ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 2 luglio 2020

Tradidit quod non accepit

Cattolici in piazza, conta la verità da difendere

Per opporsi al Ddl Zan serve coraggio, come per le manifestazioni Restiamo Liberi. Il cattolico che oggi vuole scendere in piazza contro le leggi disumane che si vanno proponendo deve sapere che lo fa contro la Chiesa ufficiale. Il problema è che la Chiesa non educa più alla verità e sta cambiando la sua teologia morale. La morale che fa scendere in piazza è quella prima di Amoris laetitia.



Quando si tratta di scendere in piazza per i cattolici cominciano i problemi. Il coraggio qualcuno ce l’ha, come nel caso delle prossime manifestazioni Restiamo Liberi di sabato 11 luglio in molte città italiane. Però i tanti incidenti di percorso, i tentativi di dissuasione, i boicottaggi dietro le quinte, il mancato appoggio dell’episcopato in generale e i silenzi di tanti vescovi in particolare, mostrano che oggi i cattolici scendono in piazza a proprio rischio e pericolo e con notevoli difficoltà anche se il motivo, ossia l’opposizione popolare al pericolosissimo disegno di legge Zan contro la cosiddetta omofobia, è più che giustificato. Perché oggi è così difficile per i cattolici scendere in piazza?  

Il cattolico che oggi vuole scendere in piazza contro l’una o l’altra delle leggi disumane che si vanno proponendo deve sapere che lo fa contro la Chiesa ufficiale. Questo è un primo dato di consapevolezza richiesto dalla situazione. Ed è anche un dato che spiega le difficoltà improbe per organizzare una presenza di popolo nella pubblica piazza. Molti fedeli non se la sentono di mettersi di traverso alla linea pastorale della Chiesa, dei vescovi italiani, del loro vescovo diocesano... Raccogliere le truppe è diventata un’impresa. Le associazioni laicali che gravitano direttamente o indirettamente all’ombra della CEI non partecipano o boicottano. I movimenti si tengono fuori. Fino a che qualche prelato non contatta il politico tale o talaltro che promette un rinvio della legge in questione e il fronte residuo si divide.

Oggi aderisce ad una mobilitazione di piazza solo il cattolico o l’associazione che ha preso questa decisione: quando si tratta di principi non negoziabili per la fede e la retta ragione io agisco non solo senza l’avallo del clero ma anche contro la linea ufficiale ecclesiastica, anche a costo di evidenziare quindi l’esistenza di una spaccatura nella Chiesa. A scendere in piazza oggi serve coraggio cattolico.

Poi, il nostro popolo cattolico non sa niente di queste cose. Della programmata mobilitazione dell’11 luglio la massa cattolica non è informata. Avvenire intervista Zan, il primo firmatario della legge, che si dice aperto a contributi diversi, poi intervista Lupi, che stempera il problema come aveva fatto ai tempi della Cirinnà, i settimanali diocesani non ne parlano o pubblicano qualche intervento ecclesialmente corretto di Agensir, l’agenzia di stampa della CEI. Le parrocchie tacciono, nessun incontro informativo serale sull’argomento, nemmeno una parola dall’ambone durante le omelie, nelle bacheche delle chiese nessuna locandina di Restiamo Liberi. La Chiesa non educa più, si limita a dire che Dio ci ama, che Dio ci ama, che Dio ci ama. Certo, c’è una controinformazione cattolica di qualità e in via di crescita che - grazie a Dio - tiene vivo l’argomento, ma è appunto una controinformazione e, come tutte le controinformazioni, non è di regime e quindi non è nemmeno di maggioranza. Scendere in piazza quindi si scontra con una contraria informazione istituzionale della Chiesa.

