Parrocchie e Covid: un’estate di incertezza. E la discriminazione è dietro l’angolo
Cari amici di Duc in altum, mi ha scritto di nuovo il Giovane prete, che voi ben conoscete e che questa volta punta l’attenzione su una questione importante per le parrocchie e per tante famiglie: come organizzare le attività estive per bambini e ragazzi in presenza dei rigidi regolamenti imposti dalle amministrazioni comunali? Il Giovane prete è parroco nel Nord, ma il problema riguarda tutta Italia.
A.M.V.
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Caro Aldo Maria, questa volta ti scrivo per cercare di dare “visibilità” a un tema molto importante per la libertà della Chiesa e per le famiglie nel nostro Paese. Sto parlando dei grest (gruppi ricreativi estivi) e dei campi estivi, da sempre un servizio fondamentale per la crescita umana e spirituale dei nostri ragazzi, nonché una splendida occasione per avvicinare alla parrocchia le persone solitamente più distanti.
Quest’estate, al tempo del Covid, sotto i nostri occhi accadrà una piccola ma significativa rivoluzione, perché la stragrande maggioranza delle nostre comunità non potrà organizzare alcuna attività, date le condizioni richieste dalle autorità civili.
Ti faccio una foto di come dovrebbe essere concretamente un grest quest’anno:
– Minor numero di bambini da accogliere (in base agli spazi disponibili, sia interni sia esterni, di ogni singola parrocchia);
– Bambini divisi in gruppi di 7, con un educatore maggiorenne.
– Il tradizionale educatore di 16-17 anni viene contato come fosse un bambino.
– Il gruppo è separato dagli altri, in modo che, se venisse fuori un contagiato, andrebbe messo in quarantena solo il gruppo e non tutti gli altri;
– Non si possono fare giochi di contatto;
– Sono stati così furbi che, mettendo il numero dispari, non si possono nemmeno fare due squadre equilibrate, perché giocherebbero 3 contro 4;
– Si annoierebbero a morte sia i bambini (e se finiscono con compagni con cui litigano sempre? E cosa gli fai fare per otto ore in quelle condizioni?), sia gli educatori, che si troverebbero a essere ridotti a fare da babysitter, privati di quelle relazioni e chiacchierate con i loro coetanei che rendono piacevole l’esperienza del grest.
Ancora più complicate sono le condizioni dal punto di vista burocratico.
Chi vuole organizzare qualcosa deve presentare al proprio comune, affinché sia approvato, un progetto nel quale si indicano gli spazi (di accoglienza, di gioco, di mensa, dei servizi igienici), il numero dei bambini e le attività che verranno svolte.
In pratica, devi presentare un prospetto in cui dici già giorno per giorno, ora per ora, quali bambini, quali educatori (e i loro sostituti in caso di malattia), quale attività sarà fatta in quel determinato spazio e il nome delle persone che disinfetteranno tutto ciò che è stato usato. Un vero delirio!
Per non parlare della quota che dovremmo chiedere alle famiglie per ogni singolo bambino: secondo le prime indicazioni sarebbe di 250 euro!
A questo poi si deve aggiungere il fatto che verrà meno anche un altro aspetto molto importante per le famiglie stesse, ossia la flessibilità con cui potevano accedere al servizio erogato dalla parrocchia, a seconda delle proprie esigenze. Infatti, spesso il bambino viene iscritto per una settimana, poi trascorre la successiva dai nonni in campagna, poi torna per altre due settimane, poi magari fa un periodo al mare con i genitori. La flessibilità insomma è sempre stata una qualità utilissima e la parrocchia la garantiva proprio perché si è sempre messa dal punto di vista dei genitori, condizione che quest’anno non potremmo far valere, data la struttura rigida che ci hanno proposto.
Insomma, se si decide di rispettare le regole, non ci sono proprio le condizioni umane e organizzative per predisporre un grest come si deve.
Veniamo ora al secondo punto, molto importante e delicato.
Com’è possibile che a oggi, 29 maggio, non sia ancora pronto un regolamento comunale definitivo ma nello stesso tempo i comuni stiano raccogliendo le iscrizioni per i loro grest sostenendo di poterli iniziare già l’8 giugno? È umanamente impossibile che questo avvenga! Eppure, sarà così. Mentre la Chiesa starà chiusa, i comuni con le loro cooperative di fiducia invece si divideranno la torta (perché, inutile nasconderlo, questa è la prospettiva “statale” con cui si guarda all’educazione dei nostri ragazzi, ben diversa da quella ecclesiale, basata invece sul volontariato e sulla gratuità, qualità necessari per vincere l’egoismo e diventare così uomini e donne capaci di amare).
Allora io mi pongo alcune domande:
1) non è che, con la scusa del Covid, si stia volutamente (per carità, usando i guanti di velluto e non ancora le manette) togliendo alla Chiesa anche questo legame con le famiglie?
2) Possibile che nessun vescovo provi ad alzare almeno la voce contro tutto questo? Addirittura, ho sentito di alcuni vescovi che se la stanno prendendo con i loro sacerdoti perché “non fanno il grest”, accusandoli di non aver voglia di impegnarsi! È proprio il colmo: oltre al danno la beffa! Troppo facile fare i forti con i deboli e gli schiavi con i forti.
Ma se nessuno parla, saranno le stesse famiglie che ci accuseranno (già sta succedendo): ma come, voi non fate niente, quando invece le cooperative sono già disponibili?
E apparentemente hanno ragione. Solo che non sanno che i comuni possono anche permettersi di non rispettare le loro stesse regole, in quanto non manderanno mai carabinieri e vigili a controllare, mentre certamente le forze dell’ordine saranno pronte a intervenire a muso duro contro tutte le altre realtà, in primis le nostre parrocchie.
Questi, caro Aldo Maria, sono i pensieri che io, come tutti i sacerdoti che ho sentito in questi giorni, sto facendo, e non ho mai registrato tanta unanimità tra i confratelli!
Per cui mi permetto di approfittare dello spazio che mi concedi su Duc in altum per alzare un grido affinché, dall’alto, le gerarchie ci ascoltino. Può sembrare una cosa da poco, ma quello a cui si attenta è un altro pezzo della libertà della Chiesa. Qualcuno apra gli occhi prima che sia troppo tardi.
Il Giovane prete
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