ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 2 ottobre 2019

L'intervento diretto del primo giocatore

Lo scacco matto di Dio

https://aleteiaitalian.files.wordpress.com/2016/08/scacchi-gallery.jpg?quality=100&strip=all&w=620&h=310&crop=1(immagine aggiunta)
Cari amici di Duc in altum, vi propongo volentieri questo contributo di don Alberto Strumia. Una “parabola” che prende spunto dal gioco degli scacchi per arrivare a conclusioni che riguardano da vicino noi e l’attuale fase vissuta dalla Chiesa.
A.M.V.

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La “parabola” della partita a scacchi
Porto con me un ricordo molto caro di mio zio – il fratello di mio “babbo”, come si usa chiamare affettuosamente in Romagna il proprio padre – che da parecchi anni mi vede dal Cielo. E tra i ricordi di bambino e ragazzo conservo anche quello della sua figura come appassionato e abile giocatore di scacchi – in partite che si svolgevano al “circolo cittadino” che frequentava regolarmente alla sera – e vincitore anche di tornei locali.
A volte ci divertivamo, mio babbo ed io, a sfidarlo insieme (due principianti contro uno navigato) per imparare, da lui, a giocare meglio. La cosa curiosa e divertente era vederlo “lasciarci fare tutto”, dandoci l’impressione di essere noi a dominare la partita verso la nostra vittoria. Si faceva “mangiare” diversi pezzi, uno dopo l’altro, addirittura fino al “pezzo forte”, la regina. A quel punto iniziava a intervenire per davvero lui. Con poche mosse portava un pedone al fondo della scacchiera, venendo “promosso” come si dice in gergo, fino a riconquistare la regina precedentemente perduta. In un attimo, dopo alcune mosse ci aveva “inchiodato” dandoci scacco matto. A quel punto la partita era vinta a suo favore e la sproporzione tra la sua padronanza delle regole del gioco e la nostra fragile esperienza era incontestabile.
Ad alcuni decenni di distanza, nel tempo, mi è riaffiorato alla mente questo ricordo, non solo come qualcosa di delicatamente personale, ma addirittura in “chiave teologica”, quasi come una “parabola” (nel senso evangelico del termine, ma in questo caso le virgolette sono d’obbligo!) applicabile all’attuale situazione storica, civile ed ecclesiale che ci troviamo ad affrontare. Cerco di darne la spiegazione.
1) La scacchiera è il mondo.
2) La partita è la storia dell’umanità nella quale vive la Chiesa.
3) Il bianco è il colore del primo giocatore, Dio creatore, e il nero è il colore del secondo giocatore, che sono tutte le creature che vogliono sfidarlo per vincerlo e prendere il suo posto (gli angeli ribelli divenuti demoni e gli uomini dopo il peccato originale. Con la differenza che mentre noi due – io e il babbo – sfidavamo lo zio per gioco, nel mondo reale Satana e coloro che lo seguono fanno sul serio).
4) Il bianco ha la prima mossa (la creazione).
5) Il nero ha la seconda mossa (la ribellione del peccato).
6) Il primo giocatore, che è onnipotente e onnisciente, lascia che il secondo giocatore (Satana con i suoi angeli e gli uomini che si consegnano a lui) faccia il gioco che vuole, fino a pretendere di capovolgere le regole che Egli ha messo nella natura creata e nel profondo della natura umana (i comandamenti, la legge morale naturale). Si assumeranno essi la responsabilità delle conseguenze negative che ricadranno inevitabilmente su di loro.
7) Il primo giocatore, che è onnipotente e onnisciente, ai nostri giorni ha avuto la libertà e il “coraggio” di lasciar smantellare, in gran parte, anche la cosa più preziosa che suo Figlio, Gesù Cristo, ha ideato e fatto nascere nella storia degli uomini: la Chiesa.
8) Il lasciarsi “mangiare” la regina non si è ancora del tutto compiuto, ma verosimilmente potrà accadere e sarà la contraffazione dell’Eucaristia, del sacramento dell’Ordine e degli altri sacramenti. Già troppe profanazioni ci sono state e i luoghi sacri, le chiese, sono state adibite agli usi più profani e volgari.
Il prossimo sinodo sull’Amazzonia – se ci si deve basare sul documento preparatorio, definito come “apostasia” da alcuni cardinali e vescovi fedeli al depositum fidei che hanno invitato tutti noi al digiuno e alla preghiera perché non si arrivi a tanto – si presenta come un “colpo di mano” che prepara la strada alla realizzazione dell’ottavo punto di cui sopra.
Come è stato osservato, una sorta di  “concilio Vaticano III” pare essere in attuazione, in una forma frammentata, attraverso più sinodi, a incominciare da quelli recenti sulla famiglia, quello sui giovani e il prossimo sull’Amazzonia. E forse altri ancora se i precedenti non bastassero (un paventato sinodo in Germania?). Non è forse un rituale magico-satanico quello che dovremmo imparare dalle “culture tribali” di alcune aree dell’Amazzonia? Lo scopo di questa operazione sarà quello di dissolvere gradualmente la Chiesa cattolica, in una prima fase (in parte già attuata) in una miriade di comunità simil-protestanti, e infine in una pseudo-religione gnostica, sincretista e magico-satanista.
Se tutto questo accadrà si potrà dire che il primo giocatore della “parabola”, quello del colore bianco, ha spinto il gioco fino a farsi “mangiare” la regina. A quel punto, stando sempre all’idea, forse fantasiosa ma non troppo, della “parabola”, Egli interverrà direttamente, in poche mosse riconquisterà tutto e darà scacco matto al secondo giocatore, quello del colore nero, Satana con i suoi angeli e gli uomini che hanno collaborato con lui.
Per ora la prudenza impone di non spingersi oltre con la fantasia (o sarebbe meglio dire con il coraggio del giudizio) e suggerisce di pregare seriamente, affidando la partita alla Vergine Maria e a tutti i santi del cielo perché ottengano l’abbreviarsi dei tempi dell’intervento diretto del primo giocatore, che ha già vinto la partita essendo lui l’inventore delle regole del gioco e il Creatore della scacchiera e dei giocatori. La croce di Cristo redentore, centro del cosmo e della storia, che campeggia nella sala nella quale viene giocata la partita ha già realizzato questa vittoria finale che noi attendiamo sia presto pienamente manifestata.
“Gesù, morendo per noi e risorgendo, ha già vinto il mondo con tutte le sue aggressioni e le sue sempre ripullulanti malizie” (cardinale Giacomo Biffi, Omelia in occasione della festa della dedicazione della cattedrale di San Pietro a Bologna, 19 ottobre 2000).
don Alberto Strumia
Nuovo umanesimo e vecchie zie


