Un graffiante pensiero dello scrittore Phil Lawler dopo aver letto un articolo di La Civiltà cattolica scritto da padre Antonio Spadaro e Mauricio Lopez Oropeza, segretario esecutivo della Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica (REPAM). L’articolo è stato pubblicato su Catholic Culture. Eccolo nella mia traduzione.
Un articolo pubblicato la settimana scorsa su La Civiltà Cattolica – la rivista curata da padre Antonio Spadaro, uno dei più stretti collaboratori del Papa: Il Sinodo dell’Amazzonia è chiamato ad essere un’occasione di “conversione”. Leggete attentamente l’intero saggio (se riuscite a destreggiarvi attraverso la tormenta del gergo ecclesiastico), e potreste avere l’impressione che l’obiettivo sia la conversione della Chiesa cattolica, non quella dei popoli della regione amazzonica.
La chiamata alla conversione viene dalle periferie, ci dice Civiltà Cattolica, e “la Chiesa è chiamata ad ascoltare la sua voce e ad assumere l’impegno alla conversione”. Il Sinodo, ci viene detto, non può aspettarsi di cambiare la gente dell’Amazzonia, perché “la periferia può contribuire alla trasformazione del centro nella misura in cui non perde la sua identità”.
Quindi dobbiamo trasformare la cultura della Chiesa, ma non quella dell’Amazzonia? Cioè, per usare un eufemismo, non l’atteggiamento dei missionari cattolici delle generazioni precedenti. Ma poi, una delle figure chiave di questo Sinodo è un vescovo che si vanta di non aver mai battezzato un membro delle tribù indigene amazzoniche.
E anche Civilta ha un nuovo approccio al lavoro missionario, come diventa evidente più avanti nel saggio:
Se il sogno di Dio è la redenzione dell’umanità,…..
Il sogno di Dio?
Di Sabino Paciolla
“Forse la cosa più intrigante di tutte, il voto di sabato arriverà a 10 anni dal giorno in cui Benedetto XVI ha pubblicato un motu proprio (Omnium in mentem) che apporta una leggera modifica al Codice di diritto canonico, modificando il Canone 1009 perché si legga che ‘coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterio ricevono la missione e la capacità di agire nella persona di Cristo Capo, mentre” – cioè, al contrario, “i diaconi hanno il potere di servire il popolo di Dio nei ministeri della liturgia, della parola e della carità’.”
Così Rocco Palmo in questo suo articolo pubblicato su Whispers in the loggia che vi propongo nella mia traduzione.
Come contrappasso, sarebbe un punto per i libri [di storia] – dopo che gli oppositori tradizionalisti del Papa hanno rubato ieri all’alba da una chiesa romana le tanto sbandierate statue di donne amazzoniche e le hanno gettate nel Tevere, le vere donne amazzoniche potrebbero emergere dal “fiume” di questo Sinodo rivestite con la stola dell’Ordine Sacro.
Con la bozza del Documento Finale di questo fine settimana, ora in discussione tra i 12 gruppi di lavoro linguistici del raduno, un articolo di Chris Lamb del Tablet di Londra riferisce che una proposta per l’ordinazione delle donne al diaconato permanente in Amazzonia è entrata nella fase attuale del testo finale.
Anche se non sorprende, data l’esplicita apertura all’idea da parte della maggioranza dei circuli minores nei loro rapporti del venerdì, che la pura prospettiva di ordinare le donne sia contenuta in un documento vaticano – anche in forma preliminare – è sconcertante a un livello tale che, a questo ritmo, poche cose lo sono veramente. Eppure, anche se il prodotto finale è nelle mani del gruppo di redazione di 13 persone guidato dal Relatore generale, il cardinale brasiliano Claudio Hummes OFM, si può scommettere la casa che nulla sarebbe stato messo sul tavolo senza l’approvazione implicita di Francesco….. e così, l’idea di estendere il sacerdozio agli uomini sposati in Amazzonia – e, per questa ragione, l’ammissione delle donne ai ministeri istituiti di lettore e accolito – improvvisamente non appare dopo tutto così grande.
Detto questo, mentre la discussione e le proposte di emendamento alla bozza finale continuano all’interno dei piccoli gruppi, c’è ancora molta strada da qui a venerdì, quando le proposte finali – di solito oltre 100 in tutto – saranno presentate in Aula prima del voto di sabato, dove ogni proposta deve ricevere due terzi dell’approvazione dei 185 chierici (cioè 124 “placets”) per passare. E ancora, data l’ormai esplicita possibilità che il Papa possa semplicemente ratificare a suo piacimento un Documento Finale del Sinodo come testo del Magistero, la posta in gioco è più alta di quanto molti avrebbero previsto.