La Chiesa sta rapidamente cambiando la sua teologia morale. Oggi esistono tre morali cattoliche: quella prima di Amoris laetitia, quella di Amoris laetitia, quella dopo Amoris laetitia. La morale cattolica che fa scendere in piazza è quella prima di Amoris laetitia, le altre due non sono più in grado di farlo, anzi considerano un errore morale e pastorale farlo (ma morale e pastorale per la nuova teologia morale sono la stessa cosa). Ciò che un tempo era considerato un obbligo, ora viene considerato un peccato. La Chiesa - si dice - non parla alle piazze, ma alle coscienze; non insegna delle norme astratte da applicare ma forma delle coscienze capaci di valutare liberamente una situazione; non insegna dall’alto della sua presunzione il bene e il male ma lo scopre insieme a tutti gli altri nel dialogo; non esistono leggi da rifiutare, ma solo leggi da esaminare ed eventualmente da migliorare; il bene non precede le leggi, ma le attraversa dall’interno; il cristianesimo è una continua interpretazione da dentro la storia e così via. A partire da queste convinzioni non si riempiono piazze. Per farlo occorrerebbe la convinzione che c’è una verità da annunciare e difendere anche nella pubblica piazza, verità che solo la Chiesa può annunciare e difendere, e che se non lo fa lei non lo farà mai nessun altro.

Non credo che al momento ci siano altre strade da battere: tutti coloro - laici e associazioni - che sono disposti alla scelta che ho indicato sopra devono collegarsi tra loro, moltiplicare l’informazione al popolo cattolico fuori dei canali istituzionali, aumentare, anziché ridurre, le presenze in piazza e creare cultura cattolica vera. Assumendosi anche il rischio di essere accusati di spaccare e tenendo presente che molti cattolici, compresi sacerdoti e vescovi, che oggi per timore tacciono, nel loro segreto appoggiano questi gesti e dal cuore, anche se non dalla piazza, applaudono, in attesa di poterlo tornare a fare anche in piazza.

Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/cattolici-in-piazza-conta-la-verita-da-difendere

TRADIMENTO IN CASA
"Avvenire" si schiera a favore del liberticida Ddl Zan

In un intervento a firma di Luciano Moia, il quotidiano dei vescovi si è messo a tifare per la nuova legge cara al mondo Lgbt, definendo l'ideologia gender educativa. Sembra impossibile, considerato l’odio anticristiano del mondo arcobaleno. Invece, mentre si cerca di mettere il bavaglio alla Chiesa affinché smetta di annunciare la Verità contenuta nel Vangelo, in casa cattolica si consuma il tradimento.



Neppure il tempo di prender compiuta visione del testo unificato del ddl Zan contro l’omofobia, reso noto nel tardo pomeriggio di martedì, che già c’è chi nel mondo cattolico ha abbandonato ogni cautela correndo ad applaudire un’iniziativa legislativa che sarebbe eufemistico definire liberticida. Il riferimento è al quotidiano della Cei, Avvenire, che ieri, in un intervento a firma di Luciano Moia, si è messo a tifare in modo neppure troppo velato per la nuova legge cara al mondo Lgbt. Vediamo come.

Nell’illustrare il testo unificato, l’editorialista, chiarito come esso contenga profili di novità che ne ampliano la portata («Non è più solo una proposta di legge contro l’omofobia, ma una norma che punta a reprimere tutti gli atti di violenza e discriminazione») si è reso autore di due considerazioni distinte ancorché strettamente concatenate, una più sconcertante dell’altra.

Nella prima, con riferimento alla «Giornata nazionale contro l’omofobia» e alla «strategia nazionale contro la violenza di genere» - tutte cose che avrebbero un diretto sostegno anche economico, se il ddl Zan passasse -, Moia ha spiegato come esse siano «tutte iniziative ad alto tasso di rischio ideologico che sarebbe però sbagliato bollare subito come propaganda lgbt a senso unico». Una frase che da un lato declassa la matematica certezza circa la natura ideologica delle iniziative arcobaleno a mero «rischio», per quanto elevato, e, dall’altro, invita ad abbassare i toni dato che sarebbe «sbagliato bollare subito come propaganda lgbt».

