Anche il bardo globalista Jovanotti ci fa la predica. Anche Ilaria Capua (dopo l’economia ci mancava anche la “salute circolare”), che dopo aver sostenuto un governo e un partito che hanno devastato la sanità italiana, lancia accorati allarmi da svariati pulpiti mediatici. Ma ci sono altri virus, più pericolosi per l’anima: Giuliano Ferrara, ad esempio, scriveva solo pochi giorni fa che la pedofilia è legittima, se c’è il consenso di una quattordicenne e se chi la pratica con ostinazione e senza pudore è amico del pingue delatore.
Nel frattempo, l’italico parlamento “sovrano” si appresta a votare per il MES e contro l’urgentissima, esiziale deriva omotransfobica (chissà se all’inferno c’è una pena eterna per chi stupra la lingua italiana). Mentre le scuole restano chiuse, la Chiesa (!?) ha abolito i funerali, introducendo una innovazione inedita in ogni tempo e cultura: non si può più morire, nell’epoca della misericordia universalmente profferta alle masse informi di Occidente. Ancora, in unione di preghiera con la pletora mondialista di artistoidi e starlette di ogni risma, il papa più protervo ed irrituale della storia si ostina a (far) “tweettare” una profluvie ininterrotta di banalità, nel contesto di un pontificato che si è reso disponibile a decostruire quel poco che ancora rimaneva del cattolicesimo (il “rito amazzonico”!), con tenacia e servilismo ineguagliabili: nella marea di sciocchezze si rammenteranno, indelebili, le reiterate bestemmie e le eresie quasi erette a magistero ordinario.
Nel mentre, la gente dovrebbe rimanere a casa, con la ubiqua pornografia telematica, l’ambiguità catodica di Maria de Filippi e la sciantosa “cattolica” Barbara d’Urso a farle compagnia; ovvero, nella migliore delle ipotesi, a compulsare l’ultimo instant book di Antonio Socci, che ricorda tanto Paolo Brosio per lo sguardo perennemente lacrimevole e per il fastidioso escapismo miracolistico.
Inoltre, la Grecia è stata appena invasa da torme inquietanti (Erdogan è solo l’esecutore di tale miserabile ricatto), mentre tre stati invisi ai “powers that be” – guarda il caso! – sono flagellati dal “coronavirus”. Ancora. Su “Il Foglio” ci si trastulla con numeri da pallottoliere, per far quadrare i conti della serva; altri, apparentemente su versanti opposti, si dilettano, previa autorizzazione della “autorità”, con le messe tridentine; ma entrambi, già indissolubilmente uniti nel devoto ossequio porto a chi domina il mondo (ci si divide sulla pedofilia e sulla omosessualità, non sulle entità che signoreggiano e affamano i popoli), invocano “la scienza”: come se ne esistesse una sola. Altri ancora, che si dicono cattolici, difendono la “libertà di espressione” delle nefandezze di “Charlie Hebdo”, che bestemmiò, in copertina, la Trinità. Infatti, anche questi “cattolici” scrivono con costanza su “Il Foglio”.
Baldr osserva tutto questo postribolare spettacolo – una fine ingloriosa, senza neppure una sfumatura di quel tragico che è nobile tratto essenziale della fu “civiltà occidentale” – con disincanto. La sua è una ricognizione di principio, quasi dovuta, a salutare luoghi che gli furono (e gli sono) carissimi, nel profondo del cuore. Egli volteggia con l’occhio della mente su quella Europa che produsse la civiltà più solida e raffinata della storia, ora ridotta ad un ammasso di degenerati.
“Il migliore dei mondi possibili” ha generato, per paradosso ed eterogenesi dei fini, il brodo di (in)cultura nel quale si può cogitare ciò che fino a qualche anno prima era semplicemente impensabile: ad esempio, che il sesso è una costruzione culturale, e che è legittimo abortire, anche al nono mese e forse oltre, mentre si può essere arrestati per una ipotesi storiografica (Salvini concorde), o sospesi dal lavoro se si esprime una valutazione di semplice antipatia per una qualsiasi senatrice a vita.
Ma, seppure a fatica, la compassione vince sul disprezzo: e allora Baldr, anche se sconsolato, torna alla sua avita dimora, la Thule di ghiaccio, a vergare queste brevi note, e a contemplare l’origine: dove tutto, tanto tempo fa, ebbe il proprio fulgente incipit, tra gli oscuri bagliori di un nord immacolato.
