ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 20 agosto 2019

Est modus

I DUE MODI DI STARE COL POPOLO


Ci sono due modi di stare col popolo. Il "Popolo vero" non è quello immaginato dai "Comunisti", ma è quello non guastato dal sindacalismo esasperato, che ha sani valori morali e non si vergogna della povertà, ma della disonestà 
di Francesco Lamendola  
  
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Ma che cosa vuol dire, infine, stare col popolo? Che cosa significa una espressione come questa: essere dalla parte del popolo? Ce lo siamo sempre domandati, fin dal tempo della scuola media (erano gli anni intorno al 1968), osservando che una certa parte politica si era impossessata di tali espressioni, le aveva caricate di un ben preciso significato ideologico e pretendeva di averne l’esclusiva, per poi brandirle come clave sulla testa di tutti gli altri, facendosi forte di questo fatto: che essa stava col popolo. Sia pure in maniera indistinta, sin d’allora qualcosa ci convinceva poco in tale identificazione fra la sinistra e il popolo, fra il marxismo e il popolo, fra il Partito comunista e il popolo. Come! Allora gli altri, quelli che non erano comunisti né marxisti, non stavano dalla parte del popolo? 

Erano indifferenti o addirittura contrari al bene del popolo, ai bisogni del popolo, alle sue legittime necessità? Il nonno, che si alzava alle quattro del mattino tutti i santi giorni per scendere nel formo a preparare il pane per i clienti, era un nemico del popolo, un affamatore del popolo? E il fatto che desse lavoro a quattro o cinque persone, che trattava con assoluta correttezza e anche con generosità, ne faceva, automaticamente, uno sfruttatore del popolo, un esponente della borghesia grassa ed egoista, un agente dell’infame capitalismo?

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 Il "Popolo vero" non è quello immaginato da Rosseau o dai "Comunisti", ma è quello non guastato dal sindacalismo esasperato, che ha sani valori morali e non si vergogna della povertà, ma della disonestà!

Strano, molto strano. Eppure il ragionamento (se così lo possiamo chiamare) era chiaro: se lui e tutti quelli come lui, e ne conoscevamo parecchi, non erano dalla parte del popolo, allora – i tempi erano quelli: o di qua o di là, o bianco o nero – dovevano essere, per forza di cose, dei nemici del popolo, degli sfruttatori della classe lavoratrice. In altre parole, inutile girarci attorno – di nuovo, i tempi erano quelli: ci si sprangava per un eskimo, presto ci si sarebbe sparati per un discorso o un articolo di giornale – erano dei fascisti, dichiarati o mascherati. I fascisti erano i nemici del popolo per antonomasia; non avevamo preso il potere, nel 1922, al soldo della borghesia agraria e per servire gli interessi dei reazionari? Perché è esattamente così che si raccontava la nostra storia recente ai ragazzi, in quegli anni: senza sfumature e senza alcuna possibile obiezione: come piace ai comunisti di ieri e di oggi: in regime di perfetto monopolio. Qualcuno ha mai visto un professore di sinistra accettare il punto di vista di uno studente di destra, discutere con lui in maniera rispettosa, su un piano di pari dignità?  O non è forse vero che i professori di sinistra, forti del sostegno di quasi tutta la classe (logico: l’hanno tirata su loro) godono a vendicarsi, con lo strumento del registro, delle obiezioni e dell’autonomia di giudizio che uno studente di destra osa mostrare? Strano anche questo, perché ci viene sempre detto chela scuola pubblica, in teoria, serve a sviluppare il senso critico dei giovani, a rafforzare in loro l’abitudine a pensare con la propria testa. Ma la realtà è che questo pio proposito vale solo per gli studenti che si adattano alle idee politiche del loro professore di sinistra; se non si adattano, allora il pensare con la propria testa finisce di essere una virtù e diventa un vizio. Il vizio del fascismo, appunto.

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Che significa essere dalla parte del popolo? Che cos’è il popolo, chi è popolo? 