D’accordo, ma perché mai sarebbe «sbagliato bollare come propaganda lgbt» iniziative come la Giornata contro l’omofobia o pianificazioni contro la violenza di genere che, all'atto pratico, si traducono nell’indottrinamento gender nelle scuole? L’editorialista di Avvenire non ha offerto una minima spiegazione al riguardo. Il che è già inqualificabile, considerato l’odio anticristiano di cui l’estremismo lgbt ha già dato ampia e sistematica prova in ogni singola occasione. Ma il peggio deve ancora venire. Già, perché – per venire alla seconda considerazione sconcertante - Moia ha aggiunto pure che suddette iniziative «con una gestione equilibrata e senza estremismi potrebbero rivelarsi anche ottime occasioni educative».

Qui il lettore che fosse colto da uno svenimento o dalla pia speranza di essersi confuso e di esser in realtà alle prese con la lettura di un opuscolo arcobaleno, ecco, sarebbe più che giustificato. Peccato che sia tutto vero. A poche ore dalla presentazione del testo unificato contro l’omofobia, una norma che se approvata – come ben illustrato da La Nuova Bussola Quotidiana – infliggerebbe un colpo mortale alla libertà di espressione gettando le basi per un totalitarismo lgbt, Avvenire, tramite una delle sue firme di punta, non solo chiede di abbassare i toni, ma afferma che sarebbe «sbagliato bollare come propaganda lgbt» eventi e situazioni che «potrebbero rivelarsi anche ottime occasioni educative».

E tutto questo perché? Perché ieri, si legge sempre in questo surreale articolo, «nella relazione introduttiva Zan ha escluso» ogni deriva liberticida. In parole povere, siccome il promotore di una normativa carica di insidie, che prevede la rieducazione mediante lavoro gratuito presso le associazioni Lgbt per gli «omofobi» - e che stanzia milioni di euro per finanziare la propaganda Lgbt nelle scuole e nelle amministrazioni pubbliche (artt. 5, 7 e 9) – dice che va tutto bene, allora per il quotidiano dei vescovi va tutto bene. Una banalizzazione? Magari lo fosse: l’editoriale di Moia, giornalista non nuovo a uscite discutibili sul piano bioetico, è lì. Basta leggerlo.

A questo punto le cose sono quindi due: o Avvenire corre tempestivamente ai ripari, spiegando che quell’articolo non riflette in alcun modo la sua linea editoriale, oppure la conclusione obbligata è una constatazione amarissima. Quella di un mondo cattolico italiano i cui massimi vertici non solo non intendono combattere per fermare il ddl Zan, ma sostanzialmente vanno già a braccetto con quest’ultimo. Neppure una resa, dunque, ma un vero e proprio tradimento. Disonore.

Uno scenario da incubo che, francamente, speriamo possa essere smentito al più presto. Ma anche così non fosse, resterebbe intatto lo sconfortante enigma di interventi giornalistici che dovrebbero dettare una linea e invece seminano confusione; o, semplicemente, dettano sì una linea. Ma non quella della libertà di pensiero né, tanto meno, quella cattolica.

Giuliano Guzzo
https://lanuovabq.it/it/avvenire-si-schiera-a-favore-del-liberticida-ddl-zan

Il Ddl omofobia, la Chiesa italiana e quelle sue “voci stonate”.Luciano Moia, giornalista di Avvenire

