ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 25 novembre 2019

No alla guerra?

Guerre di denari in Vaticano. Col papa tra i belligeranti



Negli stessi giorni in cui papa Francesco è in Thailandia e Giappone a predicare pace, in Vaticano è guerra di tutti contro tutti, su questioni di soldi.
Prima di partire, il papa aveva annunciato due nomine chiave. L’una e l’altra, però, tutt’altro che pacificatrici.

IL SUCCESSORE DI PELL
La prima nomina, resa pubblica il 14 novembre, è quella del nuovo prefetto della segreteria per l’economia, nella persona del gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero Alves, con precedenti di economo nella Compagnia di Gesù.
La carica di prefetto era di fatto vacante da quando il cardinale George Pell, suo precedente titolare, aveva lasciato Roma per l’Australia, incalzato da accuse di abusi sessuali per le quali è ora in carcere, ma delle quali la corte suprema ha deciso recentemente il riesame, vista la loro dubbia attendibilità.
Va tuttavia notato che i poteri della segreteria per l’economia, fortissimi all’atto della sua fondazione nel 2014, erano già stati svuotati da papa Francesco ben prima che Pell lasciasse Roma, con piena soddisfazione soprattutto della segreteria di Stato e dell’APSA, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, l’una e l’altra insofferenti di ogni supervisione e controllo esterno sui rispettivi affari.
Non si sa, quindi, quali poteri effettivi il nuovo prefetto avrà. C’è scetticismo anche tra i più accesi sostenitori di papa Jorge Mario Bergoglio. Uno di questi, il gesuita Thomas Reese, ha scritto che “per riuscire, Guerrero dovrebbe essere dotato di poteri che il papa probabilmente non gli darà”.
LE DIMISSIONI DI BRÜELHART
La seconda nomina chiave, annunciata il 18 novembre, è quella del nuovo presidente dell’AIF, Autorità di Informazione Finanziaria, l’istituto che vigila sulla correttezza delle operazioni finanziarie vaticane, nel rispetto delle norme internazionali e in contatto con le “intelligence” di numerosi altri Stati.
Nel dare l’annuncio, la sala stampa vaticana ha avvertito che il nuovo presidente è già stato designato ma il suo nome sarà reso pubblico solo dopo il ritorno del papa dal Giappone.
Ma che ne è del presidente uscente, lo svizzero René Brüelhart, in carica da cinque anni? Il comunicato vaticano del 18 novembre lo dà per giunto “alla scadenza del mandato”. Ma lo stesso giorno Brüelhart ha detto alla Reuters che il suo ruolo non aveva affatto scadenze temporali e che è stato lui a dimettersi.
Non solo. Con lui si è dimesso anche uno dei quattro componenti del consiglio direttivo, lo svizzero Marc Odendall, il quale ha detto all’Associated Press che dal 1 ottobre l’AIF è ormai ridotta a “una conchiglia vuota”.
Il 1 ottobre è il giorno in cui, su mandato del tribunale della Santa Sede, la gendarmeria vaticana agli ordini del comandante Domenico Giani perquisì a sorpresa gli uffici dell’AIF e della segreteria di Stato per sequestrarvi documenti, computer e telefoni. E il giorno dopo furono sospesi dal servizio cinque funzionari vaticani, tra i quali Tommaso Di Ruzza, direttore dell’AIF e genero dell’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio.
La conseguenza è stata che l’Egmont Group – la rete delle “intelligence” finanziarie di 164 Stati tra cui la Santa Sede che con lo scambio confidenziale delle informazioni combattono il riciclaggio di denaro e altri crimini finanziari – ha escluso l’AIF da questo circuito, non tollerando che delle informazioni riservate in suo possesso, provenienti da altri Stati, potessero cadere nelle mani della gendarmeria vaticana o di altri, come avvenuto con quella perquisizione.
Il 23 ottobre l’AIF emise un comunicato per ribadire la correttezza del suo operato e in particolare del suo direttore Di Ruzza, successivamente reintegrato nel suo ruolo. Intanto, però, l’indagine giudiziaria avviata dalla magistratura vaticana va avanti.
A far partire questa indagine – come reso noto da un comunicato vaticano del 1 ottobre – sono state le “denunce presentate agli inizi della scorsa estate dall’Istituto per le Opere di Religione e dall’Ufficio del Revisore Generale, riguardanti operazioni finanziarie compiute nel tempo”.
