di Bernardo Cervellera
Esce oggi il libro “Cina Covid 19. La Chimera che ha cambiato il Mondo” (Edizioni Cantagalli, Siena, 2020, 272 pagg., 20 euro), dello scienziato Joseph Tritto. Gli esperimenti di bio-ingegneria compiuti dalla Cina con l’aiuto finanziario e scientifico di Francia e Stati Uniti. Gli studi, nati per creare dei vaccini, si sono trasformati via via in una ricerca a scopo bellico. Il laboratorio di Wuhan è ora in mano all’Esercito di liberazione del popolo, guidato dal generale Chen Wei, un’esperta di armi biochimiche e di bioterrorismo. La lotta (commerciale) per i vaccini. Far firmare alla Cina la Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche.
Roma (AsiaNews) – Il Covid-19, che sta mietendo vittime e contagi in tutto il mondo, non è un virus presente in natura, ma è stato creato da un laboratorio di Wuhan e precisamente nel laboratorio di biosicurezza 4. Alla costruzione di questa “chimera” – come si chiama la creazione di un organismo in laboratorio – hanno contribuito non solo scienziati cinesi, ma anche francesi e statunitensi. Fino a pochi mesi fa questa tesi era definita “complottista” e veniva criticata con disprezzo da chi difendeva “l’innocenza” della Cina; essa era blandita come assurda da diversi studiosi che difendevano “l’innocenza” della scienza. Da oggi, questa tesi viene presentata con ampissima documentazione, date, fatti, nomi da uno scienziato di fama internazionale, il prof. Joseph Tritto, presidente del WABT (World Academy of Biomedical Sciences and Technologies) con sede a Parigi, un’istituzione non governativa
fondata nel 1997 sotto l’egida dell’Unesco.
Il prof. Tritto, 68 anni, è l’autore del libro che esce oggi per i tipi dell’editore Cantagalli: “Cina Covid 19. La Chimera che ha cambiato il Mondo”.
Nelle 272 pagine del volume, che si leggono con passione, come fosse un libro giallo, il prof. Tritto spiega con precisione e fermezza scientifica le origini del virus, partendo dal tentativo cinese di studiare vaccini contro la Sars; inserendo negli organismi genomi tratti dall’Hiv (che li rende più aggressivi); aggiungendo elementi di coronavirus scoperti in pipistrelli “a ferro di cavallo”, con un metodo chiamato “reverse genetics system 2”.
La prima responsabile di questi esperimenti di ingegneria genetica è la prof.ssa Shi Zheng Li, a capo del laboratorio di Wuhan. Ma questo centro ha avuto gli aiuti del governo francese e dell’istituto Pasteur, da cui i cinesi hanno imparato l’uso dei genomi dell’Hiv. Vi è poi l’aiuto di alcuni scienziati americani, fra cui il prof. Ralph S. Baric, dell’Università della Carolina del Nord, e i fondi provenienti dagli aiuti Usa per lo sviluppo (Usaid). Gli scienziati Usa erano interessati agli studi sui coronavirus, che però fino al 2017 erano proibiti nel loro Paese, a causa della loro pericolosità.
Il prof. Tritto ha un curriculum di tutto rispetto: egli è un medico specializzato in urologia, andrologia, microchirurgia dell’infertilità, professore di microtecnologie e nanotecnologia (Regno Unito e India). Visiting Professor e direttore di nano-medicina, presso la Amity University di New Delhi (India). E proprio per questo egli può scavare sul senso di queste ricerche fatte a Wuhan. Secondo il prof. Tritto, tali ricerche sono nate per combattere le malattie, ma a poco a poco si sono trasformate in studi di bio-ingegneria per costruire armi biologiche letali.
Non è un caso che negli ultimi 5 anni, il laboratorio di Wuhan abbia ricevuto per la ricerca virologica i fondi più consistenti di tutta la Cina, diventando un laboratorio di ricerca molto avanzata, che l’Accademia delle Scienze, e lo stesso governo cinese, hanno posto sotto il loro diretto controllo.