I fascisti, del resto, erano sopravvissuti alla disfatta della Seconda guerra mondiale; si erano rintanati, sì, nelle cantine e nelle fogne, ma erano sempre pronti a uscirne, a tentare la  riscossa. Contro il popolo, ovviamente. Nel 1970, per esempio, con la rivolta di Reggio Calabria, erano tornati all’assalto al grido di Boia chi molla!; e la cultura politica progressista, i mezzi d’informazione avevano scoperto, si fa per dire, quanto fosse tuttora presente e pronto a scattare al momento giusto l’eterno fascismo, la componente fascista presente nell’animo umano. Perché il fascismo era, sì, una tendenza politica al servizio di interessi economici ben precisi; ma era anche il Male della storia, era il Male assoluto, e come tale si caricava di un’oscura valenza metafisica, teologica, contro la quale bisognava costantemente premunirsi e vegliare, stare sempre in guardia. Perché se il fascismo rialzava la testa, le conquiste dei lavoratori sarebbero andate in fumo (chi lo raccontava, ai ragazzi della scuola media e del liceo, che le maggiori conquiste sociali la classe lavoratrice italiana le aveva raggiunte proprio durante il Ventennio?). E questa è ancora oggi, nell’anno di grazia 2019, la concezione del mondo e della storia che la cultura dominante, che è sempre stata, ed è rimasta, rocciosamente comunista o post-comunista, salvo qualche aggiustamento formale, pretende di rifilare ai giovani e d’imporre all’intera società. Senza che i suoi militanti, la cosiddetta “base”, si siano resi conto che la ragione sociale è radicalmente cambiata: se ieri, almeno a parole, era la giustizia a favore del popolo, oggi è il libero mercato nel quadro generale del turbocapitalismo. Tanto è vero che è cambiato il santo patrono; non più Josif Stalin, ma Barack Obama (o Hillary Clinton) e, in subordine, il Juncker o il Moscovici o la von der Leyen di turno. Sempre però, gli uni e gli altri, in subordine al patrono maximo: san Francesco Bergoglio. E se ieri le rivendicazioni erano gli aumenti salariali, la scala mobile, la difesa del posto di lavoro, le pensioni, lo Stato sociale, la scuola democratica, eccetera, oggi sono l’aborto (già ottenuto), l’eutanasia, le unioni di fatto e i matrimoni omosessuali (già ottenuti), il cambio di sesso, la fecondazione eterologa, l’utero un affitto, la libertà di drogarsi, il diritto all’invasione dell’Italia per tutti gli stranieri e lo ius soli, cioè la cittadinanza garantita automaticamente a chiunque venga fatto nascere nel Bel Paese. Tradotto in parole semplici: se la ragione sociale della sinistra era, almeno a parole, la difesa dei deboli, oggi è diventata la difesa dei ricchi e il sostegno strumentale a quei soggetti che si prestano a far risaltare la bontà, la solidarietà e l’accoglienza dei ricchi (tipico esempio: la signorina Carola Rackete, figlia di milionari, che viene a fare la generosa in Italia con le chiappe degli italiani). E quanto alla povertà di certi immigrati, che arrivano sulle navi previa telefonata, e ci arrivano quasi tutti giovani e ben nutriti, con le catene d’argento al collo e gli smartphone, muscolosi e talvolta in sovrappeso, benché i mass-media ce li descrivano sempre e immancabilmente come disperati in fuga da guerra e fame, nonché seviziati e derubati dalla cattivissima polizia libica, a crederci sono solo Richard Gere, Antonio Banderas e le ricche ragazze tedesche afflitte da sensi di colpa per la loro pelle bianca e il portafoglio troppo gonfio, oltre che da noia esistenziale cronica e acuta.

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 Se la ragione sociale della sinistra era, almeno a parole, la difesa dei deboli, oggi è diventata la difesa dei ricchi!

Torna perciò la domanda: che significa essere dalla parte del popoloChe cos’è il popolo, chi è popolo?  Stare dalla parte di un ricco politico di sinistra che va all’estero per acquistare un figlio da una madre povera, e poi torna in Italia per allevarlo insieme a suo marito (suo di lui, non suo di lei) significa stare dalla parte del popolo? E stare dalla parte degli immigrati con le catenine d’oro e d’argento, con i telefonini ultimo modello, muscolosi e sovrappeso, quelli che rifiutano il cibo dei centri di accoglienza e minacciano lo sciopero della fame se non la smettono di servir loro l’odiosa pastasciutta che è causa di gastrite; oppure quelli che vengono nutriti lautamente ai tavoli della mensa Santa Maria in Trastevere, sì avete capito bene, non è un locale ma è la stupenda basilica medievale con i mosaici di Pietro Cavallini, e soprattutto è la casa del Signore, ed è appunto lì che la Comunità di Sant’Egidio ritiene cosa buona e giusta offrire un pasto caldo ai poveri, togliendo gli inutili banchi da preghiera e allestendo tavole per la pasta, la carne e i fiaschi di vino: ecco, stare dalla parte di tutti costoro, significa essere dalla parte del popolo? Ma i pensionati italiani che devono sopravvivere con poche centinaia di euro al mese, e per giunta sono imprigionati nei condomini e nei quartieri ove spadroneggiano i delinquenti nigeriani e le prostitute nigeriane, e chi esce per fare la spesa non è sicuro, tornando, di non trovare una famiglia di zingari felicemente insediata in casa propria: quelli, non sono popolo? E il piccolo imprenditore che si è suicidato perché la sua azienda è fallita, ed è fallita non perché fosse male amministrata ma perché lo Stato non si decide a pagare le commesse e la banca che aveva anticipato i capitali non era disposta ad aspettare: lui e la sua vedova, lui e i suoi figli orfani, non sono popolo anche loro?  E le decine di migliaia di ragazzi italiani laureati a pieni voti e costretti a prendere la via dell’esilio per trovar e lavoro da qualche parte, in Europa o in America, lasciando i genitori a tirare la cinghia e con la prospettiva d’invecchiare soli, senza il sostegno dei loro figli, non sono popolo anch’essi? Che cosa si deve fare, che cosa si deve essere per venire considerati popolo? Ci vuole il timbro del PCI, ora aggiornato in quello del PD o di Liberi e Uguali? Ci vuole la certificazione della signora Boldrini o della signora Cirinnà o, meglio ancora, di qualche vescovo di strada e di qualche prete alla don Andrea Gallo? Devono attestarlo Famiglia Cristiana o L’Avvenire? E ancora: bisogna appartenere all’etnia rom, oppure bisogna avere la pelle scura? Non stiamo facendo delle sparate a effetto: stiamo descrivendo la pura verità. Se uno si dichiara un povero rom discriminato e va a piagnucolare da Bergoglio, viene ricevuto e abbracciato come fosse la vittima di chissà quali ingiustizie e pregiudizi, anche se poi risulta esser proprietario di ventisette automobili. E se una famiglia di africani dichiara di essere povera, i loro figli hanno diritto senz’altro alla tariffa agevolata per la mensa scolastica, e nessuno va a verificare quale sia il loro patrimonio nel Paese di origine (pena lo scatenarsi di una campagna mediatica contro il sindaco razzista che vuole affamare i bambini di colore), mentre è scontato che le famiglie italiane, se vogliono la stessa agevolazione per i loro figli (dalla pelle bianca, orribile delitto), devono presentare tutti i documenti relativi al proprio reddito e al proprio patrimonio.