Baldr da Thule 11 Marzo, 2020
LA CEI: CHIESE CHIUSE? LO ABBIAMO DECISO NOI VESCOVI.
Marco Tosatti
La presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in merito alla discussa decisione di sospendere le messe in presenza di popolo dice: è stata una nostra decisione, nessuno ce lo ha imposto. Estrapoliamo queste tre righe dal testo del comunicato che trovate riportato per intero più sotto: “Di questa responsabilità può essere espressione anche la decisione di chiudere le chiese. Questo non perché lo Stato ce lo imponga, ma per un senso di appartenenza alla famiglia umana, esposta a un virus di cui ancora non conosciamo la natura né la propagazione”.
È interessante notare – perché anche questo aveva fatto oggetto di molta discussione sul web, e anche qui, a casa di Stilum Curiae, l’espressione “chiudere le chiese”; alcuni infatti, che cercavano di difendere la posizione presa dai vescovi, contestavano l’espressione “chiudere le chiese”, affermando che in realtà non era così. Il comunicato della Presidenza della Cei taglia la testa al toro: le chiese sono state chiuse, e per una decisione autonoma dei Pastori. Ma ecco il testo del comunicato:
Presidenza CEI
Una Chiesa di terra e di cielo
Viviamo una situazione gravissima sul piano sanitario – con ospedali sovraffollati, personale sanitario esposto in prima linea – come su quello economico, con conseguenze enormi per le famiglie dell’intero Paese, a maggior ragione per quelle già in difficoltà o al limite della sussistenza.
Le comunicazioni del Governo rappresentano uno sforzo di incoraggiamento, all’interno di un quadro di onesto realismo, con cui si chiede a ogni cittadino un supplemento di responsabilità. A questo riguardo, facciamo nostre le parole di questa mattina del Santo Padre Francesco: “Soprattutto io vorrei chiedervi di pregare per le autorità: loro devono decidere e tante volte decidere su misure che non piacciono al popolo. Ma è per il nostro bene. E tante volte, l’autorità si sente sola, non capita. Preghiamo per i nostri governanti che devono prendere la decisione su queste misure: che si sentano accompagnati dalla preghiera del popolo”.
La Chiesa c’è, è presente. A partire dai suoi Pastori – Vescovi e sacerdoti – condivide le preoccupazioni e le sofferenze di tutta la popolazione. È vicina nella preghiera: l’appuntamento con il Rosario in famiglia promosso per il giorno di San Giuseppe è solo un esempio di una preghiera che si eleva continua. Televisioni, radio, piattaforme digitali sono ambienti che – se non potranno mai sostituire la ricchezza dell’incontro personale – rivelano potenzialità straordinarie nel sostenere la fede del Popolo di Dio.
È una Chiesa, la nostra, presente, anche in questo frangente, nella carità: siamo edificati da tanti volontari delle Caritas, delle parrocchie, dei gruppi, delle associazioni giovanili, delle Misericordie, delle Confraternite… che si adoperano per sollevare e aiutare i più fragili.
“I cristiani non si differenziano dagli altri uomini – osserva la lettera A Diogneto -: vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo”.
È con questo sguardo di fiducia, speranza e carità che intendiamo affrontare questa stagione. Ne è parte anche la condivisione delle limitazioni a cui ogni cittadino è sottoposto. A ciascuno, in particolare, viene chiesto di avere la massima attenzione, perché un’eventuale sua imprudenza nell’osservare le misure sanitarie potrebbe danneggiare altre persone.
Di questa responsabilità può essere espressione anche la decisione di chiudere le chiese. Questo non perché lo Stato ce lo imponga, ma per un senso di appartenenza alla famiglia umana, esposta a un virus di cui ancora non conosciamo la natura né la propagazione.
I sacerdoti celebrano quotidianamente per il Popolo, vivono l’adorazione eucaristica con un maggior supplemento di tempo e di preghiera. Nel rispetto delle norme sanitarie, si fanno prossimi ai fratelli e alle sorelle, specialmente i più bisognosi.
Da monasteri e comunità religiose sappiamo di poter contare su un’orazione continua per il Paese.
Con questo spirito, viviamo i giorni che abbiamo davanti: quelli fino al 25 marzo (termine dell’attuale decreto), quelli successivi, nei quali resta in vigore il decreto precedente (fino al 3 aprile), quelli che traguardano.
Giorni, tutti, intrisi di fiducia nel Mistero pasquale.
La Presidenza della CEI
Roma, 12 marzo 2020
Marco Tosatti
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