ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 19 maggio 2020

Il coraggio uno se lo dà..

Il coraggio della fede, opera dei laici


Sto da tempo leggendo alcuni testi straordinari del santo Card. Newman, in particolare ho terminato «Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina». Oltre al doloroso giudizio sulla azione dell'Episcopato («All'infuori di pochissimi, tutti si adattarono alla circostanza; differenziandosi gli uni dagli altri solo nella misura in cui gli uni subirono ciò prima, gli altri dopo» [S. Gregorio]), egli riporta l'azione dei fedeli cattolici e la loro strenua resistenza all'arianesimo, negatore delle divinità di Cristo e succube del potere imperiale.
Ecco tre esempi, di una attualità sconcertante

Di Michael Damaskinos - Arianus, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=34700946


6. EDESSA - «Vi è in quella città una magnifica chiesa dedicata a S. Tommaso Apostolo, dove, data la santità del luogo si tengono in continuazione assemblee religiose. L’imperatore Valente desiderava visitare quell’edificio quando, avendo saputo che quei fedeli erano nemici dell’eresia [ariana] da lui favorita, si dice che abbia dato uno schiaffo al prefetto perché aveva trascurato di espellerli da quel luogo. Il prefetto, per impedire l’uccisione di un gran numero di persone, li mise privatamente in guardia dal raccogliersi colà. Ma le ammonizioni e le minacce furono ugualmente neglette, poiché il giorno seguente si affollarono tutti alla chiesa. Mentre il prefetto si stava dirigendo verso il tempio con una grossa forza militare, una povera donna che conduceva per mano il suo bambino, si precipitò di corsa sulla strada verso la chiesa, facendosi largo tra le file dei soldati. Il prefetto, irritato della cosa, ordinò che gli fosse condotta dinanzi e così le parlò: «Miserabile donna, dove stai correndo con tanta fretta?». Essa rispose: «Verso lo stesso luogo a cui si affrettano altri». «Non hai sentito, egli disse, che il prefetto sta per mettere a morte tutti gli occupanti?». «Sì, disse la donna, e perciò mi affretto per esserci anch’io». «E dove stai trascinando quel bambino?», disse il prefetto. La donna rispose: «Perché pure a lui sia concesso l’onore del martirio». Il prefetto tornò indietro e informò l’imperatore che tutti erano pronti a morire in favore della propria fede; e aggiunse che sarebbe stato assurdo mettere a morte in una sola volta tante persone, e così riuscì a frenare la collera dell’imperatore». Socr. Hist. IV, 18. «Così fu la fede cristiana confessata da tutta la città di Edessa» Sozom. VI. 18.

13. CAPPADOCIA - S. Basilio, circa nell’anno 372, dice: «Le persone religiose sono costrette al silenzio, ma ogni lingua blasfema viene lasciata sciolta. Le cose sacre vengono profanate e i membri del laicato che sono solidi e sani nella fede, evitano i luoghi di culto come scuole d’empietà, e levano le mani in solitudine, con gemiti e lacrime, verso il Signore del cielo». Ep. 92. Quattro anni dopo scrive: «Le cose sono arrivate a questo punto: la gente ha lasciato le sue case di preghiera, e si raccoglie nei deserti: visione pietosa; donne e bambini, vecchi e uomini altrimenti infermi, miserabilmente vivendo all’aria aperta, tra piogge copiose e bufere di neve e venti e geli dell’inverno, e di nuovo in estate sotto un sole bruciante. A ciò si assoggettano perché non vogliono aver nulla in comune col malvagio lievito ariano». Ep. 242. Ancora: «Soltanto un crimine è ora vigorosamente punito, un’osservanza diligente delle tradizioni della nostra fede. Per questo motivo i più sono trascinati via dai loro paesi, e deportati nei deserti. La gente è in lamento, in un ininterrotto strazio in casa e fuori. C’è un lamento nella città, un lamento nel paese, nelle strade, nei deserti. Gioia e letizia spirituale non esistono più; le nostre feste si sono mutate in lutto; le nostre case di preghiera sono serrate, i nostri altari privati del culto spirituale». Ep. 243.