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 Ci vuole il timbro del PCI, ora aggiornato in quello del PD o di Liberi e Uguali? Ci vuole la certificazione della signora Boldrini o della signora Cirinnà o, meglio ancora, di qualche vescovo di strada e di qualche prete alla don Andrea Gallo per essere membri del popolo?

Ci sono due modi di stare col popolo

di Francesco Lamendola
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ACHILLE E' OGGI AFROAMERICANO?

    Cantami, o diva, del nero Achille l’ira funesta. Netflix e il "dispotismo" che ci avvolge: lo sceneggiato sulla guerra di Troia con un prode Achille "nero", anzi, afroamericano? ma non avevano assicurato che le razze non esistono 
di Roberto Pecchioli  


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Gilbert Chesterton fu un profeta quando affermò che presto si sarebbe dovuta sguainare la spada per dire che l’erba è verde in primavera. Mille nuove verità avanzano e non osiamo accoglierle con una risata e giudicarle per ciò che sono, lucide follie di un potere distopico. Pare che essere onnivori, in quanto appartenenti alla specie umana, non sia più cosa buona e normale, poiché cagionerebbe danno al pianeta. Dicono gli “esperti “(di che? Nuova vil razza dannata come i cortigiani, che è poi il loro vero mestiere) che la dieta carnivora contribuisce al riscaldamento globale. Non c’è quindi da stupirsi se nel prossimo futuro la carne sarà gravata da elevate imposte e si promuoverà la salutare abitudine di cibarsi di grilli, che già si vendono in alcuni supermercati occidentali, e per di più si possono trovare gratuitamente nei giardini delle città e in ogni boschetto.  
Può darsi che, oggi come oggi, faccia un po’ schifo ingoiare quest’insetto pieno di zampette, ma ci abitueremo. Lo ha detto l’Onu, l’allevamento intensivo contribuisce al cambiamento climatico, occorre cambiare le abitudini alimentari affinché non aumenti la temperatura della madre terra. Sotto con le blatte e col prelibato scarafone, con buona pace di mamma sua. Il lettore abbonato a Netflix, la rete televisiva più globale che c’è, conoscerà già tali argomenti, se è appassionato degli imprescindibili documentari di Kip Anderson, un fondamentalista vegano che, per il bene del globo terracqueo, manipola il pubblico a tal punto da indicare senza dubbi la produzione e il consumo di carni come la causa di siccità e malattie.
Che sarebbe di noi senza il conforto morale di imprese ipercapitaliste come le reti di intrattenimento, sovversive o indifferenti dinanzi ai veri problemi, ma con una speciale sensibilità per le corbellerie, in particolare quelle care a chi si ritiene offeso da qualsiasi cosa turbi il suo universo di petali di rosa e fiocchi di neve. Anni fa, furono ridicolizzati da uno scrittore umoristico inglese, Tom Sharpe, creatore del personaggio di Wilt, la cui moglie, strano tipo assai politicamente corretto e riflessivo, si impegnava indifferentemente nella meditazione trascendentale e nell’organizzazione nel giardino di casa di gruppi come Bimbi contro lo Stupro.
Le cose non sono migliorate, oggigiorno, nel Regno Unito. L’agenzia incaricata di stabilire gli standard da osservare nella pubblicità tra i sudditi di Sua Maestà ha deciso di proibire tre campagne pubblicitarie, due di una marca di formaggi e l’altro di una casa automobilistica. Il motivo? Diffondevano, secondo i neo- censori (riprendiamo a chiamare le cose con il loro nome) “stereotipi di genere”. In uno, appariva una donna che si prendeva cura del figlio, gesto davvero terribile e inaudito (una madre, presumibilmente, pessimo esempio sociale, altro che il nobile genitore 1!); nell’altro, si rappresentava un padre arrabbiato con il figlio, il che configura il crimine di lesa umanità.

