ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 23 giugno 2019

Lo scafista vestito di bianco

LE MENZOGNE SULL'INTEGRAZIONE

                                   
    Chi predica l’integrazione mente o non sa cosa dice. I registi dell’immigrazione/"invasione" dell’Europa sono gli stessi che s’inventano fenomeni mediatici come quello di Greta, per distrarre l’opinione pubblica dal mondo reale 
di Francesco Lamendola  

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Da circa trent’anni i mass media, gli intellettuali e i politici ci rintronano gli orecchi con il mantra dell’accoglienza e col suo logico corollario, l’integrazione. Dicono: bisogna accogliere e integrare: è possibile, è nostro interesse oltre che nostro dovere; perché gli stranieri, una volta integrati, non saranno più un problema, ma una risorsa, e potremo godere delle meraviglie della società multietnica e multiculturale. Ce lo ripetono in tutte le salse e in tutte le occasioni. Se una nazionale sportiva vince una gara o un campionato, ed ha, al suo interno, alcuni elementi stranieri, subito esultano tutti quanti e ci dicono: Avete visto? Noi ve lo avevamo pur dettomeno male che c’erano il giocatore, o la giocatrice, X, Y e Z, nigeriani, marocchini o congolesi, è per merito loro se la squadra ce l’ha fatta; senza di loro, avrebbe fallito. Se un calciatore o una pallavolista, o un maratoneta straniero, ottengono un risultato, segnano un punto, vincono una medaglia, ecco che lo sport italiano si risolleva grazie a loro (e intanto tacciono, i mass-media, sul fatto che trovare un posto in squadra, per un giovane atleta italiano, per quanto dotato, è sempre più difficile, visto che gli sponsor preferiscono puntare sugli stranieri per tutta una serie di motivi). Stesso discorso se si parla di qualsiasi altro ambito, dalla musica leggera alle tasse, dalla scuola alla pubblica amministrazione: meno male che ci sono gli stranieri. 

Gli stessi giornali che censurano le notizie di fronte ai quotidiani fattacci di cronaca nera che vedono protagonisti cittadini stranieri, o meglio ancora clandestini, che cittadini non sono, eppure meritano, chi sa perché, che ministri e cardinali dedichino loro la festa della Repubblica, escono con articoli su quattro colonne se un senegalese restituisce un portafoglio trovato per strada, o se un bambino straniero chiama la polizia per salvare lui e i suoi compagni, presi in ostaggio da un autista straniero che voleva bruciarli vivi tutti quanti. Subito si parla di eroismo, di onestà senza confronti; subito s’invoca e si concedere la cittadinanza, come premio per così illustri e intrepidi atti di civismo. E le stesse televisioni che minimizzano i fattacci che è impossibile negare, per esempio l’assassinio e lo smembramento del cadavere di una povera ragazza italiana da parte dei galantuomini della mafia nigeriana, non esitano a dare il massimo risalto alle insensate e offensive parole di Bergoglio, secondo il quale noi italiani siamo gli ultimi a poter dire qualcosa contro la criminalità straniera, visto che siamo gli inventori della mafia universale, da noi esportata in tutto il mondo.

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 Islam: il loro vero obiettivo è assimilare noi a loro? Chi predica l’integrazione mente o non sa cosa dice! Si possono integrare delle singole persone, ma non grandi masse d’immigrati, specie se provenienti da culture completamente diverse e storicamente antagoniste come nel caso dell’islam. In Europa oggi,ogni comunità vive nei suoi quartieri e conserva le proprie usanze e la sua religione: in Germania ad esempio, i turchi restano turchi, anche dopo tre generazioni! 

