ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 11 gennaio 2020

Un filo di raccordo

Venti di guerra: progetti umani, disegni divini
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Aspetta! Aspetta! Prenditi cura del popolo cinese! Stanno perdendo la fede!


Che cosa lega tra loro la vergognosa provocazione all’Iran, il vertiginoso sviluppo dell’industria digitale, il movimento di protesta di Hong Kong, l’Ostpolitik vaticana e la sberla appioppata ad una fedele cinese dal vescovo vestito di bianco? A prima vista, nulla. Una serie di dati interessanti consente però di individuare un filo di raccordo o, meglio, di inquadrare in una cornice coerente fatti apparentemente disparati. Tale tentativo richiede uno sguardo profondo che, partendo da realtà contingenti, ne colga il significato recondito alla luce di una visione teologica della storia, quella che interpreta il groviglio degli avvenimenti come una lotta incessante tra il Regno di Dio che si afferma nel mondo e le forze anticristiche che tentano invano di frenarne l’avanzata. Un approccio di tal genere sarà facilmente bollato dai benpensanti come apocalittico o irriso dagli esperti come ingenuo, ma il rilevamento di certe convergenze oggettive non può lasciare indifferenti.


Cominciamo dall’informatica, ossia da quel sistema tecnologico da cui dipende ormai ogni attività umana e ogni aspetto della nostra esistenza: finanza, distribuzione, commercio, informazione, cultura, comunicazione, difesa militare… Il controllo della Rete equivale a uno smisurato potere che è in grado di scavalcare o sottomettere anche le istituzioni nazionali. Gli Stati Uniti ne hanno finora detenuto il monopolio mediante un cartello di aziende che ne difendono gli interessi egemonici. Di recente, però, i due colossi Google e Facebook hanno formato, con alcune società cinesi collegate alla governativa Huawey, un consorzio per la realizzazione di una nuova linea Internet ultraveloce tra Los Angeles e Hong Kong; come contropartita, la Gran Bretagna ha venduto alla Cina la Borsa di Londra, la seconda al mondo per volume di affari. Non per nulla, l’anno scorso Donald Trump ha bloccato la posa del cavo transoceanico, visto che un fatto del genere, mettendo fine al monopolio americano, provocherebbe inevitabilmente un profondo riassetto degli equilibri mondiali.


I due giganti promotori dell’impresa sono pur sempre statunitensi, ma alleati col Partito Democratico, e costituiscono ormai una sorta di Stato nello Stato capace di condizionare la politica nazionale. Come se non bastasse, a fine agosto, al simposio dei direttori delle banche centrali che si è tenuto a Jackson Hole, nel Wyoming, il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney (già managing director della Goldman & Sachs), ha proposto fra gli applausi la creazione di una valuta sintetica egemonica che rimpiazzi il dollaro come moneta di scambio planetario, agganciandosi invece allo yuan cinese. La ragione è fin troppo chiara: i biglietti verdi sono ormai carta straccia, visto che gli Stati Uniti continuano a stampare denaro cui non corrisponde più alcun valore reale; il debito pubblico americano è una voragine senza fondo, mentre le riserve auree di Fort Knox son state misteriosamente sostituite da lingotti al tungsteno (che ha lo stesso peso specifico) verniciati d’oro. Si capisce bene, in questa luce, perché la Russia e la Cina si siano sbarazzate quasi del tutto delle quote del debito statunitense di cui erano titolari: la prima potenza del mondo rischia la bancarotta.


Ma perché questa preferenza dei potentati finanziari per l’Impero di Mezzo? Anche l’asse franco-tedesco, indifferente ai vincoli contratti con gli altri Paesi dell’Unione, coltiva autonomamente forti interessi economici in Oriente. Francia e Germania, ora ancor più strettamente unite dal Trattato di Aquisgrana (22 gennaio 2019), cooperano al progetto cinese per l’installazione della rete 5G, che comporta – oltre a seri rischi per la salute e la sicurezza – forti minacce di spionaggio delle basi americane in Europa. In realtà, tale propensione contagiosa per uno Stato che calpesta i diritti umani, sacri all’Occidente, non stupisce più di tanto, se si pensa che i regimi comunisti non sono stati altro, al di là della retorica populistica, che un immenso laboratorio per la sperimentazione su larga scala dell’economia pianificata dall’alto. L’Unione Sovietica sarebbe implosa sul nascere senza il fiume di capitali riversatovi dalle banche ebraiche con sede negli Stati Uniti. Mao Tse-tung avrebbe perso la guerra se i finanziatori occidentali di Chiang Kai-shek non avessero inopinatamente chiuso i rubinetti. Ciò fa pensare che, al di qua e al di là dell’Atlantico, si stia portando avanti un progetto comune, sebbene secondo modelli diversi, quello sinarchico e quello palladista.


