Due anni dopo lo scandalo degli abusi di McCarrick, le domande rimangono ancora senza risposta. Eppure il Vaticano, mesi e mesi fa, aveva assicurato che il rapporto completo sul caso dell’ex card. McCarrick era di imminente pubblicazione. La fiducia che tale pubblicazione avvenga si affievolisce sempre più.
Ne parla J.D. Flynn in questo suo articolo pubblicato sul Catholic News Agency che vi presento nella mia traduzione.
Il cardinale disse di essere innocente. L’arcidiocesi di New York disse che si trattava di un’accusa singola. Le diocesi del New Jersey dissero di aver ricevuto isolate accuse di cattiva condotta con gli adulti.
Poi la diga si è rotta. È emerso che McCarrick aveva un modello di abuso e coercizione sessuale, con minori e con giovani sacerdoti e seminaristi. I cattolici americani hanno saputo della casa al mare del cardinale, delle sue mani vaganti, della sua preferenza per i seminaristi magri e non fumatori. Le sue lettere coercitive e manipolatorie sono diventate disponibili alla lettura [del pubblico], la testimonianza delle sue vittime è stata schiacciante.
Ma la storia non si è fermata a McCarrick. È emerso che erano già state fatte delle accuse sul cardinale. Che gli avvertimenti di un professore del seminario erano rimasti inascoltati. Che la Santa Sede aveva una conoscenza storica dei misfatti di McCarrick, e, qualunque cosa avesse fatto, non aveva informato i cattolici, o rimosso il cardinale dalla vita pubblica, per anni.
Alla fine, naturalmente, è stato rimosso. E il fatto che le accuse contro McCarrick fossero venute alla luce ha dimostrato che alcuni dirigenti della Chiesa, almeno, stavano lavorando per la trasparenza e per la giustizia.
Ma dopo le accuse di McCarrick, altre accuse di abuso di potere, di negligenza in carica o di propensione all’insabbiamento sono state messe sotto i riflettori: Mons. Bransfield, Mons. Salazar, Mons. Malone, Mons. Zanchetta, Mons. Nienstedt, Mons. Hoeppner, Mons. Hart, Mons. Binzer, Mons. Wuerl, Mons. Mahony.
I vescovi hanno offerto indagini, nuove norme, nuove linee telefoniche e nuovi impegni. I vescovi statunitensi si sono confrontati con Papa Francesco quando è sembrato che la Santa Sede avrebbe ostacolato i loro tentativi. Alla fine alcune delle loro proposte sono divenute norme non solo per gli Stati Uniti, ma per la Chiesa in tutto il mondo.
I vescovi hanno condotto sessioni di ascolto, hanno sopportato il peso della rabbia, hanno visto diminuire le entrate diocesane e si sono trovati sotto indagine statale e federale.
Il personale diocesano e parrocchiale hanno attuato norme, preparato i registri per gli investigatori e cercato di mantenere la calma in mezzo a mesi di notizie demoralizzanti.
I sacerdoti si sono chiesti cosa dire alla loro gente, mentre si chiedevano se potevano fidarsi dei loro vescovi, e si chiedevano cosa tutto questo potesse significare per il futuro della Chiesa.
Ma quello che molti cattolici hanno detto di volere, non l’hanno ancora ottenuto: Responsabilità. Chi sapeva cosa e quando? Chi ha partecipato a comportamenti coercitivi, abusivi o immorali? Chi l’ha permesso o facilitato? Chi l’ha ignorato? Quali saranno le conseguenze?
Le indagini diocesane a New York e nel New Jersey non sono state pubblicate. I documenti si trovano negli archivi dell’arcidiocesi di Washington, ma non sono stati pubblicati. Un rapporto a lungo promesso dalla Santa Sede non è stato pubblicato. La maggior parte dei vescovi ha semplicemente smesso di chiedere il rapporto McCarrick, almeno ad alta voce; qualsiasi zelo abbiano mostrato nei primi mesi è stato a quanto pare smorzato.
