Non so chi ci voglia morti. Se è solo un virus, se è qualcuno che usa il virus, se è qualcuno che non sa come contrastare il virus, se è qualcuno che manipola la paura del virus o se è un sapiente cocktail ad alta tensione virale di tutte queste cosette. Però so per certo che, al termine di questa brutta vicenda, non saremo più come prima. Saremo un po’ meno sani, saremo un po’ meno lucidi, saremo un po’ meno intraprendenti, saremo un po’ meno coraggiosi. Saremo un po’ meno di tutto questo insieme. Forse. Ma di sicuro saremo un po’ meno liberi per nostra libera scelta: un ossimoro solo apparente agli occhi degli scampati alla catastrofe che, in nome della loro salute, saranno disposti a concedere tutto a chiunque lo chieda. Tranne il proprio corpo più sano e più bello da esibire sui social, illudendosi che lì c’è la vera libertà.
Non mi azzardo a dire che saremo anche un po’ meno credenti, perché meno di così, collettivamente, non penso sia possibile. Dio, il Creatore di questo mondo, il Signore che lo governa con la sua Provvidenza è sparito dai radar spirituali di gente che ha scelto di affidarsi alla scienza e alla tecnologia sublimate nella nuova divinità dell’Informatica. Ah… Non ci fossero i social, come potremmo stare tutti connessi in tempi di pandemia? Non ci fossero i social, come potremmo darci appuntamento alle nove di sera, ognuno sul proprio balcone con il proprio cellulare acceso per mostrare al satellite che l’Italia è viva? Non ci fosse la tecnologia informatica, come potremmo lavorare da remoto e in versione smart ciascuno nel proprio buco considerando il proprio prossimo, chiunque sia, un potenziale nemico portatore di mortali bacilli? Non ci fossero le piattaforme informatiche, come potrebbe la scuola fingere di funzionare senza docenti e discenti che si incontrino fisicamente come si è sempre fatto da che mondo è mondo e da che scuola è scuola?
Ma questa non è più scuola, questo non è più lavoro, questi non sono più incontri. Questa non è più Italia, è una marmellata di ex cervelli che si intenerisce davanti alla bare di Lampedusa spacciate per quelle dell’ospedale di Bergamo, che si commuove davanti al corteo dei mezzi militari che trasportano i morti, uno per camion, in favore di telecamera.
Non c’è niente di strano, perché ormai siamo abituati a versare calde lacrime sempre sulla stessa foto del gabbiano morente e zuppo di petrolio che da vent’anni ci viene propinata in occasione di qualsiasi emergenza ecologica vera o presunta si manifesti sul pianeta. Sempre lui, povero pennuto, richiamato in vita a ogni disgrazia ambientale per far piangere la platea.
Questa società, che pensa di essere sempre originale e già nel futuro, è fatta di poveri guitti che vivono di repertorio e di un miserando pubblico pagante che piange e ride a comando, basta che non lo facciano pensare e non gli chiedano di essere veramente libero.
È una società talmente istupidita che, quando è costretta a prendere provvedimenti in situazioni eccezionali, parte dal fondo perché il principio non sa più dove sia. In questo, bisogna riconoscerlo, la chiesa romana continua a esserle da valida guida spirituale. Dopo aver abolito il peccato e sbertucciato i poveri fedeli che ancora volevano confessarsi, Radio Santa Marta lancia proclami sulle indulgenze e le assoluzioni generali da praticare in casi gravi. Introduce per via normativa lo straordinario che, fatalmente, diventerà ordinario portandosi via il poco che resta di fede e di morale, oltre che di buonsenso. Bisogna convenire che a malati e moribondi bisogna pur dare assistenza, ma sarebbe stato meglio pensarci prima, quando ancora erano sani. Anche in chiesa si lavora di repertorio.
Non so come saremo quando la buriana sarà passata. Il mio timore è che saremo un po’ meno di tutto quanto si diceva poco sopra e saremo rimasti uguali soltanto nell’evitare lo sforzo di migliorare attraverso le difficoltà e la sofferenza. Basteranno un paio di mesi di buona salute e tutti torneranno a fregarsene del destino di tutti, proprio come il giorno prima che la coppia cinese di “pazienti 0” sbarcasse in Italia.
Forse allude a questo la pagliacciata secondo cui #andràtuttobene con tanto di arcobaleno di ispirazione lgbt. Chiedetelo ai morti, ai malati e ai loro cari se #andràtuttobene. Non so voi, ma io trovo tremendo l’insinuarsi di questi simboli anche nelle catastrofi. Ci vogliono dire che non è più Dio a salvarci, ma l’epifania del Nuovo Mondo tecnologico, finanziario e libertino.
Per quanto mi riguarda, e questo è il succo del discorso di cui vado sicuro e fiero perché non è mio, mi tengo il “Non muoio neanche si ammazzano!” che Guareschi si stampò nel cervello e nello spirito quando entrò nel lager: scritto come Dio comanda, con gli spazi giusti e senza l’orribile cancelletto.
