Rete4 “Dritto e Rovescio”: Padre Ariel S. Levi di Gualdo non è uno che perde le staffe, se lo fa non è per impulso emotivo ma per calibrata scelta. Se poi si invita un leone in un’arena è improbabile che questi faccia il gattino domestico
… trovandosi in una vera arena Padre Ariel ha dimostrato in concreto di essere un “animale da palcoscenico”, forse senza saperlo neppure lui. Infatti non poteva, «in coscienza», come ha chiarito, tacere e soprassedere dinanzi a quei casi rari e limite, fungendo da silenzioso figurante dinanzi a una passerella di “ex” sacerdoti che ostentavano con orgoglio i rispettivi “mariti”, con tanto di “ex” prete visibilmente disturbato a livello psicologico che indicando il proprio “marito” ha ripetuto più e più volte «questo bel ragazzo», «guardate come è bello».
Guardo la televisione di rado.Dall’ingresso in convento – quasi vent’anni fa – i ritmi si sono uniformati a una certa forma vitae che mi ha condotto a modificare molto le abitudini. Grazie a Dio questo è stato un bene che ha giovato molto alla mia salute spirituale e alla mia umana intelligenza.
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Tra queste nuove abitudini si annovera quindi la televisione che non guardo, almeno così come la guardavo da ragazzo, dopo cena, a casa delle buonanime dei miei genitori. Sempre alla costante ricerca di una puntata di Superquark, di un film horror o di una scazzottata di Bud Spencer che mi facesse svagare dopo una giornata passata all’università. Ciò malgrado il 31 ottobre, a Dritto e Rovescio, la trasmissione Mediaset condotta dal buon Paolo Del Debbio, ho avuto modo di sapere con tutto il debito anticipo che tra gli ospiti ci sarebbe stato anche il nostro caro Padre Ariel S. Levi di Gualdo, anima della nostra beneamata rivista L’Isola di Patmos. Per questo motivo non ho potuto esimermi dalla visione della trasmissione, sfidando l’ora tarda e il sonno. Detto questo debbo precisare che appena ricevuto l’invito, Padre Ariel si è consultato anzitutto con noi suoi confratelli e stretti collaboratori per l’opera apostolica di questa rivista, chiedendoci consiglio sulla opportunità o meno a partecipare.
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Storco sempre il naso quando vengo a sapere di preti che intervengono in trasmissioni televisive o radiofoniche. Sono antico, lo so, forse vintage, ma non biasimatemi per questo. Notoriamente, quando i preti vengono invitati in televisione, non fanno mai belle figure e, nella maggior parte dei casi sono raffigurati come i rappresentanti di un certo pensiero oscurantista, retrogrado e grottesco della peggiore fatta. Da questa nicchia televisiva si salvano ovviamente le emittenti cattoliche come TV2000, Tele Radio Padre Pio e poche altre.
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L’immediatezza del linguaggio televisivo, la repentinità della diretta coi suoi tempi e ritmi serrati costituiscono una trappola insidiosa in cui il prete cade molto facilmente. C’è infatti poco da fare: per stare in televisione bisogna avere le physique du rôle, bisogna essere un animale da palcoscenico, avere la battuta pronta, sapersi difendere all’occorrenza e persino “aggredire” a titolo di “legittima difesa” interlocutori che mirano a sviare discorsi o sovrastare gli altri. Pochi sanno fare il tutto egregiamente bene, in particolare sacerdoti e religiosi. L’immediatezza non è una caratteristica propria del prete, egli si muove col passo di Dio, col cronometro di Colui che non fa differenza tra il minuto e il secolo. Per il prete il tempo è un concetto chiaramente teologico più che fisico, è una manifestazione metafisica che riporta alla pacatezza e alla contemplazione di Dio.
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Volete una prova di questo? Tra i più giovani, il prete e la religiosità diventano sinonimi di lentezza e noia: la messa è lunga, l’omelia non finisce più, i canti fanno perdere tempo e via con tutto il solito campionario. Ecco perché reputo utile e saggio per il prete astenersi da certi salotti televisivi, semplicemente perché non sono adatti al suo ruolo e alla sua persona. Mai si è del tutto consci su cosa verterà l’intervista, su quali ospiti interverranno, quale sarà il taglio con cui sarà presentato un determinato argomento.
