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domenica 5 gennaio 2020

La dottrina cattolica ridotta al Nuovo Ordine Mondiale..!?

Uccidere Soleimani? È moralmente lecito (a certe condizioni)

L'azione statunitense che ha portato all'uccisione a Baghdad del leader iraniano Qassem Soleimani solleva una questione morale, sulla sua liceità o meno. La dottrina cattolica offre dei criteri chiari: l'azione è lecita se è un'azione difensiva armata (e questo è il caso) e se le modalità dell'atto sono proporzionali al fine buono. È chiaro che l'uccisione manu militari deve rappresentare l’extrema ratio per difendere alcuni beni di alto pregio (pace sociale, eliminazione dell'oppressione, etc.). Ci deve essere inoltre proporzionalità tra bene difeso e bene leso. Infine si richiede la proporzione tra benefici sperati e danni prevedibili. È chiaro che alcune di queste valutazioni richiedono l'apporto di analisti militari, ma a quanto è dato conoscere si può ritenere che l'attacco a Soleimani abbia fondate ragioni.



                            Folla al funerale di Soleimani a Baghdad

Dal punto di vista morale si può considerare lecita l’uccisione del generale Qassem Soleimani da parte delle forze armate statunitensi? La risposta è affermativa, se il caso può essere ricompreso in un atto proprio di una azione difensiva armata; si risponde in modo negativo in caso contrario. Affinché il caso possa essere inquadrato in un atto difensivo occorre che lo stesso soddisfi alcuni criteri.


In modo preliminare ricordiamo che le azioni militari di natura difensiva – e più latamente la guerra difensiva – sono moralmente lecite perché la difesa di alcuni beni – beni materiali quali la vita, la salute, le sostanze economiche, e beni immateriali quali il bene comune  e la patria (che naturalmente ricomprendono anche beni materiali), l’onore, la fede, etc. – è un oggetto moralmente buono. Dunque, come è lecito tutelare la propria persona anche attraverso l’uso necessitato delle armi, anche nel caso in cui questo uso provochi l’uccisione dell’aggressore, così è altrettanto lecito sul piano morale difendere, anche con l’uso delle armi, un’intera comunità contro un’aggressione ingiusta che proviene da un’altra nazione o dai propri governanti e che attenti alla vita delle persone o ad altri beni di primaria importanza. In buona sostanza alla guerra difensiva e a tutti gli altri interventi manu militari di carattere difensivo si può applicare il principio della legittima difesa.

Il primo requisito che occorre soddisfare per considerare lecita l’uccisione di Soleimani è dato dalla verifica che costui fosse un ingiusto aggressore, perché se non c’è offesa ingiusta non si può parimenti predicare una giusta difesa.  Come ben spiegato da Souad Sbai le forze iraniane stanno minacciando e violando la pacifica convivenza del popolo iracheno e hanno attentato alla vita del personale USA presente sul territorio e dei membri delle forze militari statunitensi in altri luoghi, perché soggetti che tutelano il popolo iracheno. Dunque il generale Soleimani, soprattutto a motivo del suo ruolo apicale, poteva essere considerato un ingiusto aggressore o, in altri ma equipollenti termini, un esponente di una forza militare e politica ingiustamente nemica del popolo iracheno e dei loro alleati. Perciò l’atto materiale dell’uccisione del generale può essere qualificato dal punto di vista morale come atto difensivo, quindi come atto astrattamente buono.

Ma il secondo passo per comprendere se un atto astrattamente buono lo sia anche nel concreto è comprendere se le modalità dell’atto siano proporzionali al fine buono, che in questo caso è un fine difensivo. Infatti «un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7 c.).

