(Roberto de Mattei) Il Cigno nero (Cygnus atratus) è un raro volatile, originario dell’Australia, che prende il nome dalla colorazione del suo piumaggio. Nassim Nicholas Taleb, un analista finanziario, ex-trader a Wall Street, nel suo libro Il cigno nero (The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable, Random House, New York 2007), ha scelto questa metafora per spiegare l’esistenza di eventi inaspettati e catastrofici che possono sconvolgere la vita della collettività.
Il coronavirus è stato “il cigno nero” del 2020, scrive Marta Dassù, dell’Aspen Institute, spiegando che l’epidemia sta mettendo in crisi l’attività economica delle nazioni occidentali e «dimostra la fragilità delle catene produttive globali; quando un shock colpisce uno degli anelli, l’impatto diventa sistemico» (Aspenia, 88 (2020), p. 9). «La seconda pandemia è in arrivo – scrive Federico Rampini su la Repubblica del 22 marzo – bisogna affrontare e curare anche quella. Si chiama Grande Depressione e avrà un bilancio di vittime parallelo a quello del virus. In America nessuno usa più il termine di recessione perché è troppo blando».
L’economia interconnessa del mondo si rivela come un sistema precario, ma l’impatto del coronavirus non è solo economico e sanitario, è anche religioso ed ideologico. L’utopia della globalizzazione, che fino al settembre del 2019 sembrava trionfare, subisce una irrimediabile débacle. Il 12 settembre Papa Francesco aveva invitato i leader delle principali religioni, e gli esponenti internazionali del mondo economico, politico e culturale, a partecipare ad un solenne evento che si sarebbe svolto in Vaticano il 14 maggio 2020: il Global Compact on Education, il patto educativo globale. Negli stessi giorni la “profetessa” dell’ecologia profonda, Greta Thunberg, giungeva a New York per il Climate Change Summit 2019 dell’Onu e a lei e ai partecipanti al vertice, papa Francesco, alla vigilia del Sinodo sull’Amazzonia, inviava un videomessaggio per manifestare la sua piena consonanza con gli obiettivi globalisti. Il 21 gennaio 2020 il Papa ha rivolto un messaggio a Klaus Schwab, presidente esecutivo del World Economic Forum (WEF), di Davos, sottolineando l’importanza di una “ecologia integrale”, che tenga conto «della complessità e dell’interconnessione della nostra casa comune». Ma un misterioso virus cominciava già ad infliggere un colpo mortale al “villaggio globale”.
Pochi mesi dopo, ci troviamo di fronte ad una situazione assolutamente inedita. Greta è dimenticata, il Sinodo sull’Amazzonia è fallito, i leader politici mondiali rivelano la loro incapacità ad affrontare l’emergenza, il Global Compact è saltato, piazza San Pietro, centro spirituale del mondo, è vuota. Le autorità ecclesiastiche si uniformano, e talvolta anticipano i decreti restrittivi della autorità civili che vietano le messe e le cerimonie religiose di ogni tipo. L’evento più simbolico e paradossale è forse la chiusura del Santuario di Lourdes, luogo per eccellenza di guarigione fisica e spirituale, che sbarra le porte, per timore che qualcuno possa ammalarsi andando a pregare Dio per la sua salute. E’ tutta una manovra? Ci troviamo di fronte a un potere totalitario che restringe le libertà dei cittadini e perseguita i cristiani?
E’ strana però una persecuzione in cui sembra assente ogni eroica forma di resistenza, fino al martirio da parte dei perseguitati, a differenza di quanto accadde in tutte le grandi persecuzioni nella storia. In realtà, non di persecuzione anticristiana si dovrebbe parlare, ma di “autopersecuzione” da parte degli uomini di Chiesa che, chiudendo le chiese e sospendendo le messe, sembrano portare all’ultima coerenza un processo di autodemolizione iniziato negli anni Sessanta del Novecento con il Concilio Vaticano II. E purtroppo, tranne singole eccezioni, anche il clero tradizionalista, che si rinchiude nelle sue case, sembra vittima di questa autopersecuzione.
