ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 4 luglio 2019

Non c’è più un popolo perché non c’è più una chiesa

Chiesa senza fede, popolo senza destino


Ci fosse un popolo, le Carole Rackete navigherebbero al largo delle coste italiche e deporterebbero altrove il loro carico di ideologia umanitaria. Ma il popolo non c’è. L’Italia, come il resto dell’occidente postcristiano e postillimunista, è solo un agglomerato di atomi che non vuole pensieri mentre guarda l’ultima serie tv su Sky, gioca con lo smartphone e il sabato sera si gode un po’ di santa trasgressione secondo il magistero di Amoris Laetitia. Società civile, insomma, in grado di ingurgitare, digerire ed espellere qualsiasi fremito identitario in nome di una carità ridotta a cedimento, di una virtù ridotta a vizio, di un credo ridotto a dialogo.

Non c’è più identità perché non c’è più una religione, non c’è più un destino perché non c’è più una fede, non c’è più un popolo perché non c’è più una chiesa. E così, davanti a quella che il  buon senso può solo chiamare invasione, sul bagnasciuga italiota il relitto dell’occidente offre comprensione e mendica clemenza presso uno straniero disegnato a propria immagine e somiglianza. Empia illusione originata in un postcristianesimo dalla mente e dal cuore così deboli da aver abolito le differenze per il manifesto terrore di comprenderle e affrontarle.
Non c’è niente di pacifico nelle migrazioni di centinaia di migliaia di persone da un continente all’altro, da una cultura all’altra. Tanto più oggi, che i cosiddetti migranti approdano su una terra da cui la religione è stata bandita perché chi non crede non può essere padrone a casa propria e può solo soccombere davanti a chi una fede ce l’ha. Sono le religioni e i loro simboli a governare il mondo e possono guidarlo verso il bene o verso il male a seconda che siano veri o falsi, buoni a cattivi, luminosi o orrendi.
La chiesa postcrsitiana e postvolterriana si è innamorata di un’illusoria “possibilità naturale” della convivenza pacifica fra genti che non hanno nulla in comune. Pastori e gregge, governanti e cittadini, inebriati dalle sirene di ogni genere di dialogo e di compromesso, sono ormai incapaci di comprendere il significato simbolico contenuto nello sbarco di uno straniero sul loro suolo. Per quanto sia banalizzato dal linguaggio mediatico, il gesto di posare il piede su una terra nuova continua ad avere valenza religiosa che si traduce materialmente nella presa di possesso. Ma proprio in quanto gesto religioso non viene compreso in un luogo dove non c’è più fede. Raggiunge le corde di anime ormai non più abituate a vibrare davanti al senso del divino, cade in una indifferenza che nulla ha di santo e poi viene rivestito di un’attrattativa banalmente mondana che i latori del messaggio possono solo disprezzare come consenso alla resa incondizionata.
Suona duro ai cuoricini postcristiani, ma da un atto religioso ci si difende solo ponendo un atto religioso, alla fede si risponde con la fede, il simbolo si affronta con il simbolo. Quando San Francesco si trovò al cospetto del sultano, non si diede al dialogo e all’ascolto. Nella Leggenda maggiore San Bonaventura narra che il santo invitò il sovrano islamico ad accendere un gran fuoco e poi lo sfidò: “io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve tenere più certa e più santa”. E, davanti al diniego del re, San Francesco incalzò: “entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se invece la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti”. Nei suoi “Ricordi”, frate Illuminato chiosa che “Tutti gli astanti rimasero ammirati per le risposte di lui”. Altre fonti parlano della conversione del re musulmano che, per la prima volta, aveva percepito una pace nuova poiché aveva sentito parlare di una guerra nuova: l’una e l’altra estranee e antitetiche a quelle del mondo.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace.” dice Gesù ai suoi discepoli “Non come la dà il mondo, io la do a voi”. In questa salvifica coroncina evangelica, il postcristianesimo ha finito per isolare il semplice termine “pace” evaporando il senso di un discorso così eloquente da essere persino didascalico: dal seguace di Cristo si esige la costante lotta con il mondo, poiché non vi è pace senza guerra. Ma questa è un’evidenza dalla quale il postcristiano preferisce ritrarsi accontentandosi dell’illusoria tregua offerta dal mondo, imitazione scimmiesca di quella lasciata dal Salvatore.
Il dovere di difendere la propria terra e la propria fede non può essere abbracciato da un agglomerato di individui dall’ego bulimico e tremebondo che non vuole guerre per sé e non lo interessano quelle altrui. L’occidente in rovina trova sempre più fascinosa la tentazione di un cristianesimo senza Cristo, di una fede senza Cielo, si una morale senza doveri, di una religione senza ascesi ed è ammaliato dall’anticristo che gli sussurra dolcemente “Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”