Se non vi scoccia, trascrivo i due brani nei quali Giovannino illustra questo preciso e irrevocabile programma. Il primo è tratto dal Grande Diario e ricorda l’episodio in cui un bambino polacco si avvicina alla fila dei prigionieri e gli regala una mela: “Sulla corteccia rossa e lucida della mela vedo l’impronta dei dentini del bimbo e penso a mio figlio. Lo zaino non mi pesa più, mi sento fortissimo. Lo debbo rivedere, il mio bambino: il primo dovere di un padre è quello di non lasciare orfani i suoi figli. Lo rivedrò. Non muoio neanche se mi ammazzano!”. Il secondo è incastonato nelle “Istruzioni per l’uso” del Diario clandestino: “(…) chi non è stato in prigionia in questa guerra, ci è stato nell’altra o ci andrà nella prossima. E se non ci è stato o non ci andrà lui, ci saran stati o ci andranno suo figlio, o suo padre, o suo fratello, o qualche amico. L’unica cosa interessante ai fini della nostra storia è che io, anche in prigionia, conservai la mia testardaggine di emiliano della Bassa: e così strinsi i denti e dissi: Non muoio neanche si mi ammazzano!”.
Non so cosa accadrà cari amici, ma cosa dite di adottare questo programma anche per la famiglia di Ricognizioni? Fateci sapere come va. Passeremo parola.
Alessandro Gnocchi 20 Marzo, 2020
“Signore, così è dura, cosa vuoi che faccia? Farò un voto”
Siamo in balia della paura e del panico, allora dobbiamo cercare di comprendere il linguaggio di Dio, domandargli con cuore disponibile e umile: Signore, cosa vuoi che faccia? Facciamo una cosa vantaggiosa: facciamo voti. Dio sta parlando in modo eloquente: siamo chiusi in casa? Allora facciamo voto di dedicarGli più tempo alla domenica. Siamo privati delle Messe? Facciamo voto di tornare a delle celebrazioni senza la superbia di noi stessi.
Ogni giorno una stretta in più. Adesso non si può più nemmeno andare a fare due passi. Devi stare nei pressi di casa tua. Che tu viva in città o in montagna, che tu possa incontrare altre duecento persone nel parco o al massimo due caprioli ed una poiana non c’è differenza. Devi stare a casa. Punto. Fino a poco tempo fa, ci dicevano che camminare all’aria aperta faceva bene al sistema immunitario, ed ancora di più se le temperature esterne sono basse; lo chiamano nordic-walking. Poi ci dicevano anche che la vita sedentaria ha un impatto negativo sulle nostre difese naturali e che uno stress protratto a lungo fa aumentare il rischio di contrarre malattie. Adesso, contrordine compagni.
E’ evidente che siamo in balia della paura e del panico; non mi stupirei che possano uscire ordinanze che ci vietino di parlare e ci ordinino di respirare con parsimonia. A livello ecclesiale, la situazione non sembra migliore; anche qui predomina la paura: del virus, delle ordinanze, della reazione della gente ormai presa dal panico.
Che dire? Scuotiamo la testa, sorridiamo ed andiamo avanti. C’è un episodio molto significativo nella vita di San Benedetto, nel quale il grande patriarca dell’Occidente cristiano fa un po’... una magra figura. Nel secondo libro dei Dialoghi di San Gregorio Magno, al capitolo ventitreesimo, si narra della visita annuale che Benedetto faceva alla sorella Scolastica. Quest’ultima, desiderosa di continuare ad abbeverarsi della scienza divina che stillava dalle labbra del fratello, lo pregò di fermarsi per la notte, per continuare a parlare di Dio. San Benedetto, che non voleva in nessun modo che i monaci pernottassero fuori dal monastero senza una vera necessità, rifiutò. Santa Scolastica allora si rivolse direttamente a Dio; la preghiera venne presto esaudita: vennero lampi, tuoni, fulmini ed un tale scroscio d’acqua che Benedetto fu obbligato a fermarsi con lei, non senza aver rimproverato la sorella per l’impudente preghiera. Ma candidamente Scolastica rispose: «Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore, ed egli mi ha esaudita».
Ecco, si sta cercando di chiedere a governanti e pastori di avere miglior giudizio e di non proibire quanto invece fa bene al corpo ed allo spirito, ma non veniamo ascoltati. Anzi, ormai si viene tacciati di essere degli irresponsabili che mettono a rischio la vita altrui. Allora noi ci rivolgiamo direttamente a Lui, al Signore. E questo non lo facciamo solo con la preghiera, ma anzitutto con quella supplica che è il cambiamento della nostra vita.
Non deve sfuggire infatti che Dio si serve di tutto per chiamare l’uomo a vera conversione: per avvicinare i lontani, per riscaldare i tiepidi, per rendere perfetti quanti già desiderano ardentemente amarlo e seguirlo. In questa situazione particolare nella quale ci siamo ritrovati dalla sera alla mattina, possiamo e dobbiamo cercare di comprendere il linguaggio di Dio, domandargli con cuore disponibile e umile: Signore, cosa vuoi che faccia?
