San Paolo – statua in Piazza San Pietro (Roma)
Ricercare ed avere una concezione della vita, aiuta a viverla, a comprendere il proprio ruolo personale e sociale, ad avere la giusta motivazione “per alzarsi al meglio ogni mattina”.
Semplificando, a questo sembra tendere in profondo il significato dell’ “Otium romano”, che non aveva l’odierna accezione negativa (pigrizia), ma era il dedicarsi allo studio, alla cura di sé, del proprio ruolo (a differenza del negotium considerato come gestione della propria vita sociale e lavorativa).
Forse è quindi giusto cominciare a ripartire dall’Otium, inteso come primaria attività di riflessione, di ricerca e studio del vero, del giusto, del proprio ruolo (alcuni direbbero della propria vocazione).


La vita, infatti, non può consistere nel solo sopravvivere, nel farsi trascinare dalla folla o dal mondo, quasi fossimo banderuole al vento; essa al contrario, è fatta di scelte, di comportamenti virtuosi che devono cominciare dalla nostra stessa persona, (prima di aspettarli dagli altri).
La prima di queste grandi scelte è quella di aderire alla prima legge di morale naturale:
“fa il bene ed evita il male”.
E’ una legge interiore, prima che giuridica, che accomuna le aspirazione originarie di ogni essere umano, (ognuno di noi  è naturalmente spinto ad aiutare un bimbo in difficoltà e non ad ucciderlo immotivatamente, a prescindere dalle scelte religiose o culturali di ciascuno: è una innata attitudine umana, originaria, inserita nella stessa nostra coscienza e natura).
Quella del bene è quindi la prima e principale scelta di vita, che va fatta e difesa perché al contrario ci sarà chi vorrà imporre il proprio interesse a tutti i costi, anche se frutto di scelte malvagie. E’ la continua “guerra tra il bene ed il male”, che spesso si mimetizza in mille “mediazioni o interessi” sempre più sfumati e confusi, che possono arrivare addirittura a giustificare ogni aberrazione: persino il terribile uso della bomba atomica è stato giustificato con ragioni superiori di porre fine ad una guerra- che nella specie era, invece, già quasi conclusa).
Ecco che si comprende il senso profondo della constatazione del libro di Giobbe: “Milizia est vita hominis, super terram” (è una guerra  la vita dell’uomo, sulla terra).
Guerra tra bene e male, ma anche guerra tra giustizia ed ingiustizia, tra fame e benessere, tra salute
e malattia (come la pandemia di Coronavirus ci ha insegnato).
In un mondo in cui si esalta il dubbio e non si vuol sottostare alla Verità (degradata ad opinione personale come tante altre), si tende a dimenticare l’importanza di questa guerra tra bene e male, perché sta venendo meno la stessa consapevolezza di cosa sia il male, visto che ogni diversa opinione deve essere accettata in nome di una democrazia neutra, (basti riflettere che in USA i satanisti hanno chiesto che la loro religione abbia gli stessi spazi e tutele di chi crede in DIO, e nel nostro Lazio nel 2003 la lista Democrazia Atea candidava alla Camera, il Presidente dei “Bambini di Satana”: la cecità umana vuole porre sullo stesso piano il male e nel bene in nome di una libertà senza valori). A chi vorrebbe attenuare l’importanza di questa lotta  e la stessa drammaticità della vita, è bene ribadire che la lotta tra bene e male è stata sempre presente nella storia umana, sia laica che religiosa. Per limitarsi a quest’ultima, non è un caso che, prima della creazione del mondo, si narri di una lotta tra gli angeli infedeli a Dio, guidati da Lucifero e quelli rimasti fedeli, condotti alla vittoria da S. Michele Arcangelo, il principe delle milizie celesti (degli eserciti, mica del “circolo degli amici”). La stessa creazione del mondo materiale, avvenne a seguito (e fu causa) di una battaglia nel preesistente mondo spirituale, e non è un caso che S. Michele sia sempre raffigurato come un guerriero con la spada fiammeggiante.

Castel Santangelo statua
Castel Santangelo a Roma – statua

La battaglia per il bene si intravede anche nella cessazione della terribile Peste a Roma nel 590.
Gli storici del tempo raccontano il memorabile prodigio avvenuto durante la processione verso il Vaticano, per implorare l’aiuto divino. In una sola ora erano morte ben ottanta persone, ma papa Gregorio non smetteva di incoraggiare ad andare avanti con fede. Man mano che il corteo si avvicinava a San Pietro, l’aria diventava più leggera e salubre. Giunti al ponte che collegava la città al Mausoleo di Adriano, d’improvviso scesero dal cielo schiere di angeli che cantavano quelle che sarebbero diventate le parole del Regina Coeli, (l’antifona che in tempo pasquale sostituisce l’Angelus e saluta Maria Regina per la risurrezione del Salvatore). Papa Gregorio (poi proclamato  S. Gregorio Magno) guardò in alto e sulla cima del castello vide la grande figura armata dell’Arcangelo mentre asciugava la spada dal sangue e la riponeva nel fodero. La peste era finita. Per tale motivo sul mausoleo di Adriano, (da allora chiamato Castel S. Angelo, di fronte alla Basilica del Vaticano) fu da allora posta la statua di S. Michele Arcangelo, saggiamente riconosciuto patrono dei combattenti e dei moribondi (questi ultimi li difende nell’ultima più importante battaglia contro il Tentatore, che cerca di strappare a Dio ogni anima).