20. L’ESERCITO - «Terenzio, un generale che si era distinto per la sua pietà e il suo coraggio, al ritorno dall’Armenia ebbe gli onori del trionfo e Valente gli promise di accontentare qualsiasi suo desiderio. Ma egli non chiese né oro né argento e neppure beni e cariche pubbliche, bensì la costruzione di una chiesa da donare ai predicatori della dottrina apostolica. Theod. Hist. IV. 32
«Valente mandò Traiano, allora generale, a combattere i barbari. Traiano fu sconfitto e al suo ritorno a Roma ebbe i rimproveri dell’imperatore che lo accusò di indecisione e di debolezza. Ma Traiano rispose con molto coraggio: ‘Non sono io, o imperatore ad essere sconfitto perché tu, combattendo contro Dio, hai spinto i barbari sotto la sua protezione. Non sai quanta gente hai sottratto alla chiesa e in quali braccia l’hai gettata?’. Gli altri due comandanti, Arinteo e Vittore, confermarono quanto aveva detto Traiano e costrinsero l’imperatore a riflettere sulla verità della loro protesta». Ibid. 33

22. 382 d.C. - S. Gregorio scrive: «Se devo dire la verità, mi sento disposto a evitare ogni convegno di vescovi; poiché non ho mai visto un sinodo condotto a un esito felice, e che rimediasse, e non piuttosto aggravasse, i mali esistenti. Infatti la rivalità e l’ambizione sono più forti della ragione - non mi si ritenga stravagante se parlo così - e un mediatore è più probabile che incorra lui stesso in qualche imputazione piuttosto che eliminare le imputazioni scagliate contro altri». Ep. 129. [Si deve tener presente che un passo come questo va riferito, come qui si è fatto, all’infelice tempo di cui si parla. Nulla di più si può da esso arguire se non che la Ecclesia docens non in ogni circostanza è l’attivo strumento della Chiesa infallibile].


P.S.: Per capire la questione, storicamente, aggiungo quanto scrive, qualche pagina prima, Newman per inquadrare la questione trattata.

Dice Newman: «Non intendo affatto negare che la maggior parte dei vescovi fosse ortodossa nelle sue intime credenze, così come non nego che ci furono molti tra il clero che si schierarono con i fedeli e operarono come loro punto di riferimento e di guida. Tanto meno intendo negare che i laici furono iniziati alla fede dal clero e dai Vescovi e, ancora, non nego che una larga parte dei laici fosse ignorante e un’altra parte fosse stata corrotta da predicatori ariani i quali occupavano sedi episcopali e ordinavano preti ereticali. Sostengo tuttavia che in quel tempo di grande confusione teologica il dogma della divinità di Nostro Signore fu proclamato, difeso e preservato, umanamente parlando, anche con maggior forza dalla Ecclesia docta che non dalla Ecclesia docens; che il corpo episcopale non fu all’altezza della sua missione, mentre il corpo dei fedeli rimase fedele al proprio battesimo; che almeno una volta il Papa e altre volte le Sedi patriarcali, metropolitane ed altre di rilevante importanza, come i concili generali, dissero ciò che non avrebbero dovuto e fecero cose che oscurarono e compromisero la verità rivelata, mentre dall’altra parte fu proprio il popolo di Dio che, grazie alla Divina Provvidenza, sostenne AtanasioIlarioEusebio di Vercelli ed altri grandi e solitari confessori, i quali senza di esso sarebbero stati perdenti.
Nella storia dell’Arianesimo vedo, quindi, un esempio lampante della situazione della Chiesa in un momento storico nel quale per conoscere la tradizione apostolica, fu necessario far ricorso al popolo di Dio… Ciò che mi conforta e mi dà sicurezza è la fede del popolo. Per usare le parole di Ilario, penso infatti che, se il popolo di Dio non fosse stato catechizzato nell’ortodossia sin dal tempo del suo battesimo, esso non avrebbe avuto quel suo radicale rifiuto della eterodossia ariana. La sua voce è allora la voce della tradizione e il caso assume ai nostri occhi un’importanza ancora maggiore quando si pensa che: 1 ) questo avvenne nei veri primordi storici della Ecclesia docens, in quanto non si può dire che il suo insegnamento fosse davvero cominciato prima che fosse finita l’epoca dei martiri; 2) la dottrina controversa era di straordinaria importanza essendo l’arco di volta del pensiero cristiano; 3) lo stato di controversia e di confusione teologica durò per un lungo arco di circa sessanta anni; 4) si portò dietro di sé una sequela di persecuzioni e di lotte che toccarono l’esistenza, la vita fisica e i beni dei fedeli, la cui leale ostinazione ebbe un peso così decisivo.»




