Ecco tre esempi, di una attualità sconcertante
6. EDESSA - «Vi è in quella città una magnifica chiesa dedicata a S. Tommaso Apostolo, dove, data la santità del luogo si tengono in continuazione assemblee religiose. L’imperatore Valente desiderava visitare quell’edificio quando, avendo saputo che quei fedeli erano nemici dell’eresia [ariana] da lui favorita, si dice che abbia dato uno schiaffo al prefetto perché aveva trascurato di espellerli da quel luogo. Il prefetto, per impedire l’uccisione di un gran numero di persone, li mise privatamente in guardia dal raccogliersi colà. Ma le ammonizioni e le minacce furono ugualmente neglette, poiché il giorno seguente si affollarono tutti alla chiesa. Mentre il prefetto si stava dirigendo verso il tempio con una grossa forza militare, una povera donna che conduceva per mano il suo bambino, si precipitò di corsa sulla strada verso la chiesa, facendosi largo tra le file dei soldati. Il prefetto, irritato della cosa, ordinò che gli fosse condotta dinanzi e così le parlò: «Miserabile donna, dove stai correndo con tanta fretta?». Essa rispose: «Verso lo stesso luogo a cui si affrettano altri». «Non hai sentito, egli disse, che il prefetto sta per mettere a morte tutti gli occupanti?». «Sì, disse la donna, e perciò mi affretto per esserci anch’io». «E dove stai trascinando quel bambino?», disse il prefetto. La donna rispose: «Perché pure a lui sia concesso l’onore del martirio». Il prefetto tornò indietro e informò l’imperatore che tutti erano pronti a morire in favore della propria fede; e aggiunse che sarebbe stato assurdo mettere a morte in una sola volta tante persone, e così riuscì a frenare la collera dell’imperatore». Socr. Hist. IV, 18. «Così fu la fede cristiana confessata da tutta la città di Edessa» Sozom. VI. 18.
13. CAPPADOCIA - S. Basilio, circa nell’anno 372, dice: «Le persone religiose sono costrette al silenzio, ma ogni lingua blasfema viene lasciata sciolta. Le cose sacre vengono profanate e i membri del laicato che sono solidi e sani nella fede, evitano i luoghi di culto come scuole d’empietà, e levano le mani in solitudine, con gemiti e lacrime, verso il Signore del cielo». Ep. 92. Quattro anni dopo scrive: «Le cose sono arrivate a questo punto: la gente ha lasciato le sue case di preghiera, e si raccoglie nei deserti: visione pietosa; donne e bambini, vecchi e uomini altrimenti infermi, miserabilmente vivendo all’aria aperta, tra piogge copiose e bufere di neve e venti e geli dell’inverno, e di nuovo in estate sotto un sole bruciante. A ciò si assoggettano perché non vogliono aver nulla in comune col malvagio lievito ariano». Ep. 242. Ancora: «Soltanto un crimine è ora vigorosamente punito, un’osservanza diligente delle tradizioni della nostra fede. Per questo motivo i più sono trascinati via dai loro paesi, e deportati nei deserti. La gente è in lamento, in un ininterrotto strazio in casa e fuori. C’è un lamento nella città, un lamento nel paese, nelle strade, nei deserti. Gioia e letizia spirituale non esistono più; le nostre feste si sono mutate in lutto; le nostre case di preghiera sono serrate, i nostri altari privati del culto spirituale». Ep. 243.
20. L’ESERCITO - «Terenzio, un generale che si era distinto per la sua pietà e il suo coraggio, al ritorno dall’Armenia ebbe gli onori del trionfo e Valente gli promise di accontentare qualsiasi suo desiderio. Ma egli non chiese né oro né argento e neppure beni e cariche pubbliche, bensì la costruzione di una chiesa da donare ai predicatori della dottrina apostolica. Theod. Hist. IV. 32
«Valente mandò Traiano, allora generale, a combattere i barbari. Traiano fu sconfitto e al suo ritorno a Roma ebbe i rimproveri dell’imperatore che lo accusò di indecisione e di debolezza. Ma Traiano rispose con molto coraggio: ‘Non sono io, o imperatore ad essere sconfitto perché tu, combattendo contro Dio, hai spinto i barbari sotto la sua protezione. Non sai quanta gente hai sottratto alla chiesa e in quali braccia l’hai gettata?’. Gli altri due comandanti, Arinteo e Vittore, confermarono quanto aveva detto Traiano e costrinsero l’imperatore a riflettere sulla verità della loro protesta». Ibid. 33
13. CAPPADOCIA - S. Basilio, circa nell’anno 372, dice: «Le persone religiose sono costrette al silenzio, ma ogni lingua blasfema viene lasciata sciolta. Le cose sacre vengono profanate e i membri del laicato che sono solidi e sani nella fede, evitano i luoghi di culto come scuole d’empietà, e levano le mani in solitudine, con gemiti e lacrime, verso il Signore del cielo». Ep. 92. Quattro anni dopo scrive: «Le cose sono arrivate a questo punto: la gente ha lasciato le sue case di preghiera, e si raccoglie nei deserti: visione pietosa; donne e bambini, vecchi e uomini altrimenti infermi, miserabilmente vivendo all’aria aperta, tra piogge copiose e bufere di neve e venti e geli dell’inverno, e di nuovo in estate sotto un sole bruciante. A ciò si assoggettano perché non vogliono aver nulla in comune col malvagio lievito ariano». Ep. 242. Ancora: «Soltanto un crimine è ora vigorosamente punito, un’osservanza diligente delle tradizioni della nostra fede. Per questo motivo i più sono trascinati via dai loro paesi, e deportati nei deserti. La gente è in lamento, in un ininterrotto strazio in casa e fuori. C’è un lamento nella città, un lamento nel paese, nelle strade, nei deserti. Gioia e letizia spirituale non esistono più; le nostre feste si sono mutate in lutto; le nostre case di preghiera sono serrate, i nostri altari privati del culto spirituale». Ep. 243.
