Impazza la fanta-teologia da baraccone, senza più freni. Ormai si può dire tutto, dallo sdoganamento del peccato mortale, alla messa in dubbio della mascolinità di nostro Signore. Breve carrellata di tonterias contemporanee.
Queer
Esponenti queer
In un recente articolo, Sabino Paciolla segnalava il titolo curioso che la rivista Concilium assegnava al suo ultimo numero: “Teologie queer: diventare il corpo queer di Cristo”. Non è di vitale importanza conoscere il contenuto dei testi, perché è abbastanza chiaro dove il modernismo dei neoteologi voglia andare a parare: anche i sodomiti impenitenti farebbero parte del corpo mistico della Chiesa e, dunque, di Cristo. Queer è un neologismo, sinonimo della completa promiscuità sessuale, secondo una pseudo-teoria che annulla le differenze tra i due sessi e la non liceità dei rapporti omosessuali.
Se qualcuno volesse almeno avere un’idea del tenore dei cosiddetti ragionamenti di Concilium, può dare un’occhiata all’articolo di Matteo Matzuzzi, tratto da Il Foglio, che ne riporta alcuni stralci.
Scegliendo tra le perle della rivista fondata, tra gli altri, da Karl Rahner e Hans Küng, si viene a sapere che «diventare il corpo queer di Cristo è un sentiero escatologico che le teologie queer hanno esplorato nel mezzo di una violenza sistemica». Ecco una prima affermazione geniale: siccome i sodomiti non vogliono smettere di peccare, il corpo mistico deve evolvere verso l’eschaton (il ritorno di Cristo nella Parusia) includendo il peccato. Non deve, cioè, adattarsi il peccatore a Cristo, ma Cristo al peccatore, includendo nel suo corpo il peccato.
A parere di Concilium, infatti, «i corpi che contano davvero, i corpi sfruttati e invisibili delle persone LGBTIQ+, dei migranti, delle persone scomparse o di quelle diversamente abili, costituiscono oggi le membra vive del corpo queer di Cristo». Quindi i «corpi che contano davvero» non sarebbero quelli dei penitenti, non sarebbero quelli di chi prega, ma quelli delle «persone LGBTIQ+», indebitamente associate ad altre categorie sociali. Insomma, bisogna «ri-membrare con amore» i corpi «s-membrati dalla violenza globale», che sarebbero anche quelli delle persone LGBTIQ+, dicendo loro che va tutto bene e che non hanno nulla di cui pentirsi. Questa, secondo i redattori, sarebbe addirittura «un’espressione dei tempi messianici». Ovvero, i tempi messianici verrebbero introdotti dall’abolizione del sesto comandamento (“non commettere atti impuri”).
Dopo avere sdoganato il peccato mortale, Concilium rincara: «Le loro» (delle persone LGBTIQ+) «molteplici resistenze, le lotte per la dignità, la vita e la speranza rappresentano una dimensione preziosa del processo escatologico di redenzione». Altro elemento molto importante per la fanta-teologia contemporanea: la redenzione non è più associata alla conversione, ma è un frutto degli effetti sgradevoli e conseguenti all’impenitenza del peccatore.
Una certa Carmen Margarita Sánchez de León giunge a chiedersi: «il corpo di Gesù è neutrale o asessuato»? Domanda del tutto lecita per l’ideologia del gender. Se nel corpo mistico devono trovare posto anche gli atti omosessuali e se il sesso non ha più nessun peso di rilievo, non ha nemmeno importanza che Gesù sia maschio o femmina. E qua si sale a livelli eccelsi di speculazione umana: se «molteplici sono i corpi di Gesù» – si chiede Sánchez de León – il suo «è corpo o corp*»? Da notare l’asterisco (*) della neolingua orwelliana, che i gruppi LGBT usano in dosi massicce e che vorrebbero imporre alle masse. Conclusione del sublime ragionamento: «se Gesù è stato totalmente umano, c’è spazio sufficiente per pensare che la sua incarnazione è un divenire, mai un processo concluso». Tutto torna. L’incarnazione, secondo la Sánchez de León, si evolve di continuo, come l’australopiteco africano e il bonobo pigmeo.
Al confronto, come si vede, san Tommaso d’Aquino era un dilettante. Non ha avuto l’intelligenza sufficiente per affermare che il corpo mistico è «un corpo queer, postcoloniale, (eco)femminista». In questo quadro, può la liturgia restare immune dalle suggestioni queer? No di certo, perché «è necessaria l’incorporazione politico-religiosa della dimensione erotica nella liturgia per liberarla» – scrive Marilù Rojas Salazar. I padri della Chiesa si sono dimenticati di dire, infatti, che senza la dimensione erotica, la liturgia è morta.
Marilù ci va giù pesante: lo spazio della liturgia, finora, «è stato cooptato dal discorso egemonico dominante di potere o di terrore verso la diversità di razze, sessualità, corpi, culture ed epistemologie ‘strane’». Invece, introducendo la sessualità e l’erotismo, la liturgia tornerà al suo splendore. È sorprendente che sant’Agostino non sia arrivato a tanto acume. Purtroppo, fino ad oggi, la liturgia ha sofferto – sostiene Marilù – di «una matrice di taglio etero normativo nell’ambito della teologia cristiana». Se, invece, fosse stata meno etero e più omo, la liturgia sarebbe certamente decollata.
Ecco dunque spiegato, dopo questa breve carrellata, perché non è necessario leggere oltre e perché, in generale, non è importante dare eccessiva importanza a Concilium e alla fanta-teologia da baraccone.
Incalzato da un giovane scrittore, che gli chiedeva il perché avesse giudicato negativamente la sua opera, dopo aver letto solo la prima pagina, Oscar Wilde rispose: «Amico mio, per sapere se il vino di una botte è buono non occorre bere tutta la botte».
 di Silvio Brachetta

Rivista Concilium