In questo senso, non sarebbe sorprendente se il vandalismo di ieri e il lancio (nel Tevere, ndr) delle immagini indigene di una donna nuda e incinta – che vari commentatori ritengono rappresentative di tutto, dalla Madonna alla Madre Terra agli “idoli pagani” – avesse almeno un qualche effetto sul conteggio dei voti per una diaconato femminile, o un passo significativo verso di esso….. e, per la verità, tale effetto probabilmente non sarebbe un aumento dell’opposizione alla proposta, ma il suo contrario. Semmai, anche prima che lo spettacolo sfacciato di ieri fosse diffuso in mondovisione dai suoi autori su YouTube per la gioia dei critici di Francesco – mentre il Vaticano lo ha definito come un atto di “odio” e “disprezzo” – non ci vuole molto per capire che l’isteria da “Statue-gate” abbia attutito un senso di preoccupazione e critica ragionata su un ministero femminile in Amazzonia, soprattutto a causa del suo potenziale impatto globale. Quindi, se questo finisce per essere l’esito di sabato, gli attivisti di lunga data sull’argomento – che, fino a poco tempo fa, hanno reso indignati più che altro i lobbisti che inondano Roma per eventi come questi – potrebbero avere da ringraziare persino le loro controparti ancora più folli dall'”altra parte“.
In ogni caso, l’assioma rimane che “il processo è processo”, e se la proposta rimane nella bozza finale di venerdì, la sua precisa formulazione sarà determinante del risultato. Di conseguenza, è da notare che il team di redazione del documento finale ha quattro figure particolarmente abili nel gestire le sfumature dei passaggi procedurali: al di là di Hummes, il neoeletto cardinale canadese Michael Czerny SJ (che ha recentemente affermato che l’ordinazione delle donne a sacerdoti “non dovrebbe essere fuori dal tavolo“) è un membro d’ufficio del gruppo come segretario di questa assemblea, così come il capo del Sinodo il cardinale Lorenzo Baldisseri (un veterano diplomatico di alto livello con una specialità nelle trattative), e, soprattutto, il cardinale viennese Christoph Schönborn OP – uno dei redattori del Catechismo universale come teologo “bambino prodigio” – che ha espresso nei giorni scorsi una palpabile cautela riguardo ai “sacerdoti viri probati”, ma non ha mostrato tali preoccupazioni riguardo all’ordinazione delle donne al diaconato (che “un giorno” sarebbe avvenuta)..
Forse la cosa più intrigante di tutte, il voto di sabato arriverà a 10 anni dal giorno in cui Benedetto XVI ha pubblicato un motu proprio (Omnium in mentem) che apporta una leggera modifica al Codice di diritto canonico, modificando il Canone 1009 perché si legga che mentre “coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterio ricevono la missione e la capacità di agire nella persona di Cristo Capo, mentre” – cioè, al contrario, “i diaconi hanno il potere di servire il popolo di Dio nei ministeri della liturgia, della parola e della carità.”
Poiché il testo originale del canone del 1983 includeva i diaconi tra coloro che “compiono, nella persona di Cristo Capo, gli uffici di insegnare, santificare e governare”, l’alterazione di Benedetto è stata a lungo considerata da alcuni come un potenziale ostacolo alla proposta ora in discussione. Ancora una volta, quindi, sembrerebbe che i precedenti di Papa Ratzinger si siano ritorti contro lui stesso.