Mister Carney, oltre ad essere un uomo-chiave dell’oligarchia finanziaria piazzato alla testa di una banca di Stato (ciò che dimostra una volta di più come la finanza pubblica sia ormai controllata da quella privata), è anche coinvolto nella Coalizione per un capitalismo inclusivo, la cui presidente e cofondatrice è una Rothschild legata ai Clinton e ai reali d’Inghilterra, nonché agli amministratori delegati delle principali multinazionali. La nuova locuzione, resa così seducente dall’impiego di una parolina magica del politicamente corretto, prospetta un sistema economico che, sostanzialmente, faccia a meno degli Stati, possa cioè passar sopra alla volontà politica, alle legislazioni in vigore, ai diritti dei lavoratori e a tutto il resto, a vantaggio del potere illimitato di una cerchia ristrettissima di persone detentrici di ricchezze inimmaginabili. Dietro l’apparenza di una libertà individuale senza limiti (quella di ridursi a livelli subumani con la droga libera e il sesso indiscriminato), si cela una tirannia totale che si sta edificando sulle rovine delle sovranità nazionali, oltre che sull’oscuramento della ragione e sulla perdita della dignità morale.


In questo quadro, sembra che la cupola finanziaria abbia deciso di trasferire la supremazia mondiale dagli Stati Uniti alla Cina, nuovo fulcro del turbocapitalismo pianificato; nello stesso senso depone, in effetti, l’invasione planetaria dei prodotti cinesi resa possibile dalla globalizzazione, nonché la rapida deindustrializzazione dell’Occidente, imposta con l’ideologia dei cambiamenti climatici e favorita dalla delocalizzazione. La Cina è il primo Paese al mondo sia per popolazione che per crescita economica; la recessione causata dal calo della domanda occidentale (determinato a sua volta dall’impoverimento dei ceti medio-bassi) è stata compensata da un aumento dei consumi interni innescato con la realizzazione di infrastrutture e con l’immissione di capitali, da parte della banca centrale, nelle aziende nazionali, che sono comunque controllate dal governo. Il pugno di ferro su Hong Kong si spiega alla luce del progetto che intende unire l’isola alla Silicon Valley, mentre la protesta popolare mostra i sintomi dell’ennesima rivoluzione colorata orchestrata da Washington, che – come abbiamo visto – cerca di impedirne la realizzazione.


La composizione dei due fronti, nella competizione in atto, può di primo acchito sorprendere. Si direbbe uno scontro tra titani per il conseguimento del dominio universale. Alla radice – posto che l’alta finanza sia gestita da un certo numero di famiglie, ebraiche o non, più o meno strettamente legate ai Rothschild – si potrebbe ipotizzare una concorrenza tra due tendenze del sionismo: da un lato, un sionismo che possiamo denominare di destra, rappresentato da Netanyahu e patrocinato da Trump sotto l’influsso del genero lubavitcher, Jared Kushner; dall’altro, un sionismo di sinistra, di cui George Soros è uno dei più noti promotori e che pilota l’Unione Europea, oltre ad aver piazzato i suoi uomini ai vertici del Vaticano, facendone così una centrale ideologica dell’immigrazionismo e della cosiddetta conversione ecologica.


Si può altresì supporre, con una certa plausibilità, che tale competizione abbia semplicemente una funzione equilibratrice, facendo in modo che un centro di potere non prenda il sopravvento sugli altri e tenendo l’umanità sotto scacco con il pretesto, ieri, della guerra fredda, oggi, del terrorismo islamico. In ogni caso, essa consente ai burattinai occulti di esercitare la propria influenza ovunque, in tutte le grandi corporazioni industriali e in schieramenti politici opposti (tanto sulla sinistra che difende le banche quanto sulla destra prona a Israele). Questa è del resto la filosofia che ispirò Mayer Amschel Rothschild quando fondò il suo impero finanziario: dirigere la scena politica – e quindi il mondo – prestando denaro agli Stati per poi ricattarli e speculando sulle guerre, cioè finanziando entrambe le parti in lotta così da ricavarne guadagni favolosi comunque andasse.