Per molti cattolici, il silenzio è diventato un vero e proprio scandalo. I ritardi sembrano, a molti osservatori, incomprensibili, indipendentemente dal fatto che il motivo sia per evitare il contenzioso, per evitare l’imbarazzo, per evitare la responsabilità.
E una lunga attesa si è trasformata, per molti laici cattolici e chierici, in una sorta di cinica rassegnazione che in realtà potrebbe arrivare ben poco, e che anche questo non arriverà presto.
Ma la perdita di fiducia nei confronti di McCarrick fa davvero parte di una tendenza più ampia.
Il contesto degli ultimi due anni della vita della Chiesa è una crescente perdita di fiducia tra gli americani in tutte le istituzioni pubbliche del Paese, compresa la Chiesa.
La fiducia nel governo, nei media, nell’accademia e nelle istituzioni religiose è in declino da anni. Gli ultimi tre mesi di vita americana dimostrano quanto sia diminuita la fiducia: agli occhi di molti americani, la credibilità del governo federale, degli esperti di sanità pubblica, della polizia e dei media sta raggiungendo i minimi storici.
Le istituzioni sono diventate piattaforme per il progresso personale e la costruzione del marchio, invece di fucine da cui si forma il carattere.
In mezzo a questo cambiamento sociale, la lealtà e le connessioni istituzionali sono diventate passé (fuori moda, ndr). Nell’era dei social media, anche con l’aspettativa di una sempre più rigida ortodossia politica, ogni persona è diventata un marchio.
La pratica di una religione non offre più agli americani un vantaggio economico, civile o sociale unico. Non c’è più molto senso per un cattolicesimo tiepido.
La Chiesa chiede ai cattolici una sorta di fiducia che è, nell’America contemporanea, controculturale. E sulla scia degli ultimi due anni, questo tipo di fiducia sembra anche controintuitiva.
Essere un cattolico fedele significa dire: “Mi affido agli insegnamenti, alla formazione, alle guide e al modo di vivere offerti dalla Chiesa, tanto da donare la mia vita ad essa”.
Essere un cattolico fedele significa dire: “Abbandono la mia volontà alla volontà di Cristo e della sua Chiesa”.
La Chiesa continuerà a chiedere questa fiducia.
Ma lo scandalo McCarrick ha reso più difficile chiederla, e più difficile dire di sì. Il terreno era già roccioso, lo scandalo McCarrick ha reso le rocce più frastagliate.
Rispondere a domande semplici probabilmente aiuterebbe, la responsabilità probabilmente aiuterebbe ancora di più. Ma queste cose potrebbero non essere imminenti, e pochi cattolici sono in grado di cambiare le cose. Coloro che potrebbero essere in grado di ottenere risposte, o chiedono dietro le quinte, o semplicemente non chiedono più.
Tuttavia, è troppo presto, due anni dopo lo scandalo McCarrick, per vedere quali potrebbero essere gli effetti a lungo termine.
C’è, però, una serie di domande a cui ogni cattolico, chierico e laico, può e deve rispondere: In mezzo allo scandalo, e alla delusione, e alla frustrazione, e alla rabbia, e quando sarà impopolare e forse anche costoso, continueremo a rivolgerci al Signore? I cattolici credono che la Chiesa possa formarli in santi, e sono disposti a essere formati? Cristo e la Sua Chiesa rimarranno la fonte della nostra speranza?
Di Sabino Paciolla
Oggi si vede apparire accanto al sindaco Rafał Trzaskowski, candidato di sinistra alle presidenziali polacche. La sua associazione Pro Humanum, che promuove l’ideologia Lgbt, ha ricevuto quasi due milioni di złoty dal comune di Varsavia. Lei è Jolanta Lange, ma di recente si è scoperto che il suo vero cognome è Gontarczyk. Si tratta di un’ex spia comunista che insieme al marito tradì la fiducia del venerabile don Franciszek Blachnicki (†1987), morto in esilio forzato in circostanze molto strane e con alle spalle una vita di persecuzioni da parte del totalitarismo nazista prima e sovietico poi. Oggi un'inchiesta cerca di far luce sulla sua morte e sull'eventuale ruolo dei Gontarczyk, gli ultimi a vederlo in vita.