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Forse sarebbe opportuno introdurre una norma canonica che concedesse il permesso di partecipare a programmi televisivi o radiofonici dopo aver avuto l’obbedienza dal proprio ordinario diocesano o religioso. Troppi preti, purtroppo, vanno girando per gli studi televisivi a dare l’immagine della loro idea soggettiva di Chiesa Cattolica, per non parlare di quelli che si presentano dichiarandosi come preti contro-tendenza o fuori dal coro. Si è preti per essere liberamente in tendenza e nel coro della Chiesa Cattolica, altroché! Detto questo è bene rendere partecipi i nostri numerosi Lettori di ciò che noi Padri de L’Isola di Patmos sappiamo: Padre Ariel ha un senso molto profondo di appartenenza alla Chiesa, altrettanto profonda la sua venerazione per il sacro ordine sacerdotale che costituisce per lui una dignità di istituzione divina sul cui rispetto non transige. Sa bene di non essere un “libero cittadino” e, come tale, mai si è comportato. Si sente intimamente parte della Chiesa, nella corrente della Chiesa e nel coro della Chiesa, quindi vincolato per libera scelta e solenne promessa all’obbedienza al vescovo, che ha immediatamente avvisato, dopo essersi consultato con noi, informandolo che avrebbe partecipato a questo programma televisivo. Tutti questi sono passaggi che denotano anzitutto una corretta concezione dell’idea di Chiesa, di Sacerdozio e di Autorità, che è bene precisare e accentuare, perché così dovrebbe essere per tutti.
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Padre Ariel entra in scena a Dritto e Rovescio nell’ultima parte della serata della trasmissione, all’interno dell’approfondimento sul Sinodo Amazzonico e sulla questione dei viri probati e sul celibato sacerdotale. Con lui intervengono anche Mario Adinolfi, Giuseppe Cruciani, un sacerdote campano e un sacerdote che ha chiesto la dispensa dagli obblighi sacerdotali e che ha contratto felicemente matrimonio con una donna. Insomma, a vederla così, ci sono tutti gli ingredienti per una serata di confronto e di dialogo su un tema spinoso ma che può essere affrontato con serietà, quindi con quella competenza filosofica, teologica e storica che a Padre Ariel può essere negata solo da certi anonimi appartenenti al Cammino Neocatecumenale che, irritati per l’ultimo suo libro su La Setta Neocatecumenale, lo stanno subissando tutt’oggi di insulti, centinaia dei quali giunti alla nostra redazione e pubblicati nei tre articoli di presentazione a quest’opera. In tal modo tentano di tacciarlo di incompetenza, pur senza avere lette neppure tre righe di quel lavoro, che merita invece di essere letto, sia per com’è costruito a livello documentale sia per com’è scritto [cf. QUI].
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In apertura, l’argomento del celibato è stato introdotto dalla love story di un sacerdote che ha sposato una sua catechista dopo aver chiesto la dispensa dagli obblighi del celibato sacerdotale. Tale testimonianza era ovviamente funzionale a suscitare il dialogo sulla possibilità del matrimonio dei sacerdoti e della modifica della legge ecclesiastica in merito al celibato sacerdotale.
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Per chiarezza la legge sul celibato sacerdotale riguarda solo ed esclusivamente i sacerdoti diocesani, per intenderci: il cosiddetto clero secolare che fa promessa di celibato al proprio vescovo nel giorno della sacra ordinazione. Per i sacerdoti religiosi il discorso è del tutto diverso in quanto essi hanno pronunciato un voto che vincola non solo al celibato ma alla castità perfetta per il Regno dei Cieli. Se un domani la Chiesa Cattolica Romana concedesse ai sacerdoti diocesani il permesso di contrarre matrimonio, modificando così la legge ecclesiastica, questo permesso non riguarderebbe minimamente i sacerdoti degli ordini mendicanti e monastici e delle congregazioni e società di vita apostolica che sono notoriamente inquadrati giuridicamente come religiosi e quindi come persone che si sono vincolate a Dio attraverso il pronunciamento di voti solenni. Detto questo concludo che, pure se mi piacerebbe, non intendo spiegare ora la differenza canonica tra promessa di celibato e voto di castità, in questo contesto non è importante, basti sapere che il voto è di per sé più vincolante della promessa.