Secondo il prof. Tritto, la prof.ssa Shi Zheng-Li “probabilmente non aveva alcun interesse a lavorare per scopi militari, o di altro tipo, a meno che non sia stata obbligata a farlo. Nessuno mette in dubbio la sua buona fede”. Ma è un fatto che dopo l’enorme pubblicità sul laboratorio, causata dalla pandemia, oggi a capo dell’Istituto di virologia di Wuhan è stato nominato il generale maggiore dell’Esercito popolare cinese, Chen Wei (foto 1), alla quale è stata affiancata un’equipe ove spicca il nome di Zhong Nanshang, famoso pneumologo di lunga esperienza nelle malattie polmonari infettive. Il generale Chen Wei è anche un’esperta di armi biochimiche e di bioterrorismo.
L’Istituto di Virologia di Wuhan è stato dunque praticamente commissariato e messo sotto il controllo delle Forze armate. Della prof.ssa Shi Zheng-Li non si sa nulla: sembra scomparsa.
Nel libro, gli scienziati non ci fanno una bella figura: spinti dal desiderio di conoscenza, diventano poi desiderosi di potere, di arrivismo, carrierismo e di soldi. Una parte del libro è dedicata alla questione della ricerca dei vaccini, in cui ogni istituto e laboratorio si trova in concorrenza con l’altro, non per amore della medicina e per salvare i milioni di malati da coronavirus, ma solo per essere i primi a vendere i vaccini a tutto il mondo. In questo la Cina è maestra: secondo il prof. Tritto, Pechino non ha messo a disposizione la struttura genetica originaria del coronavirus (virus madre), ma ha diffuso solo dati parziali. E perché? Perché solo con la struttura originale del virus si riesce a produrre un vaccino davvero universale, efficace su ogni punto del globo. Con l’andar del tempo, infatti, i virus mutano e un vaccino prodotto da un virus mutato ha efficacia solo in un certo periodo e in una certa zona.
Insomma: al posto dell’amore per la scienza, vi è solo il gretto commercio.
Ma non bisogna dimenticare – e non lo fa neanche il prof. Tritto – i tanti eroi di questa pandemia. Oltre a dottori e infermieri che hanno dato la vita per curare i pazienti che giungevano a valanghe nei pronto-soccorso, si ricordano i primi medici che hanno denunciato la presenza di un’epidemia a Wuhan, condannati poi al silenzio dalla polizia e minacciati di licenziamento. Parliamo della prof.ssa Ai Fen (foto 2), la prima a parlare già in novembre di una “strana influenza”, silenziata dalle stesse autorità ospedaliere; del prof. Li Wenliang (foto 3), oculista, anch’egli silenziato e poi morto di Covid-19, infettato da un suo paziente. Anche della prof.ssa Ai Fen non si sa più nulla e sembra non rintracciabile.
Il libro del prof. Tritto compie anche una disanima sull’Organizzazione mondiale della sanità, divenuta – a detta di molti – “un burattino” nella mani della leadership di Pechino, avendo assecondato i suoi silenzi sull’epidemia.
Il volume non guarda però solo al passato: il prof. Tritto spinge perché a livello mondiale si raggiungano regole per la ricerca sulle chimere, sul funzionamento dei laboratori a sicurezza P4, sui rapporti tra laboratori militari e civili, obbligando la Cina ed altri Paesi a sottoscrivere la Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche.
