(s.m.) Nel riaprire un attimo un occhio, quasi al termine della sua gran dormita, il ghiro ha colto al volo questo inedito, illuminante elzeviro sull’ancor fresco Festival di Sanremo. Dalla cronaca alla storia, con la firma di uno storico di prim’ordine. Buona lettura!
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Felice Cavallotti un secolo e mezzo fa aveva già detto tutto
di Roberto Pertici
Il comico Roberto Benigni si è esibito al Festival di Sanremo in una lettura del Cantico dei Cantici, al tempo stesso provocatoria e scontata: il testo biblico canterebbe una sessualità completamente libera, che la tradizione rabbinico-cristiana ha nei secoli soffocata e repressa. Sono fra coloro che non menano scandalo per un comportamento sessuale più o meno spregiudicato: m’irritano piuttosto le banalità culturali fatte passare per pensieri originali e brillanti. Non so quanto Benigni ne sia consapevole, ma il suo è invece un discorso trito: fatto e rifatto.
Nel 1881 Felice Cavallotti (sì, proprio lui! il “bardo della democrazia”, che era anche scrittore e poeta) scriveva per le scene uno “scherzo poetico in un atto”, intitolato appunto “Il Cantico dei Cantici”, che incontrò un enorme successo nell’Italia di Depretis e di Crispi, provocando una vera epidemia di traduzioni di quel libro della Bibbia: se ne contano almeno sette fra il 1882 e il 1889. Un vecchio colonnello in pensione, fortemente anticlericale, forse massone, è contrariato dal fatto che il figlio di suo fratello voglia farsi prete, che una stirpe di soldati come la sua vada a finire in seminario. Ne parla con Pia, la sua bella figliola, mentre attendono una visita del giovane, l’ultima prima del fatal passo. Arriva Antonio, che il colonnello – forse con qualche malizia – lascia solo con la figlia: i due cominciano una conversazione, agl’inizi difficile per gli scrupoli del seminarista, poi sempre più carica di emozioni e sottintesi. Alla fine leggeranno insieme una pagina biblica, appunto il Cantico dei Cantici, che Cavallotti a suo modo traduce e mette in versi, e i sensi repressi del giovane avranno allora la loro rivincita: dimentico del seminario, si avvierà a sposare la cugina!
In definitiva il giovane, non essendo ancora prete, evita un drammatico errore e infine costituisce una famiglia più che “regolare”, certamente benedetta da un ministro di Dio. Oggi questo happy end “borghese” sarebbe ricoperto di sarcasmi dagli ascoltatori televisivi di Benigni. Eppure quella commediola fu accolta da feroci polemiche da parte della stampa cattolica: gli scrittori del “Resegone” (il settimanale di Lecco dalla lunga e gloriosa vita) scrissero che “niuna donna e niuna madre d'Italia, degna del nome, potrebbe ascoltare il ‘Cantico’ [di Cavallotti] senza degradarsi fino all'ultima prostituzione di ciò che in donna v'ha di più sacro, il pudore”.
Ma di grande interesse sono anche le pagine premesse dal deputato radicale alla stampa della sua pièce, perché (anche qui) affiorano discorsi che vengono detti e ripetuti continuamente anche oggi.
Nel 1873 la Milano bene era stata sconvolta da un gravissimo episodio di pedofilia in uno dei meglio frequentati collegi della regione: quello dei Barnabiti di Monza. Il rettore, padre Stanislao Ceresa, era stato condannato a dieci anni di galera, appunto, per una serie di ripetuti abusi sessuali sugli allievi del collegio, fra i più bei nomi dell’aristocrazia lombarda. Quel prete non era un uomo banale: letterato di una certa fama, buon patriota, non gesuitante. Nel 1881, Tommaso Villa, che reggeva il dicastero di grazia e giustizia nel democratico governo Cairoli, gli avrebbe concesso la grazia: “Stanislao Ceresa, – scrive Cavallotti – padre barnabita, ingegno potente e natura ardente, condannato dalle Assise per attentati al pudore, pagato per più anni, nel carcere reclusionale, il suo debito alla umana giustizia, e uscitone per decreto di grazia del ministro Villa, non poté goderne, perché subito appresso pagava il debito alla natura. La grazia aveva restituito alla società un’ombra, non più un uomo: smunto, macero, consunto dal rimorso, dalla vergogna, dalla maldomita febbre de’sensi – la lama aveva corroso il fodero –, Stanislao Ceresa rivide il libero giorno già preda della morte che a lui fu, più della grazia, pietosa”.