Come tutte le menzogne o le fesserie, anche quella dell’integrazione, a forza di ripeterla, decine, migliaia, milioni di volte, in tutte le salse e in tutte le circostanze, dalla Messa alla pubblicità, dai discorsi ufficiali dei politici ai corsi di aggiornamento per insegnanti, è entrata a far parte delle cose ovvie e naturali, che non occorre dimostrare perché sono già acquisite e godono del pieno diritto di cittadinanza nella nostra mente. Pazienza se non godono dello stesso diritto di cittadinanza nella realtà; e pazienza se nessuno, fin dall’inizio, si è mai dato il disturbo, non diciamo di dimostrarle, ma almeno di argomentarle e discuterle seriamente. È stato sufficiente ripeterle, ripeterle, ripeterle: e il gioco è fatto. Ora, chi se non un bieco sovranista, un populista ignorante, un truce razzista oserebbe mettere in dubbio i vantaggi evidenti dell’integrazione, che si sposano così felicemente e così opportunamente con il nostro senso di umanità, con il nostro essere buoni e perbene, con il nostro essere cattolici, nel senso di seguaci del signor Bergoglio e del cardinale Bassetti, anche se, forse, non altrettanto buoni seguaci di un certo Gesù Cristo, visto che Gesù non ha mai predicato il dovere dell’auto-invasione come parte della sua Buona Novella? E dunque, che integrazione sia. E pazienza se un padre marocchino, stabilito nel nostro Paese da ventidue anni, a pochi chilometri da qui, l’altro giorno ha preso la figlia quindicenne rea di aver assunto abitudini troppo occidentali, le ha versato addosso una tanica di benzina e ha cercato di bruciarla viva, non riuscendoci solo perché l’accendino ha fatto cilecca. Di fatti così, in effetti, ne accadono ogni giorno, anche se i mass-media hanno l’ordine (da chi li paga) di non parlarne, o di parlarne il meno possibile; e, se proprio devono farlo, di sostenere, contro ogni logica e contro il buon senso, che non bisogna esser precipitosi nel giudicare, che non bisogna trarre conclusioni sbagliate. Strano: tutti quanti, femministe comprese, quelle stesse signore che, se un uomo italiano avesse compiuto un gesto non diciamo simile, ma che si configuri anche solo come violenza psicologica, avrebbero levato altissime strida e invocato la castrazione chimica per il maschio padrone, poi di fronte ai frequentissimi episodi come quello ora citato e ove non sempre c’è il provvidenziale fallimento dell’intenzione omicida, cercano di dimostrare l’impossibile e cioè che il rifiuto dell’integrazione non c’entra affatto.

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I registi dell’immigrazione/invasione dell’Europa sono gli stessi che s’inventano fenomeni mediatici come quello di Greta, per distrarre l’opinione pubblica dal mondo reale e proiettarla in un mondo immaginario, virtuale!