In una recente foto (in basso) si vedono il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski - oggi candidato della sinistra anticlericale e libertina alla presidenza della Polonia - e Jolanta Lange dell’associazione Pro Humanum, prima della conferenza stampa sulla V Giornata della Diversità di Varsavia. L’associazione di Jolanta Lange, che promuove l’ideologia Lgbt, ha ricevuto quasi due milioni di złoty (circa mezzo milione di euro) dal comune di Varsavia.
Ma recentemente si è scoperto che il vero cognome di questa promotrice dell’“uguaglianza dei diversi” è Gontarczyk e che questa donna è stata in passato un’importante collaboratrice dei servizi di sicurezza comunisti in missione nella Germania occidentale. Insieme a suo marito, sorvegliava don Franciszek Blachnicki, un sacerdote polacco in esilio in Germania a causa della sua attività pastorale, fondatore del Movimento “Luce e Vita”. I Gontarczyk furono le ultime persone a vedere don Blachnicki prima della sua improvvisa e misteriosa morte. Le indagini circa il coinvolgimento di questa attivista del movimento Lgbt e già spia del regime comunista nella morte di Franciszek Blachnicki, proclamato venerabile dalla Chiesa, sono state riprese recentemente dall’Istituto della Memoria Nazionale.
VITTIMA DEI NAZISTI
Giovanni Paolo II ripeteva spesso di aver conosciuto due totalitarismi: nazismo e comunismo. Come lui, anche tantissimi sacerdoti polacchi nati all’inizio del XX secolo sperimentarono sulla propria pelle l’ostilità di questi totalitarismi verso la religione e la Chiesa. Tra loro c’è una figura carismatica della Chiesa polacca ai tempi del regime comunista: don Blachnicki, appunto.
Franciszek nacque a Rybnik, in Slesia, nel 1921. Quando nel settembre del 1939 le armate tedesche invasero la Polonia, scatenando la Seconda Guerra Mondiale, partecipò nella difesa del Paese, ma il 20 settembre fu fatto prigioniero. Fortunatamente riuscì a fuggire dalla prigione e iniziò l’attività clandestina. Purtroppo, il 27 aprile dell’anno successivo fu arrestato dalla Gestapo e portato nel campo di concentramento tedesco di Auschwitz, ricevendo il numero 1201. Rimase lì per 14 mesi, di cui quasi un mese nel bunker, lo stesso dove morì padre Massimiliano Kolbe.
Nel settembre del 1941 fu trasportato in Slesia, dove fu trattenuto nelle prigioni investigative. Il 30 marzo 1942 il prigioniero Blachnicki, poco più che ventenne, fu condannato a morte per la sua attività clandestina contro il Terzo Reich. Ma dopo quasi cinque mesi nel braccio della morte, fu graziato. La pena di morte fu tramutata in 10 anni di campi di prigionia (la grazia concessa a questo giovane antifascista fu l’unico caso noto in cui i nazisti non eseguirono la pena capitale). Gli anni seguenti fu imprigionato in vari campi nazisti e prigioni tedesche (Racibórz, Rawicz, Börgermoor, Zwickau e Lengenfeld) fino al 17 aprile 1945, quando fu liberato dall’esercito americano.
