Sardine formato Avvenire all'assalto di Piazza San Pietro
La prima pagina di Avvenire segna la sconfortante discesa in campo dei vescovi a favore delle Sardine. Allora la piazza va bene purché non sia Family Day e Sentinelle in Piedi? Una chiara scelta di parte a Sinistra a braccetto con i centri sociali e i Saviano di turno. E ora aspettiamoci lo sbarco in Vaticano: il cardinal Turkson non aspettava altro che il via libera dell'episcopato italiano.
Avvenire che scende in campo per le Sardine è una notizia che non stupisce. Del resto, la prima pagina regalata ieri al movimento di Sinistra non è altro che il risultato di giorni passati a lisciare il pelo a Mattia Santori & co. Per mancanza di un’identità e per comodità, dato che Avvenire non sa fare politica, ma si intesta sempre quella degli altri.
E’ dall’8 dicembre scorso che il quotidiano dei vescovi segue con ansia il crescere di questa realtà che si vuole spacciare come naturale, quando invece è chiaro anche a un bambino che è pilotata e vezzeggiata da una Sinistra, che come Avvenire, non sa darsi identità salvo portare avanti l’ideologia delle poche cose certe: migrazionismo, i partigiani che cantano Bella Ciao, una spolveratina di ambiente. E odio, tanto odio verso Salvini. Messo in cartelli o anche solo evocato senza mai pronunciarne il nome. In questo, il quotidiano dei vescovi, Repubblica e le Sardine sono accomunati dallo stesso sentimento di avversione perché le Sardine non propongono un modello politico, ma solo un’avversione ad un altro modello.
Non stupisce dunque che la prima pagina di ieri di Avvenire fosse ancora più amica di quelle degli altri giornali: Sardine, obiettivo raggiunto. Stesso titolo per il Corriere, ma almeno in via Solferino conoscono la differenza tra la marchetta e la cronaca e hanno anteposto alla frase le virgolette, in modo da far sì che fossero gli organizzatori a intestarsi la paternità di sostenere di aver raggiunto lo scopo, cioè l’occupazione di Piazza San Giovanni. Invece ad Avvenire ci sono andati giù proprio con l’entusiasmo di quelli che non avendo più nulla da perdere, hanno deciso di sposare tutto lo sposabile, purché significhi un po’ di senso per tirare avanti.
La cronaca poi, un entusiasmo da ragazzini: “Un mare di persone”, “Una manifestazione apartitica che manda forti segnali politici”. Con in piazza Nichi Vendola, Susanna Camusso, l’Anpi, Isabella Ferrari, Michele Santoro e Erri De Luca, sai che apartitismo…? E’ Sinistra. Al caviale, dura e pura, radical o salottiera, ma sempre Sinistra è. Sarà impegnata finche vuoi, politicamente corretta alla bisogna e comunque sempre dalla parte giusta, ma sempre e comunque di Sinistra si tratta.
Avvenire non fa altro che accodarsi e seguire il diktat di chi, nel mondo cattolico ha già subito il fascino di questo movimento di cartone come di cartone è il simbolo che le porta in piazza. Con gli annessi e connessi di tutti i movimenti germinati dalla Sinistra, le contraddizioni e le spinte oggettivamente discutibili: il raduno nello stabile okkupato liberato dall'elemosieniere del Papa, la partecipazione di personaggi ambigui per la causa palestinese. Insomma: tutti i corollari della Sinistra che evidentemente stanno affascinando qualcuno in Piazza Carbonari.
In pochi giorni, dall’esplosione in Piazza Grande a Bologna, passando per Modena, Reggio Emilia, Milano e le altre piazze, quanti preti e vescovi hanno subito il fascino sardinesco.
