Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli;
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”
(Gv. VIII, 31-32)
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”
(Gv. VIII, 31-32)
In questo passo del Vangelo di San Giovanni, Nostro Signore fissa un criterio importante per giungere alla vera libertà.
“La verità vi farà liberi”. A riprova che la libertà non è un’esigenza dell’uomo legata all’esercizio della sua sola volontà, ma il rapporto che c’è tra il libero arbitrio dell’uomo e la sua conoscenza della verità. Se un uomo conosce la verità, o, per meglio dire, se riconosce la verità, alla luce di essa può praticare la sua libertà. Ed in questo senso egli ha il dovere di praticarla, prima ancora che il diritto.
Oggi è concezione comune che la libertà sia solo un diritto, che l’uomo debba poter esercitare sulla base dei suoi convincimenti e dei relativi desiderii.
Si stabilisce così un rapporto diretto tra il soggetto uomo e la libertà con cui egli pensa e si comporta, a prescindere dal previo rapporto tra l’uomo stesso e la verità, o tra l’uomo stesso e la realtà; anzi, sia l’una sia l’altra vengono considerate dall’uomo alla luce delle sue convinzioni e dei suoi desiderii e quindi della sua sola volontà
Così facendo, l’uomo di oggi determina nel suo intelletto un circolo vizioso in cui si inseguono volontà e verità e realtà, e il cui sbocco è la dipendenza delle oggettive verità e realtà alla sua soggettiva personale volontà.
Ora, sia la verità, sia la realtà hanno una loro valenza oggettiva che è impossibile rinchiudere nel soggetto uomo, poiché, mentre le prime due sono ciò che sono in rapporto a tutti gli uomini, il soggetto uomo non ha una valenza oggettiva comune a tutti gli uomini: ogni uomo è un soggetto a sé, e tutti gli uomini, in quanto soggetti differenti si trovano di fronte la stessa verità e la stessa realtà.
Si comprende facilmente che non può esserci coincidenza tra il soggetto uomo, o i soggetti uomini, e le oggettive verità e realtà.
E’ per questo che è solo la verità che può rendere l’uomo libero, perché lo libera dai limiti della sua soggettività e gli permette di far propria la verità, acquisendo una connotazione oggettiva che solo tale acquisizione gli permette.
Lo stesso dicasi per la realtà. La valenza oggettiva della realtà permette alla soggettività dell’uomo di esercitare la sua volontà in maniera concreta e reale, appunto, svincolandolo dalle concezioni soggettive e permettendogli di vivere in corrispondenza con la realtà.
Questo permette all’uomo di non rimanere schiacciato dai suoi convincimenti e dalla sua volontà ad essi legata, e quindi di vivere una dimensione esistenziale che spazia oltre i suoi limiti e gli permette di utilizzare al meglio le sue facoltà intellettive per adeguarle alla realtà oggettiva.
E’ così che l’uomo trova la giusta corrispondenza tra la verità legata agli insegnamenti di Dio e la verità legata alla realtà, le quali in fondo coincidono, e si rende realmente libero.
Solo in questo modo l’uomo realizza pienamente sé stesso, poiché si pone come su un piano più alto dal quale può spaziare tra l’oggettiva realtà divina, che sta al di sopra, e l’oggettiva realtà umana, che sta al di sotto.
L’uomo, infatti, è come al centro dell’esistenza, punto mediano tra il naturale e il soprannaturale, da cui coglie sia tutte le sue valenze soprannaturali, che lo muovono al Cielo, sia tutte le sue valenze naturali, che lo caratterizzano come essere terreno.
Quando l’uomo scende da questo punto mediano e si limita a collocarsi solo sul piano terreno, si trova come cieco rispetto al cielo e accecato dal peso del gravame terreno. Non è libero, è schiavo del limite, e di conseguenza depauperato delle facoltà intellettive, che sono le sue e che sono legate alla sua valenza soprannaturale. E’come un uomo a metà, ridotto alla sua valenza pesante e privo della sua leggera valenza aerea. In queste condizioni egli non può esercitare le sue facoltà intellettive, che sono di natura aerea e non terrena.
Ecco perché si sa che per l’uomo la verità dell’esistenza è l’adeguamento del suo intelletto alla realtà, come la verità in generale è per lui l’adesione agli insegnamenti di Dio.
E’ come un circolo in cui tali insegnamenti acuiscono il suo intelletto e gli permettono di cogliere la realtà che lo circonda, facendola propria in tutto ciò che essa corrisponde a questi stessi insegnamenti e rigettandola in tutto ciò che essa non vi corrisponde.
E questo perché l’uomo non è ciò che è per compiacersi della sua natura terrena, ma, facendo leva su di essa, per raggiungere la pienezza della sua natura celeste.
