ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 14 marzo 2020

Missa tempore mortalitatis

Siamo all’abolizione del Sacrificio?

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Una mattina mi son svegliato… e ho scoperto di esser soggetto a un regime totalitario che ha per complice la gerarchia cattolica, trasformatasi – a quanto pare – in quinta colonna del sistema. È una tirannia peggiore di quelle comuniste, ma si era mimetizzata con un’imbellettatura libertaria. Chi resisteva alla propaganda del pensiero unico ne aveva ben avuto sentore, ma ora la “democrazia” ha di colpo virato verso lo Stato di polizia, in palese violazione dei più elementari diritti dei cittadini. 
Un intero popolo, senza una giustificazione ragionevole, all’improvviso è stato messo in quarantena da un governo illegittimo, mentre le guide religiose, come se non bastasse, hanno in pratica colpito di interdetto tutta la nazione e di sospensione a divinis tutti i sacerdoti, proibendo perfino di pregare  in chiesa. È pur vero che il popolo, essendo reo di gravissimi peccati in cui persevera ostinatamente, merita ben di peggio; i Pastori, però, non sono certo intervenuti con l’intento di sanzionarli, bensì per supina sottomissione al potere politico, interpretandone i già draconiani provvedimenti in senso ancor più restrittivo anziché tentare di trattarne un’applicazione accettabile: una cosa mai vista nella storia cattolica. A lasciar di stucco, oltre alla paradossalità delle disposizioni ecclesiastiche, è la loro perentorietà, come se il culto di Dio fosse qualcosa di inutile o pericoloso. Una volta annacquata la fede, si oscura pure la ragione e si perde ogni dignità.


Sarebbe certamente assurdo e dannoso negare o minimizzare un’emergenza sanitaria, ma è altrettanto irragionevole prendere misure eccessive, specie dopo aver omesso, quando era il momento, opportune azioni preventive. Non è facile cogliere la logica delle decisioni delle autorità civili, che vanno ben oltre le necessarie precauzioni, ma non sono affatto risolutive. La gente non può riunirsi in chiesa, pur dovendo inevitabilmente frequentare negozi, fabbriche, uffici, stazioni, mezzi pubblici… Sarebbe d’altronde impossibile – nonché irrazionale – fermare la vita di un popolo e interromperne ogni attività in attesa che cessi l’emergenza: i provvedimenti miranti a circoscrivere un contagio hanno dei limiti imposti dal bene complessivo dei singoli come della collettività. Ma sta proprio qui il problema: nella concezione del bene. In una cultura ateo-materialistica la salute fisica assurge a fine supremo ed esclusivo, al punto che, quando è irrimediabilmente compromessa, si prescrive il suicidio assistito. Il benessere attuale dell’individuo rimane l’unico imperativo “etico”, in nome del quale si può pretendere qualsiasi cosa, sacrificando tutto il resto.


Inutile dire che una prospettiva del genere, anche prima che uno contragga una malattia grave, non può indurre che alla disperazione, poiché l’orizzonte dell’esistenza si restringe al godimento, incerto e precario, legato all’istante presente. Che ciò avvenga in una società che ha messo Dio al bando, tuttavia, non sorprende di certo; lascia decisamente più perplessi, invece, il fatto che la conferenza episcopale, con le sue disposizioni, si sia spalmata su questa visione disumana che non solo esclude ogni trascendenza, ma calpesta pure l’uomo riducendolo a bestia. Di molto grave non c’è soltanto il fatto che la gerarchia italiana si getti prona ai piedi del potere civile riconoscendogli implicitamente, in grave violazione del Concordato e della Costituzione, una potestà assoluta persino sul culto divino, ma pure il fatto che, per fronteggiare una pubblica calamità, rinunci totalmente ai mezzi soprannaturali di cui il Signore ha dotato la Chiesa. A parte le apposite processioni e le speciali suppliche cui si è sempre fatto ricorso in casi simili, la protezione più potente deriva dal Santo Sacrificio, che è stato invece sospeso senza alcuna necessità ineluttabile che non sia l’ottemperanza alle gride governative.


