ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 17 settembre 2019

Sono dei veri maestri nel fregarsene dei fedeli

Dal vescovo magno ai vescovi del magna-magna

Lettura interrotta da alcune memorie liturgiche, purtroppo. Comunque proprio in questo paio di settimane, ai tanti o pochi che logorano l’Ufficio divino rinnovato a norma dei decreti del concilio ecumenico Vaticano II e promulgato da Paolo VI, cioè la Liturgia delle ore secondo il rito romano e bugniniano, volume IV, tempo ordinario, settimane XVIII-XXXIV, l’Ufficio delle letture presenta (in ovvia abbinata con estratti dal libro del profeta Ezechiele ai quali si riferisce) il celebre “Discorso sui pastori” di sant’Agostino.
È catalogato come Discorso 46 il “Sermo De Pastoribus in Ezechiel XXXIV, 1-16”. Il breviario nuovo lo estrapola dal CCL (Corpus Christianorum Latinorum) 41, ma lo si può reperire anche nella Patrologia latina del Migne (PL 38) addirittura nella obliata ma in assoluto nostra preferita Edizione Veneta del testo maurina pubblicata nel 1756. Chi cerca tutto su internet lo trova facilmente, sia nel testo latino che in traduzione italiana, nell’aureo sussidio digitale www.augustinus.it. Il discorso sarebbe stato approntato, premessa tutta l’incertezza che accompagna le redazioni agostiniane, tra l’anno del Signore 393 (Agostino è ordinato sacerdote a inizio 391, viene consacrato vescovo tra maggio 395 e agosto 397) e il 430 (ad agosto rende l’anima a Dio).
Pedanteria bibliografica e cronologica, ma per dire che vale davvero la pena leggerlo o rileggerlo il sermone: pensarlo, meditarlo, ruminarlo e trarne le inevitabili riflessioni per l’oggi. Perché Agostino è “padre dei teologi” (secondo sant’Antonino di Firenze), “genio vasto, luminoso, fertile e sublime” (definizione di Fénelon), “maestro così maestro… un miracolo di dottrina… la biblioteca e l’arsenale della Chiesa, la lingua della verità” (Bossuet), colui che “ha riunito il passato all’avvenire” (Tixeront), “una delle poche personalità da cui tutti i tempi traggono luce ed ispirazione per i loro fini eterni, e che stanno esse medesime sopra tutti i tempi” (Rudolf Eucken). E perché, come incomincia il santo Dottore, “ogni nostra speranza è posta in Cristo. È lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria. È una verità, questa, ovvia e familiare a voi che vi trovate nel gregge di colui che porge ascolto alla voce di Israele e lo pasce. Ma poiché vi sono dei pastori che bramano sentirsi chiamare pastori, ma non vogliono compiere i doveri dei pastori…”.
L’Ipponense li circoscrive, li ammonisce, li sprona, li provoca, li critica. Constata che trascurano il gregge, mentre coltivano beatamente l’orticello dei propri interessi. In questo , però facendosi mantenere tra benefici e onori. Non sono vescovi magni, ma vescovi del magna-magna, specializzati nell’occuparsi degli affari propri. Predicano bene e razzolano male, a volte non predicano neanche bene. E “non basta che essi trascurino le pecore malate o deboli, sbandate e smarrite. Per quanto sta in loro, uccidono anche quelle che sono forti e in buona salute”. Un episcopato di deviati e deviatori, insomma.
Che razza di pastori sono quelli che, temendo di offendere gli uditori, non solo non li preparano alle tentazioni future, ma anzi promettono loro la felicità di questo mondo, felicità che Dio non promise neppure al mondo stesso! Egli predice che verranno sino alla fine sopra questo mondo dolori su dolori e tu vorresti che il cristiano ne sia esente? Proprio perché è cristiano soffrirà qualcosa di più in questo mondo!”.