IL PRETE SOTTO IL COMUNISMO
Negli anni della guerra, nell’inferno delle prigioni e dei campi nazisti maturò in questo giovane la vocazione al sacerdozio. Perciò già il 6 agosto 1945, appena tornato in Polonia, entrò nel Seminario Salesiano a Cracovia: il 25 giugno 1950 fu ordinato sacerdote dal vescovo Stanisław Adamski e cominciò a lavorare nelle varie parrocchie della diocesi di Katowice. Nel 1957 organizzò un’iniziativa sociale contro la piaga dell’alcolismo chiamata “Crociata dell’astinenza”. Quasi mille preti cattolici e oltre 100.000 laici sono stati coinvolti in questa iniziativa. All’epoca le autorità tolleravano l’alcolismo perché in questo modo potevano manipolare più facilmente la popolazione, perciò la “Crociata” fu interdetta nel 1960. In risposta don Blachnicki scrisse un memoriale inviato alle autorità civili ed ecclesiali, criticando la persecuzione della Chiesa cattolica in Polonia e constatando che, impedendo la “Crociata”, lo Stato si metteva contro il bene del popolo. Come conseguenza di questa presa di posizione, nel marzo del 1961, don Franciszek fu arrestato con l’accusa di “diffondere false notizie sulla presunta persecuzione della Chiesa in Polonia”.
Trascorse oltre quattro mesi nella prigione di Katowice (per una beffarda coincidenza, la stessa prigione in cui era stato trattenuto dai tedeschi durante l’occupazione nazista della Polonia). Fu condannato a 13 mesi di carcere, sospeso per tre anni. C’è un aneddoto legato alla prigionia di don Franciszek. Nella cella il sacerdote stava con un altro uomo che gli rivelò di essere finito in prigione a causa della vodka. Allora don Blachnicki gli rispose con un sorriso: “Anch’io, figliolo, sono finito qui a causa della vodka!”.
PIONIERE DEI MOVIMENTI LAICALI
Nei difficili tempi del regime sovietico, don Blachnicki cercò nuove forme di attività pastorali, particolarmente con i giovani che erano sottoposti alla continua propaganda comunista. Nel 1954, per la prima volta, organizzò un ritiro di 15 giorni che chiamò “Oasi dei Figli di Dio”, per educare i giovani a una vita realmente cristiana. Nel 1969, all’esperienza delle Oasi si aggiunse l’idea della “Chiesa viva”. Nel 1976 l’Oasi di “Chiesa viva” diede vita al movimento cattolico “Luce e Vita” (Światło-Życie).
Fin dagli anni Sessanta l’opera di padre Blachnicki era conosciuta, apprezzata e promossa
dal cardinal Karol Wojtyła (insieme in questa foto e in alto, nel 1972, durante un ritiro organizzato dal movimento "Luce e Vita"). L’opera di don Blachnicki ebbe un ruolo importante nel preservare almeno una parte della gioventù polacca dall’influenza dell’ideologia comunista imposta dal regime alla nazione: alle attività delle Oasi parteciparono quasi due milioni di giovani che successivamente ebbero un ruolo di spicco nel sindacato libero di Solidarność. E proprio perché l’attività pastorale con i giovani rompeva il monopolio comunista dell’educazione delle nuove generazioni, don Blachnicki veniva percepito come un pericoloso nemico del sistema.
Nel 1981, dal 23 al 27 settembre, don Blachnicki assieme a don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, organizzò a Roma un convegno con i rappresentanti di 22 movimenti ecclesiali per approfondire il rapporto tra istituzione ecclesiastica e carismi. A questo primo incontro mondiale tra i movimenti e Giovanni Paolo II, grazie al successo dell’iniziativa voluta da don Blachnicki, seguiranno altri congressi nel 1998 e nel 2006. Va detto anche che le Oasi furono, per Giovanni Paolo II, lo stimolo e l’esempio per organizzare le Giornate Mondiali della Gioventù.
LA MORTE MISTERIOSA: LO ZAMPINO DEI SERVIZI COMUNISTI?
Il 13 dicembre 1981, mentre don Blachnicki si trovava a Roma, il generale Jaruzelski introdusse in Polonia lo stato di guerra. Il sacerdote non poteva perciò tornare in patria, dove lo aspettava il mandato d’arresto. Decise allora di stabilirsi nel centro polacco “Marianum” a Carlsberg, nella Germania occidentale. Qui fu quindi fondato il Centro internazionale per l’evangelizzazione “Luce e Vita”, di cui don Blachnicki era animatore. Don Franciszek fondò anche il Servizio di Liberazione delle Nazioni per i popoli dell’Europa orientale in lotta per la liberazione dai regimi comunisti. Morì improvvisamente a Carlsberg il 27 febbraio 1987 in circostanze molto strane, anche se ufficialmente la causa della morte fu un'embolia polmonare.