Questo criterio di proporzionalità si declina secondo vari indici. Il primo riguarda il mezzo usato, cioè, in questi casi, la forza militare. Il mezzo usato deve essere proporzionato al fine, dunque l’uccisione manu militari deve rappresentare l’extrema ratio per difendere alcuni beni di alto pregio. Con maggiore precisione dovremmo affermare che la relazione tra mezzo e fine significa, in questa ipotesi, che il criterio di proporzionalità riguarda il rapporto tra violenza dell’aggressione e forza difensiva: «se quindi uno nel difendere la propria vita usa maggiore violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita» (Ib.). Se ad esempio la difesa della propria persona è realizzabile tramite il mero ferimento dell’aggressore, la morte di questi positivamente ricercata sarebbe ingiustificabile, perché non necessaria: l’effetto dannoso della morte dell’aggressore poteva essere evitato perché superfluo. Dunque l’azione di uccisione eccederebbe la difesa – sarebbe perciò sproporzionata per eccesso – e confluirebbe in un'altra species morale, quale potrebbe essere l’offesa.

Applicando questo criterio al caso Soleimani, se la difesa dei beni in gioco – pace sociale, interruzione dei conflitti interni, eliminazione dell’oppressione, etc. – si poteva attuare in modo non violento, l’uccisione non sarebbe stata giustificata, proprio perché eccessiva, sproporzionata: sarebbe stato un intervento che avrebbe provocato danni evitabili. Occorre quindi esaurire tutte le soluzioni pacifiche di carattere diplomatico, comprese le giuste minacce di ritorsioni di natura economica, politica, etc., prima di decidersi ad usare la forza fisica. Come scrisse Jacques Maritain, un soggetto «non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando sia necessario in modo assoluto» (Umanesimo integrale, Borla, Bologna, 1973, p. 269). Sta agli addetti ai lavori spiegarci se la decisione di Trump di eliminare Soleimani era necessaria oppure no, se configurava ormai l’unico strumento per tutelare quei beni indicati prima.

Il secondo criterio riferito al principio di proporzione riguarda la proporzione tra bene difeso e bene leso. Non è lecito uccidere una persona se questa vuole rubare un’auto (a meno che l’auto sia indispensabile per salvarsi la vita): «non si può togliere al prossimo un bene massimo per un bene minimo» (P. Palazzini, voce Difesa legittima, in Ente per l’enciclopedia cattolica e il libro cattolico, Enciclopedia cattolica, Casa Editrice C.G. Sansoni, Firenze, 1950, p. 1584). Parimenti, in merito agli scenari geopolitici, le ingiustizie devono ledere i diritti fondamentali dei cittadini, inoltre devono essere certe, ossia verificarsi con costanza e da lungo tempo. In aggiunta, il vulnus non deve riguardare «soltanto certi beni particolari di alcuni uomini» ma deve concretarsi in una tirannia che «infierisce contro tutta la comunità» (Tommaso d’Aquino, De Regno ad regem Cypri, I, i 6).

L’oltraggio dunque ad un bene del singolo può essere sopportato al fine di tutelare beni più rilevanti quali la sicurezza e la pace sociale, cioè per conservare il bene comune: «se la tirannide non è eccessiva, è certamente più utile sopportarla per un certo tempo piuttosto che, reagendo, incorrere in molti pericoli più gravi della stessa tirannide» (Ib.). Ciò non toglie che il bene del singolo oggetto di una ingiusta aggressione potrà lecitamente e naturalmente essere sempre tutelato con la legittima difesa privata, ma non necessariamente dovrà provocare l’intervento di una nazione straniera.
Dalla descrizione dei media di ciò che stava e sta avvenendo in Iraq pare proprio che in pericolo – e il pericolo era certo – ci fosse la convivenza pacifica di una intera nazione con effetti destabilizzanti per un’intera regione del Medio Oriente.

Il terzo criterio riguarda la proporzione tra benefici sperati e danni prevedibili. Ogni nostra azione tende ad alcuni beni (che sono il fine da noi ricercato) e provoca alcuni danni (effetti negativi che si vogliono evitare). Se i benefici superano i danni per importanza, l’atto sarà efficace. Se i benefici e i danni sono di pari entità, l’atto sarà inutile. Se i benefici sono sopravanzati per importanza dai danni, l’atto sarà inefficace, dannoso. Nel caso di specie, prima di prendere la decisione di eliminare Soleimani, occorreva domandarsi se il gioco valesse la candela e dunque occorreva domandarsi: l’uccisione di Soleimani quali effetti provocherà? Al suo posto verrà scelto un sostituto ancor più spietato? L’oppressione iraniana allenterà la sua morsa oppure diventerà più spietata? Il conflitto interno si andrà spegnendo oppure si inasprirà? Si innescherà una escalation di conflitti oppure si aprirà una fase di de-escalation? Risposte a cui devono rispondere gli analisti e a cui, con certezza, hanno dato risposta i collaboratori di Trump prima di suggerire il raid della scorsa notte. Naturalmente la scelta di uccidere il generale iraniano potrebbe essere stata lecita anche se si fosse previsto un periodo iniziale di recrudescenza degli scontri a cui potrebbe seguire invece una stabilizzazione dello scenario in Iraq.

