suor Giuliana Galli
di Gianfranco Amato

Che ci fa una suora tra la senatrice Monica Cirinnà, madrina delle unioni civili “homosex” ed il noto transessuale Vladimiro Guadagno in arte “Luxuria”? Bella domanda. È accaduto il 13 dicembre giorno di Santa Lucia a Torino. La religiosa in questione è Suor Giuliana Galli, Presidente dell’Associazione Mamre Onlus (impegnata in progetti di integrazione e mediazione interculturale), che proprio insieme alla Cirinnà e Luxuria ha deciso di svolgere il ruolo di terza “banditrice” in un’asta di beneficenza avente per oggetto importanti opere d’arte offerte da una serie di donatori, tra cui Beatrice Merz, per sostenere un’iniziativa Lgbt.
Si tratta del progetto denominato “ToHousing”, ovvero la realizzazione di un blocco di cinque appartamenti nel complesso di edilizia agevolata ex Italgas di corso Farini a Torino, messo a disposizione di persone esclusivamente omosessuali. Un’iniziativa dell’associazione omosessualista “Quore” con il supporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell’ente governativo UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale), della Regione Piemonte, del Consiglio Regionale del Piemonte, della Città di Torino, di ATC (Agenzia Territoriale per la Casa di Torino), e con il sostegno di aziende gay-friendly come IKEA, Iren, Bentley SOA, Philips, Cooperativa Di Vittorio. Ora, a prescindere dall’opportunità di concedere vantaggi residenziali ad una categoria di cittadini solo per il proprio personale orientamento sessuale (peraltro non verificabile dalle istituzioni perché basato su una mera autodichiarazione), davvero si impone un interrogativo. Perché Suor Giuliana Galli ha deciso di fare da madrina a questa particolare asta di beneficenza presso la prestigiosa Fondazione Merz nel contesto di una mostra antologica dedicata al discusso artista Emilio Prini e con tanto di cena di gala firmata dallo chef Gabriele Torretto? Che ci fa una religiosa ad un evento gay friendly, ad un charity happening omosessualista? La domanda non è peregrina se si considera che il punto 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica definisce – ancora – l’omosessualità come una «grave depravazione», gli atti omosessuali come «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale», che «precludono all’atto sessuale il dono della vita», che non possono essere considerati «il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale», e che «in nessun caso possono essere approvati».
Chi conosce Suor Giuliana sa però che lei è una religiosa “in uscita”, non «usa la dottrina come pietre», dialoga e non crea muri, comprende le ragioni di tutti, accoglie tutti, è consapevole che viviamo un «cambiamento d’epoca». Non meraviglia, quindi, che questa religiosa, che da tempo ha superato i 75 anni, voglia sentirsi giovane fino al punto di aver deciso di trasformarsi in “sardina”. Intervistata da “Repubblica” il 20 novembre 2019, Suor Giuliana, infatti, ha dichiarato di essere disposta a scendere in piazza a Torino la prossima volta che le sardine decideranno di farlo. In quella stessa intervista ha pure spiegato gli obbiettivi che sente di condividere rispetto a quella forma di manifestazione, primo fra tutti – lei stessa lo definisce un «comune denominatore» – l’immarcescibile «antifascismo». Già nel 2011 la rivista femminile “Donna Moderna” l’ha indicata come una delle donne italiane da votare per guidare il Paese. Suora, sardina, immigrazionista, gay-friendly e antifascista. Il prototipo della religiosa nell’era bergogliana.
Per una singolare e simbolica coincidenza, l’asta gay-friendly bandita da Suor Giuliana si è svolta praticamente in contemporanea alla beatificazione dell’ennesimo gruppo di martiri cattolici massacrati dai miliziani antifascisti spagnoli, la cui mattanza è cessata solo grazie al provvidenziale intervento del generale Francisco Franco, l’uomo che ha evitato la sovietizzazione della Spagna e ha salvato il cristianesimo e la Chiesa in quella terra.
Il gruppo di nuovi beati è composto da ventisette «uomini e donne di Dio» uccisi tra il 1936 e i 1937 durante la Guerra civile spagnola. Tra questi spicca anche una suora, o meglio una monaca domenicana: Isabella Sánchez Romero. Ha 76 anni quando viene incarcerata nel corso delle persecuzioni anticattoliche. In cella è insultata e malmenata dai miliziani antifascisti senza alcun riguardo per la sua età. Vogliono costringerla a bestemmiare. Lei risponde pregando. Ha ferite e sangue dappertutto. Il giorno dopo la fanno salire sul camion con gli altri prigionieri: devono essere trasportati al cimitero, ove saranno giustiziati per il solo fatto di essere cattolici o religiosi. Non riesce ad alzarsi, così la gettano come un sacco sul veicolo. Arrivati a destinazione, i miliziani sparano ai prigionieri, uno per uno, mentre gli altri sono costretti ad aspettare il loro turno. Suor Isabel vede morire anche suo nipote Florencio, ma continua a rifiutarsi di bestemmiare. Prega fino alla fine. Muore così: mettono la sua testa sopra una pietra e gliela schiacciano colpendola con un altro masso. È il 16 febbraio 1937. È bene che tutti sappiano – a cominciare dalle gerarchie ecclesiastiche – che oggi in Italia ci sono non pochi cattolici che preferiscono l’esempio di Suor Isabella a quello di Suor Giuliana. E preferiscono il generale Franco agli antifascisti spagnoli degli anni Trenta.

(L’articolo è stato già pubblicato su La Verità)