Ma questa non è più la terra dei popoli, ormai decostruiti da chi ha maneggiato perversamente i concetti di “popolo di Dio” e di “popolo lavoratore” fino a sfarinarli in tanti atomi buoni per il mercato morale ed economico del liberismo trionfante. È un deserto abitato da esseri atterriti dal fatto che qualsiasi azione debba avere un movente e quindi sia morale e sottoposta a un giudizio. Povero nido di larve prive di nerbo spirituale che hanno ripudiato l’atto religioso per eccellenza, l’adorazione che si manifesta nel rito e nel simbolo, e rimangono inebetite al cospetto dello sbarco dello straniero, che è innanzitutto rituale e simbolico.
Mentre l’obiettivo inquadra il piede straniero che si posa sulla riva o il cadavere annegato in mare, la società civile d’occidente è completamente disorientata e può solo patteggiare. In chiave laica e postilluminista tenta di assumere quelle immagini come propri simboli nella chiacchiera. In chiave religiosa e postcristiana li introduce nella propria liturgia, Bergoglio a Lempedusa docet, espellendo quel quasi niente di divino che vi era ancora rimasto. In un caso e nell’altro, però, nulla dispone a comprendere e a reagire, che non significa necessariamente fare la guerra, ma affermare solidamente la propria identità. Buio profondo nei salotti in cui si trova così delizioso avere come ospite un vero migrante fresco di sbarco, buio profondo nelle chiese in cui il sacrificio di Cristo è stato oscurato da quello del Migrante.
Un tempo la chiesa non aveva di queste amnesie e di questi timori. Sapeva di avere un tesoro da custodire e l’atto di religione più grande, la Messa, iniziava nella sacrestia quando il sacerdote indossava come primo indumento l’amitto, simbolo dell’elmo, come difesa contro il demonio: “Impone Domini, capiti meo galeam salutis, ad exupgando diabolicos in cursus”. E poi, prima di salire all’altare che avrebbe letificato la sua giovinezza, il celebrante invocava il Padre perché mandasse il suo Angelo “qui custodiat, foveat, protegat, visitet atque defendat omnes habitantes in hoc habitaculo”, perché custodisse, sostenesse, proteggesse, visitasse e difendesse tutti gli abitanti di quella navicella di combattenti che si apprestava a guidare in battaglia contro il principe di questo mondo.
Ma ora persino il tre volte “Sanctus Dominus Deus Sabaoth”, da tre volte Santo Signore Dio degli eserciti è divenuto un più pacifico Signore Dio dell’universo: e quasi nessuno, a quella lode, si inginocchia più. Ma una chiesa che non è capace di far inchinare umilmente i propri fedeli davanti a Dio non può pretendere di farli alzare orgogliosamente davanti agli uomini. Può solo accontentarsi di percorrere qualche tratto di strada insieme ora a questo ora quell’invasore.
Però è una povera chiesa, la stessa che nella Lauda LIII di Jacopone da Todi lamenta i tremendi effetti della pace mondana: “O pace amara, come m’hai sì afflitta/ Mentre fui in pugna, io stetti dritta;/ or lo riposo m’ha presa e scofitta;/ el blando Dracone m’ha sì venenato”.
Sette secoli più tardi sciveva G.K. Chesterton in un saggio su Dickens: “La nostra civiltà moderna mostra molti sintomi di cinismo e decadenza, ma di tutti i segnali della fragilità moderna e della mancanza di principi morali, non ce n’è nessuno così superficiale o pericoloso come questo: che i filosofi di oggi abbiano cominciato a dividere l’amore dalla guerra, e a collocarli in campi opposti. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Nietzsche, affermare che dovremmo andare a combattere invece che amare. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Tolstoj, affermare che dovremmo amare invece di andare a combattere. Una cosa implica l’altra. Una cosa implicava l’altra nel vecchio romanzo e nella vecchia religione, che erano le due cose permanenti dell’umanità. Non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa. Non si può combattere senza qualcosa per cui farlo. Amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore, ma lussuria”.
Alessandro Gnocchi Luglio 4, 2019
LA GIPPA e’ INCRIMINABILE? (ci sarà un giudice a Berlino)



Esiste un  ministro dell’Interno? Perché se esiste, invece di inveire a vuoto  –  e di fatto rassegnandosi –  alla decisione GIURIDICAMENTE psichedelica con cui la GIP di Agrigento ha voluto scarcerare  la Carola di Sea Watch,  avrebbe preso contatto  l’ufficio legale del ministero  ( ho la sensazione che debba essercene  uno) , per far esaminare da vicino l’ordinanza e le argomentazioni giuridiche della dottoressa Vella.