Solo all’inizio del terzo millennio si sono potute fare delle indagini approfondite per tentare di scoprire le cause della morte di don Blachnicki. Le indagini, condotte dall’Istituto della Memoria Nazionale negli anni 2001-2005, hanno mostrato che don Franciszek era sotto stretta sorveglianza dei servizi di sicurezza comunisti che usavano come spie i suoi più stretti collaboratori, i coniugi Jolanta e Andrzej Gontarczyk.
La coppia non soltanto spiava il sacerdote ma faceva di tutto per sabotare il suo lavoro. Per esempio, portò alla bancarotta la casa editrice “Maximilianum” fondata da don Blachnicki. Soltanto nel febbraio 1987 don Franciszek apprese dal rappresentante del sindacato “Solidarność walcząca” (Solidarietà combattente) chi veramente fossero i Gontarczyk, che lui riteneva suoi fidati collaboratori.
Il giorno della morte, 27 febbraio 1987, don Blachnicki ebbe una burrascosa conversazione con Gontarczyk, e forse morì avvelenato. Allora non si trovarono delle prove sufficienti per procedere con le indagini sull’omicidio. Tuttavia, i dubbi non sono stati mai dissipati. Recentemente, il 21 aprile 2020, la divisione investigativa dell’Istituto della Memoria Nazionale di Katowice ha deciso di riaprire l’inchiesta interrotta nel 2006 in merito alle circostanze della morte di don Blachnicki. Come ha detto il direttore dell’Istituto, Andrzej Sznajder, “nel riavviare l’indagine nell’aprile di quest'anno, i pubblici ministeri hanno deciso che era necessaria una verifica processuale dei pertinenti dati appresi recentemente che non erano noti quando è stata presa la decisione di interrompere il processo”.
Lo scopo del processo è chiaro: verificare se Jolanta Lange dell’associazione Pro Humanum - attivista “pro diversità” e “pro Lgbt”, fino al 2008 Jolanta Gontarczyk - fu “soltanto” una pericolosa spia del regime comunista ai danni di don Blachnicki, o se ebbe anche qualche ruolo nella sua morte.
VENERABILE
Di don Franciszek Blachnicki è già avviata la causa per la beatificazione. Il 30 settembre 2015, papa Francesco, ricevendo il cardinale Angelo Amato, allora prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha autorizzato la Congregazione a promulgare, tra l’altro, il decreto riguardante le virtù eroiche del servo di Dio Francesco Blachnicki, che è così divenuto venerabile. Per poter beatificare il fondatore di Luce e Vita, ci vuole il riconoscimento di un miracolo per sua intercessione.
Wlodzimierz Redzioch
https://lanuovabq.it/it/leader-lgbt-era-la-spia-comunista-che-tradi-il-prete-amico-di-wojtyla
RIVELAZIONI SU BOSTOCK
Licenziato perché spendeva troppo, non perché gay
Sarà pure una sentenza storica, ma si basa su una menzogna e, soprattutto, non parifica le persone Lgbt alle altre, ma le pone iniquamente sopra tutte. Il giudice che ha diposto il licenziamento di Bostock dichiara che l'assistente sociale ha speso centinaia di dollari in ricevimenti e iniziative infruttuose. Non è stato licenziato perché gay. Eppure...
Sarà pure una sentenza storica, ma si basa su una menzogna e, soprattutto, non parifica le persone Lgbt alle altre, ponendole iniquamente sopra tutte. Stiamo parlando del verdetto Bostock v. Clayton County, Altitude Express v. Zarda, R.G. & G.R. Harris Funeral Homes v. EEOC con il quale la Corte Suprema degli Stati Uniti, come la Bussola ha già raccontato, ha stabilito è illegittimo licenziare un dipendente a motivo del suo “orientamento sessuale” o “identità di genere”. In realtà, a pochi giorni dal verdetto, sono emersi aspetti che ne ridimensionano molto il fondamento.