Una vittima di queste denunce c’è già stata ed è l’AIF, ridotta appunto a “una conchiglia vuota” e mutilata dei suoi uomini chiave.
Ma sotto tiro c’è soprattutto la segreteria di Stato, il principale bersaglio delle denunce dello IOR.
LA BANCA DEL PAPA
Nello IOR papa Francesco ha due uomini di sua stretta obbedienza, in due ruoli cruciali, entrambi lì collocati personalmente da lui: il direttore generale Gian Franco Mammì, già responsabile dei clienti della “banca” vaticana in America latina e fin d’allora vicino a Bergoglio, e il “prelato” Battista Ricca, ex diplomatico di carriera richiamato a Roma a motivo delle sue intemperanze omosessuali, ma pubblicamente assolto da papa Francesco, all’inizio del suo pontificato, con la famosa frase: ”Chi sono io per giudicare?”.
È impensabile, quindi, che le denunce dello IOR siano partite, in estate, senza l’assenso del papa.
Ma quali sono le “operazioni finanziarie” finite sotto inchiesta, non precisate nel comunicato vaticano del 1 ottobre?
È ormai risaputo che la principale di queste operazioni riguarda l’acquisto, da parte della segreteria di Stato, di un grande edificio in un quartiere di pregio di Londra, al n. 60 di Sloane Avenue. Acquisto molto dispendioso e attuato per vie contorte e di dubbia affidabilità dalla prima sezione della segreteria, quella diretta dal “sostituto”, che fino a un anno fa era Giovanni Angelo Becciu, oggi cardinale, mentre attualmente è il venezuelano Edgar Peña Parra. Nel novembre del 2015 il cardinale Pell, all’epoca ancora a Roma, manifestò a Becciu la sua totale contrarietà all’operazione, ma non fu neppure preso in considerazione.
Per chiudere l’affare, all’inizio del 2019, il successore di Becciu a capo della prima sezione della segreteria di Stato chiese allo IOR un’altra grossa somma. E fu lì che scoppiò il dissidio che portò al blitz della gendarmeria del 1 ottobre. Lo IOR non solo rifiutò di fornire quella somma, ma giudicò scorretta l’intera operazione, su cui sporse denuncia al tribunale vaticano, coinvolgendo anche l’AIF, accusato di omessa vigilanza.
SCONTRO AL VERTICE IN SEGRETERIA DI STATO
Ma più che Peña Parra nell’occhio del ciclone è finito Becciu, sotto la cui autorità e con il cui impulso si è sviluppata la maggior parte dell’operazione londinese. Non è un caso che tra i cinque funzionari sospesi dal servizio il 2 ottobre vi sia anche monsignor Mauro Carlino, capo dell’ufficio informazione della segreteria di Stato e in precedenza segretario dello stesso Becciu.
Becciu ha subito difeso con forza, in varie dichiarazioni pubbliche, la correttezza del proprio operato. Ma il 30 ottobre anche il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, fin lì tenutosi al di fuori della mischia, è entrato in campo contro di lui, definendo “opaca” l’operazione d’acquisto di quel palazzo e rimandando ai magistrati vaticani il compito di fare chiarezza.
La reazione di Becciu è stata immediata e furente. “Non c’è stato niente di opaco”, ha detto, e queste accuse sono solo “fango contro la mia persona”. Intanto però un’altra intricata operazione vaticana è tornata sotto l’attenzione dei media, anche questa attribuita principalmente a lui: l’acquisto da parte della segreteria di Stato di una quota importante di un ospedale d'eccellenza di Roma, l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IDI, di proprietà di un ordine religioso e finito in bancarotta.
Per questo acquisto Becciu aveva chiesto nel 2015 un grosso prestito allo IOR, che glielo aveva rifiutato nella convinzione che quel prestito non sarebbe stato mai più ripagato. E anche il cardinale Pell si era detto contrario.
Becciu girò allora la richiesta di denari all’APSA, all’epoca presieduta da un cardinale entrato nelle grazie di papa Francesco, Domenico Calcagno. E questa volta i denari arrivarono. Ma con una successiva mossa cautelativa. Per difendersi dal prevedibile mancato rimborso del prestito, l’APSA chiese una donazione di 25 milioni di dollari all’americana Papal Foundation. E per piegare la riluttanza della fondazione all’esborso si mossero i cardinali Donald Wuerl e Theodore McCarrick, quest’ultimo all’epoca ancora sulla breccia. Nel 2017, la fondazione erogò 13 milioni di dollari e all’inizio del 2019 ottenne che tale somma fosse trasformata da donazione in prestito, da rimborsare.