http://www.asianews.it/notizie-it/Prof.-Tritto:-Il-Covid-19-%C3%A8-stato-creato-nel-laboratorio-di-Wuhan.-Ora-%C3%A8-in-mano-allesercito-cinese-50719.htmlCOVID 19: NATURA O LABORATORIO? PIÙ PROBABILE LA SECONDA…
4 Agosto 2020 7 Commenti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, qualche giorno fa abbiamo rilanciato un’intervista ripresa da Libero al prof. Joseph G. Tritto, autore di un libro sul Covid 19 di prossima disponibilità presso il pubblico italiano. Subito dopo abbiamo ospitato una lettera aperta dell’editore, David Cantagalli, di reazione a un articolo di Open, il giornale online riconducibile a Enrico Mentana. Fra i commenti ce ne sono stati due della dott. Nicole Tosi, biotecnologa dell’Università di Parma, che sul suo profilo Twitter si descrive così: “Biotecnologa appassionata di nutrizione, giornalismo e politica. Liberaldemocratica, pattinatrice, juventina” e che dalla fotografia sembra simpatica, oltre che giovane e carina. L’editore ha letto i commenti, che riportiamo qui sotto, e ci ha mandato questa risposta, che troviamo molto condivisibile: come si fa a commentare, in positivo o in negativo, una qualsiasi ipotesi o tesi scientifica, senza averla letta? Non appare molto scientifico, e invece molto politico e pregiudiziale. Infine vi alleghiamo il video intervista di una scienziata francese, genetista, molto nota a livello internazionale, sul tema in discussione che senza eliminare la possibilità di un’origine naturale ritiene più probabile una manipolazione di laboratorio. E dice anche cose molto pesanti e interessanti sul fatto che all’inizio le autopsie sono state proibite, ritardando così la scoperta del fatto che il problema era di natura vascolare; e dice anche cose molto interessanti sui silenzi mediatici. Oltre al fatto – citando grafici – che l’epidemia non esiste più, e che a livello mondiale la carica virale è in forte declino. E quello che dice sui vaccini è abbastanza terrificante. Cioè il contrario di quello che ci raccontano il regime e i suoi giornali. Buona lettura e buon ascolto.
Ecco i commenti della dott.ssa Tosi:
Non discuto sulla scorrettezza (o meno) di certe superficiali recensioni, ma rispetto alla serietà della ricerca scientifica non c’è titolo che tenga. Anche essere premi Nobel (v. Montagner) non è una franchigia dalle cantonate. E le cantonate che prende Tritto sono colossali, si vede che fa troppe cose… Ribadisco, rifacendomi al precedente articolo, quando il professore parla di “residui di amminoacidi” e “inserti degli amminoacidi dell’AIDS”, siamo di fronte ad affermazioni scientificamente senza senso, totalmente infondate. Semmai sarebbe corretto parlare di “inserti del genoma di HIV” che codificano per sequenze di amminoacidi. Inoltre il sito di clivaggio furinico consente al virus di entrare nelle cellule, non c’entra con la patogenicità e la moltiplicazione del virus, semmai con la sua infettività. E che gli inserti dell’HIV consentano di entrare nelle cellule è una castroneria, in quanto il bersaglio dell’HIV non sono le cellule polmonari (e in generale le cellule che esprimono ACE) ma i linfociti (che esprimono il recettore CD4). Montare una polemica giornalistica rispetto a problemi così complessi e che richiedono una conoscenza specialistica approfondita è fuorviante. dott.a Nicole Tosi biotecnologa dell’Università di Pr
Sì, anche Montaigner si basava su questa teoria per dimostrare l’artificialità del virus. Comunque le locuzioni “residui di amminoacidi” e “inserti degli amminoacidi dell’AIDS” sono scientificamente senza senso.. semmai sarebbe corretto parlare di “inserti del genoma di HIV” che codificano per sequenze di amminoacidi. Inoltre il sito di clivaggio furinico consente al virus di entrare nelle cellule, non c’entra con la patogenicità e la moltiplicazione del virus, semmai con la sua infettività. E che gli inserti dell’HIV consentano di entrare nelle cellule è una castroneria, in quanto il bersaglio dell’HIV non sono le cellule polmonari (e in generale le cellule che esprimono ACE) ma i linfociti (che esprimono il recettore CD4). dott.a Nicole Tosi,Università di Pr
§§§
Ed ecco quello che risponde David Cantagalli:
In merito a quanto scrive la Dott.ssa Nicole Tosi nei commenti all’articolo Pifferi di montagna… la gaffe di Open sul libro del Covid, pubblicato sul blog di Marco Tosatti Stilum Curiae, palando, a proposito dell’intervista rilasciata dal Prof. J. Tritto al quotidiano Libero, di “cantonate colossali”, desidererei rassicurala sul fatto che il Professore ha pubblicato nel suo libro ben 40 pagine di spiegazione sull’origine e sulle caratteristiche del virus, che sono destinate a coloro, come la Dott.ssa Nicole Tosi, che comprendono e sanno decifrare il linguaggio criptico della biologia e della genetica. Leggendo quelle 40 pagine la Dottoressa potrà così confutare la descrizione del Professor Tritto che, con grande rigore scientifico, descrive la procedura attraverso la quale è stato creato il SARS-CoV-2. Una domanda mi sorge spontanea considerando il fatto che la Dott.ssa Tosi non ha letto neppure una pagina del libro: perché leggendo tre righe di un’intervista, che tra l’altro omette di citare nella loro completezza, usa, nei confronti del Prof. Tritto, termini poco consoni al mondo accademico? Sorge il legittimo sospetto che la Dottoressa simpatizzi per chi, evidentemente come Lei, è abituato a sentenziare senza avere una conoscenza diretta e sufficiente del reale. Chiunque può esprimere un giudizio sul reale quando abbia a disposizione informazioni sufficienti per poter argomentare il suo giudizio. Se il giudizio è espresso prima che tali informazioni siano disponibili allora si può parlare di pregiudizio, cioè un giudizio che non considera la realtà nella sua totalità ed è suggerito, piuttosto, da idee precostituite che prescindono da un esame imparziale della realtà. La Dottoressa dovrebbe, tra l’altro, aver ricevuto nella sua esperienza accademica e universitaria questo “imprinting” poiché la realtà, che può essere anche un microrganismo visibile solo con al microscopio elettronico, deve essere conosciuta prima di essere giudicata, altrimenti si compiono gravi errori di valutazione e le premesse usate portano ad esprimere valutazioni errate. Posso rassicurare tutti, compreso la Dottoressa, che il Professor Tritto pur usando un linguaggio sconosciuto ai non addetti ai lavori è sufficientemente chiaro nello spiegare quello che viene definito come “cantonata colossale”. Mi consola tuttavia il fatto che purtroppo viviamo in un’epoca dove la capacità di esprime un giudizio imparziale e libero sul reale, non influenzato da notizie false e artificiose, è diventato un lusso per pochi. Mi auguro che la Dottoressa Nicole Tosi e tutti coloro che vorranno legittimamente esprimere un’idea diversa da quella del Professor Tritto abbiano il coraggio di farlo avendo letto il libro, usando argomentazioni scientificamente sensate e adeguate. Il Professor Tritto non si sottrarrà certamente al confronto e soprattutto vorrà prima leggere o ascoltare le argomentazioni dei suoi colleghi prima di esprimere un giudizio.
Sinceramente Vostro,
Interessante questa analisi di Phil Devine, professore emerito di filosofia al Providence College. Il suo intervento è stato pubblicato su Mercatornet e ve lo propongo nella mia traduzione.
La campagna contro Covid-19 ha avuto tre caratteristiche inquietanti: la presunzione di “colpevolezza”, la repressione del deviato scientifico, e l’animus antireligioso esibito da molte autorità civili.
Le chiese sono state chiuse mentre i negozi di liquori, le cliniche per gli aborti e i negozi di armi sono rimasti aperti, e le persone sane sono state confinate per proteggere i residenti delle case di cura, quando in realtà le nostre politiche hanno esposto queste persone a gravi rischi. Gli effetti di tali misure possono essere terribili.
Il capitalismo democratico, il fascismo, il feudalesimo e il socialismo sono tutte ideologie, ognuna con un sistema sociale e politico che, a volte in modo molto imperfetto, lo incarna.
Ma nei circoli influenzati da Marx, la parola ideologia ha un senso dispregiativo, e designa una forma di falsa coscienza. C’è un’ideologia Covid-19 (che chiamerò covidismo) almeno in senso descrittivo, e ci sono ragioni per credere che si tratti di un’ideologia anche in senso dispregiativo.
Per ragioni poco chiare, il covidismo è considerato illuminato e progressista, mentre lo scetticismo nei suoi confronti, anche se ispirato dalla preoccupazione per il destino dei ristoratori, è considerato conservatore o addirittura reazionario.