Luciano Moia, giornalista di Avvenire
di Sabino Paciolla
Con il deposito del Ddl Zan sulla Omotransfobia è certo che un vulnus rischia di essere introdotto nella nostra democrazia, che la porterebbe ad un lento, inesorabile, scivolamento verso la dittatura. Un fatto grave, anzi, gravissimo. 
Un Ddl “unificato”, quello di Zan, in quanto sostituisce le precedenti 5 proposte. E poiché recepisce il peggio dei 5 precedenti Ddl, è esso stesso il peggio del peggio.
Il Ddl Zan stabilisce, senza però specificare, il reato di omotransfobia legandolo a quattro categorie: sesso, genere, identità di genere e orientamento sessuale. Tenta cioè di colpire un sentimento, quello di un presunto odio, senza però collegarlo ad una specifica condotta concreta e materiale come potrebbe essere quella di uccidere, ferire, insultare, diffamare, rubare, ecc., avvilendo così, anzi macchiando, tutta una civiltà giuridica di tutela della persona, che ci ha accompagnati fino ad ora. Una tale procedura non può che lasciare alla magistratura amplissimi margini di interpretazione, con il rischio di colpire la libera espressione del pensiero che è sancita dall’articolo 21 della nostra Costituzione.
In particolare, si parla di un fantomatico reato di odio che nascerebbe dalla lesione della dignità nascosta dentro la nebulosa della identità di genere, che è declinata, come dicono i diretti interessati, in una sessantina di varietà/definizione diverse. Un guazzabuglio di definizioni in cui si fa fatica solo a nominarle, senza parlare poi di cosa significhino: Agender, Androgino, Bigender, Cisgender, Genere non conforme, Genderqueer, Intersessuale, Non binario, Pangender, Transgender, Two-Spirit, ecc. ecc. La questione, come si vede, è così complicata che una persona rischierebbe di essere incriminata per il reato di omofobia per il solo fatto di guardare con tono tra il frastornato, l’incredulo e lo stupito una espressione concreta delle suddette identità.
Come è noto, di leggi che sanzionano comportamenti criminosi ve sono ed in abbondanza. Per altro, dati alla mano, non esiste una emergenza omofobica in Italia. Dunque non ci sarebbe necessità di introdurre una nuova, specifica legge, men che meno una che coinvolgesse gli articoli 604 bis e ter del codice penale. E’ per questo che la stessa CEI, il 10 giugno scorso, riferendosi ai 5 ddl in discussione alla Commissione Giustizia della Camera, aveva emesso un preoccupato comunicato in cui paventava il rischio di “derive liberticide”.
E verso una deriva liberticida sicuramente ci stiamo avviando vista la versione definitiva del ddl unificato che è stata depositata, il quale prevede pene altissime, fino a sei anni di carcere, per uno scritto, per un articolo su giornale o su un blog o, addirittura, per un semplice commento scritto su Facebook che venga qualificato come omofobico. 
Quindi ci si aspetterebbe una levata di scudi soprattutto dagli ambienti e dai media cattolici che in teoria sarebbero, per via della concezione antropologica che discende dalla fede cristiana, i primi ad essere sotto tiro. E invece, stranamente, assistiamo ad una placida tranquillità, o ad un malcelato dispiacere legato al fatto che gli autori della legge si siano spinti un “tantino” in là nella scrittura della legge, tradendo un eccesso di ambizione. Si fossero fermati un pochino prima, ed il risultato sarebbe stato ottimale.
Prendete ad esempio il commento di Luciano Moia su Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, scritto ieri a commento del deposito del Ddl. 
Egli, dopo aver detto che “Non vengono superate le definizioni di ‘identità di genere’ e di ‘orientamento sessuale’ con tutto il loro pesante carico di problematicità.”, scrive queste strabilianti parole: 
Tutte iniziative ad alto tasso di rischio ideologico che sarebbe però sbagliato bollare subito come propaganda lgbt a senso unico. Con una gestione equilibrata e senza estremismi potrebbero rivelarsi anche ottime occasioni educative. La disponibilità a mettersi in gioco anche, ma non solo, da parte dell’associazionismo familiare sarà la discriminante decisiva. 
Avete letto bene, Moia ha scritto: “Rischio ideologico” (non ideologia allo stato puro!),  “sarebbe però sbagliato bollare subito come propaganda lgbt a senso unico”, e, sentite sentite, “Con una gestione equilibrata e senza estremismi potrebbero rivelarsi anche ottime occasioni educative”.
Cosa cosa cosa?: “Ottime occasioni educative”?!?!?
Ma stiamo “pazziando”? (direbbero a Napoli). Già nella legge si parla per i condannati per omofobia di lavori obbligatori gratuiti presso strutture LGBT con finalità rieducativa. E Moia ci parla di “ottime occasioni educative”. Per di più dal giornale dei vescovi!!! Quando si dice la confusione.
Avevamo già messo in evidenza questa potente contraddizione tra il comunicato della CEI del 10 giugno scorso e l’intervista a Zan di due giorni dopo, e ci eravamo chiesti a che gioco il giornale dei vescovi italiani stesse giocando. Qui si ripresenta la questione. 
Più o meno dello stesso tenore il tweet di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, la rivista storica dei gesuiti che qui riportiamo: 