Mentre la “tabella di marcia” del giorno di apertura di Hummes al Sinodo non menziona esplicitamente le diaconesse – affermando semplicemente che, alla luce del “gran numero di donne che oggi guidano le comunità amazzoniche, c’è una richiesta che questo servizio sia riconosciuto e ci sia un tentativo di consolidarlo con un ministero adeguato per loro” – il responsabile della manifestazione ha avuto un passaggio più istruttivo altrove nella sua relazione iniziale, tanto più significativo se letto dopo il fiasco del weekend:
È il movimento in avanti che rende la Chiesa fedele alla sua vera tradizione. Il tradizionalismo, che rimane legato al passato, è una cosa, ma la vera tradizione, che è la storia viva della Chiesa, è un’altra cosa attraverso la quale ogni generazione, accettando ciò che è stato tramandato dalle generazioni precedenti, come comprendere e sperimentare la fede in Gesù Cristo, arricchisce questa tradizione nei tempi attuali con la propria esperienza e comprensione della fede in Gesù Cristo.La luce significa annunciare Gesù Cristo e praticare instancabilmente la misericordia nella tradizione viva della Chiesa. Significa indicare il cammino da seguire per andare avanti in modo inclusivo, in modo da invitare, accogliere e incoraggiare tutti, senza eccezioni, come amici e fratelli, rispettando le differenze tra noi.“Nuovi percorsi”. Non bisogna temere il nuovo. Già nell’omelia di Pentecoste del 2013, Papa Francesco aveva espresso l’idea che “La novità ci fa sempre un po’ paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, programmare e progettare la nostra vita secondo le nostre idee, il nostro conforto, le nostre preferenze…..”. (…..) Temiamo che Dio ci costringa a percorrere nuove strade e ad abbandonare i nostri orizzonti troppo stretti, chiusi ed egoistici per aprirci ai suoi. Eppure, lungo tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela, porta novità – Dio porta sempre novità – ed esige la nostra completa fiducia”. Nell’Evangelii Gaudium (n. 11), il Papa raffigura Gesù Cristo come “eterna novità”. Egli è sempre nuovo, è sempre la stessa novità, “ieri, oggi e per sempre” (Eb 13, 8). Ecco perché la Chiesa prega con le parole: “Manda il tuo spirito e saranno creati, e tu rinnoverai la faccia della terra”. Quindi non dobbiamo temere la novità, non dobbiamo temere Cristo, il nuovo. Questo Sinodo è alla ricerca di nuove vie.
….e, chiaramente, qualsiasi passo verso le donne negli ordini farebbe la cosa più “nuova” di tutte.
Mentre l’inculturazione è chiaramente emersa come il punto focale di questo Sinodo – e se siete sorpresi, iniziate a prestare attenzione – come precedentemente riportato, la riunione vaticana non è che un elemento di questo ciclo autunnale in cui il tema sempre più carico è un filo conduttore.
Poiché il mese prossimo porta il tanto atteso pellegrinaggio del Papa in Giappone – una visita particolarmente significativa per Francesco, per non parlare del fatto che la sua destinazione è stata per secoli il primo campo di battaglia della tensione tra la cultura locale e le decisioni di Roma – l’apertura del Sinodo ha coinciso con una lettera aperta dell’arcivescovo di Tokyo, Peter Takeo Okada, recentemente ritiratosi, che ha chiesto un maggiore rispetto per l’inculturazione come prima chiave per consentire il rinnovamento ecclesiale: un percorso che, ha detto, doveva iniziare con Roma stessa.
Prendendo atto della storica resistenza del Vaticano alle petizioni dei vescovi giapponesi – che si è estesa negli ultimi anni – Okada ha espresso i suoi appelli per “inculturazione, decentramento, [e] spiritualizzazione” nella speranza che la Santa Sede possa “diventare santa come indica il suo nome”.
“Chiediamo umilmente il riconoscimento della nostra capacità di decidere” il percorso ottimale per la Chiesa locale, scrive Okada.
Mentre Francesco non ha ancora rilasciato una risposta al prelato giapponese, è probabile che l’ottica e la messaggistica per tutta la visita di novembre sarà una risposta memorabile.
Nel frattempo, dato che le chiamate di Okada sono arrivate nel contesto della Conferenza episcopale, un’altra proposta, che probabilmente figurerà nel testo di chiusura del Sinodo in corso, “abbatterebbe confini” di tipo diverso. Al di là della previsione di un Rito amazzonico che rifletta le realtà “liturgiche, teologiche, disciplinari e spirituali” uniche della regione, un piano meno drammatico, ma ancora significativo, sollevato nei resoconti del “primo tempo” di venerdì, vedrebbe le diocesi dei nove paesi dell’Amazzonia unite nella propria conferenza episcopale transnazionale – una mossa senza precedenti nella chiesa latina.
Data la competenza standard delle Conferenze episcopali a regolare le questioni liturgiche e disciplinari all’interno dei rispettivi territori (anche se subordinata all’approvazione della Santa Sede), l’erezione di una struttura pan-amazzonica di governo da parte di Roma avrebbe apparentemente l’effetto di lasciare che i vescovi della zona determinino da soli il cammino futuro della loro chiesa – o, come è stato definito, di “Salva l’Amazzonia con l’Amazzonia” – e di rimuovere almeno alcuni potenziali punti caldi dall’ordine del giorno delle votazioni di sabato.
Tutto sommato, per tutti i mesi di preparazione, suspense e agitazione, solo ora le cose stanno diventando davvero interessanti. Il fatto è, però, che è così che funziona il processo – e qualunque sia la propria impressione, il processo non può essere gettato nel Tevere.
Di Sabino Paciolla
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