Perché quella decisione sia molto, ma molto discutibile.  Anzi, contestabile in sede giudiziaria.

Copio e incollo qui  parte dell’articolo  di Stefano Alì, che circola  sul web, e che palesemente è un esperto di  cose legali.

Scarcerazione di Carola Rackete: Ordinanza irresponsabile

Sentendo della scarcerazione di Carola Rackete sono rimasto sbigottito e ho voluto verificare gli atti. L’ordinanza è assurda.

Il GIP di Agrigento non ha convalidato l’arresto e ha ordinato la scarcerazione di Carola Rackete. Motivazioni assurde che scardinano l’ordinamento delle Forze Armate.

Ho già scritto che il Decreto Sicurezza bis è scritto con i piedi (Decreto sicurezza bis: Salvini depenalizza reati e blatera di arresti).
La giudice nega responsabilità penali fino alla sera del 29 giugno e, in parte, fin qui ha ragione.
Quando a pagina 12 scrive:
Peraltro, l’eventuale violazione dell’art. 11 comma 1 ter – si ribadisce sanzionata in sola via amministrativa […]
dice esattamente quanto avevo scritto nell’articolo precedente: Salvini ha depenalizzato, ma solo per le navi che trasportano clandestini, il “Rifiuto di obbedienza a nave da guerra” (art. 1099 del Codice della Navigazione).
È vero che le sentenze non si commentano. Si rispettano. Però è anche vero che se una giudice pensa di scardinare l’ordinamento delle Forze Armate, allora diventa dovere civico ribellarsi.

Le abberrazioni dell’Ordinanza di scarcerazione di Carola Rackete

Dopo aver proposto l’unica riga che condivido, andiamo alle stranezze.
Sempre a pagina 12, si legge:
Beh, è estremamente strano che si parli di salvataggio e di naufragio.
Qui alcune ricostruzioni che la presentano diversamente:
(Il Migrant Rescue Watch dimostra che  quello operato il 12 giugno  dalla capitana “non è stato  un salvataggio in mare – è stato semplicemente un altro dei prelievi coordinati (con gli scafisti)..
Peggio:  “anche i video diffusi dalla stessa SeaWatch ” mostrano che la Carola e il suo equipaggio   si sono prodotti nel trasferimento affrettato  ed  estremamente pericoloso dei “migranti”   dal gommone (in  perfette condizioni peraltro)  alla nave –  al solo scopo di fare prima della guardia costiera libica, che stava arrivando!  Sono video “self-incriminating”
1/2 12.06.19 VIDEO released by  shows haste & extremely dangerous transfer of persons to a moving vessel. All to avert the arriving Libyan Coast Guard!
Continua Stefano Alì: “Ma fosse stato solo questo non mi sarei permesso di commentare la sentenza. Potrebbe darsi che nessuno lo abbia fatto notare alla Giudice. Entriamo, adesso, nella sfera di competenza della Giudice Vella: Leggi e sentenze.

La sentenza della Corte Costituzionale citata “mentula canis”

A pagina 11 la Giudice scrive:
Salto sulla sedia!
La Corte Costituzionale può aver mai negato la qualifica di Nave da Guerra a una motovedetta della Guardia di Finanza?
Ma le unità della Guardia di Finanza sono iscritte nel registro delle unità militari e battono la “Bandiera italiana di Guerra”.
Poi noto che la parte virgolettata è estremamente breve. Poco prima aveva riportato nella sua interezza l’intera informativa della Guardia di Finanza.
Come mai?
Si tratta di una sentenza che riguarda l’ammissibilità a un referendum sulla smilitarizzazione della Guardia di Finanza. Referendum che, per inciso, la Consulta ha ritenuto inammissibile.
C’entra come i cavoli a merenda.
Ed ecco il “passaggio incriminato”
(Per la lettura integrale rimando all’articolo originale.  Qui mi limito a riportare le conclusioni di Stefano Alì:
“L’argomento del contendere era altro e nessuna parte del Codice della Navigazione è stato giudicato incostituzionale!”!  dalla Corte
Anzi, l’articolo 200 è richiamato nella sua interezza dopo aver semplicemente fornito alcuni “spunti”.
Ulteriore elemento di “comprensione”, di cui un Giudice non dovrebbe aver bisogno, è il riferimento agli artt. 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409 (Norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi).
La “Giudice” è disattenta? Legge ciò che le pare tralasciando ciò che non conferma i suoi convincimenti politici?