A questo punto occorre menzionare la Russia, finora rimasta sullo sfondo. La Federazione è ormai giunta a disporre della tecnologia militare più avanzata al mondo, sebbene, per ora, sia inferiore agli Stati Uniti per potenza. Entro il 2024, tuttavia, insieme alla Cina essa avrà raggiunto una superiorità schiacciante sull’Occidente; perciò l’unica possibilità che rimane agli americani di conservare la propria egemonia è scatenare una guerra nei prossimi quattro anni. L’Iran è l’ultimo dei sette Paesi limitrofi di Israele che, secondo il Piano Kivunim (1982), dovevano essere neutralizzati in nome della sua sicurezza; ma la repubblica islamica è alleata proprio con la Russia e con la Cina. Questa volta, dunque, il conflitto rischia di non rimanere confinato alla regione, ma di estendersi a livello planetario, con conseguenze imprevedibili. Qualora qualcuno si domandi chi possa avere interesse a provocare un’ecatombe di proporzioni immani, non dimentichi che l’oligarchia, convinta che noi si sia troppi, ritiene insufficienti – o non abbastanza rapidi – i mezzi finora adottati ai fini di una drastica riduzione della popolazione mondiale (aborto, contraccezione, omosessualismo).


Secondo le loro dottrine esoteriche, d’altronde, la civiltà non può passare da un’èra all’altra se non attraverso una distruzione e una rinascita; il progresso verso stadi dell’umanità via via più perfetti può ben richiedere il sacrificio di miliardi di anonimi individui a vantaggio di una razza più scelta. Simile teoria vi rammenta qualcosa? Anche quello non era altro che un laboratorio temporaneo per un progetto molto più ampio, tanto è vero che molti criminali nazisti trovarono rifugio proprio negli Stati Uniti, a parte quel Walter Hallstein che fu riciclato come primo presidente della Comunità Economica Europea… La nostra Unione, effettivamente, ha assunto i tratti di un regime totalitario dotato di efficienti lagergulag o laogai, comunque li si voglia chiamare: anche se l’apparenza è più “democratica”, le dinamiche sono analoghe. Pensate che sono riusciti a trasformare in questo senso perfino le strutture della Chiesa Cattolica: chiunque non aderisca all’ecclesialmente corretto viene o sottoposto a rieducazione o, qualora sia refrattario, relegato in un limbo in cui se ne perde il ricordo; ma qualcuno riesce comunque a far sentire ancora la sua voce.


È il caso del coraggioso cardinal Zen. L’anziano porporato si è espresso a più riprese, con grande franchezza, sull’accordo segreto tra il regime cinese e la Santa Sede del 22 settembre 2018, che ha ribaltato la posizione precedente: i vescovi scomunicati, ordinati su indicazione del governo senza mandato pontificio, sono stati riconosciuti da Roma, mentre quelli fedeli al Papa, che hanno spesso pagato la loro lealtà con lunghe prigionie, hanno ricevuto l’ordine di aderire alla sedicente Chiesa patriottica, che altro non è che un organo del partito comunista. La decisione è stata salutata come una svolta che dovrebbe portare al superamento di una divisione che perdura da decenni, ma in realtà costringe i cattolici cinesi a sottomettersi a una gerarchia scismatica e li getta così nelle fauci del regime, che mira al controllo totale di ogni organizzazione religiosa e continua peraltro, in barba all’accordo, a infierire sulla Chiesa sotterranea, facendo sparire preti e vescovi, abbattendo croci e chiese, proibendo l’educazione religiosa fino alla maggiore età. Ma il fatto più paradossale è che la suprema autorità ecclesiastica, con queste decisioni, contraddice radicalmente la dottrina della fede, spingendo un’eroica comunità perseguitata ad un’abiura di fatto.


Su questo sfondo risalta con tutto il suo rilievo il drammatico appello, riportato in apertura, che una donna cinese ha rivolto a “Francesco” il 31 dicembre scorso, come pure la scomposta reazione del secondo. Anche il Vaticano, a quanto pare, partecipa alla strategia della translatio imperii: non solo ha consegnato la Chiesa locale a un regime ateo e materialista approvandolo con sperticati elogi, ma si è implicitamente sottomesso ad esso nel delegargli la nomina dei vescovi. Tutti, perfino in campo religioso, sembrano dunque cooperare a questo trasferimento della supremazia mondiale, eccetto quanti si accaniscono a difendere quella americana. Ciò che potrebbe inceppare questo progetto è proprio quella piccola cristianità, estremamente vivace, che si sta tentando di soffocare, ma che, sia pure in condizioni così difficili, è in continua espansione. Vi immaginate che succederebbe se la Chiesa cinese ritrovasse la libertà? Grazie all’intercessione dei numerosissimi martiri che già conta, la fede dilagherebbe in un popolo immenso che ne ha una sete ardente, vi è ben disposto e potrebbe un giorno rievangelizzare i nostri Paesi scristianizzati. Il cardinal Zen, con la caratteristica saggezza del suo popolo, non ha incoraggiato il clero sano alla ribellione, ma a tornare nella clandestinità per seminare con fede in attesa del raccolto. Una lezione anche per noi.


Ara il suolo. Aspetta tempi migliori. Torna alle catacombe. Il comunismo non è eterno (neanche Bergoglio, ndr).


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