20. L’ESERCITO - «Terenzio, un generale che si era distinto per la sua pietà e il suo coraggio, al ritorno dall’Armenia ebbe gli onori del trionfo e Valente gli promise di accontentare qualsiasi suo desiderio. Ma egli non chiese né oro né argento e neppure beni e cariche pubbliche, bensì la costruzione di una chiesa da donare ai predicatori della dottrina apostolica. Theod. Hist. IV. 32
«Valente mandò Traiano, allora generale, a combattere i barbari. Traiano fu sconfitto e al suo ritorno a Roma ebbe i rimproveri dell’imperatore che lo accusò di indecisione e di debolezza. Ma Traiano rispose con molto coraggio: ‘Non sono io, o imperatore ad essere sconfitto perché tu, combattendo contro Dio, hai spinto i barbari sotto la sua protezione. Non sai quanta gente hai sottratto alla chiesa e in quali braccia l’hai gettata?’. Gli altri due comandanti, Arinteo e Vittore, confermarono quanto aveva detto Traiano e costrinsero l’imperatore a riflettere sulla verità della loro protesta». Ibid. 33
22. 382 d.C. - S. Gregorio scrive: «Se devo dire la verità, mi sento disposto a evitare ogni convegno di vescovi; poiché non ho mai visto un sinodo condotto a un esito felice, e che rimediasse, e non piuttosto aggravasse, i mali esistenti. Infatti la rivalità e l’ambizione sono più forti della ragione - non mi si ritenga stravagante se parlo così - e un mediatore è più probabile che incorra lui stesso in qualche imputazione piuttosto che eliminare le imputazioni scagliate contro altri». Ep. 129. [Si deve tener presente che un passo come questo va riferito, come qui si è fatto, all’infelice tempo di cui si parla. Nulla di più si può da esso arguire se non che la Ecclesia docens non in ogni circostanza è l’attivo strumento della Chiesa infallibile].
P.S.: Per capire la questione, storicamente, aggiungo quanto scrive, qualche pagina prima, Newman per inquadrare la questione trattata.
Dice Newman: «Non intendo affatto negare che la maggior parte dei vescovi fosse ortodossa nelle sue intime credenze, così come non nego che ci furono molti tra il clero che si schierarono con i fedeli e operarono come loro punto di riferimento e di guida. Tanto meno intendo negare che i laici furono iniziati alla fede dal clero e dai Vescovi e, ancora, non nego che una larga parte dei laici fosse ignorante e un’altra parte fosse stata corrotta da predicatori ariani i quali occupavano sedi episcopali e ordinavano preti ereticali. Sostengo tuttavia che in quel tempo di grande confusione teologica il dogma della divinità di Nostro Signore fu proclamato, difeso e preservato, umanamente parlando, anche con maggior forza dalla Ecclesia docta che non dalla Ecclesia docens; che il corpo episcopale non fu all’altezza della sua missione, mentre il corpo dei fedeli rimase fedele al proprio battesimo; che almeno una volta il Papa e altre volte le Sedi patriarcali, metropolitane ed altre di rilevante importanza, come i concili generali, dissero ciò che non avrebbero dovuto e fecero cose che oscurarono e compromisero la verità rivelata, mentre dall’altra parte fu proprio il popolo di Dio che, grazie alla Divina Provvidenza, sostenne Atanasio, Ilario, Eusebio di Vercelli ed altri grandi e solitari confessori, i quali senza di esso sarebbero stati perdenti.
Nella storia dell’Arianesimo vedo, quindi, un esempio lampante della situazione della Chiesa in un momento storico nel quale per conoscere la tradizione apostolica, fu necessario far ricorso al popolo di Dio… Ciò che mi conforta e mi dà sicurezza è la fede del popolo. Per usare le parole di Ilario, penso infatti che, se il popolo di Dio non fosse stato catechizzato nell’ortodossia sin dal tempo del suo battesimo, esso non avrebbe avuto quel suo radicale rifiuto della eterodossia ariana. La sua voce è allora la voce della tradizione e il caso assume ai nostri occhi un’importanza ancora maggiore quando si pensa che: 1 ) questo avvenne nei veri primordi storici della Ecclesia docens, in quanto non si può dire che il suo insegnamento fosse davvero cominciato prima che fosse finita l’epoca dei martiri; 2) la dottrina controversa era di straordinaria importanza essendo l’arco di volta del pensiero cristiano; 3) lo stato di controversia e di confusione teologica durò per un lungo arco di circa sessanta anni; 4) si portò dietro di sé una sequela di persecuzioni e di lotte che toccarono l’esistenza, la vita fisica e i beni dei fedeli, la cui leale ostinazione ebbe un peso così decisivo.»
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.