Ecco la nuova parola d’ordine italiana, europea ed ecumenica, il concetto chiave per la collezione autunno-inverno della politica, della religione e della cultura: il nuovo umanesimo. In principio ne ha parlato Massimo Cacciari col suo libro La mente inquieta (Einaudi), ma collegandolo all’umanesimo vero e proprio, nel tempo che precede la modernità. Poi fu immesso nell’arena politica dal trasformista Giuseppi Conte (l’uso del plurale da parte di Trump è un lapsus che ben definisce la presenza di più Giuseppi in un Conte solo) che lanciò un nuovo umanesimo per dare fondamento etico al suo governo di voltagabbana. Al nuovo umanesimo ha alluso anche Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea, riferendosi allo stile di vita europeo, aperto, accogliente, sensibile ai diritti umani.
Ma la più grande predica sul nuovo umanesimo l’ha fatta Papa Bergoglio, insieme all’ecologismo. In una religione ridotta a soccorso umanitario, che mette tra parentesi Dio e i credenti, per occuparsi dell’uomo in generale e dei migranti in modo speciale, l’appello di Bergoglio evoca “la religione dell’umanità” di Auguste Comte, il filosofo positivista, che abbinò il culto dell’umanità – sorto sulle spoglie della religione tradizionale e sulla scomparsa di Dio – al culto della Terra, il Grande Feticcio. E fondò su queste basi umanitarie una Chiesa positivista, di cui vi è ancora traccia in Sud America, in particolare in Brasile. Il nuovo umanesimo di Bergoglio somiglia pure al Nuovo Cristianesimo di Saint Simone, anch’egli positivista e fondatore del socialismo in Francia, che prospettò nel 1825 un Cristianesimo senza Dio, risolto nell’amore del prossimo. Bergoglio è sui loro passi?
Il sottinteso del nuovo umanesimo per coloro che l’hanno evocato è l’accoglienza dei migranti. Umanesimo per loro vuol dire non riconoscere più confini, nazioni, identità e civiltà che non coincidano con l’umanità intera. È l’utopia cosmopolita e filantropica, comtiana e saintsimoniana, comunista e marxista che torna nelle vesti papali di Bergoglio e dei suoi corifei. Questa prospettiva umanitaria evoca più la matrice laico-illuministica, atea, massonica, che l’umanesimo integrale e cristiano di Maritain o Mounier o d’altri. L’umanesimo per Bergoglio è nuovo non solo perché differisce dal vecchio umanesimo, pagano e classicista; ma perché si riferisce alla “nuova umanità” che approda sulle nostre coste.
A questo messaggio evangelico o ideologico vorrei opporre tre obiezioni.
La prima è che questa retorica umanitaria verso i migranti trascura il grosso dell’umanità: i restanti. Ovvero coloro che restano nella loro terra, nella loro vita, a volte nella loro civiltà e religione. Tra i restanti ci sono molti più bisognosi che tra i migranti, perché molti di loro, se pure lo volessero, non avrebbero nemmeno le risorse, l’età, la forza per partire. Se i migranti sono milioni, i restanti sono miliardi sulla terra. La Chiesa, il mondo, non dovrebbe occuparsi prima di loro? Un discorso analogo vale quando il Nuovo umanesimo pone l’accento sui diversi: e della gente comune, delle famiglie comuni, dei cosiddetti normali, chi se ne occupa? Eppure hanno anche loro bisogni e problemi e sono miliardi nel mondo, mentre i diversi sono milioni.
Ma c’è un principio che viene usato nel nome del Vangelo come un argomento risolutivo: la carità verso i nostri fratelli lontani, sconosciuti, stranieri. Ma dei fratelli a noi più vicini, più cari, più famigliari, chi se ne occupa? Qui ci soccorre non un filosofo qualsiasi, ma il principale dottor Angelico della Dottrina cristiana, San Tommaso d’Aquino. Nella Summa teologica, in particolare nella Questione 26, San Tommaso stabilisce una gerarchia ben precisa: Dio dev’essere amato più del prossimo e di noi stessi; l’uomo deve amare se stesso più del prossimo ma deve amare il prossimo più del proprio corpo; tra i prossimi alcuni sono da amarsi più degli altri secondo il principio di prossimità, cioè di vicinanza: ovvero si devono amare di più i congiunti e coloro che sono uniti da vincoli di sangue; quindi le persone buone, poi tutti gli altri, per gradi. È l’ordine della carità, secondo natura e secondo ragione, che ci impone una gerarchia dell’amore. La grazia non abolisce l’ordine della natura, che ha sempre Dio come autore, nota l’Angelico. È la nostra indole naturale, la nostra umanità, che ci spinge ad amare più chi ci è caro e vicino rispetto a chi ci è ignoto e remoto. Un padre non può amare allo stesso modo i propri figli e quelli di persone sconosciute, non sarebbe un buon padre, anzi sarebbe snaturato; una moglie non può amare un viandante più di suo marito, e viceversa; un Papa non può preferire i lontani senza fede ai fedeli che sono spiritualmente figli suoi. Lo dicevano anche Dostoevskij e il nostro Leopardi: l’amore astratto per l’umanità si accompagna di solito all’indifferenza se non al fastidio, all’odio verso chi è vicino.
E infine, un nuovo umanesimo che cancellasse le identità, rimuovesse le origini e le appartenenze, esortasse a violare i limiti e varcare i confini e facesse prevalere i propri desideri sulla propria realtà, i diritti sui doveri, la propria volontà sui legami sociali, naturali ed affettivi, cosa avrebbe ancora di umano? Cosa resta di umano in quest’umanità sradicata e intercambiabile, in cui le identità sono revocabili e prive di significato? Non è il trionfo dell’individualismo sulla persona e del globalismo sulla comunità? Altro che umanesimo, è il nuovo ordine mondiale.
MV, Panorama n. 40 (2019)