Fra i quattro fini della Messa, oltre all’adorazione e al ringraziamento che son dovuti a Dio, ci sono la propiziazione e l’impetrazione. Il Sacrificio di Cristo è offerto dal sacerdote in espiazione dei peccati, che provocano i castighi celesti esponendo l’umanità ai flagelli dell’ira divina, espressione della giustizia retributiva. Il mondo attuale, con i suoi crimini inauditi e la sua ostinata impenitenza, li reclama a gran voce su di sé: l’interminabile sterminio di bambini non nati, la frequente soppressione di malati terminali, la sistematica promozione della sodomia fino alla violazione, fisica o mentale, dell’infanzia, le ingiustizie economiche e lo sfruttamento dei lavoratori configurano – su vastissima scala – tutti i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: omicidio volontario, peccato impuro contro natura, oppressione dei poveri, frode nella mercede agli operai. Possiamo forse aspettarci che, in ricompensa, il Creatore ci mandi delle benedizioni? Oppure avremmo l’ardire di protestare con Lui? L’oblazione del Sacrificio redentore, tuttavia, riduce la gravità delle punizioni; possedendo inoltre la massima efficacia possibile per ottenere una grazia, essa è tanto più opportuna quanto più urgente è la loro attenuazione o il loro allontanamento.


La colletta della Missa tempore mortalitatis, che si celebra in caso di epidemia, compendia in modo mirabile tutte queste verità: Deus, qui non mortem, sed paenitentiam desideras peccatorum: populum tuum ad te revertentem propitius respice; ut, dum tibi devotus exsistit, iracundiae tuae flagella ab eo clementer amoveas (O Dio, che non desideri la morte, ma la conversione dei peccatori, volgi propizio lo sguardo al tuo popolo che a te ritorna, affinché, mentre sta alla tua presenza affidandosi a te, tu allontani con clemenza da esso i flagelli della tua ira). La calamità permessa dal Cielo come mezzo correttivo ha fatto di nuovo rivolgere il popolo errante verso il suo Pastore, da cui si era distolto, ma che, nonostante tutto, vuole risparmiargli la pena eterna e ha quindi stimolato la sua conversione. Questa certezza ha spinto i fedeli a radunarsi nella Sua casa, per offrirsi nuovamente a Lui con la fiducia che ciò, unito al Sacrificio del Capo, possa ottenere la cessazione del castigo. Le letture, poi, rafforzano tale fede ricordando l’efficacia dell’umile preghiera di Davide per la fine della peste (cf. 2 Sam 24, 15-25) e l’attività guaritrice di Gesù durante la Sua missione pubblica (cf. Lc 4, 38-44). Ma come può avvenire tutto questo se le chiese sono chiuse e le Messe sospese?


Tanti paventavano un’imminente abolizione del Sacrificio mediante l’alterazione della formula di consacrazione; invece – almeno per ora – lo hanno sostanzialmente soppresso per altra via (a meno che i sacerdoti non celebrino a porte chiuse). Con la proibizione della comunione in bocca, inoltre, pare vogliano cancellare le ultime tracce di testimonianza pratica della fede nella Presenza reale. Se in futuro qualche “integralista” avesse la sfrontatezza di richiederla di nuovo, potranno gridargli: «Dàgli all’untore!» – e il popolino superstizioso e ignorante lo lincerà sul posto. Si direbbe che non aspettassero altro che il virus per portare a compimento i loro piani… Sarà solo un caso? Ancora una volta mi daranno del complottista, ma la tempistica degli interventi civili ed ecclesiastici pare ben pianificata; ogni azione, da una parte e dall’altra, è così coordinata che è difficile non pensare a un disegno prestabilito. Il sistema ha piazzato ovunque i suoi fantocci; ma, come al solito, ha fatto i conti senza l’Oste: «Non hanno invocato Dio; perciò tremeranno di paura per ciò di cui non c’era motivo di aver paura. Poiché Dio ha disperso le ossa di coloro che piacciono agli uomini: son rimasti senza parole, perché Dio li ha respinti» (Sal 52, 6).


La raccomandazione più urgente, in conclusione, è di non perdere la testa come quelli che non han la fede o non l’hanno più. L’unica sciagura che dobbiamo davvero temere è di dannarci l’anima per l’eternità; invece ci stiamo facendo prendere dal panico a causa di una minaccia fisica analoga ad altre che in passato non hanno provocato la medesima reazione. Chi non conta sull’aiuto divino si sente completamente solo di fronte al pericolo e, sopraffatto com’è dal problema, smarrisce anche la prudenza naturale quale virtù atta ad individuare i rimedi opportuni. Si innesca così una spirale di agitazione che spinge a prendere provvedimenti sproporzionati e, con buona probabilità, inefficaci. L’abbandono di Dio lascia gli uomini senza risorse e senza soluzioni; l’orgoglio insensato di chi, seguendo la tendenza dominante, ha preteso di fare a meno di Lui gli si ritorce contro, beffardo, inchiodandolo alla sua impotenza.