Dicono che il problema non è la mancata integrazione, ma un fatto di carattere, o una serie di preoccupazioni di altro tipo, che hanno offuscato il bene dell’intelletto di quel genitore; e sottolineano che, in ventidue anni di permanenza in Italia, quel signore non aveva mai fatto alcunché per indurre a pensare che non fosse felicemente integrato. Stranissimo modo di ragionare, eppure è così. Non dicono: se dopo ventidue anni che viveva in Italia, quell’uomo non ha perso neanche la mentalità secondo cui una figlia ribelle può essere punita con la morte bruciandola viva, figuriamoci cosa pensano gli stranieri, e specialmente i clandestini, ovviamente di quella cultura e di quel credo religioso, i quali in Italia ci sono da due anni, da sei mesi, da sei giorni. Eppure basterebbe andare nelle scuole, specie alle elementari e alle medie, dove ormai in molti casi i bambini e i ragazzini stranieri sono la maggioranza o quasi, per rendersi conto di come stiano le cose in realtà, dal punto di vista dell’integrazione. Basterebbe chiederlo alle maestre e ai professori; i quali, d’altra parte, sono fra le categorie che hanno subito più in profondità il lavaggio del cervello e quindi sovente si rifiutano di fare due più due, vedono i fatti ma non ne traggono le logiche conclusioni, assistono a certe scene, e magari le subiscono sulla loro pelle, però non accettano “strumentalizzazioni” e preferiscono pensare che il “vero” problema (il vero problema, per loro, non è mai quello che appare, e che vedrebbe anche un bambino, specie se l’evidenza urta contro i loro rocciosi preconcetti ideologici buonisti, illuministi, marxisti e catto-comunisti) non è il numero eccessivo di stranieri e l’impossibilità d’integrarli, ma la cattiva volontà di quegli italiani che non collaborano, che non si prestano, che non si prodigano a sufficienza, e che sono così egoisti e insensibili da non fare come quel professore in pensione di Treviso, beniamino dei mass-media e premiato dal presidente Mattarella, il quale ha regalato la sua casa ai clandestini e se n’è andato con sua moglie a vivere altrove, per non dare loro disturbo con la sua eurocentrica presenza. Forse perché tale presenza avrebbe importunamente ricordato a quegli eccellenti giovanotti che le case non sorgono dal niente, se esistono è perché qualcuno le ha costruite; e che in Europa, non sappiano come vadano le cose in Africa, per costruire una casa e per compararla ci vogliono i soldi, quindi ci vuole il lavoro, tanto lavoro, di solito il lavoro di una vita intera, marito e moglie unendo i loro sforzi e i loro risparmi. E che le tasse sulla casa, più le bollette per i servizi e le rate condominali, di regola non le paga lo Spirito Santo; anche se, in casi estremi, si può sempre contare sull’intervento d’un cardinale misericordioso e fisicamente agile, che venga a calarsi nel pozzetto della centralina e ripristini la fornitura di energia, lasciando alla comunità (dei fessi) il trascurabile dettaglio di saldare le centinaia di bollette non pagate dagli inquilini abusivi.

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Il mantra dell’accoglienza col suo logico corollario, l’integrazione? Gesù non ha mai predicato il dovere dell’auto-invasione come parte della sua Buona Novella! Sa Bergoglio, che le conversioni sono sempre dal cristianesimo all’islam e mai viceversa per il semplice fatto che la religione islamica non le ammette!

E adesso veniamo al cuore del problema. Abbiamo detto che l’integrazione non esiste, o, per dir meglio, che si possono integrare delle singole persone, ma non grandi masse d’immigrati, specie se provenienti da culture completamente diverse e storicamente antagoniste della propria. O vogliamo far finta che l’islam, storicamente, non sia stato fin dall’inizio il grande nemico dell’Europa e abbia incessantemente tentato di conquistarla e convertirla, dall’epoca dell’imperatore bizantino Eraclio a quella dell’ultimo assedio di Vienna, cioè dal VII al XVII secolo? Potremmo citare un’infinità di fatti a sostegno della nostra tesi, anche guardando a come vanno le cose nel resto del mondo. Gli Stati Uniti sono riusciti a integrare la minoranza afroamericana, discendente degli schiavi importati dall’Africa per il lavoro nelle piantagioni? Niente affatto: e sono passati due secoli e mezzo. In due secoli e mezzo, e nonostante la guerra civile e l’abolizione della schiavitù, l’integrazione reale non c’è stata. I mass-media sbandierano l’integrazione apparente, quella dei telefilm comici, quella del presidente Obama eletto dal popolo; ma nelle città e nei quartieri americani il discorso è diverso, la tensione è quotidiana e palpabile, esiste uno stato di guerra civile latente. Stesso discorso per gli asiatici, i coreani, i cinesi e giapponesi. Un po’ meno per gli ispanici, forse: il che conferma il nostro assunto, che l’integrazione è possibile, a determinate condizioni, ma solo se gli immigrati provengono da una cultura non troppo dissimile, e mai da una cultura storicamente nemica. Gli irlandesi, gli italiani, i polacchi, benché cattolici, un po’ alla volta si sono integrati: ma sono sempre cristiani, sono sempre europei. Oppure guardiamo agli altri Paesi del nostro continente: dove si è realizzata l’integrazione? Non in Germania, dove i turchi restano turchi, anche dopo tre generazioni, semmai le loro rivalità interne si acuiscono, turchi contro curdi, benché islamici entrambi. In Gran Bretagna, allora? A meno che si voglia considerare integrazione il fatto che il sindaco di Londra sia un pakistano di religione islamica, e che anche i sindaci di una ventina di città grandi e medie lo siano, nemmeno lì se ne vedono i frutti: ogni comunità vive nei suoi quartieri e conserva le sue usanze e le sue credenze.  Si sono integrati, nel corso di molte generazioni, gli europei di cultura cristiana, gli altri no. La Svezia, allora? meno che meno: non si dovrebbe parlare d’integrazione, semmai di sottomissione: gli islamici stanno conquistando la Svezia. Pacificamente, ma anche con una forte pressione intimidatoria: a Stoccolma gli stupri etnici son cresciuti in misura esponenziale, e silenzio di tomba delle signore femministe. In compenso, tutti dietro alla piccola Greta, a marciare per il clima: come da copione. I registi dell’immigrazione/invasione dell’Europa sono gli stessi che s’inventano fenomeni mediatici come quello di Greta, per distrarre l’opinione pubblica dal mondo reale e proiettarla in un mondo immaginario, virtuale.