Tenta di scardinare incostituzionalmente l’ordinamento delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine.

Potremmo dire che l’unico riferimento giuresprudenziale che la “Giudice” ritiene «condivisibile» è completamente “inconferente”, per dirla in termini tecnici.
In volgo, sarebbe «non c’entra una beneamata mazza”.

La Corte di Cassazione sulle motovedette GdF quali “Navi da Guerra”

Parrebbe che la Giudice, pur di andare a trovare una frase che potesse consentirle la scarcerazione di Carola Rackete abbia pure “saltato” alcuni importanti orientamenti giurisdizionali.
A me pare un filino più pertinente della Sentenza della Corte Costituzionale. Non pare così alla “Giudice”?
O, secondo la GIP Alessandra Vella, la Cassazione nel 2006 ha emesso una sentenza incostituzionale, secondo la SUA PERSONALE interpretazione della Sentenza della Consulta del 2000?
E che dice a proposito delle imbarcazioni della Guardia di Finanza :

La Giudice spieghi

  1. Travisando le motivazioni della Consulta, si rende conto che, di fatto, ha reso vigenti alcune delle modifiche previste dal Referendum rigettato dalla Corte Costituzionale?
  2. Rifiutando di riconoscere la qualifica di “Nave da Guerra” alla motovedetta della Guardia di Finanza, si rende conto che ha scardinato l’intero ordinamento delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine?
  3. Come mai la Giudice Penale Alessandra Vella risale a una inconferente sentenza della Consulta del 2000 (estrapolandone 4-5 parole) glissando su una conferentissima sentenza della Cassazione Penale del 2006 interamente dedicata all’argomento?
(Viene la curiosità: si può, nell’Italia di oggi, opporsi e far dichiarare nulla le decisione della  GIP  Vella?

Per Stefano Alì si può fare di più:

Arrestare la Giudice Vella?

Sia mai che qualche Giudice competente per giudicare i giudici di Agrigento apra un fascicolo.
Potrebbe anche considerare quell’ordinanza di scarcerazione di Carola Rackete quale “Delitto contro la Personalità dello Stato”.
Chi invoca l’intervento di Bonafede, non ha capito come funziona l’ordinamento giudiziario”.
Cosa è il delitto contro la Personalità dello Stato, lo  trova subito una gentile twitterologa:
La magistratura italiana  ha ancora una volta meritato l’alto prestigio  etico  di cui gode tra la popolazione, essendosi anche questa volta dimostrata rigorosamente “terza” e non diparte, oltreché (si capisce) illustrandosi per la superiore scientificità e  professionalità con cui una GIP di Agrigento corregge una sentenza della Cassazione  ritenendola, a suo giudizio, incostituzionale.
Ci sarà un giudice in Italia? 
Perché umanitari  salvatori di naufraghi ne abbiamo.



(Questa foto è vera? La Sinistra a Lampedusa per unirsi alla salvatrice)







