Cosa dice l'appello di Mgr. Viganò sul Coronavirus?
In un momento di gravissima crisi, noi Pastori della Chiesa Cattolica, in virtù del nostro mandato, riteniamo nostro sacro dovere rivolgere un Appello ai nostri Confratelli nell’Episcopato, al Clero, ai Religiosi, al Popolo santo di Dio e a tutti gli uomini di buona volontà.
Questo Appello è sottoscritto anche da intellettuali, medici, avvocati, giornalisti e professionisti che ne condividono il contenuto, ed è aperto alla sottoscrizione di quanti lo vogliono fare proprio. Così inizia l'appello di Monsognor Viganò a tutti gli uomini di buona volontà, per affrontare al meglio la difficile situazione in cui ci troviamo. LINK APPELLO: https://veritasliberabitvos.info/appe... LINK FIRMA: https://veritasliberabitvos.info/firm...
https://www.youtube.com/watch?v=Nhx9gG-286Q
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Comunione in bocca o in mano?
https://www.radioromalibera.org/comunione-in-bocca-o-in-mano/
PRETE IN CRISI: “NON VOGLIO PRENDERE GESÙ CON IL PRESERVATIVO”.
10 Maggio 2020 19 Commenti --Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’avvocato Giovanni Formicola mi ha scritto una lettera che trovo estremamente vera e interessante, nella sua descrizione della realtà politica ed ecclesiale. Per questo motivo la vogliamo condividere con voi, certi che potrà essere uno spunto di riflessione e discussione. Come potrete capire, mi ha colpito in maniera particolare lo sfogo del sacerdote amico di Formicola. Come ricorderete, Stilum Curiae si è occupato della questione a più riprese. Questo è il collegamento più recente, e anche questo. Buona lettura.
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Inutile ch’io entri nel merito e nel dettaglio del “protocollo” sulle Messe tra la CEI e il governo italiano. Ripeterei quanto detto da chi ha avuto il coraggio di pronunciarsi, nell’unico modo in cui una persona, che non si sia dato il ruolo delle tre scimmiette o del turiferario sempre e comunque (© Giuseppe Rusconi), possa dignitosamente pronunciarsi (uno fra tanti interventi), a mio avviso il migliore,
Da parte mia, mi limito a riferirvi la confidenza che mi ha fatto un bravo sacerdote, .”Sono in crisi, perché non ho nessuna intenzione di prendere Gesù con il ‘preservativo'”.
Altri si limiti pure al molliccio, melassoso, un po’ patetico nell’occorso, invito ad andare a Messa, mettendo la polvere (polvere? Macerie, piuttosto) sotto il tappeto. E’ l’ennesima manifestazione del tono ecclesiale dominante, per il quale non solo il conflitto, non solo la polemica sono da evitare, sono male, ma pure la semplice disputa. E così la più elementare e dovuta apologetica pro libertate (figuriamoci quella pro exaltatione) Ecclesiae viene accuratamente evitata. Anzi, chi ci prova “fa ideologia”, e va condannato. Lui sì, senza misericordia.
Purtroppo, però, anche i buoni cadono nell’equivoco di questo neo-giuseppinismo, promuovendo ricorsi al TAR e appelli al governo inutili e controproducenti. E così di fatto riconoscono e asseverano il primato giurisdizionalista dello stato e del governo sulla Chiesa, anche in quello ch’è suo terreno sacro ed esclusivo, cioè la celebrazione e l’organizzazione della liturgia.
Invece, a mio avviso, ogni richiesta andava e va, rivolta nel rispetto del diritto canonico ma con fermezza, ai pastori affinché esercitino le loro prerogative senza esitare, ognuno nella sua diocesi. Ma (anche in questo caso, “purtroppo”), sembra che costoro, come mi disse Giovanni Cantoni a suo tempo, in troppi casi confondano la loro vocazione con quella di don Abbondio (così la dico io, lui usò un altro termine d’origine equina).
E del resto in Messico, mal sopportando a un certo punto la Cristiada in quanto lotta armata, i pastori indussero l’esercito cristero di Liberazione Nazionale ai cosiddetti arreglos (nome nobile per una resa imposta a chi stava vincendo), sottomettendosi al diktat governativo fino al punto di presentarsi, vescovi, alle trattative con i rappresentanti della repubblica messicana in abiti civili, e senza ricavarne nulla di sostanziale.
Forse si può dire che, anche in quel caso, non era il coraggio la loro nota caratteriale dominante. E giusto per completare la narrazione (cfr. un certo librino di chi scrive), ricordo che gli “obbedienti” al clero che consegnarono le armi e tornarono nelle loro abitazioni furono quasi tutti presi casa per casa e massacrati; i “disobbedienti”, che non le consegnarono le armi e rimasero in clandestinità o ripararono all’estero (evidentemente conoscevano bene i loro polli social-massonici), scamparono la vita e furono buoni per continuare la resistenza.