Quando questi fatti accaddero, in Vaticano era di dominio pubblico che Becciu svolgesse un ruolo di primo piano nella vicenda, almeno fino a quando in segreteria di Stato ricoprì la carica di “sostituto”, cioè fino al 29 giugno del 2018.
Oggi però Becciu nega d’essersi occupato lui dell’acquisto dell’IDI. E pochi giorni fa, all’improvviso, anche il cardinale Parolin gli è arrivato in soccorso.
Interpellato il 20 novembre dall’americana Catholic News Agency, il cardinale segretario di Stato ha rivendicato a sé d’aver condotto l’operazione d’acquisto dell’IDI, con il coinvolgimento dell’APSA e della Papal Foundation.
Parolin ha negato che vi sia stato un “complotto di curia” per incolpare Becciu dell’affare e infangare la sua reputazione. E in ogni caso se ne è tenuto fuori: “Sono completamente estraneo a ogni manovra di questo tipo: e se ve ne è stata una, la condanno nei termini più forti possibili”.
Soprattutto ha tenuto a sottolineare che l’acquisto dell’IDI è stato “compiuto con intenzioni limpide e procedure oneste”.
A un osservatore esterno non è chiaro quanto vi sia di vero, o di recitato, in questo gioco delle parti tra il cardinale segretario di Stato in carica e colui che dal 2013 al 2018 è stato il suo “sostituto”.
Resta il fatto che l’acquisto compiuto dalla segreteria di Stato tramite l’APSA di una quota rilevante dell’IDI sembra violare le regole bancarie europee concordate nel 2012 e tenute sotto osservazione da Moneyval, che proibiscono alla stessa APSA, in quanto banca centrale vaticana, di fare prestiti a singoli individui e di prender parte a transazioni commerciali.
MANDATO DI CATTURA PER L’ASSESSORE DELL’APSA
Ma non è tutto. Perché al suo ritorno a Roma Francesco si troverà ad affrontare una questione per lui ancora più scottante, che ha anch’essa a che fare con l’APSA ma più propriamente con l’uomo che due anni fa vi è stato collocato dal papa con il ruolo inedito di “assessore”, il vescovo argentino Gustavo Óscar Zanchetta (nella foto).
Zanchetta è amico e figlio spirituale di Bergoglio da quando questi era arcivescovo di Buenos Aires e lui era sottosegretario della conferenza episcopale argentina. Divenuto papa, Bergoglio lo promosse immediatamente a vescovo di Orán, da cui però Zanchetta si dimise per imprecisate “ragioni di salute” nel 2017. E nel dicembre di quello stesso anno il papa lo chiamò in Vaticano all’APSA, appunto come “assessore”, nonostante non avesse alcuna competenza in materia amministrativa. Il motivo di quella nomina, infatti, era tutt’altro. Era di mettere al riparo l’amico dalle conseguenze delle circostanziate accuse di sue malefatte sessuali ai danni di suoi seminaristi, inoltrate a Roma fin dal 2015 da ecclesiastici della diocesi di Orán.
Ne è seguita l’apertura di un doppio processo a suo carico, canonico e civile. Del primo non si ha notizia. Ma il secondo è in pieno svolgimento in Argentina ed è arrivato il 21 novembre alla richiesta di un mandato di cattura internazionale di Zanchetta, tuttora domiciliato nello Stato della Città del Vaticano, nella residenza di Santa Marta, la stessa in cui dimora il papa.
La richiesta del mandato di cattura è stata inoltrata al tribunale giudicante di Orán dal pubblico ministero Maria Soledad Filtrin Cuezzo, procuratore penale dell’ufficio sulla violenza di genere e sui crimini contro l’integrità sessuale.
Ma non avrà bisogno di essere resa esecutiva, perché la sera di sabato 23 novembre il difensore canonico di Zanchetta, Javier Belda Iniesta, ha comunicato che l’imputato – il quale continua a dichiararsi innocente – si consegnerà lui stesso alla giustizia argentina: “Nel pomeriggio di lunedì 25 novembre prenderà l’aereo e atterrerà all’aeroporto di Salta la mattina del 26 novembre”.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 25 nov