Se non fosse così, l’uomo non sarebbe un essere mediano, ma un essere solo terreno e quindi solo animale.
La libertà dell’uomo, quindi è tale se essa lo libera dai limiti dell’animale per farlo spaziare nello spazio soprannaturale che gli è essenzialmente connaturale. Con questo non si disconosce la valenza naturale dell’uomo, che è necessariamente la sua, ma la si colloca al giusto posto, secondo una giusta gerarchia in cui il soprannaturale umano è il fondamento e la guida del naturale umano.
Se così non fosse si realizzerebbe un’inversione della realtà, in cui, per così dire, non sarebbe l’intelletto a comprendere la realtà umana e terrena, ma quest’ultima a comprendere il primo.
Il che è assurdo e massimamente irreale.
Ciò nonostante, sarebbe altrettanto irreale non riconoscere che l’uomo, in forza della pesantezza della sua componente terrena, è spesso portato a sopravvalutarla, a non collocarla al suo giusto posto, e di conseguenza a darle un valore che non ha e a lasciarsi irretire dalle suggestioni che da essa derivano. Egli non si rende conto, a volte – oggi spesso –, che l’attrattiva della sua valenza umana lo rende prigioniero del terreno e gli impedisce di cogliere la verità e quindi di essere veramente libero.
E’ a questo punto che si può comprendere la necessità della religione. Questa permette all’uomo di impedire che il demone della sua natura solo terrena lo distolga dalla sua natura ultraterrena e provi a trattenerlo e a ridurlo al livello animale.
La religione, come indica la parola stessa, collega, “religa”, aggancia, vincola l’uomo alla sua causa prima che è Dio; permettendogli di tenere al debito posto la sua natura terrena, di far sì che questa non prenda il sopravvento su di lui e di mantenerlo in una condizione di continua coscienza del maggior valore della sua componente ultra terrena.
In tale ottica è facilmente comprensibile che tale vincolo non può essere connesso con la parte naturale dell’uomo, cioè non può essere connesso col pensare e col sentire dell’uomo in quanto tale, ma deve essere connesso con Dio stesso, e questo significa che la religione non può scaturire dal pensare e dal sentire dell’uomo, ma deve derivare direttamente da Dio.
Questo impone che non tutte quelle che oggi si definiscono “religioni” siano idonee alla bisogna. La religione, per essere vera deve venire direttamente da Dio: l’uomo non può darsi qualcosa che non gli è proprio in quanto uomo, e quindi non può darsi il vero legame con la sua causa prima, essendo egli il risultato di questa causa e non la causa stessa.
Esiste quindi una religione che scaturisce da Dio stesso? Esiste. Ed è l’unica religione rivelata da Dio all’uomo: la religione cristiana, la religione rivelata e istituita da Cristo, che è il Figlio di Dio e Dio stesso, che Egli ha rivelato con la Sua incarnazione e che continua a mantenere per mezzo dello Spirito Santo, unico vero Dio insieme al Padre e al Figlio.
Al di fuori di questa religione possono esistere solo forme religiose intimamente vuote di ogni contenuto divino, e quindi non in grado di assolvere la funzione di collegamento, non in grado di “religare”; esse si presentano quindi come potenziali strumenti fuorvianti, come potenziali veicoli di distrazione rispetto alla causa prima, che è Dio; tali che si confondono quasi inevitabilmente con lo stesso richiamo terreno che appesantisce l’uomo e lo vincola al naturale invece che elevarlo al soprannaturale.
E dal momento che l’uomo rischia di lasciarsi irretire dalle lusinghe della sua componente naturale, dal demone della naturalità, ecco che lo stesso Dio che gli ha rivelato la religione gli offre l’aiuto per venire fuori da questo inconveniente: con la Sua Provvidenza, la quale, stimolando la collaborazione dell’intelletto e della volontà dell’uomo, gli offre il mezzo per vincere tale demone e ricacciarlo nell’abisso sub terreno in cui risiede. E questo mezzo è la grazia. La quale viene offerta gratuitamente da Dio a tutti gli uomini che mantengono una volontà rettamente orientata, una buona volontà, sulla base di quanto abbiamo indicato all’inizio: “Se rimanete fedeli alla mia parola”. Cioè se l’uomo rimane ancorato alla sua causa prima, che è Dio; se ne segue gli insegnamenti e i comandi e se riconosce che il suo vero destino ultimo, al di là della sua passeggera vita terrena, è il ricongiungersi con la sua causa prima, col suo Creatore, con Dio.
La libertà dell’uomo, quindi, è tale se viene esercitata a questo fine; perché se viene esercitata per un fine diverso non è più libertà, ma schiavitù.
