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giovedì 26 settembre 2019

Ammazzate oh!

CONSULTA: IL DOVERE DI MORIRE?


Suicidio legale? un altro passo avanti nell’abisso. Per la Consulta aiutare qualcuno a togliersi la vita è legale. "Ammazzarsi" diventa ora un "Diritto", la vita umana non è più un valore tutelato dalla legge tanto meno è "Sacra" 
di Roberto Pecchioli  

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C’era da aspettarselo. Dopo l’insolita, indebita pronuncia di un anno fa della Corte Costituzionale, che aveva sostanzialmente ingiunto al Parlamento – ormai la più costosa e inutile istituzione della Repubblica – di legiferare abrogando il reato di istigazione al suicidio in quanto incompatibile con la Carta, il 25 settembre dell’anno del Signore 2019, con una semplice sentenza di un organo definito arbitrale, la Consulta, aiutare qualcuno a togliersi la vita è legale. Ammazzarsi, insomma, è un diritto, la vita umana non è più un valore tutelato dalla legge, tanto meno è sacra. 

Tecnicamente – gli spropositi si ammantano spesso di ragioni tecniche e giuridiche- la Corte ha ritenuto “non punibile ai sensi dell’art. 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di in paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Lasciamo al lettore il giudizio sulle evidenti lacune logiche nella prosa degli insigni giuristi.
Il dispositivo prosegue indicando le condizioni per procedere al suicidio legale, un elenco burocratico di soggetti deputati (gli “esperti”) ad avere l’ultima parola sull’argomento, i nuovi proprietari della vita e della morte. Aperta una porta, si spalancherà presto un portone, giacché in parlamento sarà trattato un testo molto “avanzato”, predisposto dall’inclita signora Cirinnà, quella delle unioni civili gay. Per una volta, si è udita la voce della Chiesa cattolica, che ha preso posizione con un comunicato dei vescovi contro la sentenza dei giudici costituzionali. Si può e si deve respingere, afferma, la tentazione di usare la medicina per assecondare la possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia.  Giusta ancorché debole e tardiva presa di posizione, associata all’auspicio che “il passaggio parlamentare riconosca al massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta”. Pia illusione, specie se indirizzata ai partiti di riferimento della neo Chiesa, schierati entusiasticamente contro la vita.

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L’impressione è che l’introduzione al diritto alla morte (diritto?) sia la porta d’ingresso per istituire il dovere di morire quando piace a lorsignori!

Corre l’obbligo di una prima riflessione, a partire dall’inaudita circostanza che il cosiddetto potere legislativo è stato esautorato e sostituito da quello giudiziario. La sovranità popolare è stata ancora una volta derisa, la politica è sconfitta nel suo diritto dovere di rappresentanza e decisione. La seconda considerazione riguarda l’altrettanto prevedibile commento di uno dei vincitori, l’esponente del Partito Radicale Marco Cappato, che aiutò attivamente lo sfortunato disabile DJ Fabo a morire in una clinica svizzera attraverso la somministrazione di farmaci letali. Siamo tutti più liberi, esulta, con le abusate parole dei suoi padrini politici Marco Pannella e Emma Bonino, artefici delle leggi che hanno dissolto la famiglia, legalizzato l’aborto, antiproibizionisti in materia di droghe, propagandisti indefessi di una cultura di morte mascherata da libertà individuale.
Siamo finalmente liberi di ammazzarci, come da decenni siamo liberi di sopprimere vite umane in fase nascente e di distruggere noi stessi attraverso l’assunzione di farmaci, droghe e condotte di vita devastanti ampiamente normalizzate. Un passo avanti nell’abisso, una nuova vittoria di chi ha cambiato il senso comune attraverso esempi estremi, casi lacrimevoli, e, diciamolo chiaro, campagne dagli ingenti mezzi economici messi a disposizione da precisi centri di potere ed interesse. Affiora il ricordo dell’Inferno dantesco, il girone dei lussuriosi in cui è punita Semiramide, la regina di Babilonia “che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta.”  Nessun biasimo esiste più nel tempo amorale della postmodernità occidentale: solo libertà travolgenti e sempre nuove, da consumare sciolti da ogni vincolo etico e spirituale.
Se dovessimo dare un nome alla civilizzazione terminale in cui siamo immersi, la definiremmo con il titolo del capolavoro di Edgar Allan Poe, I delitti della Rue Morgue, la via dell’obitorio: il gaio, chiassoso cimitero in cui si è convertita una società in liquidazione, di cui non restano che sfridi, macerie, rovine. L’articolo 580 del codice penale cassato dalla sentenza della Corte affermava l’interesse pubblico per la vita, la scelta contraria a provocare la morte di esseri umani. Il minimo per qualsiasi legislazione civile attenta alla legge naturale e all’istinto di ogni vivente, che ha fino all’ultimo riflessi di vita.