Da notare che il tweet di padre Antonio Spadaro porta la data del 15 giugno. Quindi, mentre la presidenza dei vescovi italiani il 10 giugno aveva detto che non c’è bisogno di alcuna legge anti omofobia perché vi sarebbero rischi di derive liberticide, padre Antonio Spadaro, 5 giorni dopo, scrive invece che c’è proprio bisogno di una legge, anche se non lesiva delle legittime idee. Data la materia ambigua e fluida del reato, non si vede come si possa scrivere una legge” non lesiva delle legittime idee”. Da gesuita colto, ce lo potrebbe spiegare lui.
Data la gravità della situazione dovuta al deposito del Ddl anti omofobia, in cui i membri della Chiesa italiana, a tutti i livelli, corrono il rischio di essere potentemente coinvolti nel ruolo di presunti colpevoli per omofobia, è bene che nella Chiesa italiana, da ora in poi, vi sia un indirizzo univoco. Che i suoi media si allineino con quanto dichiarato pubblicamente dal suo vertice, che non vi siano voci stonate o persone che remano contro. Ne va della libertà di tutti.

L’inganno: con la “lotta” per i diritti creano una società fatta di punizioni e repressione

(se il video qui sotto non si carica fare il refresh della pagina o cliccare qui

Titola così un articolo de La Repubblica: “Omosessualità diritti LGBT, l’odio verso gay e trans diventa reato. Fino a 4 anni per chi discrimina”. Si fa riferimento alla nuova legge che punisce gli odiatori che si macchiano di disprezzo e offese verso gay e trans.
Credo che il fatto che l’odio sia punito sia una cosa giusta, quale che sia il soggetto che lo subisce, tuttavia il tranello di cui è bene dare conto è che si fa passare per odio tutto ciò che non rientri nel nuovo ordine erotico. Ecco allora che la giusta lotta contro l’odio finisce per colpire ogni concezione che non sia allineata.
E dunque diventa odio anche riconoscere che un bambino abbia diritto ad avere un padre e una madre, dire che per natura un bambino nasce da un uomo e da una donna, riconoscere che per natura si è differenti tra maschi e femmine.
In sostanza ci troviamo al cospetto di un inganno che è tipico del nuovo ordine erotico. A ogni diritto di qualcuno corrisponderà il dovere di qualcun altro e ciò nella cornice di una società dai diritti insaziabili che sono diritti soggettivi e che fanno sì che la società stessa diventi una società con elevatissimi tassi di repressione e sorveglianza, con annesse punizioni. Violare qualche diritto altrui diventa una sorta di fantasma che impedisce di vivere e di pensare spingendo ad autocensurarsi.
Non c’è più la libertà sostanziale di un’etica comunitaria, ma c’è la libertà intesa come capriccio individuale delle classi possidenti. Questa è la concezione dei diritti del consumatore, che tanti diritti ha quanti può comprarne e tanta libertà ha quanto è il suo potere di acquisto.
Di Comelli Lucia

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