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Il suicidio di una Babele multiculturale? Vi sono culture che non attribuiscono alla vita umana il valore che le dà la nostra. Nella nostra cultura, la vita è sacra e si ha il dovere di custodirla con ogni mezzo (salvo ”dettagli” come l’aborto e l’eutanasia: ma questi sono i frutti della contro-cultura radicale, non della nostra vera cultura, che è di matrice cristiana e cattolica); nelle culture africane non esiste una tale sacralità! 

Chi predica l’integrazione mente o non sa cosa dice

di Francesco Lamendola 
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LA "SUICIDA" SOCIETA' DI NARCISO

                                          
    La società narcisista segue la via per annientarsi. Dall'ideologia Gender all’eutanasia anche per i minorenni il disegno mirante a stravolgere il quadro sociale e a capovolgere i valori morali sui quali esso si fonda e si regge 
di Francesco Lamendola  


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La società materialista e consumista produce il narcisismo; il narcisismo produce il rifiuto del diverso nelle relazioni intime (mentre sbandiera l’accettazione del diverso a livello ideologico, ma nella sfera del pubblico); il rifiuto del diverso nelle relazioni intime produce l’omofilia; l’omofilia produce le unioni fra persone dello stesso sesso; le unioni fra individui dello stesso sesso reclamano, quale coronamento dei loro diritti, le adozioni di bambini o altre pratiche contro-natura, per averli (la fecondazione eterologa nel caso delle coppie lesbiche), l’utero in affitto per le coppie di gay maschi); le adozioni da parte delle coppie omofile producono la distruzione del modello della famiglia normale, formata da un uomo, una donna e dei bambini nati dal loro reciproco amore e dalle dal loro progetto di vita, fondato sulla complementarietà delle differenze sessuali fra il maschile e il femminile. In altre parole, si tratta di una catena che parte da una richiesta apparentemente minima, la non discriminazione e l’accettazione delle persone con orientamento omosessuale, e giunge rapidamente, molto rapidamente (come abbiamo visto) allo scardinamento totale e irreparabile della vera famiglia e di tutto ciò che su di essa si fonda, cioè della società stessa. La società di Narciso è votata all’autodistruzione e la via maestra per giungere a un tale risultato che essa conosce benissimo, lo prevede, lo persegue e lo auspica – passa attraverso il costante, tenace ampliamento delle richieste di sempre nuovi diritti sociali da parte delle persone che hanno un orientamento omofilo.