Il libero arbitrio che Dio ha posto nell’animo umano deve essere esercitato in questa direzione, la direzione del bene, del giusto e della verità; se viene esercitato dall’uomo in una direzione diversa, quella del male, dell’ingiusto e dell’errore, l’uomo si preclude la possibilità di accedere al sopra umano e inevitabilmente sprofonda nel sub umano, consegnandosi nelle mani di quel demone che proprio nel sub umano risiede.
A conclusione di questa libera dissertazione, sembra opportuno fare qualche considerazione sulla realtà oggettiva che caratterizza il mondo attuale, in cui l’uomo è immerso e da cui trae tanti suggerimenti che lo portano a tenere una determinata condotta.
E’ del tutto evidente che la realtà odierna non è informata da quel principio che abbiamo ricordato all’inizio. Eppure, a parole, tale realtà sostiene di essere fondata sulla libertà; e bisogna riconoscere che tale fondamento è reale, solo che non si tratta della libertà che scaturisce dalla conoscenza della verità, bensì dalla libertà espressa la volontà dell’uomo stesso. In questo modo, l’uomo pensa di essere libero mentre invece è costretto entro i limiti dell’umano. Questa cattività che non viene riconosciuta per quella che è, essendo camuffata da libertà fino al punto da pregiudicare la stessa capacità intellettiva dell’uomo, genera tante conseguenze per la vita dell’uomo, prima fra tutte una forma di alienazione che scaturisce dal conflitto tra cattività reale e libertà declamata.
L’uomo è come avvinghiato da mille tentacoli che cercano di trascinarlo nell’abisso dell’oceano del divenire temporale e spaziale. Eppure l’uomo sente irresistibilmente il richiamo della sua parte soprannaturale che anela fortemente a venir fuori dalla finita profondità dell’oceano per potersi librare nelle indefinite profondità dell’aria, fino a raggiungere, se possibile, i cieli soprannaturali; da dove sente intimamente di provenire e a cui aspira fortemente a tornare.
Ma tutto questo non è possibile realizzarlo se l’uomo rimane immerso nella oggettiva realtà attuale. Non è possibile realizzarlo se egli continua a prescindere dalla pratica della vera religione di Dio e dalla sottomissione agli insegnamenti e ai comandamenti di Dio.
E questo non vale solo per gli uomini in generale, vale soprattutto per quegli uomini che in termini meramente formali dicono di essersi votati al servizio di Dio. Questo fattore è basilare per comprendere lo scollamento attuale tra Dio e l’uomo moderno.
Se gli uomini che dicono di essersi votati al servizio di Dio, cioè gli uomini di Chiesa, vivono un tenore di vita identico a quello degli uomini in generale, come faranno questi ultimi a orientarsi? Da che parte devono volgersi per trovare quel collegamento, quella religione che può permettere loro di condursi nelle vicinanze di Dio?
E’ questo il grande dramma dell’uomo moderno, un dramma nel dramma, perché egli lo vive come allo stato inconscio, risentendo solo degli effetti dello scompenso esistenziale, che però non riesce a cogliere nella sua causa.
Com’è possibile che gli attuali uomini di Chiesa si siano ridotti al punto da non differenziarsi dagli uomini in generale?
La prima risposta la si può trovare nel fatto che essi provengono dall’interno della generalità degli uomini; e affetti come sono dalla stessa angoscia esistenziale degli altri uomini, sentono il bisogno di identificarsi con essi, per non sentirsi soli ed emarginati.
Si tratta di un processo che è perfettamente a conoscenza dell’entità preternaturale che cerca di affondare l’uomo negli abissi, e che egli usa strumentalmente per impedire che ci sia nel mondo un elemento in grado di contrastare il suo lavoro. In questo modo egli deve necessariamente irretire per primi gli uomini di Chiesa, sperando che la loro potenziale resistenza si trasformi in inconscia acquiescenza.
E così è stato, ed è.
Non staremo a ricordare qui tutte le tappe di questo lavoro di sovversione messo in essere da quello che la Chiesa, sulla scorta degli insegnamenti di Gesù, ha sempre indicato come il Diavolo. Queste tappe hanno occupato un tempo molto lungo, in termini umani: si sono attuate fin dall’inizio della vita dell’uomo, ma hanno assunto un crescendo accelerato solo negli ultimi cinque secoli; con gli ultimi due secoli così impregnati da questa sovversione da renderla quasi inavvertita agli occhi degli uomini sempre più miopi e più incapaci di usare accortamente l’intelletto.
Nel XVI secolo incominciarono a diffondersi nel mondo cristiano delle false filosofie dette umaniste e rinascimentali; e non a caso, poiché il primo termine indicò delle concezioni che ponevano l’uomo al centro dell’esistenza, come entità autonoma ed autosufficiente; il secondo termine indicò delle concezioni che, sulla base delle prime, suggerivano che fosse possibile “rinascere” a nuove consapevolezze, abbandonando la guida degli insegnamenti di Dio, considerata come fattore di oscuramento del pensare e del sentire dell’uomo.
