Covid19. La Chiesa in rianimazione
Il 2020, dunque, assume una rilevanza nuova ed inquietante; tanto più che ormai siamo nella Settimana Santa e in buona parte del mondo (ex) cristiano non si terranno processioni e liturgie: i fedeli non potranno partecipare alla Santa Messa di Pasqua, il momento centrale dell’anno liturgico. Ci sarà è vero, la televisione, che graziosamente verrà in nostro aiuto. Ma vedere una Messa è diverso da prendervi parte, tanto più che i sacramenti non si possono scaricare con un download accedendo, magari, al sito della Cei (la stessa Cei che, per voce del cardinal Bassetti, pomposamente annuncia che rinunciare alla Messa è un «atto di generosità». Amen).
La realtà che viviamo ci deve indurre a riflettere. Lasciamo perdere gli «atti di generosità» e gli altri bizantinismi della Cei; la realtà è dura, durissima: non si è mai visto nella storia del cristianesimo che la stragrande maggioranza dei cattolici non possano prendere parte alla Messa di Pasqua. Nemmeno nel Trecento, nemmeno ai tempi della Spagnola o del colera. Questa situazione è inaudita, e ciò che è inaudito non può essere preso alla leggera, parlando di fumosa generosità o citando Fabio Fazio. La Chiesa ha abdicato. A dirla tutta, lo ha fatto da anni ma questa volta la sua débâcle è totale. A cosa serve una Chiesa che si limita a ripetere a pappagallo le raccomandazioni dei medici? A cosa serve una Chiesa che lascia morire senza sacramenti migliaia di persone? A cosa serve una Chiesa che, di fronte ad una tragedia immane, non parla di conversione? La risposta è: a niente. Il conforto spirituale della «chiesa ospedale da campo» ha la profondità e l’utilità delle zuccherose frasi dei cioccolatini; e nel mentre, migliaia di persone muoiono sole (alla faccia della preghiera del papa in piazza San Pietro, «nessuno si salva da solo»), migliaia di persone vorrebbero confessarsi e non possono, migliaia di persone vorrebbero il conforto di Gesù Eucaristia e vengono rispedite al mittente con la raccomandazione di essere generosi e di soffrire da soli.
La malattia senza nome (perché Covid19 è una sigla, e coronavirus è il nome di una tipologia di virus assai diffusa) ha trasformato la Chiesa rendendola senza scopo. Questa tragedia sta condannando i cristiani a fare da soli, a vivere la propria spiritualità in assenza della pavida Sposa di Cristo. C’è qualcosa di terribile, di raggelante in questa palese abdicazione della Chiesa che, se da anni si manifestava soltanto a parole, adesso si concretizza proprio nel momento del bisogno. La Chiesa si è dissolta. Il 27 marzo, Bergoglio ha parlato in una piazza San Pietro deserta. Quell’immagine può essere letta con lo stesso, profetico simbolismo del famoso fulmine su San Pietro la sera dell’abdicazione di Benedetto XVI. Quella piazza deserta rappresenta la Chiesa di oggi.
Siamo così giunti al nulla. Al mistero del sabato santo vissuto nell’attualità. Forse, non è un caso che tutto ciò avvenga in quaresima. Senza dubbio, non è un caso che questa infinita desolazione avvenga in una Chiesa che ha intronizzato Lutero e la Pacha Mama, sedotta dal mondo e dimentica del suo ruolo nella storia della salvezza. Quel ruolo oggi dovrebbe rivendicarlo a gran voce, mostrarlo al mondo ed invitare alla conversione. Invece, Dio questo le (ci) ha concesso: una piazza e le chiese angosciosamente vuote. La conversione parta da noi. Da subito. Con urgenza. E nel mentre, attendiamo che le gerarchie ecclesiastiche, invece di complimentarsi vicendevolmente per le belle iniziative sanitarie messe in atto, chiedano perdono davanti a Dio purificando la Sposa di Cristo dal fumo di satana che l’ha avvolta fino ad ora. Perché il sentore diffuso è che questa situazione inaudita sia soltanto l’inizio di una serie di desolazioni che ci attendono senza più Chiesa: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).