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Il 25 settembre la Consulta ha ritenuto “non punibile ai sensi dell’art. 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio!

Il tema, va riconosciuto, è estremamente delicato. Il nodo non si scioglie con un colpo di forbici o un tratto di penna che cancella la legislazione. L’esperienza di ciascuno di noi conosce lo strazio del male, l’impotenza nei confronti della malattia, l’ingiustizia del destino che si accanisce contro un nostro caro, la probabilità che domani noi stessi siamo posti di fronte al mistero della sofferenza. Occorre sensibilità, comprensione, tensione morale; in nessun caso, tuttavia si può invocare la morte procurata come soluzione “legale”, dunque banalizzata ed accettabile E’ certo che decenni di propaganda, manipolazione, diffusione di modelli esistenziali basati sul piacere, l’eterna giovinezza, l’efficienza e la performance rendono l’opinione pubblica assai sensibile al nuovo verbo mortuario.  L’individualismo spinto, l’indifferenza per la sorte altrui, il fastidio per la cura dei malati, anche nostri familiari, ci rendono egoisti sino ad applaudire le leggi sulla morte, rimossa e privata del nome.
Adesso si chiama pudicamente “fine vita” e, a richiesta, un’iniezione risolverà il male alla radice. I medici, dimenticato Ippocrate e il senso della loro professione, diventeranno boia seriali, dei Mastro Titta in mascherina, guanti sterili e autorizzazione ministeriale. Quanto alla nonna malata, non sarà difficile convincerla, ergo costringerla, quando è proprio giù, sofferente, magari sotto l’effetto di farmaci dai mille effetti collaterali, a quella certa iniezione. Essenziale sarà accertarsi della validità del testamento a nostro favore e ottenere il nulla osta degli esperti. Tanatologo, ecco una buona professione per il futuro. Gli abusi saranno migliaia, l’esperienza dei paesi che hanno legalizzato l’eutanasia, immancabilmente definiti civilissimi, avanzati, progressisti, è sconvolgente. Ricordiamo il caso del suicidio assistito pubblico dell’adolescente depressa Noa Pothoven in Olanda, dove un decesso su quattro è riconducibile all’eutanasia nelle sue varie forme, l’estensione mostruosa della pratica ai minorenni in Belgio.
La discesa, quando inizia, non può essere arrestata senza un cambio di mentalità di cui non si vedono indizi; la fisica insegna che motus in fine velocior, il movimento all’ingiù si accelera nelle fasi terminali. Per contro, accelerano le ricerche per prolungare la vita umana con metodi scientifici sconvolgenti, che trascinano la nostra specie fuori da se stessa, verso il superamento della condizione umana, il transumanesimo. Per ora, siamo nella fase disumana che abborda il disprezzo, peggio l’indifferenza, per l’essere umano, trattato come utensile, magazzino di pezzi di ricambio, fastidioso rifiuto da smaltire. Il diritto alla vita, il primo elementare diritto umano, è adesso negato esplicitamente dai codici giuridici degli Stati occidentali. Perseguire la vita non è più costituzionale, abbiamo perduto la più fondamentale delle libertà, quella di rimanere vivi e completare il ciclo biologico che la natura (o Dio, per alcuni nostalgici) ci ha assegnato.

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Siamo finalmente liberi di ammazzarci, come da decenni siamo liberi di sopprimere vite umane in fase nascente!