Il caso Sea Watch delinea i “nemici” dell’Italia

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“Autorità estere che non solo mettono in discussione la legittimità dell’ordinamento italiano, ma che fanno pressione per una sua applicazione secondo il proprio tornaconto nazionale. A questo punto è chiaro che ad essere in gioco sono alcuni valori non negoziabili delle democrazie liberali, quali la sovranità nazionale, la primazia del diritto e i principi di legalità, cui tutti gli europei si ispirano.
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Se una nave battente bandiera straniera deliberatamente non rispetta l’ordinamento italiano usando la forza e allo stesso tempo il nostro diritto di far rispettare la legge viene apertamente messo in discussione da rappresentanti di altri Stati si pone un grave problema di indipendenza politica e di sovranità del nostro Paese. Leggi e confini, costruiti e difesi sia dai padri costituenti che dai nostri avi, anche a costo della loro vita, fin dai tempi del Risorgimento. Non accettiamo pressioni atte a minare la credibilità e la sovranità della nostra Italia”.
Questa lunga dichiarazione, rilasciata il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi (Lega), dipinge con un’analisi fredda ma efficace i punti salienti e di principio dell’ennesimo “caso Sea Watch”.
Un episodio che certo non altera il bilancio dell’immigrazione clandestina in Italia, in fortissimo calo rispetto agli anni precedenti, ma che ha contribuito a definire in modo chiaro e inequivocabile quali e quanti siano i “nemici” dell’Italia e dei suoi interessi.
Dall’inizio dell’anno al 28 giugno sono sbarcati in Italia 2.601 immigrati illegali contro i 16.566 dello stesso periodo del 2018 (-84,30%) e i 79.154 del 2017 (-96,71%).
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Quelli provenienti dalla Libia sono stati appena 773 mentre in 738 sono partiti dalla Tunisia, 664 dalla Turchia, 241 dall’ Algeria e 184 dalla Grecia.
Numeri così limitati non se erano mai visti dal 2011 e sono certamene il frutto delle iniziative del governo e soprattutto del ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, la cui operazione “porti chiusi” e i due Decreti Sicurezza non hanno forse permesso di sigillare del tutto le nostre coste ma hanno contribuito a ridurre grandemente i traffici di esseri umani nel Mediterraneo e i morti in mare (grazie anche all’ottimo lavoro eseguito dalla Guardia Costiera libica) e a indurre i trafficanti a dirottare i flussi maggiori verso Spagna e Grecia.
Ciò nonostante la questione migratoria continua ad assumere un significato sempre più politico, ideologico e affaristico che va ben al di là della lotta ai flussi illegali per diventare un tema su cui attaccare il governo italiano (ieri Marco Minniti, oggi Matteo Salvini) su traballanti basi etiche e morali.
Basi che non riescono certo a nascondere, quasi fossero una foglia di fico, gli interessi legati al business di soccorso e accoglienza che ingrassano una parte importante del mondo delle ong/coop per lo più di ispirazione religiosa e di sinistra.
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Non è un caso che questa contrapposizione si sia intensificata, o per meglio dire incattivita, dopo che il Decreto Sicurezza ha ridotto le diarie assegnate a chi si occupa dei migranti giunti illegalmente in Italia da 35 a 21 euro (standard Ue), abbassandone in modo significativo i profitti già ridottisi con il crollo degli sbarchi.
Il caso della Sea Watch e delle altre navi di ong straniere che periodicamente cercano di dimostrare che i porti italiani non sono del tutto chiusi hanno un evidente obiettivo politico: sfidare il governo italiano e dimostrare di essere al di sopra delle leggi degli Stati o più forti di esse e di essi.
Un aspetto quest’ultimo non solo simbolico ma di ampia portata politica: per chi punta a un mondo globalizzato guidato da autorità sovranazionali che rispondono a gruppi d’interesse e puntano al “meticciato” come strumento per la distruzione dei popoli e della loro sovranità espressa democraticamente, è fondamentale dimostrare l’incapacità degli Stati di difendere le proprie frontiere, di imporre e applicare le proprie leggi, di garantire la sicurezza e mantenere gli impegni assunti con i propri cittadini ed elettori.
L’Italia e il suo attuale governo “sovranista” deve quindi fare i conti con questi “nemici” con i quali si scontrò anche Marco Minniti, il ministro dell’interno del PD che per primo cercò di porre un freno ai flussi clandestini e alle attività delle navi delle ong imponendo loro un decalogo ancor oggi ampiamente disatteso.
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Le imbarcazioni continuano a spegnere il trasponder per non essere localizzate ogni volta che, certo “casualmente”, stanno per imbattersi in qualche imbarcazione di migranti illegali. Gommoni o barconi spesso privi di motore e quindi rimorchiati dai trafficanti, sempre “per caso” a due passi dalle navi delle ong.
L’offensiva lanciata da questi “nemici” dell’Italia e dei suoi interessi non conosce soste e può contare su ampi supporti presso una parte della Magistratura (manifestamebnte espostasi al fianco delle Ong), i vertici della Chiesa Cattolica (molti meno tra i fedeli come dimostrano le chiese e persino Piazza San Pietro sempre più deserte) e molti media che continuano il processo di eutanasia in termini di credibilità, di copie vendute e audience piegandosi all’ideologia e più che all’informazione.
Il martellamento propagandistico sui “lager libici” cozza clamorosamente con le immagini dei clandestini palestrati e ben nutriti che sbarcano dalle navi delle Ong.
Certo persino il ministro degli esteri Enzo Moavero afferma che la Libia non è un porto sicuro ma la questione è discutibile. La Libia è assistita da Onu, Ue e Italia, copre un’area di ricerca e soccorso riconosciuta, nei porti libici sono presenti in forze le agenzie dell’Onu che assistono i migranti riportati indietro dalla Guardia Costiera libica con oltre 3.500 persone salvate da inizio anno.
