ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 16 giugno 2020

Le ginocchia al posto della testa

I nuovi talebani e la nuova tolleranza


Era il marzo 2001, allorquando il mondo rimase annichilito di fronte alle immagini della distruzione, a colpi di dinamite, da parte dei Talebani afghani, delle statue del Buddha di Bamiyan, due manufatti monumentali di 55 e 33 metri, scolpite nella pietra a 230 chilometri da Kabul. Grande, doveroso scandalo ed emozioni dispensate su tutti i media: un pezzo di memoria civile oltre che religiosa e artistica polverizzato in un attimo.

Quelle che andavano in frantumi non erano “solo” due immagini di Buddha, risalenti al III e V Secolo, o – in altri contesti – le sale del Museo di Mosul devastate, nel 2015, a colpi di mazza dai militanti dell’ISIS, le distruzioni, con gli esplosivi, della città carovaniera di Palmira, i luoghi di culto cristiano distrutti e profanati dai fondamentalisti islamici, in Siria ed Iraq, tra il 2013 ed il 2016. Quello che accadeva in Medio Oriente era, insieme a una lunga scia di vittime civili e militari, una mostruosità culturale. Dall’altra parte, per chi compì quelle azioni, le giustificazioni non mancavano: non solo la proibizione religiosa delle immagini e la condanna dell’idolatria, quanto anche la cancellazione del passato preislamico e la presenza di altri credi religiosi, salvati dall’oblio grazie alle campagne di scavo degli odiati archeologi occidentali.
Lo stesso principio – a ben guardare – viene ora riproposto, con le stesse aberranti modalità, nei confronti delle statue-simbolo che l’onda delle proteste per la morte dell’afroamericano George Floyd vorrebbe abbattere. La lista è lunga. E non ci sono solo il Generale Lee e i simboli confederati, a partire da Jefferson Davis, democratico del Mississipi, primo e unico presidente degli Stati “ribelli” del Sud dal 1861 al 1865. A Boston è toccato a Cristoforo Colombo, la cui statua è stata decapitata e verrà rimossa dall’attuale collocazione nel quartiere italoamericano. La speaker della Camera Nancy Pelosi ha chiesto la rimozione di tutte le statue dei confederati che si trovano nella sede del Congresso americano. Il tema sta evidentemente a cuore alla Pelosi che, qualche anno fa, aveva già lanciato la crociata contro i monumenti che ricordano alcuni eroi sudisti della Guerra Civile.
A Londra, a Parlament Square, è stata vandalizzata la statua di Winston Churchil, accusato di razzismo, al punto da costringere le autorità a ingabbiare il monumento in una sorta di sarcofago di legno. Perfino la statua di Robert Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo, ha dovuto capitolare, sotto le accuse di presunta omofobia e simpatie naziste. A nulla è valsa l’improvvisata resistenza di un gruppo di pensionati determinati a opporsi alla rimozione della statua dal molo di Poole, nei cui pressi si è tenuto nel 1907 il primo campo scout del mondo. Il monumento di Baden-Powell è stato rimosso e temporaneamente collocato in un deposito per evitare la distruzione. A Milano la statua di Indro Montanelli è stata imbrattata e ha rischiato lo sfratto, perché durante la guerra d’Etiopia l’Indro nazionale aveva convissuto con una dodicenne abissina. Per fortuna (o buonsenso) il sindaco di Milano, Beppe Sala, si è subito affrettato a dire che la statua resta dov’è.
L’elenco potrebbe continuare, tanto è lungo e spalmato su tutto l’orbe terracqueo. Pochi si salvano dall’occhiuto (e occulto) talebanismo occidentale. Ma se a Mosul e dintorni la giustificazione, per quanto non condivisibile, aveva basi religiose e aspettative ultraterrene, qui, nelle strade di un Occidente, “aperto” alla tolleranza più sfrenata, la Verità iconoclasta non ha fondamento, tanto appare “dissociata” rispetto a storie e memorie diffuse, che sono patrimonio dell’Umanità. Le ragioni sono altre e ben più sottili. E la lotta al razzismo c’entra poco. In ballo c’è il tentativo di stravolgere la Storia dell’Occidente, di farla a pezzi, di colpevolizzare quanti di quella Storia sono i figli.
Bisogna toglier la memoria dal capo della gente. Per sua colpa il male cresce” – scriveva, durante gli Anni Venti, Gor’kij, il padre del realismo socialista. Prima di lui ci avevano pensato i giacobini, nel 1793, distruggendo le tombe dei re francesi ed i monumenti che li effigiavano, con la giustificazione che erano “simboli di una storia da abolire”. Sono note le profanazioni durante la Guerra civile spagnola e le fucilazioni “rituali” delle immagini sacre e delle reliquie, oltre che quelle “reali” di migliaia di sacerdoti e suore.
Oggi come ieri, in gioco c’è una partita che va al di là delle singole realtà e dei contesti locali. Pensare di fare a pezzi le storie complesse dei diversi Paesi occidentali, sulla base di un moralismo becero ed incolto, significa “toglier la memoria dal capo della gente” (quello che per i talebani era la cancellazione del passato preislamico e la presenza di altri credi religiosi). A perdersi sono le ragioni profonde della Storia, che va compresa nella sua complessità, ma non può essere “abbattuta”, foriuscendo da essa, magari per smarrirsi in un limbo d’incertezze e strumentalizzazioni senza fine.
Mario Bozzi Sentieri
Giugno 16, 2020