Se la dottrina viene rovesciata, pervertita, è il caos delle anime. “È in questo modo che tu edifichi? Bada a ciò che fai, dove poni il fondamento! Tu poni sulla sabbia colui che stai cercando di edificare. Verrà la pioggia, strariperà il fiume, soffierà il vento, si abbatteranno su questa casa, ed essa cadrà e sarà grande la sua rovina. Toglilo dalla sabbia, mettilo sulla roccia, abbia il suo fondamento in Cristo colui che vuoi far diventare cristiano. Fa’ che volga lo sguardo alle sofferenze immeritate del Cristo, che guardi a colui che, senza peccato, paga i debiti non suoi. Fa’ che creda alla Scrittura la quale dice: Egli sferza chiunque riconosce come figlio”.
Merita davvero una rilettura il discorso di Agostino, fosse pure grazie alla Liturgia delle ore riformata: una lettura e un confronto con chi va a zonzo per il mondo predicando un Vangelo diverso dove la sofferenza non fa più parte del piano divino.
Léon Bertoletti  Settembre 17, 2019

Fede & politica / Ma come saremo giudicati?

Cari amici di Duc in altum, anche se l’ho pubblicato nel blog più di tre mesi fa, l’intervento del giovane prete sulla crescente separazione tra gerarchia cattolica e fedeli (Ecco perché il popolo non si riconosce più nei pastori) continua a suscitare vivaci reazioni. Ne è prova la lettera che vi propongo qui insieme a una replica del giovane prete (il quale, lo ricordo, è costretto all’anonimato a causa delle possibili ritorsioni che potrebbe subire da parte di quelli che io chiamo i “misericordiosi guardiani della rivoluzione”). Come leggerete, sia la lettera sia la replica affrontano questioni relative all’attualità politica, in stretta connessione con i contenuti del passo evangelico Matteo 25:35-40.
A.M.V.
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Il giovane prete e il suo manifesto politico: un cattivo esempio
Caro Aldo, vorrei commentare la prima lettera del “giovane prete” pubblicata sul tuo blog tre mesi fa. Una lettera che mi ha lasciato piuttosto perplesso.
Posso capire il suo dispiacere per la presunta mancanza di verticalità della predicazione di Francesco e dell’alto clero, ma trovo che l’affermazione di questo sentimento del tutto legittimo sia  stata utilizzata indebitamente  per veicolare valutazioni di carattere politico di chiara matrice reazionaria.
Infatti il giovane prete non si limita a sottolineare l’aspetto religioso del problema (cosa che gli compete assai come prete e come cristiano cattolico) ma si  addentra in numerose considerazioni politiche che per nulla attengono al suo ministero sacerdotale e che – in base alla sua logica – competerebbero al cittadino e non al prete che deve curare le anime.
Quindi la censura e la protesta nei confronti di ciò che lui ritiene il mainstream ecclesiastico attuale, a mio parere, si sono trasformate in un pessimo manifesto del pensiero salviniano.
Come giudicare altrimenti affermazioni quali “i risultati di queste ultime elezioni hanno sancito in modo evidente che la separazione tra i pastori e il popolo di Dio è ormai una tragica realtà”, oppure “Dio è con noi, non con voi”, dimenticando che di Dio si appropriarono sinistramente nei secoli scorsi coloro che tanti lutti seminarono in Europa e nel mondo. I infine i suoi  “non vogliamo una Chiesa che…”  altro non sono che l’affermazione di un orientamento politico marcatamente destrorso e reazionario.
Non sarà che il giovane prete, tutto preso a scalare la dimensione verticale della fede, si è dimenticato il passo evangelico relativo ai criteri che Cristo utilizzerà nel giorno del giudizio?
“Venite voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?  E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.” (Matteo 25:35-40)
Non sono certo io la persona più idonea a dare consigli a un credente, ma forse il giovane prete dovrebbe guardarsi dentro e cercare di capire le ragioni vere della sua lettera. Se sono squisitamente religiose, allora si limiti al richiamo a una maggiore dimensione verticale della predicazione che accompagni la dimensione orizzontale, ma eviti di addentrarsi (come invece ha fatto) in giudizi di tipo politico che tanto contesta all’alto clero.
Se invece sono anche politiche, allora sappia che questo lo accomuna ai tanti preti che nel dopoguerra trasformarono le omelie in comizi anti Fronte Popolare e di cui fortunatamente non sentiamo la mancanza, oppure salga su uno dei tanti palchi accanto a Salvini e brandisca con lui Vangelo e rosario. Forse risulterebbe più credibile di lui.