«Fate voti al Signore vostro Dio, ed adempiteli» (Sal. 76, 12); fare voti, come spiega molto bene San Tommaso (Summa Th. II-II, q. 88, a. 4), fare voti è cosa vantaggiosa, perché significa promettere al Signore cose che fanno del bene a noi, alla nostra anima. Nel voto noi non aggiungiamo nulla a Dio, ma ci disponiamo ad offrirgli qualcosa che Lui stesso attende da noi, per il nostro bene. Perché Dio non vuole altro che la nostra conversione e santificazione. Ma come capire cosa è più gradito a Dio?
Mi sembra che in questa situazione il Signore abbia parlato in modo piuttosto eloquente: ha permesso che fossimo chiusi in casa, che la vita economica e quella legata al divertimento fossero praticamente azzerate, che non avessimo più la possibilità di andare alla Messa ed avere una normale vita sacramentale. E’ il modo con cui Dio ci comunica la sete che ha di noi, delle nostre anime, del nostro tempo, il desiderio che lui ha di stare con noi, la volontà di elevarci alle cose di lassù.
Tutti i luoghi di svago e divertimento sono stati chiusi, luoghi nei quali molto spesso si è consumato il peccato, di ogni genere, luoghi che ci hanno tenuto per molto tempo lontani da quel silenzio e da quella solitudine in cui Dio parla. Facciamo voto al Signore di ridurre il tempo gettato via in questo modo, o meglio di azzerarlo, per trascorrere quel tempo nella preghiera, nella meditazione, nella vita famigliare, nelle sane amicizie.
La domenica ormai praticamente tutti i negozi sono chiusi e non si può nemmeno più andare al parco; quante volte la domenica è stata per noi occasione per fare shopping, per divertirci, o addirittura per fare ancora più affari? Tagliamo via con decisione queste pratiche che hanno profanato il giorno del Signore e facciamo voto a Lui che, d’ora in avanti, la domenica sarà il suo giorno: giorno dedicato ad approfondire la nostra fede, giorno di più intensa preghiera, giorno per vivere maggiormente la carità con i nostri cari e verso le persone bisognose. Cancelliamo la mentalità del week-end e torniamo a comprendere e vivere la domenica come dies Domini.
Siamo privati delle Messe. Ma che cosa sono state fino a ieri le celebrazioni dell’Eucaristia? Noi avevamo dedicato una rubrica per denunciare che le Messe e le chiese stavano diventando occasione per fare di tutto, tranne che per dare culto a Dio. E adesso il Signore ha detto: basta. Allora togliamo via l’iniquità dai Suoi occhi, partendo da noi stessi, da tutte le volte che abbiamo accampato scuse per non andare alla Messa domenicale, dalla superficialità con cui vi abbiamo preso parte, da tutte quelle situazioni per cui la Messa è diventata la vuota e superba celebrazione di noi stessi, delle nostre comunità, dell’impegno sociale, etc. E poi facciamo voti: quando finirà l’emergenza, promettiamo di prendere parte non solo alla Messa domenicale, ma aggiungiamo anche qualche Messa feriale; e chi già lo fa, si sforzi di andare tutti i giorni; e chi già frequenta la Messa feriale, prometta di fare più attenzione alla preparazione ed al ringraziamento. Supplichiamo il Signore di ridonarci la Santa Messa per quello che è: il Suo sacrificio per la salvezza del mondo.
Dio sta chiamando a gran voce alla conversione e sta chiamando anzitutto il suo popolo. Corrispondiamo, a partire da adesso: tagliamo radicalmente con ogni peccato, scuotiamoci dalla mediocrità, purifichiamoci dalla mondanità e dalla superficialità della vita. Proponiamo sinceramente, con determinazione e generosità, di cambiare vita, di dare più spazio a Dio. E tolto il peccato, facciamo voti. E Dio ascolterà la nostra supplica, soprattutto se accompagnata da calde lacrime di pentimento.
E consacriamo al Cuore Immacolato di Maria, che Dio ha scelto come rifugio da ogni male, le nostre persone, le nostre famiglie, i nostri paesi, le nostre parrocchie, le nostre diocesi. Preghiamo che i nostri vescovi consacrino solennemente la nostra Italia a questo Cuore Immacolato e benedetto, che sta cercando in ogni modo di proteggerci, ma che deve sempre constatare che noi non vogliamo stare sotto la sua materna protezione.
«Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore, ed egli mi ha esaudita»: che sia questa fede semplice e forte ad ottenerci la grazia tanto attesa. Spegniamo la televisione, non attacchiamoci alla ricerca smaniose di notizie ed aggiornamenti; preghiamo invece con fede ed eleviamo la nostra anima all’Unico che può liberarci da ogni male.
Luisella Scrosati
-INDULGENZA E ASSOLUZIONE: LA CONFESSIONE SI ADEGUA, di Nico Spuntoni
-LA PASQUA SARA' A PORTE CHIUSE
-QUA SI BLOCCA TUTTO, TRANNE GLI ABORTI, di Giuliano Guzzo
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