Voi che avete la fede, invece, ricorrete a quei mezzi della grazia che sono a disposizione di tutti: pregate, fate penitenza, chiedete a sacerdoti fidati di comunicarvi fuori della Messa o di celebrare nelle vostre case (prendendo ovviamente le dovute precauzioni per non esporli a un processo penale). Abbiate uno sguardo soprannaturale, sapendo che, quando lo stesso flagello colpisce indistintamente tutti, buoni e cattivi, per questi è una correzione, per quelli un’opportunità. Tramite la stessa prova, infatti, gli uni sono spronati a convertirsi, gli altri hanno modo di rafforzarsi nella fede, di acquistare meriti e di dare gloria al Signore. Inoltre si può ben presumere che Egli, servendosi di strumenti inconsapevoli, abbia voluto imporre una pausa a tante dissacrazioni liturgiche e a tutte le comunioni sacrileghe. Ora ci sta dando un drastico avvertimento: se non lo prendiamo sul serio, potremmo rimanere così per un tempo indefinito; se invece la Chiesa si scuote e ritorna sinceramente a Lui, sperimenterà la Sua misericordiosa potenza.


Ad ogni modo, questa situazione ci fa prender coscienza dell’immensità del dono dell’Eucaristia, al quale ci eravamo abituati come a qualcosa di ordinario. Approfittiamo delle circostanze attuali per farci scavare interiormente dalla fame di Lui e suppliamo con la meditazione del Vangelo, che la Provvidenza ci ha proposto con singolare tempismo. Siate certi di essere ogni mattina con me, tutti e ciascuno, sull’altare del Santo Sacrificio, con le vostre croci e le vostre speranze. Nell’assumere il Corpo e Sangue del Signore, Lo imploro di estendere anche a voi, in virtù della Comunione dei Santi, il dono che indegnamente ricevo. Il sacerdote, in persona Christi, è mediatore tra Dio e il popolo: trasmette al Padre le suppliche dei figli e riversa su di loro le grazie. Nulla al mondo può spezzare questo legame tra un pastore e le sue pecorelle; è, questa, una verità che non ho mai sentito in modo così forte. Vi benedico di tutto cuore con le vostre famiglie e, con la corona del Rosario, vi tengo stretti nel Cuore Immacolato di Maria.


Quando verrà il padrone della vigna, che farà a quei contadini? Farà miseramente perire i malvagi e affiderà la sua vigna ad altri contadini, che gli rendano i frutti a loro tempo (Mt 21, 41).




NOTA CANONICO-PASTORALE


Il Governo della Repubblica, con i recenti provvedimenti miranti al contenimento del contagio, ha agito in aperta violazione sia della Costituzione che del Concordato. La prima recita testualmente: «Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi» (Art. 7). Il secondo, nella revisione del 1984, afferma: «La Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa Cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» (Art. 2, comma 1). Il Can. 1213 del Codice di Diritto Canonico precisa: «Nei luoghi sacri l’autorità ecclesiastica esercita liberamente i suoi poteri e i suoi uffici». Ciò posto, qualora una situazione eccezionale richieda realmente una momentanea sospensione di queste prerogative, è necessario che essa sia sancita con accordo pubblico tra la Santa Sede e lo Stato italiano, in mancanza del quale non si può esigere dal clero e dai fedeli, con semplici comunicati, la rinuncia all’esercizio dei propri diritti e doveri sacri.