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Achille è nero, Ettore non conta in quanto perdente. Lo hanno deciso loro!

La venerabile, reale istituzione si è appoggiata su una nuova normativa delle isole britanniche, antica culla della democrazia dalla Magna Charta del 1215, tesa a impedire che i messaggi commerciali trasmettano alla popolazione un’idea “eteropatriracale “della società. Se siete pubblicitari, evitate di mostrare donne nell’atto di parcheggiare (chissà perché), di mettere il rossetto o che indossano la minigonna e, orrore, non pensate neppure per un attimo all’immagine di un padre che porta il bambino alla partita. Questo potrebbe far pensare ai telespettatori, il gregge stupido da ricondizionare, che uomini e donne si comportino come fanno abitualmente da mille generazioni nonostante gli sforzi degli studiosi (altri esperti!) del “genere “per modellare una società migliore. Forse qualcuno può temere che tutto è parte di un racconto distopico in cui si impazzisce all’improvviso, ma non è così: è per il nostro bene.
Netflix include nella programmazione una robusta razione di produzioni destinate a deliziare il buonismo credulone di chi vive attento a che nessuno offenda alcun oppresso, vero o presunto. Ha diffuso uno sceneggiato sulla guerra di Troia, evento fondante della civiltà occidentale, che è una pietra miliare nella religione del politicamente corretto. Chiunque si aspetta di vedere il prode Achille, figlio della ninfa Teti e del mortale Peleo, re dei Mirmidoni, rappresentato come era, un giovane di fattezze europee mediterranee dai lunghi capelli ricci. No, l’attore prescelto è nero, anzi, afroamericano, come è più à la page dire. I criteri di proporzionalità e uguaglianza, la cosiddetta “azione affermativa” per far avanzare le minoranze non potevano venir meno in ossequio alla verità storica. Cantami, o diva, del nero Achille l’ora funesta, scriverebbe oggi Vincenzo Monti nel primo verso della celeberrima traduzione dell’Iliade. Non resta che ironizzare, nella speranza che qualcuno apra gli occhi.
Del pari, non bisogna lasciarsi fuorviare da errate convinzioni del passato oscuro che potrebbero trascinarci verso il suprematismo, l’etnocentrismo o l’umanesimo. Anche gli animali possiedono elevate capacità cognitive oltre a uno spiccato senso di giustizia. In un’altra produzione dello stesso network si narra di un’elefantessa (femmina, è meglio!) che lavorava in un circo ma un giorno impazzì e ammazzò i suoi custodi umani (uomini è un termine da usare con cautela, meglio lo zoofilo “umani”). La vicenda capitò perché il pachiderma (parola indeclinabile al maschile o femminile) si sentiva molestato, oppresso e voleva liberarsi del giogo. Conclusione animalista: la domesticazione all’uomo, segno della superiorità intellettuale ed ontologica della nostra specie, è una pessima cosa. Non difendiamo affatto il maltrattamento inflitto agli animali, anzi, ma la drammatizzazione di cui è impregnata la storia propinata come un pastone alla mensa televisiva è tanto patetico da sembrare una parodia. Ma fa lo stesso, il pubblico con paraocchi e privo di pensiero autonomo applaude anche davanti a denunce sensazionaliste e vuote. Siamo diventati animali d’allevamento: ci viene imposto un foraggio artificiale, ma non lo rifiutiamo. Ruminiamo un po’ di più, come il bolo dei bovini, poi digeriamo tutto e crediamo qualsiasi stupidaggine. 

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Invitiamo il telespettatore a guardare la televisione con attenzione critica giusto per qualche ora, poi spenga disgustato. Scoprirà un bel po’ di cose. La pubblicità onnipervasiva e sempre più sovrapposta alla normale programmazione, ha un audio più alto per compensare il calo di attenzione, ma soprattutto è difficile che non contenga un’altra propaganda: quella della società multietnica e multiculturale.

Cantami, o diva, del nero Achille l’ira funesta…

di Roberto Pecchioli

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