Rosari da combattimento

Il problema dell'oggettistica sacra è il kitsch



“Quando brucia il tetto, non serve né pregare né lavare il pavimento. Comunque pregare è più pratico” scrisse Karl Kraus. Mentre la Chiesa sta bruciando, mentre due millenni di dottrina e devozione stanno andando in fumo, mentre a Bologna stanno minando anche il ricettario cattolico, islamizzando i tortellini cari al cardinale Biffi (sebbene, me lo garantisce Carlo Giovanardi, l’arcivescovo Zuppi non ne sapesse nulla e l’iniziativa del tortellino senza maiale sia di una sfoglina), io, sempre pragmatico, compro rosari. Il problema dei rosari, e dell’oggettistica sacra in generale, è l’estetica disperante, la plastica, la paccottiglia, insomma il kitsch. Sembrava che un rosario decente fosse reperibile solo in antiquariato. E invece sul sito di Manente Rosari ho trovato bei rosari contemporanei, essenziali, solidi, con grani di lucente acciaio (alcuni opportunamente denominati “rosari da combattimento”). Non ho comprato rosari completi, al di là della mia portata di uomo di poca fede, poca pazienza e poco tempo, ho comprato rosari-decina: meglio dieci Ave Maria che nessuna Ave Maria, e per quanto riguarda la Chiesa sarà quello che il suo divino fondatore vorrà.



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