Fu in tale contesto di sovvertimento dell’ordine naturale delle cose che il Diavolo suscitò, nel XVII secolo, uno strumento volto a scardinare l’unità della Chiesa e della Cristianità: il monaco apostata Martino Lutero; il quale sistematizzò le precedenti false ideologie ed elaborò l’idea che fosse l’uomo a dover interpretare gli insegnamenti di Dio, e non la Chiesa assistita dalla sapienza dello Spirito Santo.
Tali presupposti, innescarono un processo in cui gli uomini, giunti a credere di potersi affrancare da quella che considerarono l’ipoteca negativa della Chiesa, si diedero ad elaborare dei nuovi principii in grado di reggere la vita delle società. Tali principii vennero etichettati come “lumi”, che avrebbero permesso agli uomini di vedere quello che fino allora la Chiesa avrebbe tenuto loro nascosto. E inevitabilmente il primo di questi principii fu la libertà dell’uomo vista come indipendente da ogni riferimento di ordine superiore e, quindi, giustificata dal suo essere un prodotto dell’uomo per l’uomo. Tale concezione della libertà costringe l’uomo entro una prigione, in cui si muove continuamente in circolo con questa sua libertà di intendere e di volere, e gli impedisce di uscire dalla prigione stessa per respirare l’aria pura informata dalle influenze del Cielo.
Ciò nonostante, anche questa volta il Diavolo trovò modo di attivare un altro strumento che doveva spingere più avanti la sovversione e colpire la Chiesa e la Cristianità già divise da Lutero: la Massoneria, composta da uomini che si nutrivano della presunzione della libertà e pretendevano di imporla all’interno della Chiesa per trasformarla in una struttura solamente umana sganciata da ogni reale rapporto con Dio.
Per far questo, la Massoneria doveva prima mutare tutta la struttura della società, trasformandola da gerarchica in antigerarchica e facendo sì che il principio portante di tale nuova società non fosse la volontà di Dio, ma la volontà dell’uomo.
Tale sovvertimento era troppo pesante perché potesse essere attuato senza incontrare resistenza nelle popolazioni che fino allora avevano vissuto con gli occhi rivolti al Cielo, per così dire.
Si inaugurò così, a partire dal XVIII secolo, il più sanguinoso periodo della storia dell’umanità: la Rivoluzione venne attuata con la forza e si affermò attraverso l’uccisione di milioni di persone. Inevitabilmente si passò da una guerra all’altra e questa volta si inaugurò una sorta di guerra totale, in cui non veniva risparmiato nessuno, coinvolgendo perfino le famiglie nelle loro case. E il processo divenne inarrestabile, fino al punto che continua ancora oggi, con la giustificazione che bisogna portare e affermare la libertà nel mondo intero.
Da notare che questo processo di esaltazione della libertà fine a sé stessa, si servì anche un altro termine “magico”, l’“uguaglianza”, che supponeva contraddittoriamente che tutti gli uomini fossero uguali, nonostante l’evidenza della realtà che mostra come non esiste sulla terra un essere uguale ad un altro essere. Perfino la semplice logica avrebbe dovuto suggerire l’impossibilità che l’“uno” potesse essere uguale all’“altro”.
Due impossibilità, quindi, divennero “principii” del nuovo mondo nato dalla Rivoluzione, comportando, non solo il compiacimento del Diavolo, che vedeva trionfare i suoi inganni e le sue menzogne, ma anche l’instaurarsi di una gigantesca confusione.
In quegli anni, la Chiesa fu l’unica a reagire in maniera decisa e circostanziata, com’era logico che fosse, dato che essa è illuminata dalla luce della verità di Cristo e assistita dallo Spirito Santo.
Dopo aver condannato, nel XVI secolo, l’opera sovvertitrice di Lutero e le idee e gli organismi da essa scaturiti, nel XVII secolo la Chiesa condannò l’altrettanto lavoro di sovversione che la Massoneria attua per mezzo di organismi diffusi in tutto il modo, i quali veicolano ogni idea sovventrice della verità e della realtà.
Giunti al XVIII secolo, dopo aver bollato a fuoco tutti i movimenti rivoluzionari e le loro idee perniciose e sovversive, i Papi pronunciarono una serie di denunce e di condanne degli errori moderni. Ma l’azione si fece più incisiva nel corso del XIX secolo, specialmente quando Pio IX fece pubblicare l’elenco di tutti gli errori moderni, il Sillabo, e ritenne opportuno convocare un apposito Concilio.