Solo chi non conosca l’umanità di Cavallotti può essere sorpreso dal suo atteggiamento cavalleresco nei confronti di quel povero prete. Ma il centro del suo discorso era un altro: proprio la repressione dei sensi implicita nella morale cattolica e imposto ai preti dal celibato era alla base delle “perversioni” frequenti negli ambienti ecclesiastici: “Stanislao Ceresa – scriveva il deputato, e conviene ascoltarlo anche nella sua oratoria, così lontana dalla nostra sensibilità – non era nato ad essere prete: quelli che lo consegnavano giovane, ardente, innamorato di ideali, al celibato dell’altare, quelli che, invece di una ragazza, gli inflissero in moglie la Chiesa, crearono un delinquente, assassinarono un uomo. Gridano sul loro capo le colpe e la condanna sua. E grida sul capo dei sagrificatori di coscienze e di uomini la ignominia de’ cento e cento ministri del Signore che, in tutti i paesi dove il cattolicesimo è in fiore, vanno ad ingrossare d’anno in anno le statistiche delle condanne per reati contro il pudore e contro natura: laida, enorme statistica, eppure inferiore alla metà del vero, perché non registra i reverendi... che la fanno franca. E ce n'ha tanti di questi, mi dicono, don Albertario, non è vero? Or quale altro, ben altro cantico, entusiasta e sereno, sarebbe sgorgato dall'anima di Stanislao Ceresa, restituito per tempo alla società che lo chiamava della sua gran voce! In quale atmosfera di luce purificatrice si sarebbero espansi gli istinti febbrili, le aspirazioni al bello ed al buono che erano in lui! Reso agli affetti umani, alle gioje del cuore, alle sante emozioni della famiglia, quella natura gagliarda, che il celibato violentò, vi avrebbe portato tutte le sue esuberanze: la società vi avrebbe acquistato un cittadino operoso ed utile, una energia non comune di sentimento e di intelletto rivolta alle alte e alle nobili cose”.
Cavallotti, scrivendo queste righe discutibili quanto si vuole, infrangeva dei tabù: si sono ricordate le reazioni furibonde che provocarono. Questa è la differenza fondamentale fra il suo “Cantico” e quello di Benigni: il comico toscano fa la figura (mi perdoni il paragone) del ladro che ruba in una casa, non solo senza sistemi antifurto, ma con porte e finestre spalancate: che nessuno difende più, neanche i suoi proprietari.
Ci vuol proprio molto coraggio?
Settimo Cielo
di Sandro Magister 10 feb
di Nicoletta Latteri
Quanto andato in onda a Sanremo è l’ennesimo luccicante manifesto di un’umanità capace di guardare solo alle proprie parti basse, svuotata di tutto, che ha volutamente distolto lo sguardo dalle stelle e si sente infastidita dal vedersi ricordare che c’è anche altro nella vita. Un abbrutimento costruito sul vecchio trucco di chiamare il sesso: amore e che di conseguenza ha bisogno di sublimare il sesso per dare un minimo di parvenza di ragion di vita a chi è caduto nella sua trappola.
Fin qui niente di nuovo, un copione già visto, la novità è invece l’uso di tutta una serie di menzogne costruite ad arte sul libro sacro del Cantico dei Cantici.
Cominciamo dalla più innocua: è la canzone più antica. Falso, la canzone più antica è l’inno a Nikal ritrovato a Ugarit nell’odierna Siria e risalente al 1400 a.C. e, a parte i canti dell’antico Egitto, vi si potrebbero aggiungere anche le famosissime Iliade ed Odissea scritte in metrica perché venivano cantate, non semplicemente lette come facciamo noi oggi.
Dopo questa iniziale svista di Benigni, arrivano però tutta una serie di ripetuti bassi attacchi alle religioni Ebraica e Cristiana in perfetta sintonia con la deriva ateista e globalista che si vorrebbe proporre come preziosa conquista a cui deve tendere l’umanità, ma che in realtà sta solo producendo un grandissimo vuoto, il niente.
– Il Cantico dei Cantici parla di amore fisico, vale a dire sesso, le implicazioni religiose e mistiche sono tutte sovrastrutture ideate dai rabbini e teologi per tenere nascosto il messaggio d’amore. Questa è la più bella, perché porta lo stesso Benigni a contraddirsi dato che il Cantico dei Cantici privato della sua valenza religiosa perde di bellezza e diventa uno dei tanti canti d’amore. Infatti poco dopo per riguadagnare l’elemento sopranaturale e di mistero che contraddistingue il Cantico, Benigni parla d’infinito, identificandolo nell’orgasmo e qui scappa da ridere … Certo in mancanza di Dio ci si accontenta veramente di poco. Una sublimazione veramente mal riuscita.