Intesa Cei-governo “bocciata” in parrocchia
Saranno anche frutto di un accordo firmato dalla Cei e dal governo Conte, ma le linee-guida per celebrare la Santa Messa non piacciono ad un numero crescente di preti. E quella che il quotidiano Avvenire ha definito «creatività pastorale» viene sempre più rifiutata da sacerdoti, per nulla disposti a commettere sacrilegi. Si tratta di preti diocesani e non, non necessariamente legati alla Tradizione, ma attenti ad evitare rischiosi passi falsi: «La Comunione data nel modo previsto comporta tre sacrilegi – spiega don Leonardo Ricotta, parroco della chiesa di Sant’Agata, a Palermo-Villabate, da noi intervistato – Dare la Comunione nella mano è sacrilegio; mettere il Corpo di Cristo nella plastica è un secondo sacrilegio; gettare nell’immondizia il guanto monouso, dopo che ha toccato il Corpo di Cristo, è un terzo sacrilegio. Ergo, nella libertà della mia coscienza, mi rifiuto di fare una cosa del genere». Ed i fedeli? «Faranno la Comunione spirituale».
Altri sacerdoti han deciso di “disobbedire” alle linee-guida, dando la S. Comunione senza guanti. E sulla bocca. Don Pietro Cutuli della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea ha realizzato un video, in cui spiega perché: «Non c’è nessuna evidenza del fatto che sia più pericoloso ricevere la Comunione sulla bocca piuttosto che sulla mano – dice – anzi in molti casi potrebbe essere l’esatto contrario. Con le mani noi tocchiamo tutto». Non solo: «Anche nel più piccolo frammento dell’Ostia Santa vi è tutta la Presenza di Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Ricevere Gesù sui guanti significa che qualche pezzettino, qualche frammento di Ostia possa rimanere sui guanti e poi, essendo monouso, essere gettato e finire nella spazzatura. Non è un rischio ipotetico, è un rischio reale».
A far problema è il punto 3.4 del protocollo sottoscritto dal presidente della Cei, mons. Gualtiero Bassetti, e dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Recita: «La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso. Gli stessi – indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’Ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli». Ma questa, afferma don Cutuli, «dal punto di vista della fede, è una profanazione del Santissimo Corpo e Sangue del Signore. È sufficiente che il sacerdote igienizzi le mani. E non può essere neppure obbligato ad utilizzare i guanti, poiché questa non è una norma ecclesiale, fa parte soltanto di un protocollo d’intesa tra lo Stato e la Chiesa, protocollo che peraltro non rispetta neppure il Concordato. Quindi, su questo punto possiamo fare obiezione di coscienza, perché non siamo in uno Stato totalitario. Questo punto non è vincolante». Inoltre, osserva don Cutuli, in nessun punto il protocollo vieta esplicitamente «la ricezione sulla bocca della Santa Eucarestia». Anzi, «il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e dei Sacramenti dice che i fedeli hanno assoluto diritto a ricevere l’Eucarestia sulla bocca» ed in un documento redatto ai tempi della Sars, epidemia molto infettiva e pericolosa, la stessa Congregazione, ad una domanda rivoltale in merito, rispose che non era affatto necessario dare l’Ostia esclusivamente sulle mani.
Il Coronavirus ha, insomma, funto da “detonatore” ed ha fatto emergere gli aspetti critici non solo del protocollo tra Cei e governo, bensì anche del modo di celebrare la liturgia: «In occasione del Coronavirus, la crisi nella Chiesa Cattolica è esplosa in tutta la sua evidenza – precisa don Ricotta – Del resto, il modernismo è qualcosa di subdolo, come San Pio X aveva intuito; qualcosa, che si è insinuato senza che ce ne si accorgesse. Poi, negli Anni Cinquanta, la Nouvelle Théologie. Infine, il Concilio Vaticano II, che ha raccolto quanto seminato prima. Da lì in poi è stato un lento degradarsi… Un Concilio bipolare, peraltro, perché da una parte ha detto le cose sane della Tradizione e dall’altra l’esatto contrario. Ci sono documenti, in cui questo emerge in modo evidente. Ad esempio, nell’Unitatis Redintegratio al n. 11 si legge: “Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina”, senza cedere ad un “falso irenismo, che altera la purezza della dottrina cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso”. Salvo affermare poi anche: “Il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli”».
Don Ricotta ha celebrato per molti anni in parrocchia tanto la Messa tridentina quanto quella Novus Ordo: adesso però ha preso la decisione di celebrare solo la prima. Perché? «La situazione nella Chiesa è così grave – afferma – che, come ho detto nel corso di un’omelia, bisogna ritornare alla Tradizione a sirene spiegate. Quindi io ho fatto questa scelta. Ormai la Chiesa Cattolica si è liquefatta, rimane la struttura esterna, rimane finora – grazie a Dio – la validità dei Sacramenti, ma, oltre a questo, non c’è più niente: non c’è più Magistero, non c’è più spiritualità, non c’è più dottrina… Tornare a celebrare esclusivamente in rito antico significa dare una sferzata vigorosa, lanciare un segnale». La speranza è che questo segnale venga accolto e raccolto.

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