Dal cardinale, segretario di Stato Vaticano, Parolin (“Si mettano in luce le spinte positive”) all’onnipresente Nunzio Galantino, che non ha nascosto la sia simpatia. Passando per il cardinale Peter Turkson, presidente del dicastero dello Sviluppo Umano integrale: “Noi accompagniamo questo gruppo cercando sempre di andare incontro con il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa. Ma è un movimento italiano. Aspettiamo prima una mossa della Conferenza episcopale italiana, solo dopo possiamo appoggiare e scendere in campo”. Dalla prima pagina di ieri di Avvenire sembra che il segnale sia stato dato. Ora, le vedremo in Vaticano a occupare San Pietro o qualche antro dalle parti di Borgo Pio, aspettiamocelo.
Senza dimenticare i Padre Bartolomeo Sorge, gli Zanotelli e i Don Sigurani e anche qualche gruppo organizzato, come testimonia lo spazio concesso da Avvenire all’associazione Papa Boys, palesemente spiaggiata come un cormorano "incatramato" sulle Sardine. Davvero non c’è che dire in quanto a tifo sperticato.
Quel tifo che Avvenire non ha mai manifestato per quei movimenti – anch’essi apartitici – che da parte cattolica hanno cercato di svegliare la politica portando il loro contributo di società civile. Non si ricordano entusiasmi vescovili per i due Family Day, anzi si ricorda una palese opposizione di sgambetti e poca visibilità concessa. Né per le manifestazioni della Manif pur tous e l’attività delle Sentinelle in Piedi (eppure, anche loro interrogavano la politica): non si ricordano di Avvenire campagne massicce per difenderle dagli attacchi, a volte il linciaggio, subito in questi anni.
Invece i vescovi stanno operando una precisa scelta di campo: si sono spostati armi e bagagli a Sinistra, condividendo goffamente istanze aliene al pensiero cattolico e alla tradizione del cattolicesimo italiano quando addirittura ostili. A braccetto con i centri sociali, i Saviano e la gauche degli intelló che arriva a fine mese comoda comoda. Una deriva scofortante.
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/sardine-formato-avvenire-allassalto-di-piazza-san-pietro
Tra nazionalismi e giusta idea di nazione. L’insuccesso politico di papa Francesco
La contraddizione è sotto gli occhi di tutti e in termini politici è definibile come un insuccesso. Papa Francesco picchia senza tregua contro sovranismi e nazionalismi e nonostante ciò i suoi fedeli votano in massa per dei partiti sovranisti e nazionalisti, in Italia e in Europa.
In Italia, ad esempio, il partito oggi più votato dai cattolici praticanti è la Lega, con il suo capo Matteo Salvini (nella foto), devoto alla Madonna e insieme paladino del respingimento degli immigrati.
Nella ristretta cerchia dei confidenti di Jorge Mario Bergoglio c’è chi deve avergli fatto notare questo contrasto tra ciò che lui predica e il comportamento dei fedeli. Ne è prova l’articolo uscito l’11 dicembre sul “Corriere della Sera” a firma di Andrea Riccardi, professore di storia contempoiranea e fondatore della Comunità di Sant’Egidio:
Riccardi cita solo di sfuggita Francesco. Si guarda bene dal ricordare la sua bordata più rumorosa, in un’intervista dello scorso 6 agosto: “Il sovranismo è un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934…”.
Il professore lamenta piuttosto “la carenza di riflessione nella Chiesa su questo fenomeno”, cioè sul perché “una parte dei cattolici non accoglie il messaggio sociale di papa Francesco, mentre cerca rassicurazioni e si mostra sensibile a un cattolicesimo che dia identità”.
Ma Riccardi rinuncia lui per primo ad analizzare la questione. Si limita a constatare che “i movimenti sovranisti sono attenti ai valori e ai simboli cristiani” e che di conseguenza “verso la Chiesa si leva una domanda di nazional-cattolicesimo”. Una domanda a suo giudizio “lacerante”, perché opposta “all’universalismo cattolico, eredità dei papi e del Concilio, alla cui ombra sono cresciute l’Europa unita e tante visioni e azioni verso il mondo”.
