringrazio della pazienza di avermi letto fino qui.
Che Dio la benedica!
don Riccardo Bigoni
parroco di Villa d’Ogna, Ogna, Nasolino e Valzurio (Bergamo)
PEZZO GROSSO: MONSIEUR MACRON, NON VORRESTE IL PAPA IN FRANCIA? VERONA, DOMENICA, UNA MESSA VETUS ORDO.
Cari Stilumcuriali, solleviamo un momento il capo dagli affanni quotidiani, dalle preoccupazioni per l’aggressione al Congresso Mondiale delle Famiglie in programma a Verona, dallo stato generale della Chiesa che non appare, diciamo così, sfolgorante, e facciamo un sorriso grazie all’ironia di Pezzo Grosso.
E a proposito del Congresso, fra tante notizie di controversia, Stilum Curiae è lieto di offrirne una che di sicuro farà piacere a non pochi lettori. Il Coordinamento Nazionale Summorum Pontificum sarà presente alla Marcia per la Famiglia che si terrà domenica 31 marzo a Verona, promuovendo la celebrazione di una S. Messa, che sarà offerta da mons. Marco Agostini. L’iniziativa è in collaborazione con il coetus fidelium San Remigio Vescovo di Verona. Qui sotto trovate il manifestino. E buona lettura con Pezzo Grosso.
“Caro Tosatti, mercoledì 20 marzo La Repubblica (pag. 18) ha pubblicato un interessante sintesi dello studio Word Happiness Report 2019, presentato alle Nazioni Unite, che indaga e spiega che la felicità dei popoli non è legata al PIL (incredibile !, chi lo avrebbe mai detto). I paesi dove si vive meglio, secondo lo studio sono la Finlandia, Danimarca, Norvegia, Islanda …Italia è al 36°posto. Poi dice che la qualità di vita, incorporata nell’indice, è dovuta alla scienza. Dice che i fattori che influenzano lo stato negativo del benessere sono la dipendenza dai social (perché fanno aumentare lo spirito identitario e i nazionalismi?), le diseguaglianze (sarebbero quelle che rendono perciò necessarie le migrazioni?), l’eccessiva ricerca di crescita del PIL (il che lascia prevedere che avremo una decrescita infelice?).
La sintesi finale, essendo il famoso Jeffrey Sachs (l’ambientalista neomaltusiano che ha suggerito l’enciclica Laudato Si, a Papa Bergoglio) il coordinatore scientifico dello studio, è scontata. La conclusione che verrà fatta emergere è: meno figli, più ambiente, meno crescita economica, più intelligenza artificiale, più globalismo e meno sovranismo.
Ma io credo di sapere perché l’Italia è al 36°posto nella lista. Lo è grazie ad un elemento dell’indice appena sfiorato: la qualità dei governi: solo l’Italia è governata da un partito della qualità dei 5Stelle. Ma ,in più, so anche perché quando si spiega che non si vive di solo PIL, nessuno pensi all’intelletto e, soprattutto, allo spirito.
Perché noi in Italia abbiamo anche il Vaticano presieduto da un Papa che tutti ci invidiano (in primis Jeffrey Sachs ). Napoleone lo avrebbe portato con sé, in cattività, in Francia. <Monsieur Macron, vous n’y avez jamais pensé? > (Signor Macron, lei non ci ha mai pensato)?”.
PezzoGrosso
Marco Tosatti
25 Marzo 2019 Pubblicato da wp_7512482 4 Commenti --
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.