Restando alle affermazioni che fanno ridere, c’è quella che l’erotismo fa paura, un vecchio ritornello sessantottino, stupisce che trovi ancora adesioni, ideato per le masse ormai semischiavizzate e private di effettivo potere decisionale alle quali viene gettata in elemosina la libertà sessuale, quando in realtà è semplicemente uno strumento di distrazione di massa.
In passato come oggi, per chi detiene il potere, e quindi ha anche eserciti e armi nucleari, quale minaccia può mai costituire la gente che si dà alla pazza gioia a letto? La risposta è semplice: nessuna.
– Per l’Ebraismo e la Chiesa l’amore è il peggiore dei peccati, anche questo viene ripetuto più volte. Ecco, qui c’è solo da sperare che sia una distorsione della realtà di Benigni, altrimenti significherebbe che i biblisti, che l’hanno consigliato, non sanno dell’esistenza dei Dieci Comandamenti, i quali stabiliscono chiaramente che il peccato più grave è la violazione del primo comandamento: Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altri Dei di fronte a me, non il sesso che si trova in fondo alla lista.
– In un testo maschilista come la Bibbia il Cantico dei Cantici è l’opera di una donna che parla d’amore. Qui ci si chiede se gli esperti che cita abbiano mai aperto la Bibbia in cui troviamo: il Libro di Ester, il Libro di Ruth, il Canto di Debora, il Cantico di Miriam e vorrei aggiungere personaggi femminili di straordinaria grandezza come Sara, Giuditta etc.
– Benigni afferma più volte che Ebraismo e Cristianesimo hanno cercato di censurare il Cantico dei Cantici. Curiosa censura, se si tiene conto che il Cantico dei Cantici fa parte della liturgia del matrimonio cattolico come prima lettura, mentre in Sinagoga viene letto nel giorno di Pasqua.
Ma più di ogni altra lasciano di stucco le accuse alla Bibbia, presentata come un qualcosa che si dà per scontato che sia negativa, Benigni sembra quasi scusarsi di averla menzionata… finge di avere paura di avere offeso il pubblico citandola, la definisce: un libro pieno di violenza e guerre. Dimenticando, o peggio ignorando volutamente, che la Bibbia narra la storia di un popolo e del suo Dio, o meglio la storia d’amore tra Dio e il suo popolo, e questa è anche la bellezza del Cantico dei Cantici.
Gli Ebrei erano, e sono, un popolo perseguitato per questo nella Bibbia ci sono violenza e guerre, forse è il caso di ricordare che le persecuzioni ebraiche trovano il loro apice nei campi di sterminio nazisti.
Com’è possibile allora che da una televisione pubblica parta un attacco così deciso contro i rabbini falsamente e ripetutamente accusati di non avere voluto la bellezza del Cantico dei Cantici all’interno della Bibbia? O peggio ancora di avere voluto nascondere il messaggio d’amore che conteneva, quando questo non è assolutamente vero? Quando ho sentito parlare in quel modo dei rabbini, sapendo le accuse false, devo ammettere che mi si è gelato il sangue nelle vene.
Ciò che non si capisce assolutamente è il perché di questi subdoli attacchi, che bisogno c’era di usare il palcoscenico di Sanremo per attaccare con accuse false Ebraismo e Cristianesimo? Che per inciso al momento sono le due religioni più perseguitate, vittime delle peggiori atrocità immaginabili.
L’accusa terribile è quella di essere contro l’amore e la bellezza, ma guardatevi attorno, non solo il Cantico dei Cantici ma tutto ciò che vedete e sentite è frutto della civiltà judaico-cristiana e dell’amore degli uomini per Dio e viceversa, come è possibile che venga tollerato un attacco così carico di falsità e stizza?
Per coloro che da cristiani plaudono a Benigni solo perché ha parlato di religione, senza essere capaci di distinguere se questo sia avvenuto in senso positivo o negativo, vorrei ricordare che ciò che può andare bene come marketing per un rapper non dovutamente è adatto ad un testo sacro, non ci si può vendere Dio pur di essere ammessi nel luccicante mondo di Sanremo.
“ I figli di mia madre sono sdegnati con me:mi hanno messo a guardia delle vigne;la mia vigna, la mia, non l’ho custodita”Cantico dei Cantici.
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