Alfonso Botti, professore di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, commenta le tesi di Galli della Loggia su religiosità e ruolo politico del Pontefice argentino
Sul Corriere della Sera del 9 maggio scorso Ernesto Galli della Loggia ha scritto “che non appena oltrepassa l’ambito delle cerimonie e dei riti, il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso”. La sostanza del suo discorso pubblico pur in sintonia con il messaggio evangelico, sarebbe povera “di specificità ‘forti’ di tipo religioso”, onde per cui il suo pontificato segnerebbe “una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale”. Per dimostrare quanto enunciato ricorre a due argomenti. Il primo è che invece di rivolgersi a tutti gli uomini di buona volontà, il Papa si rivolgerebbe a “una parte soltanto della società, quella meno favorita”. La seconda frattura (scomposta, verrebbe da osservare) riguarderebbe il “sostanziale abbandono della dottrina sociale della Chiesa”, dell’“universalismo umanistico così centrale nelle principali risoluzioni conciliari”, la “marcata noncuranza nei confronti della vicenda culturale dell’Occidente”. A ciò si aggiungerebbe l’ostilità verso il capitalismo e gli Stati Uniti, la simpatia per l’autoorganizzazione popolare dal basso, l’avversione per gli aspetti formali e istituzionali, la condivisione delle aspettative dei gruppi marginali e infine l’auspicio di soluzioni egualitarie sul piano economico prospettate nella formula del «reddito universale». Nulla di più prossimo a quanto annunciato nella Buona novella, ma che a Galli della Loggia fa storcere il naso.
A suo giudizio, infatti, il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei tenderebbero a evaporare, come proverebbe la mancanza di esortazioni alla necessità del pentimento, della conversione “a scoprire il senso cristiano della vita e della morte, ovvero la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione”. Svuotato dei contenuti religiosi il discorso di papa Francesco finirebbere per essere ideologico, “di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico”.
Così operando la Chiesa di Bergoglio troverebbe grande difficoltà a influire politicamente nella presente situazione. Difficoltà dimostrate dal mancato sostegno ai paesi del Sud Europa di tradizione cattolica nello scontro nell’ambito dell’Unione Europea con quelli del Nord sulla situazione creata dalla pandemia del Covid 19, e dalla mancanza di prese di posizioni sulla questione dei diritti umani e della libertà religiosa in Cina e Russia.
Fin qui l’articolo, che se da una parte è abbastanza scontato nel far notare la discontinuità dell’attuale pontificato rispetto ai precedenti, dall’altro presenta un’architettura argomentativa molto debole nel descrivere e valutare il nuovo orientamento. Lasciando da parte la visione confessionale sottesa nel richiamo alle tradizioni cattoliche dei paesi dell’Europa del Sud, che lascia intendere che il Papa dovrebbe difenderli contro quelli prevalentemente protestanti del Nord, ne riprendo due aspetti.
Per quanto riguarda il primo, l’impressione è che Galli della Loggia abbia un’idea molto catechistica anni cinquanta e devozionale dell’“elemento costitutivo” del cristianesimo, che certo continua ad essere presente nella Chiesa, ma che non può essere presentata come unica e soprattutto come normativa. Da questo punto di vista, osservare che il Papa è poco religioso, non è da prendere come sparata irriverente, purché ci si renda conto che il richiamo di Galli della Loggia non è all’“elemento costitutivo” del cristianesimo, ma alla sua interpretazione di ciò che dovrebbe essere, interpretazione che nell’attuale dibattito ecclesiale si sta oggi confrontando con altre concezioni teologiche ed ecclesiologiche. Se tanti pontificati dalla metà dell’Ottocento hanno avuto come sottotesto culturale Joseph De Maistre e poi Jacques Maritain, per la verità mai del tutto superati, non si capisce perché sia da considerare poco religioso un Papa che s’ispira a Karl Rahner. Cosa c’è di più religioso, nel senso del richiamo alla trascendenza, dell’enciclica programmatica Evangelii gaudium e di più politico rispetto ai drammatici problemi dell’ambiente e del mutamento climatico della Laudato si’? Con lo stesso criterio non solo papa Francesco ma anche il santo omonimo sarebbe poco “religioso”. E come chiedere pentimento e conversione da un pulpito che rappresenta un’istituzione che ha solo contraddittoriamente iniziato il processo di pentimento (con Giovanni Paolo II) e non ancora quello della conversione?
Il secondo aspetto è quello che l’articolo evade e che propio per questo sorprende, se possibile, più del primo, essendo l’autore uno storico, cioè persona abituata, per i protocolli dell’uffizio, a collocare le figure nel tempo e nello spazio. Papa Bergoglio si è trovato al timone della Chiesa dopo anni di non governo dell’Istituzione romana, abbandonata nelle mani di una curia vorace dagli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, causa malattia, e non governata dal suo successore per manifesta inadeguatezza al compito, testimoniata dalle sue dimissioni, dopo 16 anni di irruzioni nella politica italiana della Conferenza Episcopale Italiana presieduta dal cardinale Camillo Ruini e, come se non bastasse, mentre con le denunce di tantissimi casi deflagrava lo scandalo della pedofilia, il più grande nella storia della Chiesa dai tempi della simonia. Per quanto concerne lo spazio, la provenienza di Bergoglio dall’Argentina, non poteva non riequilibrare l’asse di una Chiesa storicamente eurocentrica, quando mai come oggi il vecchio continente, trova giustificazione demografica dell’aggettivo, mentre nell’America latina colpita dalla repressione curiale della teologia della liberazione imperversano sette e chiesuole sedicenti evangeliche. Così evangeliche da sostenere personaggi come Bolsonaro. Tutto questo in una fase nella quale il Papa è oggetto di una sistematica campagna denigratoria da parte dei settori ecclesiastici più conservatori. Qualcosa di simile, non si vedeva in Italia dai tempi di Pio IX. Con la sola differenza che mentre allora, almeno dopo il 1849, furono i liberali a schierarsi contro papa Mastai Ferretti, sono adesso le destre a farlo, da quella perbenista e benpensante a quella dichiaratamente fascista, passando per quella sguaiatamente sovranista dal rosario in mano.
Tra Otto e Novecento, quando la Chiesa cattolica fu percorsa dal movimento riformatore modernista, la cultura idealista italiana ne applaudì con entusiasmo la condanna da parte di Pio X nell’enciclica Pascendi (1907). Mentre erano in gestazione le intese clerico-moderate, infatti, il cattolicesimo andava bene così com’era, e cioè come fattore di stabilità degli equilibri sociali esistenti. Viene da chiedersi se oltre un secolo dopo Galli della Loggia non sia un epigono, non dico di quella linea, ma di quell’atteggiamento. Non foss’altro per il contributo che (inconsapevolmente?) ha fornito all’offensiva integralista contro papa Francesco.
* Professore di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia
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