Voci dal Vaticano: "Si sta per dimettere il segretario del Papa"

Dopo il capo della Gendarmeria e il vertice dell'Autorità Finanziaria sta per lasciare pure il segretario personale del Papa. E qualcuno parla di "giallo" attorno ai motivi di questa decisione

Monsignor Fabiàn Pedacchio non sarà più il segretario personale di Papa Francesco.
Più di una fonte lo afferma con certezza. Per quanto, almeno per ora, si tratti solo di voci. Non è poi così inconsueto. In questo periodo, inolte, le scelte di Jorge Mario Bergoglio stanno riguardando anche le alte sfere del Vaticano. Ma i motivi per cui a Pedacchio dovrebbe essere assegnato un incarico diverso non sono ascrivibili a demeriti o a preoccupazioni sollevate dall'arcivescovo di Buenos Aires. Pare si possa parlare di semplice turn over. Ma è normale che, trattandosi di uno dei consacrati più vicini al Santo Padre, qualcuno usi l'espressione "giallo".
Nel corso della giornata di ieri, l'Adknronos ha parlato di "motivi al momento ancora non chiari". Di sicuro c'è come queste voci stiano circolando alla vigilia di un periodo che interesserà, in chiave riformistica, la Curia romana: la nuova Costituzione Apostolica, stando ai programmi, sarà presentata prima della fine dell'anno. Le logiche odierne potrebbero essere sconvolte o quantomeno modificate. La Segreteria di Stato, secondo le anticipazioni, dovrebbe acquisire maggiori spazi di manovra. Un discorso diverso, invece, sembra valere per la Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma il segretario personale del Papa rimane il segretario personale del Papa.
Il Sismografo, che è un portale molto vicino agli ambienti ecclesiastici della Santa Sede, ribadisce quanto affermato dall'agenzia sopracitata: "Sicuramente qualche tempo dopo il ritorno domani del Santo Padre dall'Asia, mons. Fabián Pedacchio, sacerdote argentino, nato il 14 aprile 1964, segretario personale del Pontefice dal 2014, responsabilità che condivide con il presbitero egiziano Yoannis Lahzi Gaid, lascerà l'incarico e secondo il percorso concordato con Francesco nel mese d'agosto rientrerà a tempo pieno nella Congregazione per i Vescovi dove lavora dal 2007".
Siamo dinanzi una questione di ore. Poi monsignor Fabiàn Pedacchio saluterà Santa Marta, dove il vertice della Chiesa cattolica ha scelto di risiedere, preferendo una dimora umile agli appartamenti papali. La squadra attorno al pontefice argentino, intanto, sta cambiando. Domenico Giani, ex vertice della Gendarmeria vaticana, si è dimesso in seguito allo scandalo sulle presunte "operazioni finanziarie sospette". Sembra che il Papa non abbia accettato la fuoriuscita di notizie relative ai provvedimenti di sospensione che sono seguiti alle acquisizioni di documenti presso alcuni uffici della Segreteria di Stato. Ma Giani non è l'unico a non far più parte del team ristretto del Santo Padre: anche René Bruelhart, ormai ex presidente dell'Autorità Finanziaria, non è stato confermato.
Tutti questi cambiamenti possono far parte di una strategia complessiva di Jorge Mario Bergoglio. Per comprendere qualcosa di più, bisogna attendere il ritorno del pontefice argentino dalla sua visita apostolica in Asia.

"Niente carne di maiale e vino". Così la Chiesa si piega a Islam

Al pranzo per i poveri, offerto in Vaticano da Papa Francesco, non è stata servita carne di maiale, per permettere anche ai musulmani di mangiare. Altro grande assente sarebbe stato il vino


Erano 1.500 le persone bisognose che hanno pranzato insieme a Papa Francesco, in occasione della Giornata mondiale dei poveri, la scorsa domenica.
Nell'Aula Paolo VI, in Vaticano, le tavolate erano imbandite: il menù era composto da lasagnetta, bocconcini di pollo alla crema di funghi e patare, dolce, frutta e caffè. Un menù "accogliente", anche per chi deve rispettare alcuni dettami, tipici di altre fedi religiose: bandita, infatti, la carne di maiale, per andare incontro anche ai possibili musulmani presenti al pranzo con Bergoglio. Ma la carne di maiale non era l'unica grande assente.
Secondo quanto riporta La Verità, infatti, anche il vino non sarebbe stato servito al pranzo coi poveri. Il motivo? Forse, anche in questo caso, sarebbe da legare alla presenza di islamici, tra i bisognosi invitati dal Papa. Così, secondo il quotidiano, uno dei simboli cristiani per eccellenza sarebbe stato bandito dalle tavolate dei poveri, per non mettere a disagio gli ospiti islamici del Santo Padre.
Il vino è di importanza centrale nel Cristianesimo: è il primo miracolo compiuto da Gesù. Nel Vangelo di Giovanni, infatti, si racconta l'episodio delle nozze di Cana: Gesù e Maria sono stati invitati a un banchetto di nozze ma, ad un certo punto, il vino finisce; così Maria chiede al figlio di fare qualcosa e lui, per tutta risposta, fa riempire le giare con l'acqua e la trasforma nel vino migliore. Così, il banchetto può continuare. Il vino è visto così come un simbolo di gioia, che accompagna i momenti di festa e di allegria. Ma non solo. Per i credenti, durante la messa, il vino si trasforma nel sangue di Cristo.
Se, quindi, eliminare la carne di maiale dal banchetto dei poveri può essere visto come un segno di rispetto verso persone di altre religioni, togliere il vino potrebbe essere interpretato come una sconfessione dei valori cristiani fondamentali.
Dall'altra parte, però, la scelta della Chiesa in occasione della Giornata mondiale dei poveri, potrebbe essere vista come volontà di accoglienza, anche verso persone che hanno credenze diverse da quelle cristiane. "Inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo di vista il cielo", aveva avvisato Bergoglio: un monito che può indicare come sia importante non il vino in sé, ma quello che rappresenta.
Francesca Bernasconi -

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