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La società narcisista segue la via per annientarsi? l’esistenza di singole persone omosessuali non è un problema per la società, ma qualcosa che riguarda solo loro e l’ambito ristretto delle loro famiglie e dei loro amici, le cose stanno assai diversamente quando si parla di una diffusione del fenomeno a livello sociale e, ancor più, dell’affermarsi di una ideologia che vorrebbe fare di queste persone e del loro stile di vita una bandiera!

Non staremo qui a svolgere una discussione sulla genesi dell’omosessualità (termine di per sé inesatto e infelice, come abbiamo detto tante volte, e che manteniamo per mero amore di semplicità pratica), cosa che richiederebbe un trattato, anche perché il fenomeno, qui, ci interessa nei suoi effetti sociali e non nella dimensione privata. Che singole persone omosessuali siano presenti in tutte le società, questo è innegabile; il punto è se la società, nel suo insieme, debba considerare tali casi come le eccezioni alla regola, alNomos, o se debba dedurne l’inesistenza e l’artificiosità della regola stessa, per poi procedere a smantellarla pezzo per pezzo e sostituirla con l’anarchismo della soggettività assoluta e della sessualità fluida, come vogliono i teorici dell’ideologia gender i quali, assurdamente e contro ogni evidenza, sostengono che l’identità sessuale è qualcosa che gli individui hanno il diritto e la possibilità di scegliere, mentre è palese che essa si impone all’individuo e non è affatto una scelta, ma un destino. Fermo restando, pertanto, che l’esistenza di singole persone omosessuali non è un problema per la società, ma qualcosa che riguarda solo loro e l’ambito ristretto delle loro famiglie e dei loro amici, le cose stanno assai diversamente quando si parla di una diffusione del fenomeno a livello sociale e, ancor più, dell’affermarsi di una ideologia che vorrebbe fare di queste persone e del loro stile di vita una bandiera, mediante la quale aggredire e sovvertire la famiglia e tutto l’orientamento culturale e spirituale della società, al preciso scopo di togliere l’omosessualità dall’ambito del privato e farne la via regia di una completa trasformazione dell’ordine sociale. In questo caso, è evidente che non ci si trova di fronte a casi individuali e a situazioni personali di carattere privato, ma a un disegno mirante a stravolgere il quadro sociale e a capovolgere i valori morali sui quali esso si fonda e si regge. E precisiamo, benché sia forse superfluo, che, di fronte a un simile disegno, non è affatto scontata l’identificazione della persona omosessuale con l’ideologia gender: una persona omosessuale può benissimo riconoscere il carattere privato ed eccezionale della propria condizione, come fanno e hanno fatto alcuni individui di valore (cfr., ad es., il nostro articolo: Il matrimonio gay, per l’omosessuale Testori, è solo un’esecrabile rivalsa, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 14/04/15 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 08/11/17), senza con ciò inscriversi in una sorta di partito e senza pretendere una totale sovversione dell’idea di matrimonio, di famiglia e di società. Di fatto, crediamo che la maggioranza delle persone omosessuali vivano con pudore la propria condizione, almeno nei limiti in cui esiste ancora il concetto di pudore in una società esibizionista e narcisista che tende ad abolire ogni barriera fra la dimensione privata del piacere e quella pubblica (quando mai gli atleti di trenta o quarant’anni si abbandonavano a scene di esultanza così estreme e imbarazzanti, e quando mai gli studenti, l’ultimo giorno di scuola, consideravano lecito gettarsi dentro le fontane pubbliche o scaraventarsi gavettoni d’acqua nei locali della scuola, sotto l’occhio indifferente o rassegnato dei passanti o dei professori, quasi avessero superato eroicamente dei sacrifici immani?). Invece con l’avvento dell’ideologia gender e con o con l’esibizione della propria omosessualità, spesso in forme provocatorie, ad esempio nei Gay Pride, siamo di fronte a una cosa del tutto diversa: siamo di fronte a una vera e propria aggressione (la parola non è troppo forte, e del resto basta osservare lo stile che caratterizza tali esibizioni) di una piccolissima minoranza nei confronti della stragrande maggioranza della società, dei suoi valori, delle sue istituzioni e di tutto ciò che essa ritiene buono, utile e necessario alla vita e alla propria sopravvivenza.