La consapevolezza della vita come drammatica battaglia tra bene e male (drammatica per i suoi possibili esiti, infausti ed eterni), è stata una delle grandi consapevolezze dei santi che spesso hanno vissuto questa lotta sulla propria pelle e sulla propria persona (da ultimo S. Pio da Pietralcina che, anche fisicamente, lottava col maligno).
Ma tra i santi, sono stati proprio quelli provenienti da una vita militare, a mostrare una comprensione sulla necessità di questa lotta, organizzandosi per sostenerla.
Senza scomodare S. Longino (il centurione che trafisse con la lancia Gesù), o i soldati romani S. Sebastiano e S. Giorgio, o S. Espedito – comandante della XII legione, o San Martino o San Teodoro, soffermiamoci solamente sulla figura di San Francesco d’Assisi che brilla di un carattere deciso, ben diverso dalla odierna riduzione a “mero pacifista”. Lo stesso S. Francesco- si badi, a suo modo – sembra non volersi sottrarre alla Crociata del suo tempo (la V), ma vi partecipa con ben altri scopi, recandosi dal Sultano di Babilonia Melek al Kamil, e non certo per una visita di cortesia, ma al fine di convertire lui ed il suo popolo e farlo passare alla giusta causa di Cristo. Egli ingaggia una battaglia non solo verbale, ma persino fisica, sfidando tutti i musulmani presenti alla corte del sultano (sacerdoti compresi), alla famosa sfida del fuoco: egli, con chiunque altro avesse voluto, sarebbe passato nel fuoco, i sopravvissuti avrebbero dimostrato la esistenza ed il favore del proprio Dio. Nessuno osò sottoporsi a questa prova, ma tutti si dileguarono (come descritto da S. Bonaventura, nella Legenda Maior IX,8).
Francesco, in seconda battuta, si offrì di passare ugualmente nel fuoco, a condizione che- se ne fosse uscito illeso- il Sultano stesso avrebbe dovuto convertirsi. Ma impegnato nella Crociata- anche per opportunità politica- il Sultano preferì non convertirsi, ma in segno di ammirazione verso il Santo, -dopo il suo rifiuto di doni e soldi-rilasciò un lasciapassare a lui ed ai suoi frati (che anche per questo restano -ancor oggi dopo secoli- gli unici custodi di terra Santa).
Anche S. Ignazio di Loyola – ritiratosi dopo una ferita in guerra- volle fondare con i suoi amici la Compagnia di Gesù, organizzata con rigore quasi militare per difendere il papa e la Chiesa. (lo stesso termine “compagnia” rivela le sue origini militari, così come “generale” per la guida). E nella sua personale vita Ignazio continuò a lottare per il mantenimento del bene interiore, anche con i famosi esercizi spirituali (una lotta spirituale per restare fedeli a Dio e sconfiggere le tentazioni).
S. Camillo De Lellis, fu figlio di militare ed egli stesso militare di ventura, prima di diventare infermiere e fondare l’ordine dei Camilliani, -in prima linea nella guerra per la salute, e nella assistenza ai malati (per questo dichiarato patrono di medici ed infermieri).
Per non parlare di Santa Giovanna D’arco, che dopo aver combattuto fisicamente la sua giusta guerra, affrontò persino il rogo restando fedele alla sua fede.
Questo breve ed imperfetto elenco di “santi guerrieri” (nel senso più nobile del termine), mostra come sia sempre stata presente la concezione delle vita come battaglia, prima di tutto dentro sé stessi, per sconfiggere il male e far crescere il bene, (così come l’agricoltore cura la sua piante e combatte contro parassiti ed erbacce).
Ma dalla battaglia interiore  consegue quella esterna per la difesa di quegli stessi valori umani più veri e profondi. Questa, in fondo,  è stata per secoli la figura del Cavaliere, che prendeva a cuore la difesa dei deboli, combattendo contro i soprusi dei violenti.
Questa battaglia esterna, va innanzitutto combattuta per difendere la vita, presupposto di ogni successivo diritto (“primum vivere, deinde Philosophari” ricordavano i romani). E’ questa la principale guerra in corso, con i suoi caduti, visto che oggi è la prima causa di morte al mondo, (50 milioni di morti, paragonabili a quelli della seconda guerra mondiale, ma per l’aborto questa strage si ripete ogni anno (e di recente con l’aggiunta di più discrete pillole abortive).  La vita è anche battaglia contro la povertà, contro la malattia, contro l’ingiustizia, per il sostegno alla famiglia.
Su queste battaglie tutti potremmo/dovremmo essere uniti, a prescindere dalle varie ideologie, in quanto relative alla difesa dei diritti umani, (o diritti naturali originari).