Discorso breve al popolo dei genuflessi


Parlo per me. Sono stato fermato dalle forze dell’ordine almeno due dozzine di volte per controlli e, in giovinezza, per ubriachezza o per schiamazzi notturni. Non mi è mai stato torto un capello. Non sono mai stato malmenato o condotto in questura, né in caserma. Ho sempre risposto con sincerità alle domande, mai mancando di rispetto e ho sempre fornito documenti validi che potessero accertare la mia vera identità. Nessun poliziotto mi ha mai trovato in possesso di droghe, perché non ne ho mai fatto uso, né trasportato, né ho frequentato persone che avrebbero potuto averne con sé. Sono stato fortunato? Può darsi, lo concedo. Mi sia concesso però che la strafottenza di chi pensa a.c.a.b. (All cops are bastards, cioè “tutti i poliziotti sono bastardi”) sia un peso sull’altro piatto della bilancia.
Si vede che sono un bambino fortunato in un Paese nel quale persino parlamentari si inginocchiano in commemorazione del tal signor George Floyd, cittadino straniero, vittima dell’aggressione sconsiderata di un poliziotto straniero, e non fatico a crederlo, visto che nel mio Paese molta gente crede che la polizia si aggiri losca per picchiare a morte ignari geometri intenti nell’uso del teodolite.
Questo popolo di genuflessi, non al cospetto di Dio, dinanzi al quale non si inginocchia più nessuno a partire dal sedicente papa, ma genuflessi di fronte all’ideologia del momento, di fronte al primo pifferaio che suoni l’ultima dolce melodia capace di riempire il vuoto di pensiero, questi genuflessi preferiscono acriticamente pensare ciò gli viene fornito già pensato, come diceva Guareschi. D’altra parte cambia il contenitore, ma il pensato cambia di poco, in certi casi non cambia affatto. Preferiscono credere che la società americana, strumentalizzata per sineddoche per la civiltà occidentale, sia sistematicamente razzista, sessista, ottusa e bigotta.
Al netto delle negligenze e degli abusi delle forze dell’ordine, per i quali esistono dei tribunali che funzionano benissimo, non abbiamo mai visto una folla di ragazzi italiani, ma nemmeno un gruppetto di parlamentari, inginocchiarsi in memoria di uno qualsiasi dei poliziotti o carabinieri uccisi da malviventi. Nessun cartello di protesta. Ma l’aspetto più ridicolo è che non lo hanno fatto nemmeno per un qualsiasi malvivente italiano. Ora invece tanto chiasso per questo mr. Floyd che nessuno conosceva prima. Non è la polizia che deve essere riformata, ma i media.
Poco importa fornire alcuni dati: solo il 13% della popolazione degli Stati Uniti è di colore. Il 37% degli arresti per crimini violenti riguarda neri; il 54% dei furti e il 53% degli omicidi riguarda i neri. Le percentuali restanti assommano tutte le altre etnie. Di più: la polizia USA lo scorso anno ha sparato a 1042 persone – evidentemente con cognizione di causa –, di cui solo 9 erano neri disarmati, mentre invece, la stessa polizia, che a detta dell’opinione pubblica agirebbe per odio razziale, ha ucciso 19 bianchi disarmati.
Ora, che la maggior parte degli omicidi in un Paese siano commessi da assassini di colore non giustifica anche solo un omicidio commesso da un bianco, non in quanto bianco o nero, ma in quanto omicidio. Allo stesso modo, la morte, colposa o preterintenzionale, di un indiziato di colore non dovrebbe indurre un essere dotato di testa pensante a inginocchiarsi per protesta o per richiedere di non si capisce cosa, e tanto meno giustifica l’imbrattamento e la distruzione della memoria storica di una nazione, siano Lee, Augusto o Montanelli.
Il popolo che usa le ginocchia al posto della testa spieghi la correlazione fra mr. Floyd di Minneapolis e l’italiano Cristoforo Colombo o il virginiano Thomas J. P. Jackson. In verità sono scuse. Pretesti ideologici atti a propalare stereotipi e pregiudizi nella testa dei giovani al fine di dissacrare, inquinare, corrompere la bellezza dura della patria, la verità dei fatti e della storia, la memoria degli avi, il patrimonio di orgoglio della civiltà occidentale, la dignità del lavoro e della fatica con cui i nostri antenati hanno costruito la nostra identità, compreso quel maledetto benessere grazie a quale questi sfaccendati ignoranti possono sprecare le proprie vite in droghe, murales, graffiti trogloditici, discorsi idioti, sporcizia mentale e genitale, non ultimo con queste baracconate da circo freak.
BLM, è un acronimo che non significa, come credeva il sottoscritto, bacon lives matter, ma black lives matter, sta a indicare che non tutte le vite contano, ma alcune contano di più. Oramai un nero non è solo una persona, come un bianco o un giallo per strada in città: per costoro la vita di un nero vale di più. Se un poliziotto sbaglia e spara a un bianco, pazienza, ma se spara a un nero deve mostrare un faldone così di certezze indiscutibili, altrimenti sarà sbattuto in prima pagina e condannato senza processo.
Non ci si lasci ingannare, questa barbarica accozzaglia non rivendica l’habeas corpus, questo show non è la richiesta di parità di trattamento per gli indiziati, è la pretesa arrogante e totalitaria della fine incondizionata della civiltà occidentale: il grido suicida di una generazione perversa e senza valori, che non pensa, non ragiona, non ama e che invoca il patibolo peri pochi che ancora pensano, ragionano, amano e hanno un progetto di vita positivo, poggiato sulla solidità reale dei valori identitari e religiosi, e non un confuso vuoto esistenziale poggiato nichilisticamente su di un’idiota e angosciosa disperazione.
Matteo Donadoni
Giugno 16, 2020

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