E così oggi, mutatis mutandis. Totalmente proni ad un governo – da loro voluto e sostenuto quasi con entusiasmo -, che direi di estrema sinistra se non dovessi dire con maggior verità d’idioti (ma certo, come capita sempre agl’idioti [ Sal 14,1] , nemico di Dio e dell’uomo), si sono prima fatti avanti quasi a suggerirgli di chiudere le porte a Cristo; poi hanno subito senza dire né bi, né ba, questa chiusura negando Messa e sacramenti a quel che resta del popolo fedele; infine hanno concluso e festeggiato un “accordo” che fa del governo italiano – potenzialmente di ogni governo italiano – un nuovo Giuseppe II, che per le sue intromissioni regolatrici della vita della Chiesa, liturgia compresa, fu detto “re sacrestano”.
Eppure, avevano l’esempio di san Carlo al tempo della peste, come m’è sembrato utile ricordare. E tutto questo, molto probabilmente, senza effettiva ragione: la covid-19 non è neanche da lontano paragonabile alla peste di allora, e magari, quando si faranno i conti, pur essendo stata certo in alcuni luoghi una cosa terribile e temibile, non avrebbe ricevuto alcun impulso dalla partecipazione di popolo alla Messa (popolo che spesso, non essendo meno pauroso dei suoi pastori e dimentico di Mt 6,25, a Messa non ci sarebbe andato, e così a matrimoni, funerali, cresime, comunioni, etc.).
Quindi, appelli e ricorsi avrebbero dovuto e dovrebbero essere indirizzati alla Santa Sede, ma soprattutto ai vescovi, ond’evitare che pure i “buoni” (degli altri, inutile dire) s’acquietassero in un “tanto ci pensa il TAR”, “tanto è cosa del governo e di tutela della salute”, asseverati anche dai bravi laici.
Invece, sarebbe stato bene – e sarebbe bene – pungolarli, se non di più, alla maniera del popolo viterbese. Ma le realtà moderate e democristianizzanti non lo faranno mai, e essendo popolate anche da “buoni” se non “ottimi”, finiranno con il condizionare e forse corrompere la sensibilità dottrinale di quelli che pure resisterebbero.
Ricorrere al TAR o rivolgere appelli al governo è un diversivo – come il famigerato “Statuto delle convivenze omosessuali” proposto come alternativa alle UU.CC della Cirinnà, e le altre amenità del genere (580 c.p. depenalizzato di fatto) – che distrae dalla realtà.
Non si può e non si deve riconoscere a nessuna istituzione civile, politica o giurisdizionale che sia, alcun diritto, competenza e potere in materia liturgica e di organizzazione del culto. Nemmeno da parte di laici, soprattutto se agiscono in quanto cattolici. A me sembra così.
E a me sembra che non avendo alcun potere, non ci resti che perseguire e trasmettere una precisione chirurgica nei principi e nell’agire, senza cedere neanche di un millimetro per ragioni pragmatiche, che in realtà non “pragmatizzano” alcunché, ma ci rendono come quei troiani che – in perfetta buona fede – portarono il famigerato cavallo dentro le mura.
Si tratta di fare quello che fecero Benedetto e i suoi seguaci: nessun compromesso, nessun complesso. Ricominciarono dal Vangelo tutto intero, dalla liturgia e dalla buona terra, che ripresero a dissodare e coltivare. Idealmente, si tratta di scavare fondamenta, trincee, rifugi per ripararsi dall’inclemenza dei tempi (Gòmez Dàvila), per poi ricostruire, re-innalzare (quando sarà, e non sarà presto, temo, salvo qualche “divina sorpresa” [Maurras], qualche tombolazo [Alvaro d’Ors]) cattedrali e castelli, con la buona coscienza di non aver lasciato indietro alcuna verità, neanche la più piccola. Questo intendo per “Opzione Benedetto”, senza estraniarsi dalla realtà – far tutto quel ch’è giusto nei campi appropriati -, ma senza perder tempo, e soprattutto senza compromettere i principi, con attività sbagliate e pure inutili, com’è stata la proposta di un TU delle convivenze omosessuali, come sarà il ricorso al TAR.
Questo senza alcuna animosità. Ogni opera concorre al bene spirituale di chi la compia in buona fede, ma questo non è un buon motivo per non vestire mai la pelle dell’evangelico serpente, e per non offrirla a chi possa e voglia indossarla.
Viviamo tempi terribili – un altro segno il caso “Viganò-Sarah”, in sé stesso, chiunque abbia ragione -, e solo la su richiamata chirurgica precisione dottrinale e operativa potrà consentirci questa traversata del deserto senza perderci. L’unica “furbizia” che ci è consentita nel XXI secolo è dire la verità tutt’intera ovunque si possa, e non sacrificare nulla all’imperatore.
Questa – ripeto, mi pare – è la nostra buona battaglia. E nessun TAR – lo dico senza malizia – ci salverà.
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