Chi festeggerà la sentenza, oltre a Cappato, i suoi amiconi radicali e i sedicenti progressisti? Indubbiamente chi gestisce sistemi previdenziali, pubblici e privati, si frega le mani. Meno pensioni da pagare e per un tempo minore. Evidentemente, secondo i padroni del potere l’aspettativa di vita del popolo bue è troppo elevata. Meglio correre ai ripari, facendo passare, prima con la manipolazione dell’opinione pubblica, poi con la forza della legge, norme che legalizzano le varie forme di eutanasia, ribattezzata “dolce morte”.  Entusiasmo non minore manifesteranno le assicurazioni contro le malattie, che eviteranno di sostenere dispendiose spese sanitarie. L’iniezione letale sarà a carico del sistema pubblico, che fornirà i locali e il personale addetto, gli assassini autorizzati del Terzo Millennio.
Le campagne a sostegno delle legislazioni pro- morte sono state sempre finanziate dai fondi e dalle entità finanziarie che investono in previdenza, sanità, assistenza. Nel mondo gelato della ragione strumentale, del primato dell’avere e dell’oblio dell’essere, tutto è questione di denaro, previa analisi di costi e benefici. Eleganti algoritmi sostituiscono la matematica attuariale per determinare la sostenibilità economica della vita. La soluzione è la soppressione, più o meno volontaria, dei malati, degli anziani, dei deboli: eugenetica democratica.
L’impressione è che l’introduzione al diritto alla morte (diritto?) sia la porta d’ingresso per istituire il dovere di morire quando piace a lorsignori. Troppi vecchi, troppi malati, gente improduttiva, troppo costosa per i modelli matematici del sistema assistenziale, per la profittabilità degli investitori, o semplicemente per i comodi dei parenti. In Olanda, è in discussione una legge che renderà automaticamente accettate le richieste di suicidio assistito per gli ultrasettantenni. Questa sì che è civiltà. O forse è una società malata terminale per la quale l’eutanasia di sé è l’ultimo sussulto di vitalità, come un serpente che si avvolge tra le sue spire sino a perirne.
Il diritto- dovere di morire per non importunare il prossimo e consentire la riproduzione del folle modello a-sociale sembra l’ultimo rantolo della distopia d’Occidente - terra del tramonto- chiamata progresso, o il migliore dei mondi possibili. Facciamo presto a farla finita con quest’insopportabile agonia, siano disperse le ceneri di una civilizzazione sterile, nessuno celebri l’immeritato funerale. Calato il sipario, chi ci sostituirà spazzi via le tracce del nostro gaio cimitero e ricominci dall’uomo, dalla vita, da Dio.     

CONSULTA. IL DOVERE DI MORIRE?
di Roberto Pecchioli    

Consulta, schiaffo ai pro-eutanasia. Federazione dei Medici: “Non possiamo collaborare a suicidio”



Foto da qui

«I medici possono stare accanto al malato fino alla fine, ma non devono collaborare in alcun modo al suicidio assistito. La morte non è un presidio terapeutico, sarebbe innaturale per noi. La professione medica tutela la vita». Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, commenta così a Tempi.it la sentenza della Corte costituzionale che ieri, in modo confuso e incoerente, ha depenalizzato il suicidio assistito in Italia a certe condizioni.
Interessante l’intervista rilasciata sul sito della rivista.

EUTANASIA, LA CEI DICE “OHIBÒ”! PUCCETTI DOMANI A NAPOLI, UN CONVEGNO.

26 Settembre 2019 Pubblicato da  20 Commenti --

Marco Tosatti

“Sconcerto”, “preoccupazione” e presa di “distanza” da parte dei Vescovi dopo la decisione della Consulta che ha aperto al suicidio assistito in determinate condizioni. “Si può e si deve respingere – scrive la presidenza Cei facendo proprie le parole del Papa – la tentazione- indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia”.I Vescovi italiani si ritrovano, dunque, “unanimi nel rilanciare queste parole di Papa Francesco. In questa luce esprimono il loro sconcerto e la loro distanza da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale”.
Questo è quanto riportato dall’ADN Kronos sulla reazione dei vescovi italiani alla decisione che in pratica apre la strada al suicidio assistito, e all’eutanasia libera nel nostro Paese. Meno male che c’è una “presa di distanza”; con questa Conferenza Episcopale, che ha fatto del suo meglio per favorire i partiti che appoggiano i progetti di eutanasia, avremmo potuto aspettarci ben di peggio.
Vogliamo solo sommessamente osservare con quanta flemma i vescovi italiani e il Pontefice si accostino a questo dramma, e con quanto ardore invece si spendano se ci sono di mezzo i migranti, con tutto il traffico di affari ad esso connesso. Fra pochi giorni si celebrerà in Vaticano una messa per migranti e rifugiati. Aspettiamo analoghe sante iniziative per la giornata del morto ammazzato di eutanasia, o per la giornata dei piccoli morti ammazzati con l’aborto.
E nel frattempo vi diamo notizia di un incontro che si svolgerà a Napoli, avendo per protagonista Renzo Puccetti, domani, venerdì 27 settembre. Un convegno certamente di grande interesse.

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