Apertosi nel 1869, il concilio Vaticano I aveva lo scopo di anatemizzare gli errori diffusisi in tutto il mondo cristiano, che sembravano inarrestabili; ma un governo che a parole si diceva cristiano, provvide ad occupare militarmente Roma obbedendo alle direttive che arrivavano da tutto il mondo della sovversione e in particolare dalla Massoneria. Non si doveva permettere che la Chiesa si pronunciasse ufficialmente e infallibilmente contro le idee e le azioni sovversive. E così avvenne. Il Concilio venne interrotto e aggiornato sine die, senza che fosse riuscito ad anatemizzare gli errori moderni.
Iniziarono così lunghi anni durante i quali tali errori ebbero modo di affermarsi sempre più in seno alle società civili e di penetrare all’interno della stessa Chiesa. Il primo prodotto di tali errori furono le due Guerre Mondiali, che vennero accompagnate dalla corruzione di molti chierici, che spinsero perché la Chiesa mutasse da strumento di Dio in strumento degli uomini. Per far questo bisognava che la Chiesa non contrastasse più il mondo, ma lo accompagnasse, come se non fosse scontato che accompagnare il mondo poteva significare solo seguirlo e quindi condividerne gli errori.
Fino agli anni Sessanta la Chiesa respinse tutti i tentativi condotti da quei chierici e condannò loro e le loro idee: si trattò della lotta al modernismo condotta da San Pio X a Pio XII. Ma l’avvelenamento delle menti e dei cuori produsse comunque i suoi effetti e un gran numero di chierici finirono col trovarsi pronti a riversare il veleno in seno a tutta la Chiesa, soprattutto chierici che in qualche modo erano arrivati a rivestire l’abito episcopale.
I tempi erano maturi per realizzare il sogno della Massoneria, che nel frattempo si era fatta forte dell’adesione di diversi vescovi o della loro acquiescenza. Alla morte di Pio XII, il Conclave elevò al Papato uno di questi vescovi, il quale si organizzò subito per indire un nuovo concilio, con la scusa formale che occorreva completare il lavoro interrotto dal Vaticano I.
In effetti, la Curia romana provvide a preparare degli schemi di discussione che erano informati da questo intendimento, ma all’atto pratico i vescovi riuniti in concilio dovettero fare i conti con quei loro confratelli che erano convinti che fosse giunto il tempo di realizzare l’auspicata mutazione. Il Papa che aveva indetto il concilio, Giovanni XXIII, sapeva benissimo come sarebbero andate le cose ed essendo favorevole alla mutazione diede man forte ai vescovi mutazionisti. Tutti pensavano che ci sarebbe voluto poco tempo per concludere il concilio, ma la stessa manovra dei vescovi mutazionisti, che chiesero ed ottennero il completo cambiamento degli schemi predisposti dalla Curia romana, innescò un processo reattivo: c’erano ancora vescovi che non intendevano trasformare la Chiesa in un’appendice del mondo. Piuttosto che un percorso semplice, il concilio mutazionista visse un percorso accidentato, le cose andarono per le lunghe e Giovanni XXIII morì.
I cardinali si riunirono in Conclave e, dopo diverse vicissitudini, elessero al Papato, con soli tre voti in più del quorum, il cardinale Montini, noto per le sue simpatie progressiste e mutazioniste.
Il destino del concilio, denominato Vaticano II, era segnato. Iniziato nell’ottobre 1962, il concilio si chiuse nel dicembre 1965 con il rilascio di una serie di documenti che realizzarono una profonda mutazione dottrinale e pastorale nella Chiesa.
Provvidenzialmente, il concilio non licenziò alcun documento formalmente dottrinale, né fissò canoni definitori. Giovanni XXIII aveva espressamente voluto che il concilio non lo facesse, definendo il Vaticano II come concilio solo “pastorale”. Questo permetteva che non si definissero dottrine che, in questo caso, sarebbero state in contraddizione con l’intera dottrina che la Chiesa aveva definito ed insegnato fino allora; tali dottrine sovversive però informarono sottilmente, ma decisamente, i documenti “pastorali”, com’era logico che fosse, perché non si dà pastorale senza un’implicita dottrina.
Tenuto conto che i nuovi principii che reggevano il mondo erano gli stessi che aveva esaltato la Rivoluzione: la libertà, l’uguaglianza e la fraternità; e tenuto conto che la conseguenza principale delle due Guerre Mondiali era stata la costituzione di un organismo sovranazionale di stampo massonico: la Società delle Nazioni, divenuta poi l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il concilio Vaticano II licenziò tre documenti chiave: la Dignitatis humanae, che introduceva nella Chiesa il moderno principio della libertà; la Nostra Aetate, che introduceva nella Chiesa il moderno principio dell’uguaglianza; e la Unitatis redintegratio, che introduceva nella Chiesa il moderno principio della fraternità. Tutti fondati ideologicamente sulla Gaudium et spes, che sanciva ufficialmente la dipendenza della Chiesa dal mondo.