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Quello del celibato non è solo un fatto meramente giuridico ma essenzialmente teologico che tocca la spiritualità e la fede. La condizione celibataria e la castità che da essa deriva è assunta come immedesimazione alla persona di Cristo, a cui il sacerdote è imprescindibilmente legato e associato. Il sacerdote che manca al suo dovere celibatario o di castità, non compie semplicemente un peccato o un delitto secondo la disciplina canonica della Chiesa, ma manifesta una debolezza da un punto di vista della fede e della grazia sacramentale di stato che con la sacra ordinazione ha ricevuto e a cui è chiamato a corrispondere quotidianamente attraverso la docilità allo Spirito Santo.
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Il fulcro del discorso è quanto mai complesso e specifico, ed è veramente molto difficile affrontare questo tema all’interno di una trasmissione televisiva in seconda serata, altrimenti la audience cala, si perde pubblico, soldi e risorse, e la trasmissione diventa un flop. Quindi, questo cosa significa in soldoni? Semplice, significa compiere una scelta editoriale differente che aumenti l’indice di gradimento e doni alle persone ciò che cercano: una certaverve mediatica.
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Quando Padre Ariel prende parola dopo il sacerdote dimesso dallo stato clericale e oggi regolarmente sposato, comincia facendo presente che «il nostro amico», aggiungendo poi «anzi, il nostro confratello, seppure dimesso dallo stato clericale e sposato rimane sempre sacerdote». A quel punto spiega, citando e traducendo: «Perché tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedec, tu sei sacerdote in eterno …». La sola citazione latina induce l’esperto conduttore a far presente che non siamo in un’accademia teologica e che, partendo su certi temi, la gente a casa «cambia canale e va a vedere le partite». Tutt’altro che sprovveduto e privo di dialettica, Padre Ariel non si lascia togliere la parola ed “esige” spiegarsi con un esempio più semplice dicendo a Paolo Del Debbio: «Allora chiarisco in modo semplice: come lei, che ha ricevuto il Sacramento del Battesimo, che nessuno le può togliere, il nostro amico ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine dal quale rimarrà sempre segnato». A quel punto Padre Ariel accentua la spiegazione aggiungendo: «Voi sapete che ci sono taluni che fanno il cosiddetto “sbattezzo”. In quei casi, i parroci, possono solo scrivere a margine sul registro battesimale che Tizio dichiara di non voler appartenere alla Chiesa Cattolica, ma nessuno può togliere loro il battesimo». Mentre lui parlava, noi che lo conosciamo a fondo, dinanzi allo schermo a casa ci siamo detti: ha capito sùbito che ogni discorso di natura teologica e canonica non è possibile da perseguire, adesso agirà di conseguenza, come poi è stato. Infatti, dopo le prime schermaglie su celibato sì, celibato no, si è giunti a trattare il tema dell’omosessualità, introducendo come guest star alcuni preti che hanno scelto di sposarsi con un uomo. Insomma: alcuni casi non solo molto rari, ma dei casi veramente limite.
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Capite bene come il tema di partenza è d’improvviso sostituito da un colpo di scena, e questo costituisce oggi uno tra gli assi nella manica più efficaci della televisione moderna. Si sostituisce il dibattito utile e arricchente a cui il pubblico si era preparato fin dall’inizio con altro più appetibile. Indagare sul celibato sacerdotale costituisce una delle grandi sfide e differenze tra la Chiesa Cattolica Romana e le Comunità Protestanti e le Comunità Anglicane, tra la Chiesa Cattolica Romana e le Chiese Ortodosse e, per un certo verso, tra la Chiesa Cattolica Romana le Chiese Cattoliche di Rito Orientale. Posto in questi termini il dibattito sarebbe stato interessante e stimolante, anche come approfondimento per capire meglio la situazione controversa del Sinodo. Come però ho appena spiegato, questo non è stato possibile, e Padre Ariel lo ha capito all’istante.