Agenzie dell’ONU che in un anno e mezzo hanno già rimpatriato con voli da Tripoli oltre 40 mila clandestini partiti da un aeroporto evidentemente sicuro dopo essere sbarcati in porti evidentemente sicuri.
Chi fosse interessato realmente agli aspetti umanitari dovrebbe battersi per rendere più sicura la Libia e per il rimpatrio dei clandestini da Tripoli, non per il loro arrivo in Italia (sempre e solo in Italia!), che avvenga con trafficanti e ong o con i cosiddetti “corridoi umanitari”.
Inneggiare a una fuorilegge che ha speronato una motovedetta della Guardia di Finanza rischiando di ferire o uccidere dei militari regalerà certo ulteriori consensi alla Lega ma getta il discredito su chi si esprime in tal senso.
In termini politici tra i “nemici” dell’Italia va purtroppo annoverato anche il PD, che dopo aver rinunciato a ricandidare (o ad attribuirgli un rilevante ruolo politico) le sue figure di maggior rilievo, incisività e competenza, oggi non riesce ad andare oltre una progettualità politica da centro sociale (“porti aperti” e “ius soli”).
Basti pensare che vicino alla “capitana” tedesca Carola Rackete, mentre speronava la motovedetta per entrare nel porto di Lampedusa, si trovavano alcuni deputati del PD incluso quel Graziano del Rio che fino al marzo 2018 era stato ministro dei Trasporti e quindi anche della Capitaneria di Porto/Guardia Costiera.
Come spesso è accaduto nella Storia, i “nemici” interni dell’Italia sono spesso al servizio dei nemici “esterni”, oggi Bruxelles, Berlino, Parigi e Madrid, ostili da sempre all’Italia e oggi ancor di più al suo governo, che considerano l’immigrazione illegale uno strumento per mettere in ginocchio Roma.
Quando Minniti chiedeva con cortese fermezza il supporto europeo e che qualche nave dell’Operazione Sophia sbarcasse i clandestini nei suoi porti e non in Italia la Ue non si degnava neppure di rispondere. Oggi che l’Italia ha chiuso i porti (o quasi) e tutti i documenti comunitari parlano di lotta ai trafficanti e stop all’immigrazione illegale, Francia e Germania usano il caso “Sea Watch” per attaccare il nostro governo con argomenti a dir poco strumentali mentre l’Olanda, nonostante i numerosi richiami, ha di fatto finto di dimenticare che la nave “pirata” batte la sua bandiera nazionale.
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Il ministro dell’Interno francese Christophe Castaner, fedelissimo di Macron, sostiene che chiudere i porti viola la legge del mare.  Espressione curiosa in bocca ai leader di un paese che ha blindato Ventimiglia bloccando l’applicazione del Trattato di Schenghen e che ordinava alla polizia di “sbolognarci alla chetichella” nei boschi di confine i suoi clandestini.
Anche Parigi ha poi recentemente chiuso i suoi porti alle navi delle Ong come ha fatto anche la Spagna che multa e sequestra le navi che dovessero sbarcare immigrati illegali ma non blocca le ong iberiche che vogliono portarli in Italia.
Il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, ha avvertito che “soccorrere vite in mare non può essere criminalizzato”.  A parte il fatto che paragonare a naufraghi chi paga migliaia di euro i trafficanti peer migrare illegalmente è un insulto a chi per mare ci va davvero per guadagnarsi il pane, è evidente che qui non si tratta di soccorso ma di trasferimento di immigrati illegali sempre e solo verso l’Italia.
Un attacco strumentale all’Italia se si valuta che il governo tedesco ha da poche settimane approvato il cosiddetto “Migration Paket” che prevede espulsione immediata dei migranti illegali, ampliamento della detenzione preventiva per chi entra illegalmente in Germania e taglio del welfare agli stranieri che potranno essere sottoposti a perquisizioni senza bisogno di mandato giudiziario.
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“Difendere i confini nazionali non è un diritto ma un dovere. L’Italia non prende lezioni da nessuno e dalla Francia in particolare” ha detto Salvini mentre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha detto che “abbiamo cercato di far rispettare le leggi italiane e del buon senso. Questo tipo di prepotenza non può essere coperto da nessuno, tantomeno da stati sovrani”.
“Le modalità’ dell’ingresso della Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa e la successiva internazionalizzazione del caso segnano un salto di qualità’ nella gestione illegale dei flussi migratori diretti verso il nostro Paese.
Non solo è stata messa a rischio la vita di un equipaggio e la sicurezza di un’unità navale dello Stato, ma autorità politiche di Stati esteri hanno censurato il comportamento del governo italiano, intento ad assicurare il rispetto di leggi approvate da un Parlamento liberamente eletto”.
Dure critiche all’Italia per il caso “Sea Watch” sono giunte anche dai Verdi tedeschi, dal Consiglio delle chiese protestanti tedesche (tra i finanziatori di Sea Watch) e dal degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn.
Persino l’ONU (che già ci manda gli ispettori accusandoci di razzismo) ha avuto parole dure chiedendo all’Italia di far sbarcare i migranti della Sea Watch (strano non l’abbia chiesto all’Olanda) ma il braccio di ferro tra Roma e il Palazzo di Vetro è ormai una costante da quando il governo italiano si è rifiutato di firmare il “Migration Compact”, che di fatto sancisce il diritto per chiunque di emigrare ovunque voglia.
La schiera di “nemici”, interni ed esterni, con i quali l’Italia deve fare i conti è quindi lunga e agguerrita ma lo scontro sui migranti rappresenta solo uno dei campi di battaglia sui quali si svilupperà lo scontro.
https://www.analisidifesa.it/2019/07/il-caso-sea-watch-delinea-i-nemici-dellitalia/