Ma anche sul fronte di queste battaglie saranno necessari ottimi soldati (anzi i migliori), per difendere la Verità della vita, in quanto è facile incorrere negli errori, perdersi dietro nemici illusori, addirittura scambiare per diritti alcune profonde ingiustizie. Ecco l’importanza dell’impegno culturale per la individuazione e ricerca di quelli che sono i valori veri e non illusori. Gli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti, i moderni blogger, i divulgatori in genere possono essere oggi i pontieri della vera cultura, i logisti che aiutano tutti gli altri nel loro viaggio, nel loro combattimento. Su questo fronte “spirituale e culturale”, la Chiesa ha sempre “combattuto duro”, invitando tutti  ad essere:  “sempre pronti a render conto, a tutti, della speranza che è in voi ” (S. Pietro  1° lettera cap.3 ) ed indicando nei secoli al popolo di Dio anche le opere di misericordia spirituali  (“insegnare agli ignoranti, consigliare i dubbiosi, ammonire i peccatori, ecc).
Addirittura per Paolo VI “il dramma maggiore della nostra epoca è la frattura tra fede e cultura” (Evangeli Nunzianti n. 20).
Altri ancora avranno un posto diverso “al fronte” di questa buona battaglia: dovranno combattere non solo per i diritti dell’uomo, ma per i diritti di DIO, che nulla sottraggono ai diritti dell’uomo, anzi li rafforzano in quanto coincidono con il suo bene. Egli è un Padre e conosce e difende il vero bene dei suoi figli, tanto è vero che i suoi comandamenti, rilasciati a Mosè sul monte Sinai millenni orsono, sono ancora giusti e costituiscono la base del diritto naturale, a cui ogni ordinamento giuridico dovrebbe tendere e continuare ad attenersi. “Onora il Padre e la Madre, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la roba e la donna d’altr,i ecc” sono ancora oggi alla base di ogni legge morale e della vera giustizia, sia individuale, sia sociale.
Nel Nuovo Testamento, questi comandamenti non sono stati aboliti, ma irrorati dalla suprema legge dell’Amore che ci chiede non solo di rispettare i diritti altrui, ma di amare attivamente il fratello come noi stessi e persino  il nostro nemico (non perché resti nel male, ma perché -insieme a noi- si ravveda, perché: ”Se non vi convertirete, perirete tutti”.  Ad ognuno quindi sono state date “delle armi pacifiche” (le varie virtù) da usare per il bene;  ad ognuno è assegnato un compito, alla luce della propria competenza o vocazione.
Poeticamente così lo evidenziava, il Nobel per la letteratura, T. S. Eliot:
“Nei luoghi deserti noi costruiremo con nuovi mattoni.
Ci sono mani e macchinari,
e creta per un nuovo mattone
e cemento per una nuova malta.
Dove i mattoni sono crollati
noi costruiremo con nuove pietre.
Dove le travi sono spezzate
noi costruiremo con nuovo legname.
Dove la parola non è pronunciata
noi costruiremo con nuovo linguaggio.
C’è un lavoro comune,
e c’è una fede per tutti,
e un compito per ognuno.
Ogni uomo al suo lavoro…”
Queste nostre virtù, -Qualcuno le ha chiamate talenti…- ci sono state date per il bene comune,  con l’impegno di utilizzarle per i nostri fratelli e ricordiamo bene cosa succede a chi si rifiuta di usarle, a chi diserta questa “pacifica guerra del bene”… illudendosi di presentarsi solo alla fine, a scampato pericolo, magari per goderne gli esiti (con la semplice restituzione dei talenti originari).
E’ proprio sul ruolo avuto in questa “guerra per il bene”, che ad ognuno di noi sarà assegnato l’esito finale della vita:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” Mt 25, 34-36).
A questa guerra tra il male ed il bene, non sembra sottrarsi  nemmeno il Signore che “colpisce” Saulo di Tarso -alla testa dei suoi soldati per la sua guerra ai cristiani di Damasco,  per chiamarlo ad essere il più grande diffusore del Cristianesimo nel mondo.
E’ lo stesso S. Paolo a metterci espressamente in guardia: La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. (Ef. 6,12)
Non sarà un caso, infine, che, avvicinandosi alla sua morte, (nel 67 d.c. non fu crocifisso, come Pietro, perché, da cittadino romano, era esentato da questa morte crudele), Egli si congedò dai suoi numerosissimi amici e fratelli con le famose parole, scritte dal carcere, al suo amico-discepolo Timoteo:
Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.(è questo “il bottino di guerra”: conservare la fede, non basta solo averla avuta, anche Giuda la ebbe, ma non la conservò, traviato da Satana ci ricorda il Vangelo).
S. Paolo, così conclude il suo commiato:
“Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”.
“Attendono con amore”, (che è operoso, non indifferente),  perché questa è una battaglia speciale, che si combatte non con la violenza, ma con l’amore; non per eliminare il nemico, ma per salvarci insieme; non per la morte, ma per la vita  (….e non solo terrena).
In pace.

di Gianni Silvestri