Tommaso Scandroglio

https://lanuovabq.it/it/uccidere-soleimani-e-moralmente-lecito-a-certe-condizioni

Soleimani e non solo: Meloni e Salvini (troppo) divisi


Ancora non governano insieme. Anche se vorrebbero farlo il prima possibile. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, almeno su questo vanno perfettamente d’accordo, sostengono che occorre ridare il prima possibile la parola agli italiani. E i due alleati insieme, secondo i sondaggi, superano il 40 per cento dei consensi a cui sommare il risultato di Forza Italia. Eppure anche da alleati per ora all’opposizione occorre che facciano un po’ di chiarezza. Su alcune questioni fondamentali, delle ultime ore, si sono divisi.
Sul discorso del presidente della Repubblica, Giorgia ha detto che si trattava “di un discorso di alto profilo con obiettivi ambiziosi” mentre Matteo lo ha subito bollato come “mellifluo”. Vabbè possiamo dire che sulle persone e sulle interpretazioni dei loro discorsi la destra avrà ben diritto di mantenere le proprie distanze e giudizi.
Divergenze ben più gravi sull’attacco americano a Soleimani, il generalissimo iraniano: quello che secondo il direttore della Stampa, Maurizio Molinari, aveva in progetto di espandere la mezzaluna sciita a Libano, Siria e Iran, tanto per iniziare. E che con scarsa preveggenza il Times aveva inserito, proprio con Giorgia Meloni, tra le 20 persone che cambieranno il 2020.
Ebbene ieri il giornale di An prima e poi di FdI, il Secolo d’Italia, scriveva: “Qasem Soleimani non era un terrorista. Era un patriota”. In un secco fondino Sottile ha scritto “Quello che gli americani chiamano terrorista, imitati imprudentemente da qualche Pierino italiota, colui che è stato assassinato a Bagdad insieme al capo degli sciiti iracheni era non solo un militare coraggioso, uno stratega, ma addirittura un vero eroe per la larga maggioranza degli iraniani. Non era un criminale che si nascondeva e colpiva gli inermi Soleimani, ma un comandante militare al servizio della sua Nazione”.
Beh, utilizzando i termini di Sottile, tra i Pierini italioti ci deve essere anche il loro alleato Salvini che dopo il raid americano ha subito commentato: “Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e dell’Unione europea, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato Soleimani uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà”.

Ecco la destra che si candida a governare, è più vicina a Dibba che parla di pagina vergognosa scritta da Trump o è quella che considera l’Iran un pericoloso nemico dell’Occidente? Forse prima di governare insieme e prima di combinare pasticci, converrebbe che si mettano d’accordo e che, come minimo, le loro posizioni non siano così divergenti in materia di politica estera.
Nicola Porro, 5 gennaio 2020
La prima causa di morte al mondo nel 2019? L’aborto

Lo scorso anno l’aborto procurato è costato la vita a 42.4 milioni di persone (su 58.6 milioni di decessi totali), molto più di Aids, cancro e guerre. Lo rivela Worldometers, basandosi sui dati dell'Oms e dell'Istituto Guttmacher, un ente abortista. Verosimilmente, quindi, una sottostima. Eppure i grandi media preferiscono ignorare la notizia.