*
C’è però un altro studioso che ha pubblicato quest’anno un saggio che analizza a fondo proprio l’idea di nazione in Italia e nella società occidentale, contestando le critiche sommarie che contro di essa si esercitano.
Questo studioso è Roberto Pertici, 67 anni, professore di storia contemporanea all’università di Bergamo e specialista dei rapporti tra Stato e Chiesa. Uno storico di cui i lettori di Settimo Cielo hanno già potuto apprezzare sia un’illuminante analisi sulla fine del “cattolicesimo romano” messa in moto dall’attuale pontificato, sia un commento a “The Benedict Option”, sul futuro del cristianesimo in un’epoca postcristiana.
Pertici è stato anche una firma di spicco de “L’Osservatore Romano” negli anni in cui il quotidiano vaticano era diretto da Giovanni Maria Vian. Il suo ultimo libro, edito da Viella, ha per titolo: “La cultura storica dell’Italia unita”.
Al quotidiano “L’Eco di Bergamo” Pertici ha dato recentemente un’intervista in cui argomenta che la crescita degli egoismi nella società di oggi non è prodotta dal trionfo dell’idea di nazione ma piuttosto dalla perdita del vero significato di tale idea.
Il testo integrale dell’intervista è riprodotto in quest’altra pagina di Settimo Cielo:
Per cominciare, Pertici rimanda a un classico di un grande storico del Novecento, a “L’idea di nazione” di Federico Chabod, e contesta la corrente storiografica postmoderna che ha invece ridotto la nazione a “un’impostura” e a “un’invenzione della tradizione”.
La nazione – sostiene – ha fondamento in una civiltà, in una cultura. Il che “non significa che gli altri siano incivili; le culture sono tante, devono essere aperte, devono scambiare tra di loro, però hanno alcune caratteristiche specifiche. Oggi siamo tutti universalisti a parole, ma la nazione si basa su una cultura della differenza. Che non significa prevaricazione”.
Pertici ammette che dagli Stati nazionali sono venuti i “nazionalismi”. Ma sottolinea che nella nazione soprattutto “si è sviluppata la democrazia” e “si sono affermati i movimenti dei lavoratori, le tutele sociali, il welfare, lo Stato assistenziale”. Mentre “bisogna ancora dimostrare che gli Stati sovranazionali abbiano la stessa capacità”.
L’idea di nazione può cioè avere, e li ha avuti, sviluppi negativi. Ma vanno guardati principalmente i suoi effetti positivi: “Nella nazione l'individuo si integra in una realtà che supera il suo orizzonte puramente personale, sente come qualcosa di reale il cosiddetto ‘bene comune’. Da due secoli esso è al centro anche della dottrina sociale della Chiesa, ma rischia di essere astratto se non si incarna in un popolo, in qualcosa di prossimo, che si conosce, con cui abbiamo familiarità: soltanto le persone astratte si affezionano, per principio, a coloro che sono distanti, l'essere umano normalmente si affeziona ‘in primis’ a quelli che gli somigliano e che frequenta”.
Il presupposto dell’affermarsi in Europa, negli ultimi anni, di particolarismi ed egoismi è precisamente “l’aver negato questa appartenenza a qualcosa da cui tutti eravamo avvolti”.
Ma soprattutto, prosegue Pertici, c’è stato a partire dagli anni Sessanta “un cambiamento di paradigma complessivo”. Mentre in precedenza sui diritti prevalevano i doveri, grazie ai quali “l’individuo si sente parte di qualcosa di più grande che guida la sua azione e che lo definisce”, oggi invece “si è passati alla prevalenza dei diritti, l'uomo pensa solo a sviluppare la propria personalità, alla sua auto-realizzazione”.
Questo cambio di paradigma, a giudizio di Pertici, “ha alle spalle mutamenti antropologici enormi, di cui noi non abbiamo ancora tutta la consapevolezza”.