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Permettere che i sedicenti esperti di educazione sessuale, magari dei transessuali orgogliosi e militanti, entrino negli asili e nelle scuole a propagare fra i bambini l’ideologia gender, equivale a un atto di suicidio deliberato da parte della società. Tollerare una simile propaganda è il segnale che la nostra società non ha più alcuna voglia di sopravvivere: che ha scelto di morire, sia spiritualmente che biologicamente!

Osserva il padre Etienne Roze, parroco della parrocchia di San Luigi Gonzaga a Ciampino (Roma), nel suo libro Verità e splendore della differenza sessuale (Siena, Cantagalli, 2014, pp. 305-307):
Quando si parla di omosessualità occorre distinguere l’aspetto personale dall’aspetto sociale. Per quanto riguarda l’aspetto personale, sono sempre esistiti ed esisteranno uomini e donne che hanno orientamenti omosessuali. Per quanto riguarda l’aspetto sociale dell’omosessualità, si tratta di una vera e propria novità. La società, sotto l’influsso di certe lobby e ideologie, vuole organizzarsi a partire da una nuova definizione della sessualità e un’altra concezione di antropologia: non più l’eterosessualità di sempre, il matrimonio di un uomo e di una donna, bensì l’omosessualità, l’unione di due persone dello stesso sesso. A prova, le leggi che tentano di equiparare il “matrimonio” gay con quello di un uomo e di una donna [dato ormai superato, e dimostrazione della velocità di questo disegno: la legge 76 del 2016, la cosiddetta legge Cirinnà, è stata approvata tre anni fa, e due anni dopo l’uscita di questo libro]. Esse non fanno altro che confondere le idee, ridurre il matrimonio eterosessuale a quello omosessuale e ridefinire l’istituzione matrimoniale a partire dall’omosessualità: è questa la società di Narciso. Comunque è bene ricordare che, al di là delle norme ideologiche, la società non può essere se non che eterosessuale, cioè fondata sull’unione di un uomo con una donna e viceversa. Il resto rimane nell’ordine del privato e del personale.
Come spiegare tali accadimenti? La società di Narciso vive nella simbologia di un’economia sessuale infantile che si è fissata sulla fase pre-edipica: essa rifiuta tutto ciò che è differenziato per ripiegarsi sul simile. È un comportamento sociale che ha numerose cause psicologiche di cui la maggiore è la scomparsa del padre. È una conseguenza del femminismo che ha visto nell’uomo e nel padre una figura patriarcale, fonte di ingiustizia e di discriminazione contro la donna: deve, quindi, essere estromesso non solo dalla famiglia ma soprattutto dalla società. Eliminata la nozione simbolica del padre, viene cancellato colui che detiene la capacità e il servizio della differenza per il bene della persona. Così’ la società, essendosi privata della simbologia del Terzo separatore, tende a compiacersi nella fusione con il “tutto femminile”, a rimanere nel confuso e a ripiegarsi sul simile come Narciso: è una scelta di morte.
Se tale è la causa, quale ne sarà la conseguenza? La società di Narciso – cioè la cultura del simile – rifiuta tutto ciò che si presenta come differenza sessuale, perché origine di ingiustizia e disuguaglianza, perciò di discriminazione. Il vero problema sociale, tuttavia, non è tanto sapere se conviene o meno accordare il diritto di sposarsi alle persone dello stesso sesso con, in aggiunta, il diritto all’adozione, quanto la richiesta più o meno manifesta di soppressione del vecchio modello eterosessuale a partire dal quale la società di un tempo si organizzava. Come già detto, le legislazioni a favore delle coppie gay sono il “cavallo di Troia” per decostruire un po’ alla volta la realtà dell’antropologia, cioè cancellare la differenza uomo-donna e introdurre il concetto di individuo neutro, capace di aprirsi, sulla base degli orientamenti sessuali, a tutte le identità di genere. Si intuisce allora come Narciso prepari l’ingresso  all’ideologia del “gender”.