I CORSARI DELLA FINANZA INTERNAZIONALE


di Andrea Brizzi
Quello che è accaduto durante questa settimana ha in sé qualcosa di terrificante, fantascientifico quasi, se non fosse tragico e assolutamente grave, risulterebbe quasi comico.
Perché è tragico e allo stesso tempo comico che uno stato sovrano non possa difendere i suoi confini, che chi deporta esseri umani venga elevato a paladino dei più deboli, che dei parlamentari della Repubblica italiana avallino le azioni criminose di una organizzazione non governativa, ed infine è tragico e allo stesso tempo comico che una organizzazione privata, sovranazionale, possa decidere impunemente di violare i confini, le leggi, e quindi la sovranità di uno stato indipendente.
Dopo quello che è successo è chiaro e palese che le ONG altro non sono che un pericolo per la sicurezza degli stati, un’arma usata dal capitalismo mascherato dall’umanitarismo che i rappresentanti di queste organizzazioni millantano, unitamente a tutta quella sovrastruttura culturale della “sinistra fucsia”, per nascondere in realtà la diretta connessione che questo capitalismo dal volto umano ha con l’imperialismo più violento, con gli scafisti, i terroristi, i signori della guerra e i mercanti di armi.
Non credo ci sia bisogno di essere esperti di diritto internazionale o di diritto della navigazione per analizzare la questione, il punto focale dell’accaduto infatti, come al solito, è un problema politico – che anticipa e supera ogni tecnicismo giuridico che lascio volentieri a chi è addetto ai lavori – ovvero è che la nave di una organizzazione privata, sovranazionale, finanziata dai più forti poteri finanziari nemici dei popoli, probabilmente in accordo con gli scafisti, traffica esseri umani dalla Libia all’Italia – per sfamare le necessità fisiologiche del capitalismo che chiede continuamente nuovi schiavi da sfruttare a basso costo, e così abbassare i diritti sociali del popolo europeo – provoca il Governo di uno stato sovrano, disobbedisce alle leggi di uno stato sovrano e varca illegalmente il confine marino, nottetempo forza il blocco navale e attracca illegalmente nel porto di Lampedusa, speronando tra l’altro una nave da guerra italiana, rischiando di ferire o uccidere l’equipaggio.
Quella che è stata oltrepassata questa volta, è la linea della decenza, credono forse questi signori che il popolo sia così stupido da non capire, così ignorante e legato ai bassi istinti da non comprendere la necessità umana di salvare vite?
No, qua l’umanità non c’entra, l’unico interesse è la deportazione di giovani uomini in età militare e con fisici possenti da poter sfruttare sottopagati. Unitamente a questo, si intravede tra le righe, per chi sa leggere la scena politica, anche un palese attacco al Governo giallo-verde, una precisa volontà di mettere in difficoltà l’esecutivo, di provocarlo, di forzarne la rottura, poiché al netto dei suoi tanti limiti, questo Governo è stato sì dettato dalla contingenza politica, ma scelto dal popolo, e, in un modo tutto suo, si muove per l’interesse nazionale, non per quello delle élites.
Il “trinomio” confini, sovranità, stato di diritto è venuto meno, chi accondiscende alle azioni di Carola e delle ONG, allora ammette che questo trittico giuridico/sociale sul quale si fonda la libertà dell’individuo incluso nella consapevolezza sociale della comunità, vale meno degli interessi del capitalismo apolide e quindi della necessità economica dei gruppi di potere. Questo, lasciatemelo dire, mette davvero paura, e ci obbliga ad una riflessione; quanto resta da vivere alla democrazia liberale? Dal canto nostro speriamo poco, e gli eventi ce lo confermano.