Un pensiero finale di carattere personale.
La pubblicazione acritica della lettera sul tuo blog, che è diventato riferimento per numerosi cattolici, a mio avviso, equivale ad un endorsement in toto delle affermazioni del giovane prete, sia di quelle di carattere religioso sia di quelle politiche. Ne hai tutto il diritto, ma la cosa mi rattrista.
Con immutato affetto
Giorgio Selmi
Rho (Milano)
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Cattolici, cioè liberi. E tutto dipende dalla fede
Caro Aldo, grazie per avermi girato la lettera del signor Giorgio Selmi. Mi permette di chiarire ulteriormente il mio pensiero.
Prima di passare ai principi, mi permetto di tranquillizzare Giorgio su un punto che mi riguarda personalmente: se venisse ad ascoltare le mie omelie, mai una volta sentirebbe accenni di comizio politico, che lascio volentieri a quei sacerdoti che trasformano regolarmente i pochi minuti di commento al Vangelo in una propaganda politica anti-Salvini, arrivando a paragonarlo al Diavolo (che in questo caso esiste davvero e non è solo simbolico!) e a leggere perfino gli eventi di Cristo da quella prospettiva. Sto pensando per esempio alla figura del Cristo “migrante”, risultato di una manipolazione insostenibile dei dati evangelici, per chiari fini politici.
Chiedo invece scusa se il mio intervento ha lasciato intravvedere un tono politico: la mia voleva essere solo una risposta che partiva dalla stessa prospettiva “politica” di tanti pastori che oggi governano la Chiesa. Come dire loro: volete fare politica perché ormai è questo che vi interessa? Bene, allora vi avverto che anche sotto questo profilo la maggioranza del popolo cristiano non vi sta seguendo. Parlate di “avere l’odore delle pecore”, ma siete lontani dai problemi della gente, che ormai vi considera una sorta di braccio spirituale del Pd. Ho sempre trovato interessante notare come molti articoli di critica interna al Partito democratico a commento dei risultati delle elezioni europee avrebbero potuto essere ripresi pari pari dall’attuale governance della Chiesa: se al posto di “Pd” avessimo messo “Cei”  il risultato sarebbe rimasto il medesimo. Entrambi interpretano la situazione italiana allo stesso modo: non c’è nessun problema legato alle migrazioni, è solo che il popolo è ignorante e quindi vota Salvini che parla alla loro pancia. Non credo sia un caso che dagli stessi ambienti ultimamente siano partite incredibili critiche al suffragio universale e si tema sempre più il ricorso alle urne: molto meglio un governo dei “responsabili”.
L’espressione “Dio è con noi, non con voi” era invece volutamente provocatoria, paradossale, con il chiaro intento di scuotere il lettore, un artificio linguistico da non prendere alla lettera. Lo so bene anch’io che il Gott mit uns è già stato usato nella storia in modo arbitrario, anche se non sempre. Quest’ultima precisazione mi permette di collegarmi alla frase dei comizi del dopoguerra contro il Fronte popolare che nessuno rimpiange più. In realtà ci furono momenti della storia in cui la gerarchia della Chiesa non se la sentì di stare a guardare e spronò i laici a prendere parte alla situazione socio-politica del momento, come nel caso citato da Giorgio, quando il mondo cattolico si mobilitò per avvertire dei pericoli imminenti in caso di vittoria comunista, il che portò il papa a comminare una scomunica a tutti coloro che l’avrebbero favorita con il loro voto.
Come cattolici dobbiamo rimanere liberi, tuttavia mi accorgo che lo siamo nella misura in cui è più forte la nostra fede. Meno fede abbiamo, più siamo in balia delle potenze di questo mondo. Poi si possono avere sensibilità diverse, ma non possiamo dividerci sulla fede e sulla morale. Un esempio splendido credo possa venirci dal cardinale Burke, da tanti bollato e disprezzato come un bieco “tradizionalista”. Ebbene, per le sue idee in difesa della cristianità si era avvicinato culturalmente a certe posizioni della destra americana alla Bannon, ma quando si è accorto che lo volevano strumentalizzare per altri fini si è tirato fuori. Questo è ciò che deve fare un vero cattolico. Vorrei vedere lo stesso coraggio da parte di quegli esponenti dell’Azione cattolica o degli scout o di altri movimenti ecclesiali davanti alle proposte portate avanti dal Pd circa l’eutanasia, l’eugenetica, la fecondazione eterologa, l’aborto, il gender, la liberalizzazione delle droghe, il matrimonio gay e le adozioni, l’utero in affitto, l’eliminazione dell’obiezione di coscienza, il divorzio veloce.