Nessuno di questi documenti ebbe una connotazione dogmatica: chiamati “dichiarazione” o “decreto”, poggiavano su una “costituzione” detta “pastorale”; a significare che avevano lo scopo di tracciare il modus operandi della Chiesa, senza intaccare la sua dottrina. Questa nuova terminologia, che sembrava risolvere un problema, in realtà permetteva di fare in modo che la costante dottrina della Chiesa venisse messa da parte per far posto alle dottrine del mondo. Così, la prima, mentre veniva ribadita come intangibile, venne posta in un angolo quasi come un reperto archeologico; le seconde, mai esplicitamente nominate, venivano date per scontate e così applicate quasi inavvertitamente ad ogni ambito dell’azione “pastorale” della Chiesa.
Questo espediente dell’intreccio tra dottrine latenti e azione pastorale, permise di far penetrare nella Chiesa i principii che informavano il mondo, senza che si potesse esplicitamente parlare di contraddizione dottrinale. L’espediente pratico usato fu quello della formulazione equivoca dei testi, così da lasciare lo spazio aperto in due opposte direzioni: verso la dottrina costante, che poteva essere strumentalmente richiamata in presenza di ogni osservazione critica; e verso l’evoluzione progressiva, che permetteva di attuare “pastoralmente” in tempi successivi tutte le mutazioni che l’evoluzione del mondo avrebbe richiesto.
Per intanto, il Vaticano II licenziò due documenti che accantonavano la costituzione gerarchica della Chiesa, per far posto alla pratica della democrazia, intesa come governo del popolo; e questo avvenne in modo palese sia attraverso la mutazione della liturgia, che invertì la sua polarità teocentrica in omocentrica; sia attraverso il governo collegiale dei vescovi, che implicava il ridimensionamento del papato che da istituto monarchico divenne istituto presidenziale.
Non a caso questi due documenti vennero detti “costituzione”.
Tenuto conto che i nuovi principii che reggevano il mondo erano gli stessi che aveva esaltato la Rivoluzione: la libertà, l’uguaglianza e la fraternità; e tenuto conto che la conseguenza principale delle due Guerre Mondiali era stata la costituzione di un organismo sovranazionale di stampo massonico: la Società delle Nazioni, divenuta poi l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il concilio Vaticano II licenziò tre documenti chiave: la Dignitatis humanae, che introduceva nella Chiesa il moderno principio della libertà; la Nostra Aetate, che introduceva nella Chiesa il moderno principio dell’uguaglianza; e la Unitatis redintegratio, che introduceva nella Chiesa il moderno principio della fraternità. Tutti fondati ideologicamente sulla Gaudium et spes, che sanciva ufficialmente la dipendenza della Chiesa dal mondo.
Nessuno di questi documenti ebbe una connotazione dogmatica: chiamati “dichiarazione” o “decreto”, poggiavano su una “costituzione” detta “pastorale”; a significare che avevano lo scopo di tracciare il modus operandi della Chiesa, senza intaccare la sua dottrina. Questa nuova terminologia, che sembrava risolvere un problema, in realtà permetteva di fare in modo che la costante dottrina della Chiesa venisse messa da parte per far posto alle dottrine del mondo. Così, la prima, mentre veniva ribadita come intangibile, venne posta in un angolo quasi come un reperto archeologico; le seconde, mai esplicitamente nominate, venivano date per scontate e così applicate quasi inavvertitamente ad ogni ambito dell’azione “pastorale” della Chiesa.
Questo espediente dell’intreccio tra dottrine latenti e azione pastorale, permise di far penetrare nella Chiesa i principii che informavano il mondo, senza che si potesse esplicitamente parlare di contraddizione dottrinale. L’espediente pratico usato fu quello della formulazione equivoca dei testi, così da lasciare lo spazio aperto in due opposte direzioni: verso la dottrina costante, che poteva essere strumentalmente richiamata in presenza di ogni osservazione critica; e verso l’evoluzione progressiva, che permetteva di attuare “pastoralmente” in tempi successivi tutte le mutazioni che l’evoluzione del mondo avrebbe richiesto.
Per intanto, il Vaticano II licenziò due documenti che accantonavano la costituzione gerarchica della Chiesa, per far posto alla pratica della democrazia, intesa come governo del popolo; e questo avvenne in modo palese sia attraverso la mutazione della liturgia, che invertì la sua polarità teocentrica in omocentrica; sia attraverso il governo collegiale dei vescovi, che implicava il ridimensionamento del papato che da istituto monarchico divenne istituto presidenziale.
Non a caso questi due documenti vennero detti “costituzione”.