Nel finale dell’intervista, Pertici mette in evidenza il nesso tra il sommovimento del ’68 e il neoliberismo degli anni Ottanta. “Sembrerebbero due cose diversissime: il ’68 è un fenomeno di estrema sinistra, il liberismo di destra. Ma se guardiamo da storici la sostanza delle cose ci accorgiamo che dietro l'uno e l'altro c'è lo stesso tipo di approccio ultra-individualistico: ‘vietato vietare’ in campo economico e sociale come in campo etico e personale”.
E conclude con un’osservazione che fa pensare anche a ciò che accade ai vertici della Chiesa:
“Oggi l'intreccio fra umanitarismo ed estremo individualismo etico è la miscela delle élite internazionali”.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 16 dic
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/12/16/tra-nazionalismi-e-giusta-idea-di-nazione-l%E2%80%99insuccesso-politico-di-papa-francesco/
Dalla piazza ai luoghi di culto: ancora un "Bella ciao" in chiesa
La video-denuncia di Matteo Salvini su Facebook: “Roba da matti, cantare Bella ciao in chiesa una domenica sera a Roma, ma vi pare normale??”
La video-denuncia di Matteo Salvini su Facebook: “Roba da matti, cantare Bella ciao in chiesa una domenica sera a Roma, ma vi pare normale??”
Dalla piazza delle sardine ai luoghi di culto, il canto simbolo della Resistenza e della lotta partigiana si sta imponendo come un vero e proprio e tormentone.
"Bella ciao" è l’invocazione che abbiamo sentito risuonare in occasione delle centinaia di adunate delle sardine, che ne hanno fatto una bandiera contro la presunta deriva autoritaria che starebbe attraversando il Paese.
Ma è anche un canto che si è lavato in più occasioni dai pulpiti delle nostre chiese, quasi fosse una preghiera. Una trovata di qualche sacerdote progressista, come don Massimo Biancalani. Lo scorso novembre, il parroco pistoiese l’ha intonata personalmente, al termine di una funzione religiosa nella chiesetta di Vicofaro. Lo scopo? Lanciare un messaggio di solidarietà e accoglienza. Adesso la “moda” è sbarcata anche nella Capitale. A denunciarlo è Matteo Salvini con un video pubblicato ieri sera sulla sua pagina Facebook. “Roba da matti - scrive il leader della Lega - cantare Bella ciao in chiesa una domenica sera a Roma, ma vi pare normale??”. Il video proviene dalla parrocchia di San Luigi dei Francesi, a due passi da piazza Navona e dai palazzi della politica.
Un luogo che non aveva certo bisogno di pubblicità. Conosciuta in tutto il mondo per i capolavori pittorici del Caravaggio, custoditi in una delle sue cappelle, San Luigi dei Francesi, da oggi, probabilmente passerà agli annali per questa singolare iniziativa. La notizia della performance canora del coro parrocchiale, in pochi minuti, ha innescato un vespaio di polemiche e reazioni stizzite. Sotto al post del leader della Lega i commenti si moltiplicano a vista d’occhio.
“Peccato usare una chiesa stupenda, simbolo della cristianità, per fare politica”, scrive Milena. “Con tutti i preti che hanno ucciso i partigiani - osserva qualche commento dopo Alberto - quello è proprio il luogo giusto”. “Scusate ma solo a me sembra vergognoso che i vertici della Chiesa non intervengano su questo scempio?”, domanda Tommaso. “Loro possono fare tutto, però criticano un rosario su un palco… Coerenza dove sei?”, annota Claudia riferendosi alle accuse di strumentalizzazione dei simboli religiosi mosse a Salvini da alcuni esponenti del clero. Qualcuno, invece, prova a gettare acqua sul fuoco: “Vabbeh, è un canto che fa parte del repertorio della musica tradizionale”. Non basta a spegnere l’indignazione. Questa querelle sembra destinata a infiammare il dibattito ancora a lungo.