La Conferenza Episcopale Italiana, recependo le disposizioni governative senza alcuna obiezione, ha disposto la sospensione di ogni celebrazione pubblica e la chiusura di tutti i luoghi di culto. Così facendo, ha dato un ordine direttamente contrario alla legge divina. Il I comandamento impone di rendere a Dio il culto che Gli è dovuto, culto che, per sua stessa natura, è pubblico. Il Sacrificio della Messa è l’atto più alto ed efficace del culto cattolico, l’unico che soddisfi pienamente le esigenze del comandamento. La celebrazione della Messa senza il popolo, sebbene sia impropriamente detta privata, ha in radice un carattere pubblico, tuttavia non lo manifesta adeguatamente. La sospensione delle Messe nei giorni festivi, oltretutto, impedisce ai fedeli di adempiere il III comandamento, che sono tenuti a osservare sotto pena di peccato mortale, a meno che non ne siano impediti da cause indipendenti dalla loro volontà (come in questo caso, che rappresenta però una fattispecie paradossale). Nessuno può nemmeno proibire di offrire pubblicamente il Santo Sacrificio, nella chiesa in cui ha titolo per farlo, a un sacerdote che non ne sia impedito dal diritto.

Le conferenze episcopali hanno solo una funzione di coordinamento pastorale (cf. CIC, can. 447) e non possono prendere decisioni vincolanti per i vescovi nel governo delle rispettive diocesi, se non a determinate condizioni: «La Conferenza episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisca un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio, sia su richiesta della Conferenza stessa. Perché i decreti di cui al § 1 siano emanati validamente, devono essere espressi nella riunione plenaria almeno mediante i due terzi dei voti dei Presuli che appartengono alla Conferenza con voto deliberativo e non ottengono forza obbligante se non vengono legittimamente promulgati, dopo essere stati autorizzati dalla Sede Apostolica. […] Nei casi in cui né il diritto universale né uno speciale mandato della Sede Apostolica abbiano concesso alla Conferenza Episcopale la potestà di cui al § 1, rimane intatta la competenza di ogni singolo Vescovo diocesano e la Conferenza Episcopale o il suo presidente non possono agire validamente in nome di tutti i Vescovi, a meno che tutti e singoli i Vescovi non abbiano dato il loro consenso» (CIC, can. 455, §§ 1-2.4; il corsivo è mio).

La comunione sulla lingua, poi, è un diritto dei fedeli garantito dalla legge universale della Chiesa. I Vescovi, pur essendo i moderatori della liturgia entro il territorio della propria diocesi, non hanno facoltà di legiferare in modo contrario alle norme stabilite dalla Santa Sede. Pertanto l’obbligo di ricevere l’Eucaristia sulla mano è illegittimo e si configura come un abuso di potere. Il rischio di contagio, peraltro, è più elevato con la ricezione sulla mano, dato che il sacerdote è tenuto a lavarsi le mani prima della Messa, mentre le mani dei fedeli sono venute a contatto con ogni genere di superficie. Nessun sacerdote, poi, può negare la Comunione a un fedele che la richieda con le debite disposizioni e non ne sia impedito dal diritto; se lo fa solo a motivo della modalità in cui il fedele vuole riceverla, commette un abuso grave, specie se, al tempo stesso, la concede a persone che non possono assolutamente accedervi perché sono in stato di peccato mortale notorio.

Poiché non consta affatto che tutti e singoli i Vescovi abbiano dato il loro consenso alla decisione di chiudere le chiese e di sospendere il culto (anche ammettendo che abbiano facoltà di deliberare in tal senso), i sacerdoti e i fedeli non sono tenuti all’obbedienza e conservano la piena libertà di regolarsi secondo la propria coscienza rispetto alle ultime disposizioni della C.E.I., protestando con tutti i mezzi leciti contro tale inaudito abuso di potere. L’obbedienza ai Pastori, per quanto doverosa, non può essere contraria alla legge, sia divina che ecclesiastica, né giungere a privare i fedeli dei loro diritti, andando a detrimento del loro bene spirituale. Al contrario, i Pastori hanno l’obbligo grave di fare quanto è in loro potere per assicurare ai fedeli la necessaria assistenza mediante la predicazione, il governo e l’amministrazione dei Sacramenti, fino – se necessario – al rischio della vita. Sottrarsi a questo dovere è una grave omissione, che in caso di piena avvertenza e di deliberato consenso costituisce peccato mortale. Perciò richiamare i Pastori ai loro doveri di stato è anche un atto di carità nei loro confronti, oltre che un diritto di ogni fedele. Se poi si considera che l’offerta del Santo Sacrificio è il mezzo più potente in assoluto per rendere Dio propizio e ottenerne l’aiuto, bisogna seguire l’esempio dei vescovi polacchi e moltiplicare le Messe, anziché sospenderle. In caso di pubblica calamità, nella storia cristiana, si è sempre implorata la divina clemenza.

Pubblicato da Elia 

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