La costituzione Sacrosanctum concilium attuò le mutazioni liturgiche. In essa la parola chiave fu la “actuosa participatio”, la partecipazione attiva dei fedeli, i quali, invece di partecipare alla celebrazione dei Sacri Misteri compiuta dal solo sacerdote in persona Christi, dovevano partecipare alla celebrazione stessa, come se fossero ministri del culto, al punto che la funzione sacerdotale del ministro operante in persona Christi, divenne funzione “presidenziale”: guida all’azione liturgica compiuta dai fedeli stessi. La connotazione sacrale del rito liturgico, lasciò il posto ad una connotazione profanizzante, con la quale il fine del rito non era più la manifestazione del sacro: la presenza reale di Cristo sull’altare, ma l’affermazione del profano: l’acclamazione dei fedeli che auspicava l’intervento ideale di Cristo. Invertita così la polarità, il rito cattolico si trasformava da azione rituale di Cristo stesso, in azione cultuale dei fedeli. Cristo si rendeva idealmente presente per l’azione cultuale dei fedeli, e non più realmente presente per l’azione rituale di Cristo stesso realizzata attraverso lo strumento del sacerdote.
La costituzione Lumen gentium attuò la mutazione dell’esercizio della giurisdizione. Mentre prima questa veniva esercitata in maniera monarchica, dal Papa nei confronti dei vescovi e dai vescovi nei confronti dei fedeli chierici e laici delle loro rispettive diocesi; adesso, alla funzione del Papa si affianca quella dei vescovi che “collegialmente” costituiscono un “potere” pari a quello del Papa. Si tratta di due “poteri” che non si contrastano, ma si integrano, lasciando al Papa una sorta di funzione di mero primus inter pares.
Tuttavia, questa nuova concezione dell’esercizio del potere non poteva mancare di essere trasferita anche a livello locale, così che anche il potere monarchico dei vescovi all’interno delle loro diocesi venne ridimensionato, attraverso due organismi di stampo democratico: le Conferenze Episcopali, in alto, e i collegi episcopali in basso.
Le prime condizionano il vescovo dall’alto e dall’esterno, impartendo direttive unificanti, e i secondi condizionano il vescovo dal basso e dall’interno, introducendo nel governo della diocesi le interferenze dei fedeli chierici e laici.
Così facendo, la Chiesa diventa una repubblica, in termini gestionali e in termini concettuali. Ma una repubblica non conosce l’istituto del capo, ma solo l’istituto del delegato, al punto che la Chiesa perdendo di vista il riferimento terreno dell’autorità, papa e vescovo, finisce col dimenticare il riferimento ultraterreno dell’autorità, che è Cristo stesso.
E’ l’inevitabile conseguenza di una Chiesa che possiamo definire “decapitata”, dove alla perdita della testa terrena corrisponde l’abbandono del Capo celeste. E questo, pur non essendo un processo voluto, di fatto è ciò che costituisce la realtà di una Chiesa mutata da Cristocentrica a omocentrica.
Mutata così da organismo terreno che, originato dal Cielo, conduce le anime al Cielo, in organismo terreno che trattiene le anime in terra, la Chiesa si confonde tra gli svariati organismi originati dall’uomo ed entra in competizione con essi. Una competizione impari, poiché la Chiesa vive la contraddizione di dover guardare in alto con gli occhi rivolti in basso e questa sorta di strabismo la pone in condizione di subalternità rispetto agli organismi umani che guardano diritto, sia pure solo in direzione della terra.
Questo implica una serie di conseguenze che, a cinquantacinque anni dal Vaticano II, sono osservabili con relativa semplicità, sempre che si abbiano occhi per guardare e intelletto per discernere.
Ma prima di passare a queste conseguenze è opportuno fare un piccolo riepilogo che servirà anche da premessa.
Il concetto moderno di libertà, introdotto nella Chiesa, ha portato al riconoscimento della assoluta e autonoma libertà dell’uomo; al punto che, secondo la nuova concezione per niente cattolica, l’uomo avrebbe il diritto di praticare qualsivoglia religione, di cambiarla quando gli pare e di vedersi riconosciuto tale diritto; la Chiesa mutata glielo riconosce.
Il concetto moderno di uguaglianza, introdotto nella Chiesa, ha portato al riconoscimento della pari dignità di tutte le religioni, comprese quelle che non sono tali, ma che vengono praticate da tanti uomini come lo fossero: come l’ateismo. In tutte, la Chiesa mutata riconosce la presenza di elementi di santificazione.
Il concetto moderno di fraternità, introdotto nella Chiesa, ha portato al riconoscimento della possibilità che tutti gli uomini, liberi e uguali, possano vivere come fratelli, e alla conseguente necessità che debbano farlo, mettendo da parte le differenze ed esaltando le affinità, che come tali possono essere solo di natura meramente materiale.