Sì, perché il primo dei tre casi dei quali si è occupata la Corte - Bostock v. Clayton County pare proprio essere andato assai diversamente da come presentato, con Gerald Bostock, un assistente sociale della Georgia, licenziato nel 2013 dopo che si era iscritto ad un campionato gay di softball. Questo, almeno, hanno riportato i grandi media. In realtà, però, i fatti si sono svolti in modo ben diverso. A rivelarlo è uno che quella vicenda la conosce bene, ossia Steven Teske, giudice della Corte minorile della Contea di Clayton.
Chi è Teske? Semplice: è colui che licenziò Bostock, il suo ex datore di lavoro in pratica. Ebbene, il giornalista Bill Torpy, per conto del The Atlanta Journal-Constitution, ha pensato bene di mettersi in contato con proprio Teske per farsi raccontare del licenziamento Bostock. Così, con sua stessa sorpresa, Torpy ha scoperto una versione dei fatti radicalmente differente. Tanto per cominciare perché Teske, diversamente da come ci si potrebbe aspettare, oggi non è affatto dispiaciuto di come sono andate a finire le cose sul versante giudiziario. Tutt’altro.
«Sono contento che la Corte Suprema abbia preso quella decisione», ha infatti dichiarato, «come avvocato e giudice ritengo che gay e lesbiche non debbano in alcun modo essere discriminati». Considerazioni un po’ singolari, si converrà, per chi avrebbe licenziato Gerald Bostock a causa della sua omosessualità. Già, peccato che gli episodi che hanno portato al quel licenziamento fossero altri.
A dirlo al giornalista che lo ha contattato è sempre lui, Teske, il quale ha spiegato come il lavoro di Bostock – le cui tendenze erano note da principio - fosse quello di reclutare e formare i volontari che sarebbero poi stati incaricati di seguire i bambini affidatari, per depositare infine i loro report in tribunale. Per questo reclutamento, l’uomo poi licenziato ha speso centinaia di dollari in ricevimenti e iniziative infruttuose che hanno portato al suo allontanamento, appunto, per incapacità di adempiere ai suoi doveri professionali. Ma Bostock ha dato tutta un’altra versione.
Una versione che però non stai in piedi. Il The Atlanta Journal-Constitution ha difatti rintracciato anche Paul, l’ex partner di Bostock, il quale ha confermato di essere stato presentato al giudice Teske, che ha incontrato più volte, proprio come compagno dell’uomo poi licenziato, la cui omosessualità non poteva quindi costituire un mistero per nessuno. Nessun licenziamento discriminatorio, dunque, con però solo la versione di Bostock presa per buona senza accurate verifiche delle circostanze riportate nella sua denuncia.
Ora, perché tutti questi retroscena sono rilevanti? Per un motivo semplice: perché gettano il verdetto della Corte Suprema sotto una luce completamente diversa. Infatti, soprattutto per come si è conclusa, la vicenda di Gerald Bostock non insegna che è sbagliato licenziare un lavoratore in quanto gay, bensì che è sbagliato licenziare un lavoratore gay anche se è incapace di lavorare: trattasi di un discorso ben diverso. In altre parole, la Corte non ha messo l’identità Lgbt sul piano di quella eterosessuale in ambito professionale: l’ha resa più la tutelata in assoluto.
Perché solamente chi è o si definisce gay, lesbica o trans, da domani, potrà impugnare un licenziamento dichiarandolo basato su presunte discriminazioni, vedendo alla fine anche riconosciute le proprie ragioni. Tutti gli altri licenziati per motivi fondati, invece, dovranno metterci una pietra sopra e cercarsi un altro impiego, non potendo contare su alcun «santo in tribunale» né su una legislazione eterofila. E tanti saluti al principio di uguaglianza, questa sconosciuta.
Giuliano Guzzo
https://lanuovabq.it/it/licenziato-perche-spendeva-troppo-non-perche-gay
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