Il rapporto fede-politica, Chiesa-Stato non è semplicissimo da ricostruire.
Ricordo solo che la Chiesa è per la distinzione dei poteri, non per la loro separazione, principio invece di ispirazione liberale e massonico. L’autonomia delle realtà terrene non significa infatti la loro radicale indipendenza, perché tra terra e cielo c’è un rapporto reale, in quanto Cristo continua ad agire in esso, come ci ricorda anche il Padre nostro nell’espressione “come in cielo (il modello è la realtà divina) così in terra”. È Gesù a rivoluzionare la concezione del potere, il quale da sempre aveva utilizzato le religioni per assolutizzare sé stesso; dopo di lui, Cesare non può più pretendere di essere un dio e non può più avere potere assoluto sulle persone e sulle cose. In questo modo nasce una nuova pagina per la libertà umana: a Cesare quel che è di Cesare, poiché vi sono beni indisponibili che appartengono solo a Dio. La storia politica moderna può essere letta anche come il graduale tentativo di abbattere questa limitazione, che ebbe la piena espressione nei totalitarismi del Novecento.
Infine due parole sui criteri del giudizio universale in Mt 25, 35-40.
Spesso questa pagina del Vangelo è letta nel modo seguente: non importa se hai la fede o meno, l’importante è che fai del bene. Ora, che cosa c’è di vero in questa lettura? Il Signore Gesù in questo passo vuole ricordarci che non importa che diciamo di avere la fede se poi questa non produce i frutti conseguenti. È l’estensione a tutti noi del problema che ebbe Lucifero: anche lui sapeva che Dio era Dio, ma non lo amava. Gesù ce lo ricorda: non basta sapere chi sono, occorre anche dimostrarlo con la carità, perché Dio è amore.
Questo però non ci autorizza a credere che la confessione esplicita della fede sia ininfluente. Infatti non si può isolare questo brano dai tanti altri che ne sottolineano l’importanza.
Gesù mette in guardia contro chi si ostina a non credere: “Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati” (Gv 8, 24). Ossia: andrete alla dannazione eterna se non crederete nella mia divinità, se non crederete che sono io, l’”Io sono” pronunciato da Dio a Mosè. Perché “chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui” (Gv 3,35-36). E questo vale in ogni epoca per tutti coloro che scientemente hanno rifiutato Cristo.
“Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10, 32-33) e “Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi” (Lc 9,26).
Pertanto san Paolo ci ricorda che “se con la tua bocca proclamerai: Gesù è il Signore! e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rom 10,9).
Vorrei concludere rivolgendomi direttamente a Giorgio, riprendendo un’immagine di Chesterton.
Sono sacerdote da pochi anni e mi accorgo giorno dopo giorno di quanto la fede cattolica sia un edificio in equilibrio perfetto, le cui pietre possono sempre essere scheggiate o per difetto o per eccesso. Gran parte della storia della Chiesa è lotta contro le idee pericolose, perché la Chiesa sapeva benissimo quali enormi conseguenze negative ne sarebbero derivate per la vita e la felicità degli uomini. È sempre facile essere un matto o un eretico; è facile seguire la mentalità del tempo; è facile essere un modernista che segue una moda dopo l’altra o uno che non si lascia mai interpellare davvero dalla vita. È facile cadere, ma c’è un solo punto sul quale si può stare in piedi; è il punto della verità che, indomita, può oscillare ma non cadrà mai.
Ecco, è questo punto che oggi sta subendo un attacco senza precedenti, perché è la prima volta che stiamo assistendo allo spettacolo tragico di una gerarchia che non solo è disimpegnata nella difesa, ma sembra essere (è?) parte attiva di questa aggressione. Ecco ciò che sta rattristando me e, credo, anche i tanti fedeli che scrivono a te, caro Aldo.
Il giovane prete

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