Elena Barlozzari
"Le sardine? Una moda. Slogan da centri sociali e nessun contenuto"
Il politologo: "Non sono affatto apartitiche Raccolgono i temi della sinistra radicale"
Il politologo: "Non sono affatto apartitiche Raccolgono i temi della sinistra radicale"
Ne ragiona e ne conclude che «sono un fenomeno di moda» e come la moda di certo irresistibile, ma anche effimera. E dunque, per Marco Tarchi che è docente di Scienze politiche all'università di Firenze, ma anche uomo riservato che ha studiato a fondo la destra, il movimento delle sardine è per paradosso non un segno di vitalità a sinistra, ma il risultato della sua frustrazione.
Di sicuro «le sardine dovrebbero avere idee, visioni del mondo e non solo slogan».
E però, tutti le adulano, i sondaggisti le pesano e professori come Romano Prodi e Mario Monti le promuovono. Lei che idea si è fatto sulle sardine?
«Che è un fenomeno di moda, come molti altri del passato, pieno di umori ma scarso nei contenuti, che si proclama apartitico ma di fatto raccoglie spezzoni delle varie sinistre radicali, le cui parole d'ordine richiamano come ha ammesso giorni fa lo stesso leader in una trasmissione radiofonica («Un giorno da pecora», ndr) il repertorio dei centri sociali: no borders, diritti lgbt, femminismo, accoglienza indiscriminata dei migranti...».
All'inizio li ha uniti l'antisalvinismo, oggi c'è un po' di tutto e tutti ci nuotano dentro.
«È, di fatto, un tentativo di far sì che questo microcosmo, in nome dell'antisalvinismo, si riavvicini alla sinistra istituzionale, Pd in testa. Come tutti i movimenti collettivi, passerà progressivamente dall'euforia e dal protagonismo alla divisione e alla marginalità».
Al momento conosciamo il loro manifesto politico che recita rivolgendosi alla destra: Non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare. È ubriacatura da entusiasmo o sono scorie di un vecchio linguaggio ideologico?
«Entrambe le cose. Ma, come tutti i movimenti di protesta, per vivere hanno bisogno di designare un nemico contro cui mobilitarsi: Salvini è il bersaglio ideale. L'ideologia c'è, ma in una forma diluita e confusa».
Per alcuni, le sardine, stanno iniziando a riempire il vuoto che progressivamente lascia il M5s, per altri sono popolo di sinistra deluso. Per lei? Sono l'uno o l'altro o forse altro ancora?
«La composizione delle loro piazze è eterogenea. Senza dubbio è un'inaspettata fonte di conforto per molte persone di sinistra frustrate dagli insuccessi degli ultimi anni, a cui il ritorno fortunoso del Pd al governo non poteva bastare per riprendersi. Che possa costituire un sostituto funzionale del M5s mi pare improbabile: qualunque giudizio se ne dia, il movimento fondato da Grillo e Casaleggio senior raccoglieva e saldava una serie di istanze anti-establishment piuttosto ampia e non risparmiava, nelle sue critiche, nessuno dei soggetti politici che considerava corresponsabili del degrado della politica italiana».
Il Pd li ha inglobati, i vecchi girotondini ci rivedono la giovinezza perduta e i loro sogni consumati. A che stadio siamo arrivati?
«Qui siamo ancora allo stadio delle esternazioni circoscritte ad un solo bersaglio, Salvini, e nei confronti di alcuni dei pilastri dell'establishment, Pd in testa, non c'è alcuna vera ostilità. Sono fenomeni diversi e per più di un verso lontani».
Si è detto che le sardine sono per la bella politica, ma finora rifiutano simboli politici, si tengono a distanza. È una contraddizione, un ossimoro?
«Non è detto che la bella politica debba avere simboli. Ma di sicuro dovrebbe avere idee, progetti di società, visioni del mondo, programmi d'azione, non solo slogan. Può darsi che questo movimento ne produrrà, ma è sicuro che, non appena preciserà obiettivi e moventi, inizierà a sfilacciarsi. Ai nostri tempi, le mode si consumano in fretta. Questa rischia di durare, tutt'al più, il tempo di una campagna elettorale».
Carmelo Caruso
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