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Ammiro e stimo molto Paolo Del Debbio, lo reputo un professionista intelligente e preparato, sicuramente possiede una conoscenza approfondita su tematiche religiose, anche se non capisco la necessità di operare una virata di questo genere all’interno di un tema così serio e delicato come il celibato sacerdotale e il Sinodo Amazzonico. Per comprenderlo, occorre infatti conoscere molto a fondo i complessi meccanismi della comunicazione televisiva.
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Far parlare “ex” preti che hanno fatto la scelta del matrimonio omosessuale non ha senso, non solo non ha per nulla chiarito il discorso sul celibato sacerdotale, ma ha riaffermato in modo molto sottile il pericoloso concetto moderno che sancisce il matrimonio come istituito giuridico non più basato dall’unione tra un uomo e una donna. Poi, l’entrata in scena sul finire del gigolòomosessuale che è stato arruolato per “prestazioni professionali” da preti e seminaristi del sud Italia e che successivamente da questo sono stati segnalati ai propri vescovi, ha raggiunto proprio il culmine trash della serata.
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A quel punto, Padre Ariel, trovandosi in una vera arena ha dimostrato in concreto di essere un “animale da palcoscenico”, forse senza saperlo neppure lui. Infatti non poteva, «in coscienza», come ha chiarito, tacere e soprassedere dinanzi a quei casi rari e limite, fungendo da silenzioso figurante dinanzi a una passerella di “ex” sacerdoti che ostentavano con orgoglio i rispettivi “mariti”, con tanto di “ex” prete visibilmente disturbato a livello psicologico che indicando il proprio “marito” ha ripetuto più e più volte «questo bel ragazzo», «guardate come è bello».
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Con ciò è presto detto: se Padre Ariel ha una certa corrispondenza e affinità col suo nome, che significa “Leone di Dio”, può essere pensabile che qualcuno vada a tirargli la coda pensando che il leone rimanga fermo a fare il figurante ai gladiatori che gli girano attorno dentro il Colosseo? Per tanto, chi pensasse che a quel punto il focoso tosco-romano Padre Ariel ha perduto le staffe, pensa proprio male, ma soprattutto non lo conosce. Padre Ariel ha deciso, in modo ponderato e davvero scientifico, che in quel momento, per tutelare l’onore della Chiesa Cattolica e del Sacramento dell’Ordine, aveva il dovere di perdere le staffe, anche perché in quell’arena non aveva altro sistema. Così facendo, ha prodotto come risultato quello di riuscire a chiarire e trasmettere al pubblico alcuni punti fondamentali che tutti hanno recepito, ossia i seguenti:
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- il celibato non è un dogma ma una legge ecclesiastica, però, il celibato, affonda le proprie origini sin dalla prima epoca apostolica;
- un sacerdote, anche dimesso dallo stato clericale, anche colpito da scomunica, rimane sacerdote per sempre, perché ha ricevuto un Sacramento indelebile, non è un impiegato che si licenzia o che viene licenziato dall’azienda;
- nelle sue urla rivolte al sacerdote con marito, ha mostrato profonda carità e affetto, perché l’ha chiamato anzitutto «fratello» e gli ha ricordato che in ogni caso rimane sacerdote per sempre e che pregherà per la salvezza della sua anima considerando ciò che di aberrante ha fatto;
- ha chiarito ― smentendo questo sacerdote tutto falso amore cristologico ―, che «Dio non può creare il male», e questo dopo che lui aveva affermato che Dio lo aveva creato e voluto così, mentre Padre Ariel ha chiarito e fatto capire a chi ascoltava che certe situazioni non sono affatto normali tendenze della nuova società, ma sono delle autentiche aberrazioni;
- Padre Ariel ha fatto più volte e variamente richiamo alla libertà, compresa la libertà che l’uomo ha di peccare, e chi si aspettava un attacco al mondo gay e alle sue potenti lobby è rimasto deluso, ed a riprova di quanto questo “prete-felino” non sia un istintivo umorale sprovveduto, ha ribadito che non solo ciascuno è libero di avere e di esercitare le tendenze sessuali che vuole, ma ne ha proprio il diritto, però, in tali casi, non è possibile fare i preti ed esercitare il sacro ministero. Detta in altri termini ha dimostrato: io che sono un sacerdote cattolico appartengo a unasacra societas che è molto più tollerante di quanto certa gente e certi lobbisti ideologi del mondo gay possano immaginare, perché mai io impedirei a un uomo di commettere i peccati che vuole liberamente commettere, non lo ha fatto Dio che non ha impedito ad Adamo ed Eva di commettere il peccato originale, posso forse farlo io? Non potendo però fare una lezione sul Libro della Genesi, ha lanciato il messaggio in altro modo.
