Un articolo scritto da Sohrab Ahmari per il Catholic Herald che riflette sulla testimonianza dei cristiani nell’Occidente e nelle altre parti pericolose del mondo. A tema è la persecuzione nel mondo a causa della fede in Cristo. Come nel recente caso dell’attacco terroristico nello Sri Lanka.
Eccolo nella mia traduzione.
“Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Matteo 10,38-39).
Con quella netta misura di discepolato, i cristiani massacrati nello Sri Lanka hanno ampiamente dato prova a se stessi. La domenica, hanno riempito le loro chiese di Colombo per salutare Gesù Risorto e poi sono state vittime della barbarie islamista. I cristiani dello Sri Lanka hanno perso la vita per amore del Signore – semplicemente, magnificamente, radicalmente – e anche ora le loro ferite sono glorificate come le Sue.
La domanda che il massacro dello Sri Lanka, e altri simili in luoghi come l’Egitto, la Nigeria e l’Iraq, pongono ai cristiani in Occidente è: cosa abbiamo ultimamente sacrificato per la fede? Che cosa abbiamo sofferto per il Dio sofferente?
Un mio amico ama dire che “non ci sono croci di polistirolo”. Se ti viene consegnata una vera croce, la riconoscerai dal suo notevole peso, dai pezzi di legno che si staccano e ti pungono le mani mentre cerchi di portarla.
La Bibbia e i santi ci assicurano che una tale croce, portata volentieri, può essere fonte di santificazione: l’improvviso e grave periodo di malattia, le richieste di prendersi cura dei genitori nella senescenza, gli inevitabili sacrifici che accompagnano l’educazione dei figli.
Noi cristiani nel mondo sviluppato dobbiamo però chiederci se ci sono croci collettive cui ci siamo finora sottratti, specialmente quelli di noi che si trovano in una buona posizione per proclamare Cristo crocifisso nelle nostre società ri-paganizzate. La violenza islamista perseguita le patrie occidentali, certo, ma la nostra insicurezza non è sistematica. Noi non viviamo in “spazi non governati” come fanno i nostri fratelli in vaste aree dell’Africa. Né in terre dove le forze di sicurezza sono indifferenti alle minacce alla nostra sicurezza fisica (Egitto, per esempio) o troppo incompetenti per respingerle (Sri Lanka, a quanto pare).
Anche così, come ha scritto Matthew Schmitz in queste pagine, i fedeli cristiani affrontano la persecuzione nelle democrazie occidentali. Si rivolge alle nostre menti e alle nostre coscienze invece che al nostro corpo, il tipo di persecuzione che il nostro Signore ha detto che dovremmo temere di più (E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna. Mt 10,28) .
I predoni islamici, dopo tutto, sono un vecchio nemico a viso aperto. Più insidioso è il persecutore che accoglie il cattolicesimo – a condizione che sia la fede timida e biascicata di un cardinale Joseph Tobin (arcivescovo di Newark, New Jersey, USA, ndr). Spinto recentemente da una presentatrice del programma Today a spiegare la posizione della Chiesa sulla sessualità umana, il cardinale si è tirato indietro e, più di questo, ha di fatto rigettato il Catechismo e quindi l’eredità biblica, patristica e filosofica su cui si basa quel magnifico documento.
[parlando di omosessualità, il card. Tobin aveva detto che bisogna accogliere le persone omosessuali, ndr]
“Come potete accogliere persone che chiamate ‘intrinsecamente disordinate'”, ha chiesto l’intervistatrice.
Beh, non le chiamo “intrinsecamente disordinate”, ha risposto Tobin.
Ora, questo è stato l’inizio del cardinale per poi aggiungere: “E nemmeno il Catechismo della Chiesa cattolica lo dice!” Avrebbe potuto spiegare le basi giuridiche naturali dell’insegnamento della Chiesa. Quante volte il pubblico della trasmissione Today ha l’opportunità di ascoltare un principe della Chiesa proporre l’idea, antecedente al cristianesimo, che la morale è scritta nella natura umana e quindi percepibile dalla ragione umana? Parliamo di un’opportunità apostolica.
Ecco cosa ha detto in realtà il cardinale: “[quello del Catechismo] È un linguaggio molto sfortunato. Speriamo che alla fine quel linguaggio sia un po’ meno doloroso“.
Al cardinale arcivescovo di Newark è stato chiesto molto, molto meno di quanto viene chiesto quotidianamente ai cristiani dello Sri Lanka del mondo. Se [alla giornalista] avesse dato la risposta “sbagliata”, l’intervistatore di oggi non avrebbe decapitato il cardinale o inviato un attentatore suicida alla sua canonica. Il peggio che gli sarebbe potuto capitare per aver proclamato gli assoluti morali della Chiesa sarebbe stato un po’ di imbarazzo e il disprezzo di chi comunque disprezza la Chiesa.
I cattolici disposti a perdonare il cardinale potrebbero chiedersi: quanto è lontana la distanza del cristianesimo di Tobin dal cristianesimo disincarnato, “simbolico” di Serene Jones, la presidente del Seminario Teologico dell’Unione (nella città di New York, ndr) che ha recentemente detto a Nicholas Kristof del New York Times di non credere nella resurrezione corporea, nella nascita vergine e nell’inferno? O quanto è lontana la distanza tra Newark e la fede semplice e insanguinata di Colombo?
fonte: Catholic Herald
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