E’ commovente lo slancio di generosità con cui in Italia 8000 medici hanno risposto all’appello del governo che chiedeva 300 volontari negli ospedali della Lombardia. Come sarebbe stato edificante un appello ai sacerdoti del presidente della Conferenza episcopale per non far mai mancare ai fedeli i sacramenti nelle chiese, nelle case, negli ospedali! Molti invitano a pregare, ma chi ricorda la possibilità di trovarsi all’inizio di un grande castigo? Eppure è questa la predizione di Fatima, di cui nel 2017 è stato ricordato da molti il centesimo anniversario. Il 25 marzo, il cardinale António Augusto dos Santos Marto, vescovo di Leiria-Fátima, ha rinnovato la cerimonia di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria per tutta la Penisola Iberica. E’ un atto certamente meritorio, ma la Madonna ha chiesto qualcosa di più: la consacrazione specifica della Russia, fatta dal Papa, in unione con tutti i vescovi del mondo. E’ questo l’atto, finora mai compiuto, che tutti attendono, prima che sia troppo tardi.
A Fatima la Madonna ha annunziato che se il mondo non si convertirà diverse nazioni saranno annientate. Quali saranno queste nazioni? E quale sarà il modo dell’annientamento? Quel che è certo è che il principale castigo non è la distruzione dei corpi, ma l’ottenebramento delle anime. Nella Sacra Scrittura si legge che «ognuno sarà punito per mezzo di quelle cose con le quali pecca» (Sapienza 11,16). Lo stesso pensiero pagano, per bocca di Seneca, ci ricorda che «il castigo del delitto sta nel delitto stesso» (Della fortuna , parte II, cap. 3).
La punizione inizia nel momento in cui si smarrisce l’idea di un Dio giusto e remuneratore, per affidarsi alla falsa immagine di un Dio, che, come ha detto papa Francesco, «non permette le tragedie per punire le colpe» (Angelus, 28 febbraio 2026). «Quante volte pensiamo che Dio è buono se noi siamo buoni e che ci castiga se siamo cattivi. Non è così», ha ribadito Francesco nella Messa di Natale dello scorso 25 dicembre. Eppure perfino il “Papa buono”, Giovanni XXIII, ricordava che «l’uomo, che semina la colpa, raccoglie il castigo. Il castigo di Dio è la risposta di Lui ai peccati degli uomini»; perciò «Egli (Gesù) vi dice di fuggire il peccato, causa principale dei grandi castighi» (Radiomessaggio del 28 dicembre 1958).
Rimuovere l’idea del castigo non significa evitarlo. Il castigo è la conseguenza del peccato e solo la contrizione e la penitenza dei propri peccati può evitare la pena che questi peccati inevitabilmente portano, per aver violato l’ordine dell’universo. Quando i peccati sono collettivi, i castighi sono collettivi. Come meravigliarsi della morte che giunge su un popolo, quando i governi si macchiano di leggi omicide come l’aborto, e durante l’epidemia la strage continua ad avere una via preferenziale, come in Gran Bretagna, dove il governo ha addirittura autorizzato l’aborto “a casa” pur di non interrompere la carneficina durante il coronavirus! E quando invece dei corpi sono colpite le anime, come meravigliarsi che la perdita della fede sia il castigo per i responsabili? Rifiutare di vedere la mano di Dio dietro le grandi catastrofi della storia è un sintomo di questa mancanza di fede.
Il castigo collettivo giunge repentino, come un “cigno nero” che appare improvvisamente sulle acque. Questa visione ci sconcerta, e non sappiamo spiegare da dove venga e che cosa annunci. L’uomo è incapace di prevedere i “cigni neri” che da un giorno all’altro sconvolgono la sua vita. Ma questi eventi non sono frutto del caso come ritengono il signor Taleb e tutti coloro che analizzano gli eventi in una prospettiva umana e secolarista, dimenticando che il caso non esiste e che le manovre degli uomini sono sempre sottomesse alla volontà di Dio. Tutto dipende da Dio e Dio va fino in fondo, quando inizia la sua opera. «Egli è il solo di cui nessuno può sviare i propositi, e qualunque cosa abbia deciso la sua volontà, ciò avverrà» (Giobbe 23, 13).
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