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Chiariamo infine un punto fondamentale: che il prete non debba reagire, perdere la calma e arrabbiarsi, non può essere un assoluto. Se in quella situazione Padre Ariel non lo avesse fatto, avrebbe corso il rischio di fungere da pericolosa presenza passiva e omissiva, mentre a un paio di milioni di telespettatori erano presentate delle figure di “ex” sacerdoti “oltre i confini della realtà”. Quindi, con la tanto reclamata pacatezza che taluni oggi gli rimproverano di non avere avuta, Padre Ariel avrebbe fatto solo intendere una sorta di vera e propria approvazione. Cosa assolutamente impossibile per qualsiasi vero sacerdote e per qualsiasi vero teologo, e noi sappiamo bene quando questo nostro confratello sia profondamente l’uno e l’altro.
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Si guardino dall’inizio alla fine tutti i 50 minuti di spezzone di programma di fine serata, dopodiché sfido chiunque a dire che le cose non sono andate nel modo che ho riassunto.
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Non sono un bacchettone, tuttavia penso che ogni argomento sia argomento di dibattito ma sempre mantenendo e utilizzando un certo garbo, buon senso e soprattutto senso del limite. Volevamo accontentare la pruriginosa curiosità del popolo catodico e rivangare il fatto che esistono sacerdoti che hanno tendenze omosessuali? Va bene, facciamolo pure, ma è questo il modo? Abbiamo constatato tutti di come il Re è nudo, e adesso? Abbiamo messo in mutande le debolezze di quella parte di Chiesa che è costituita da uomini consacrati, siamo soddisfatti? E sul tema della omosessualità diffusa tra il clero, nessuno meglio di Padre Ariel ha titolo per parlare. Percorrendo i tempi, in un suo libro edito ormai 10 anni fa e pubblicato di nuovo in seconda edizione dalle nostre Edizioni L’Isola di Patmos,non solo egli ha analizzato il problema, ma persino spiegato a che cosa la Chiesa sarebbe andata incontro se non fossero stati presi immediati e seri provvedimenti, che ovviamente non furono presi [vedere QUI].
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In conclusione di serata, proprio chiudendo sulle parole di Padre Ariel, riferendosi al gigolò il nostro confratello ha fatto un’affermazione che dovrebbe far riflettere molto certe coscienze ecclesiastiche, perché, se dotate di un solo pizzico di umiltà, dovrebbero riconoscergli un minimo sindacale di ragione, specie dinanzi a queste sue parole pronunciate in diretta: «Sulle questioni del Signor Mangiacapra (N.d.A. il gigolò presente in studio) io ho scritto in modo dettagliato dieci anni fa, con un libro denso di analisi, intitolato E Satana si fece trino». Ha domandato Paolo Del Debbio «E come è andata a finire?». Ribatte Padre Ariel: «L’unico che ha pagato sono stato io». Conclude con aria triste Paolo Del Debbio: «Non esito a crederlo!». E noi tutti che lo conosciamo sappiamo bene quale alto tributo Padre Ariel ha pagato in ostracismi e veri e propri atti persecutori, per avere denunciata in tempi non ancora sospetti la potente e pericolosa lobby gay ecclesiastica, anticipando i gravi danni che essa avrebbe compiuto. Quando però si nasce leoni non si può diventare conigli, neppure per avere quieta vita clericale, o per fare una brillante carriera ecclesiastica che il nostro confratello avrebbe potuto fare più e meglio di molti altri. All’autostrada scorrevole che porta verso l’Inferno ha scelto di seguire Cristo lungo la Via Dolorosa, con tutto ciò che questo comporta.