La realtà che viviamo ci deve indurre a riflettere. Lasciamo perdere gli «atti di generosità» e gli altri bizantinismi della Cei; la realtà è dura, durissima: non si è mai visto nella storia del cristianesimo che la stragrande maggioranza dei cattolici non possano prendere parte alla Messa di Pasqua. Nemmeno nel Trecento, nemmeno ai tempi della Spagnola o del colera. Questa situazione è inaudita, e ciò che è inaudito non può essere preso alla leggera, parlando di fumosa generosità o citando Fabio Fazio. La Chiesa ha abdicato. A dirla tutta, lo ha fatto da anni ma questa volta la sua débâcle è totale. A cosa serve una Chiesa che si limita a ripetere a pappagallo le raccomandazioni dei medici? A cosa serve una Chiesa che lascia morire senza sacramenti migliaia di persone? A cosa serve una Chiesa che, di fronte ad una tragedia immane, non parla di conversione? La risposta è: a niente. Il conforto spirituale della «chiesa ospedale da campo» ha la profondità e l’utilità delle zuccherose frasi dei cioccolatini; e nel mentre, migliaia di persone muoiono sole (alla faccia della preghiera del papa in piazza San Pietro, «nessuno si salva da solo»), migliaia di persone vorrebbero confessarsi e non possono, migliaia di persone vorrebbero il conforto di Gesù Eucaristia e vengono rispedite al mittente con la raccomandazione di essere generosi e di soffrire da soli.
La malattia senza nome (perché Covid19 è una sigla, e coronavirus è il nome di una tipologia di virus assai diffusa) ha trasformato la Chiesa rendendola senza scopo. Questa tragedia sta condannando i cristiani a fare da soli, a vivere la propria spiritualità in assenza della pavida Sposa di Cristo. C’è qualcosa di terribile, di raggelante in questa palese abdicazione della Chiesa che, se da anni si manifestava soltanto a parole, adesso si concretizza proprio nel momento del bisogno. La Chiesa si è dissolta. Il 27 marzo, Bergoglio ha parlato in una piazza San Pietro deserta. Quell’immagine può essere letta con lo stesso, profetico simbolismo del famoso fulmine su San Pietro la sera dell’abdicazione di Benedetto XVI. Quella piazza deserta rappresenta la Chiesa di oggi.
Siamo così giunti al nulla. Al mistero del sabato santo vissuto nell’attualità. Forse, non è un caso che tutto ciò avvenga in quaresima. Senza dubbio, non è un caso che questa infinita desolazione avvenga in una Chiesa che ha intronizzato Lutero e la Pacha Mama, sedotta dal mondo e dimentica del suo ruolo nella storia della salvezza. Quel ruolo oggi dovrebbe rivendicarlo a gran voce, mostrarlo al mondo ed invitare alla conversione. Invece, Dio questo le (ci) ha concesso: una piazza e le chiese angosciosamente vuote. La conversione parta da noi. Da subito. Con urgenza. E nel mentre, attendiamo che le gerarchie ecclesiastiche, invece di complimentarsi vicendevolmente per le belle iniziative sanitarie messe in atto, chiedano perdono davanti a Dio purificando la Sposa di Cristo dal fumo di satana che l’ha avvolta fino ad ora. Perché il sentore diffuso è che questa situazione inaudita sia soltanto l’inizio di una serie di desolazioni che ci attendono senza più Chiesa: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).
di Giorgio Enrico Cavallo
Risposta del Cardinal Carlo Caffarra Arcivescovo di Bologna all’avvocato Gianfranco Amato Presidente dei Giuristi per la Vita.
Lectio magistralis del Cardinal Caffarra tenuta il 6 dicembre 2015 nell’ambito del seminario residenziale di studi sociali organizzato da “Vita è”,. Ripreso dal sito CulturaCattolica.it dell’amico don Gabriele Mangiarotti.