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Addio famiglia tradizionale? Le legislazioni a favore delle coppie gay sono il “cavallo di Troia” per decostruire un po’ alla volta la realtà dell’antropologia, cioè cancellare la differenza uomo-donna e introdurre il concetto di individuo neutro!

Pertanto, alla domanda perché la società dovrebbe opporsi alle richieste di una piccola minoranza aggressiva, di parificare l’omosessualità e il matrimonio omosessuale all’eterosessualità e al matrimonio eterosessuale, si può rispondere in maniera molto semplice e concisa: perché assecondare quelle richieste equivarrebbe, per la società, a una scelta di morte. Permettere che i sedicenti esperti di educazione sessuale, magari dei transessuali orgogliosi e militanti, entrino negli asili e nelle scuole a propagare fra i bambini l’ideologia gender, equivale a un atto di suicidio deliberato da parte della società.Tollerare una simile propaganda è il segnale che la nostra società non ha più alcuna voglia di sopravvivere: che ha scelto di morire, sia spiritualmente che biologicamente. E qui si delinea, evidente, l’analogia con la richiesta, portata avanti da certe forze politiche, dilegalizzare l’eutanasia, anche per i minorenni. La tecnica adoperata dai fautori di essa è simile a quella dei fautori dell’ideologia gender: si parte da un caso eclatante, pietoso, particolarmente problematico, e lo si sfrutta come un grimaldello per far saltare i cerchioni delle leggi e della morale comunemente accettata. Ecco un padre la cui figlia giace in stato di coma da parecchi anni: è una situazione toccante e al tempo stesso sconvolgente; chiunque, cercando di mettersi nei suoi panni, intuisce che si tratta di una di quelle realtà che richiedono una forza sovrumana (nel senso letterale dell’espressione) per essere sopportate. E cosa chiede quel padre? Che sua figlia sia lasciata morire. L’opinione pubblica si spacca. Molti lo capiscono, sia pure con intima sofferenza; altri non accettano quella richiesta, pur se rispettano la sofferenza che l’ha originata. Poco a poco, con l’appoggio dei media, quel singolo caso diventa un paradigma, acquista le dimensioni e la forza di un tornado. Non è più una situazione individuale, eccezionale, ma è una petizione di principio quella che emerge con prepotenza: ogni individuo ha il diritto di decidere quando la sua vita deve finire (anche se, nel caso specifico, bisogna fidarsi di quel che dice un congiunto, perché la diretta interessata non può esprimere la sua vera volontà). E una volta che un tribunale accoglie quella richiesta, e che una clinica accetta di eseguire la sentenza di morte, sospendendo non le cure, che non ci sono mai state, ma l’idratazione e l’alimentazione, non è più la richiesta di un singolo: è l’affermazione di un principio, di un principio – come dicono i suoi fautori – di civiltà. Con quella “storica” decisione, che prima o poi verrà avallata da una legge del parlamento, tutta la nazione, si dice, è diventata un po’ più civile. E intanto un altro mattone è caduto, le mura che presidiano la società si vanno sbriciolando.

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La società di Narciso è votata all’autodistruzione e la via maestra per giungere a un tale risultato che essa conosce benissimo, lo prevede, lo persegue e lo auspica – passa attraverso il costante, tenace ampliamento delle richieste di sempre nuovi diritti sociali da parte delle persone che hanno un orientamento omofilo!
  
La società narcisista segue la via per annientarsi

di Francesco Lamendola
  
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