Le conseguenze di queste nuove concezioni, trasferite all’interno della Chiesa con tutta la loro perniciosità, sono diverse, ma tra tutte due sono le più dirompenti: la perdita della Fede in molti fedeli che nella Chiesa mutata non riconoscono un luogo diverso dal mondo ordinario e in grado di condurli al Cielo; e la condiscendenza della Chiesa mutata a sottomettersi all’istanza massonica della creazione di una religione umana mondiale che soppianta tutte le false religioni e la stessa unica vera religione di Dio.
Provvidenzialmente, a fronte di queste due conseguenze, lo Spirito Santo suscita un certo numero di fedeli che intendono mantenere viva la vera Fede e non intendono omologarsi all’immersione della Chiesa cattolica nel calderone massonico della religione mondiale. E questo nonostante sia impossibile per loro vivere fuori dal mondo; così che sono costretti a subire la triste realtà che li circonda e devono fare grandi sforzi per resistere alla marea deviante. Lo Spirito Santo li assiste donando loro la fortezza necessaria per rimanere fermi come rocce in mezzo ai flutti devastanti di un mondo in rovina con la Chiesa deviata a rimorchio. E questi fedeli rimangono in continuo contatto con lo Spirito Santo attraverso la preghiera perseverante che permette loro di ottenere anche l’aiuto della Santissima Vergine Maria Madre di Dio per la recita e la meditazione quotidiana del Santo Rosario.
In questo mondo votato alla perdizione, sono loro le uniche persone davvero libere, perché rimanendo fedeli alla parola di Dio si confermano veri discepoli di Cristo, conoscono la verità e la verità li rende liberi.
Articolo di Giovanni Servodio
Bisogna fare molta attenzione quando si parla di uguaglianza o di libertà,poiché qualcuno,ovvero i membri di una qualche particolare tribù o di altra entità potrebbero strumentalizzare questi discorsi,al fine di giustificare le già esistenti e paradossalmente "massoniche" disparità economiche e di classe,ricattando chi i credenti,che hanno tutto il diritto di poterlo esserlo,qualora lo volessero. Il "ricatto" è in realtà sempre finalizzato a giiustificare lo "status quo". Se tu "sei credente",allora "non devi studiare",poiché sei contro l'uguaglianza. Io invece penso che sia la casta,che approfitta di determinati discorsi,per mantenere consolidato il proprio potere,per giustificare le già esistenti e troppe disparità economiche e sociali,nascondendosi dietro il cosiddetto "antiamericanismo" e per negare,così,i veri e fondamentali diritti,tra cui il diritto agli studi universitari,che io considero,all'opposto,valore non negoziabile,linea rossa invalicabile.Molti di coloro che approfittano di questi discorsi sono in realtà gli stessi appartenenti alla massoneria,e quindi,alla casta e alla borghesia ricca e corrotta,atea o più o meno credente,l'armata brancaleone degli evasori fiscali iscritti all'albo dei liberi professionisti di qualsiasi tipo. Dal commerciante all'imprenditore,dall'avvocato al medico.Usurpatori,sfruttatori e distruttori dello Stato,parassiti della casta,di destra o di sinistra. D'altra parte,sono gli stessi che frequentano e ascoltano Bergoglio,e che,comunque,nè della Religione né della Chiesa hanno interesse,ma ne sfruttano,quando serve,la struttura,come quando si tratta di mandare i propri figli o nipoti presso le università private. D'altra parte,hanno una vita atea,del tutto opposta ai valori della religione. Quindi nessuno ha il diritto di ricattare,facedno leva sui discorsi sull'uguaglianza per imporre al meno abbiente di sottostare alle caste o di abiurare a quelli che sono i propri diritti fondamentalì o alla propria religione. Io penso inoltre,che alla mancanza di questi diritti,corrisponda la mancanza dello Stato sovrano stesso. Quindi la sovranità ed il populismo,quello vero,verterebbe più su questi princìpi,che non sullo giustificare e coprire le caste. D'altra parte,oggi si vogliono distruggere gli studi umanistici,cosa che farebbe rivoltare nella tomba il fascista Gentile,al fine di imporre il pre-dominio della tecnologia sul pensiero dell'uomo. Si vorrebbero negare i diritti fondamentali,anche solo col pensiero,per fare da scudo alle esigenze del mercato e degli evasori,delle industrie delle automobili e delle banche. Alla distruzione degli studi umanistici o addirittura alla "abolizione del Liceo Classico" escogitata dalla Boldrini tempo fa,corrisponde la creazione di un nuovo elitismo e l'imposizione di una nuova impostura classista,nonché le prospettive di negazione degli studi universitari da parte della destra(atea!),a cui non interessa costruire uno Stato buono,ma distruggerne il senso,e laddove la sinistra e la destra fanno lo stesso gioco. Noi non vogliamo di sicuro ritornare ad una situazione,come quella che riguarda l'Istruzione o la Sanità,ad una situazione addirittra precedente il fascismo e post-unitaria.
RispondiElimina