Domanda:Eminenza, Lei ha parlato del rapporto fede-ragione, che è drammaticamente attuale oggi dove sembra che viviamo un paradosso per cui gli uomini di fede sono diventati gli ultimi difensori della ragione umana. A me interessava un altro rapporto: quello tra fede e cultura. Io ricordo, ero giovane, quando nel 1982 ascoltai Giovanni Paolo II, – credo fosse un suo discorso al M.E.I.C. –, fare questa affermazione: «una fede che non diventa cultura non è pienamente accolta, pienamente pensata, pienamente vissuta». Se ci vuole dire due parole su questo tema, penso che sia utile per tutti.
Risposta:Perché la fede non diventa cultura? Cultura non significa evidentemente scrive-re dei libri. Cultura vuol dire quello che i greci chiamerebbero l’ethos, la casa entro cui si vive secondo certe visioni del mondo, di Dio, delle cose, secondo certi criteri di valutazione morale, eccetera. Questa è la corretta definizione di cultura. Orbene, la fede non può non generare cultura in quanto non è un fatto privato. Non può non generare cultura, perché è il meridiano che attraversa tutti i paralleli. Tutte le grandi esperienze dell’umano quali il lavoro, l’amore tra un uomo e una donna, la società civile, l’esercizio del potere politico, insomma, tutte le grandi esperienze umane c’entrano con la fede. Ecco perché Giovanni Paolo II ha detto quelle parole: la fede non è un fatto privato. Siate ben vigilanti perché oggi vi è il grande tentativo di ridurre la fede al fatto privato. Questa tendenza è molto forte. Non accettatelo! La Chiesa non ha mai scelto volontariamente di andare nelle catacombe. C’è andata e c’è stata nelle catacombe, ma quando l’hanno mandata, con la forza. Con la forza! Ma di propria scelta mai! Perché il suo Sposo fondatore, Gesù, aveva detto: «predicate sui tetti ciò che io vi ho detto segretamente. Predicatelo sui tetti». Oggi si tende a tacere, sulla base del fatto che così si può andare d’accordo: ma il presupposto non è quello di andare d’accordo. Uno dei segni che la fede è viva è che genera fatti culturali straordinari. Penso a certi momenti della vita e dello spirito, e mi stupisco: che cosa la fede non ha generato! Questa è cultura. San Basilio Magno, per esempio, è stato il primo ad organizzare una città della carità dove, da grande pastore che era, accoglieva gli ammalati nei primi ospedali. Pensiamo a tutto ciò che è seguito da quella prima esperienza. C’era la cultura e parliamo del modo con cui va trattato l’ammalato e la malattia. Vi erano due concezioni antiche della malattia: una che la concepiva quale castigo degli Dei, l’altra che identificava come un fenomeno da studiare sulla base dei principi causa-effetto e che è all’origine dell’attuale scienza medica. Quando venne annunciato il Vangelo la Chiesa si trova di fronte a queste due concezioni e non ha dubbi: sposa la seconda e quindi genera. Io non finirei più di parlare di queste cose. L’esperienza cristiana è bellissima in quanto non lascia fuori niente dell’umano. Niente! Il fatto è che la Chiesa, purtroppo, non è mai riuscita a sconfiggere la tentazione della gnosi, dello gnosticismo. Lo ha detto Papa Francesco che c’è questo laicismo che vorrebbe la fede quale fatto privato e chiuso. E invece, come Papa Giovanni Paolo II ci insegna la fede genera un popolo che ha sempre una sua cultura e genera un’identità. Le cose oggi vanno male in Italia perché si è pensato di potere sostituire con un pezzo di carta – ossia la Costituzione –, il tessuto connettivo vero di un popolo. Perché io penso: cosa aveva in comune un trentino con un siciliano. Nemmeno la lingua. La cosa in comune era la fede. Lo sguardo verso il Papa che teneva unito il tutto. Questi, erano i tessuti connettivi. Se si erode questo…
Abbiamo visto cosa è successo in Francia, dove questa erosione è in uno stadio molto più avanzato.
Abbiamo visto cosa è successo in Francia, dove questa erosione è in uno stadio molto più avanzato.
Di Sabino Paciolla
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