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Dalle focose e accalorate parole di Padre Ariel indirizzate al fratello (ex) sacerdote: «io prego per te, per la salvezza della tua anima» si comprende ciò che interessa maggiormente alla Chiesa e che dobbiamo tenere sempre a mente: la Salus Animarum. È infatti la salvezza delle anime che muove il cuore e la mano della Chiesa in situazioni delicate come queste, è la salvezza delle anime che mitiga la giustizia con la misericordia e ci permette di guardare alla misericordia con serietà e giustizia e non come una burletta ad uso e consumo delle nostre voglie.
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Oggi ci troviamo di fronte a fratelli disorientati, in crisi di fede, fallibili, che hanno fatto determinate scelte di cui solo loro conoscono il perché, per alcune di esse hanno giustamente dovuto rendere conto alla Chiesa o in foro esterno o in foro interno ma al di là di tutto è la loro anima che ci sta a cuore. Anche a tal proposito, Padre Ariel, ha chiarito sin dall’inizio di conoscere bene questa delicata materia: «Io lavoro molto con i sacerdoti e ne ho seguiti e ne seguo molti come confessore e direttore spirituale, sono stato io stesso, in certe situazioni, a dir loro per primo di fare un passo indietro e lasciare il sacerdozio ministeriale».
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Lo scandalo non converte nessuno, la delazione sensazionalistica del reo non porta a nessun recupero, il comminare pene umilianti non conduce al ravvedimento ma all’indurimento del cuore. Cristo sulla croce, nudo e mortalmente flagellato, ha pagato umiliandosi per tutti i peccati degli uomini. Ma se gli uomini continuano ad offenderlo e a opporsi al suo amore è dovere della Chiesa porre un giusto rimedio agli scandali, tutelando i deboli, allontanando i rapaci, ma restando continuamente con la mano tesa verso il peccatore affinché si converta e viva.
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Quel 31 ottobre 2019 vigilia di Ognissanti, in televisione la santità degli uomini di Chiesa è venuta meno, dinanzi a certe presenze così tragicamente deviate e fiere di avere deviato dal retto cammino, ma resta in piedi un’altra santità, quella di Dio che non può venire meno e che tra tanti scherzetti degli uomini costituisce ancora la dolcezza di un Padre che non abbandona mai i suoi figli attendendo il loro pentimento per iniziare a far festa.
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Laconi, 2 ottobre 2019 – Festa di Ognissanti
Autore Ivano Liguori, Ofm. Capp. |
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IMMAGINI FUORI ONDA DAGLI STUDI MEDIASET DI MILANO
Video: Giuliano, ex sacerdote, “sposato” con un uomo, affronta don Ariel Levi Di Gualdo a “Diritto e Rovescio”
Qui trovate uno spicchio del servizio della puntata di “Diritto e rovescio”:
Ma se volete vedere l’intero servizio (che dura 50 minuti), e gli interessanti interventi di don Ariel, anche se un tantino “agitato” , cliccate sulla foto sottostante o su questo link, andando al minuto 02:11:15:
Di Sabino Paciolla
Avendo veduto la trasmissione, posso testimoniare che, ciò che è stato scritto, corrisponde alla verità. Mi permetto però di dire che mi sarei aspettato, come risposta di padre Ariel, ai confratelli omo,citazioni della Sacra Scrittura che condannano l'omossessualità. AVREBBERO IMMEDIATAMENTE CHIUSO LA QUESTIONE E SICURAMENTE FATTO PENSARE DI PIU'.
RispondiElimina"Sia il vostro parlare si,si no,no". Sia lodato Gesù Cristo.