Intanto la “capitana” Carola Rackete è stata scarcerata, e da quanto risulta nel momento in cui scrivo questo testo, sono caduti tutti i capi d’accusa. Per il magistrato la capitana ha agito secondo lo “stato di necessità”, e la nave della guardia di finanza non è da considerarsi da guerra. Fantascienza? No, l’Italia nel 2019. Ma che cos’è lo stato di necessità? È quella causa di giustificazione prevista dall’articolo 54 del codice penale che dice: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.» E poi ancora: «Per poter beneficiare della scriminante, il soggetto deve, in primo luogo, aver agito sotto costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona. (…) Tuttavia, la condotta illecita posta in essere deve risultare, oltre che proporzionata al pericolo, “non altrimenti evitabile”: il soggetto deve cioè aver agito senza la possibilità di evitare il pericolo attraverso azioni lecite o meno lesive dei beni giuridici protetti»
Ma i signori africani che Carola ha imbarcato non erano naufraghi, non erano in pericolo di vita, sono stati imbarcati dagli scafisti corrispettivamente alla presenza della ONG a poche miglia dalle coste libiche. Come già ampiamente documentato nell’inchiesta del 2017, sono chiare le connessioni tra l’azione degli scafisti e le ONG, che miracolosamente pescano immigrati clandestini nel “Canale di Sicilia”, anche se in realtà il Canale di Sicilia è da tutt’altra parte. Inoltre, il soggetto, cioè Carola, ha agito senza possibilità di fare altrimenti? Perché l’unico porto sicuro era quello di Lampedusa? In 14 giorni di navigazione poteva andare in Spagna, Grecia, Olanda addirittura, senza contare che il porto più vicino, visto il “pescaggio” nelle acque libiche, è quello in Tunisia.
Il popolo europeo è dominato da forze oscure e malvagie che hanno ormai colonizzato molti apparati dello stato, forze di interesse privato, ideologiche e sovranazionali, le forze del liberismo più spietato che mirano alla disgregazione politica, etnica, culturale delle comunità nazionali. La magistratura, se questa situazione viene confermata, si dimostra nemica assoluta del popolo italiano ed europeo. I parlamentari del PD che sono saliti a bordo della nave pirata, avallando le azioni criminose dell’equipaggio e lasciando invece i disoccupati, i terremotati, gli sfruttati, a marcire nella loro condizione sociale, si dimostrano nemici assoluti del popolo italiano ed europeo, le ONG che trafficano esseri umani e oltrepassano lo stato di diritto sono nemiche assolute del popolo italiano ed europeo!
Il tempo della battaglia è quasi giunto, poiché ogni giorno si assiste alla continua e crescente esasperazione delle condizioni sociali, umane, politiche. Il clima d’odio alimentato da questi signori progressisti e liberisti, che abitano le loro torri d’avorio così distanti dalla polvere della Patria, tra le nuvole delle loro teorie distruttive, è un clima infame che mette l’uno contro l’altro, divide e affatica il popolo, allontanandolo dalle sue prospettive rivoluzionarie. A questi signori vorrei dire soltanto che l’odio chiama altro odio, e non è detto che il glorioso popolo a cui fieramente apparteniamo, resti annichilito, sconfitto, schiacciato, ancora per molto, come diceva il Manzoni: “chi v’ha detto che sterile, eterno/ saria il lutto dell’itale genti?/ Chi v’ha detto che ai nostri lamenti/ saria sordo quel Dio che v’udì?”
La storia non è lineare, è ciclica. Prima o dopo verrà il momento del riscatto.
Fonte: Il Pensiero Forte

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