Ci sono notizie che, pur molto rilevanti, vengono puntualmente ignorate dai grandi media. Fra queste, occupa uno spazio di primo piano l’elaborazione statistica che Worldometers, «la calcolatrice più potente del pianeta» (così viene definito), ha fatto per il 2019, rilevando come lo scorso anno, in tutto il mondo, si siano verificati 58.6 milioni di decessi. Ora, dov’è la notizia? Per la verità ce ne sono due, una dentro l’altra. La prima consiste nel fatto che la gran parte di quei 58.6 milioni di decessi sono avvenuti non per cause naturali bensì per morte violenta. Per forza, si dirà, con tutte le guerre che insanguinano il pianeta. Sbagliato.

Infatti, la seconda notizia - la più tragica e più censurata - riguarda la prima causa di morte violenta al mondo, che appunto non sono i conflitti armati, ma è l’aborto volontario. Una pratica che lo scorso anno è costata la vita a 42.4 milioni di esseri umani, sempre secondo Worldometers: che non è, lo si ripete, un ente cattolico bensì un sito accessibile a chiunque, per la cui affidabilità ha ricevuto riconoscimenti, tra gli altri, dall’American Library Association e che vanta collaborazioni con la Bbc. Gli oltre 42 milioni di vittime rappresentano un numero enorme e superiore, per capirci, a quello di tutte le vittime civili e militari in Europa della Seconda Guerra Mondiale, quando il nostro continente era dilaniato da distruzione, bombe e lager.

Non finisce qui. Infatti va ricordato che Worldometers, nell’elaborazione delle proprie stime (dato che dei calcoli esatti al centesimo sono, per ovvie ragioni, impossibili), si appoggia alle statistiche sulla salute e sulla mortalità dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la quale a sua volta si basa sui numeri dell’Istituto Guttmacher, noto ente abortista. Questo significa che i 42.4 milioni di soppressioni prenatali del 2019 sono verosimilmente una sottostima, dato che non considera tutti i milioni di «aborti invisibili» riconducibili, nel mondo, alla cosiddetta pillola del giorno dopo.

Ne consegue come non ci siano davvero dubbi sul primato mortifero globale dell’aborto volontario, primato peraltro appurato ormai da tanti anni. Anche perché le altre cause di decesso sono, a livelli di classifica, molto distaccate dal momento che si parla, per il 2019, di 8.2 milioni di persone morte per cancro, di 1.7 milioni per Hiv e di 13 milioni per malattie. Tutte frontiere, beninteso, estremamente drammatiche e da contrastare il più possibile con il progresso medico, l’assistenza e gli investimenti necessari. Viene tuttavia da chiedersi per quale ragione, nonostante i numeri agghiaccianti di cui sopra, dell’aborto si continui a non parlare come dell’emergenza planetaria che invece, dati alla mano, è.

La sensazione è che dietro questo omertoso silenzio vi siano almeno due tipi di spiegazioni. La prima, più generale e immediata, riguarda la natura intrinseca dell’atto abortivo che, nonostante tutte le pressioni culturali e mediatiche per normalizzarlo, viene tutt’oggi percepito dalla maggior parte delle persone come un atto immorale, ingiusto, tremendo. In una parola, ripugnante. Per questo si preferisce, d’istinto, evitare l’argomento.

Una seconda ragione per cui dell’aborto quale prima causa di morte al mondo non si parla - o, meglio, si evita deliberatamente di parlare - deriva dall’approccio che la cultura dominante ha, da decenni, sulla questione. Nello specifico, la strategia è la seguente: promuovere il «diritto» di abortire, ma non parlare mai dell’aborto in quanto tale, deviando sempre l’attenzione sui massimi sistemi: l’autodeterminazione, il Medioevo che ritorna, il patriarcato, eccetera.

Così alla fine di tutto ci si occupa, per l’appunto, fuorché di un fenomeno che solo nell’anno appena iniziato - sempre secondo Worldometers - ha già totalizzato oltre 440.000 vittime (fino al pomeriggio del 4 gennaio). Più di sette volte tanto il numero di militari americani morti in Vietnam. Un motivo in più per continuare, anche in questo 2020, la guerra culturale più importante: quella a difesa del nascituro.
Giuliano Guzzo
https://lanuovabq.it/it/la-prima-causa-di-morte-al-mondo-nel-2019-laborto

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