L’ideologia in senso dispregiativo contiene alcuni elementi di verità. Ma il suo motto è la convinzione del filosofo David Hume che “la ragione è e deve essere schiava delle passioni”. I nazisti avevano ragione nel vedere che la società di Weimar era gravemente disfunzionale, anche se la cura che offrivano era incommensurabilmente peggiore della malattia. Il nocciolo della verità nel covidismo è che il Covid-19 è a volte una malattia mortale, della cui trasmissione sappiamo poco. La maggior parte dei casi sono lievi o moderati – a volte così tanto che il paziente non è consapevole della malattia. Il numero dei casi (e dei decessi) è esagerato poiché si considerano come casi di Covid-19 persone malate per altre cause. Il “diffusore silenzioso” che gioca un ruolo importante nella narrazione covidista rimane un’ipotesi controversa.
L’ideologia di Covid-19 fa appello a quella che Hobbes chiamava “paura del potere invisibile”, una paura che viene aumentata solo dalle precauzioni prese contro di esso… La gente pensa che le cose sgradite che è costretta a fare debbano essere in qualche modo giustificate, proprio come alcuni sostengono che ci deve essere qualcosa di sbagliato negli ebrei visto che così tante persone li odiano.
Fa anche appello alla paura degli esseri umani in quanto tali – ciò che io chiamo antropofobia. Ci viene chiesto di presumere che le persone, noi stessi inclusi, siano fonti di infezione fino a prova contraria – una paura che si sente più acutamente quando le persone con cui abbiamo a che fare sono in qualche modo estranee. E vicino al nucleo del covidismo c’è l’argomento che le persone perfettamente sane sono un pericolo letale se si avventurano fuori di casa se non per scopi “essenziali” (alcolici, marijuana, armi o aborti, ma non per partecipare ad una messa).
La retorica dell’ideologia di Covid-19 ha due elementi: il fondamentalismo scientifico e l’argomento fallace della paura.
Il fondamentalismo scientifico è segnalato dall’affermazione che coloro che mettono in discussione il “consenso” sono anti-scienza o colpevoli di “negazione”. Come il candidato alla presidenza e per qualche tempo segretario di Stato John Kerry ha posto la faccenda in un altro contesto: “Ho detto spesso che il cambiamento climatico globale è una questione in cui nessuno ha il lusso di essere ‘mezzo gravida’. O lo sei o non lo sei. E così è con il cambiamento climatico. O capisci o accetti la scienza – o non la capisci”. La visione migliore è quella del defunto Charles Krauthammer: “Non c’è niente di più antiscientifico dell’idea stessa che la scienza sia stabile, statica, insensibile alle sfide”.
La paura può essere razionale, ma un appello irrazionale alla paura ignora le altre fonti di pericolo e ci spinge a prendere precauzioni con costi non considerati.
La Covid-19 non è l’unica malattia mortale. La paura di essa, però, ha portato a trascurare altre malattie e altre cause di morte come la fame. Il compagno di un mio amico gay è morto di recente; non ha ricevuto le cure salvavita per una malattia polmonare di cui aveva bisogno perché non aveva il Covid-19.
I covidisti sostengono che qualsiasi misura, per quanto altrimenti distruttiva, è legittima se riduce l’incidenza di Covid-19, anche solo leggermente. Lascio gli effetti economici delle precauzioni agli economisti. Il resto si può riassumere nella frase “anche la distanza sociale può uccidere”. La California, con una popolazione di 40 milioni di abitanti, è stata gettata nel panico da una morte per coronavirus. A titolo di paragone, quasi 4.300 californiani si sono uccisi nel 2016, con un aumento del 50% rispetto al 2001. E la legge californiana incoraggia il suicidio in alcuni casi.
La solitudine può uccidere, in riconoscimento di ciò il Regno Unito ha nominato un ministro della solitudine. (Dubito che farà molto).
Le morti per disperazione includono non solo le morti per suicidio, ma anche avvelenamento da droghe e alcol, così come le malattie epatiche alcoliche e la cirrosi, a cui aggiungerei l’insufficienza cardiaca quando il paziente è depresso. Il tasso di tali decessi è in costante aumento. Hanno due cause sociali: l’insicurezza economica e l’isolamento sociale.
Non ho bisogno di scegliere tra queste due spiegazioni: entrambe sono sicuramente aumentate dalle misure adottate contro il Covid-19. Le hotline per la prevenzione dei suicidi sono state tenute occupate durante la crisi di Covid-19. I casi di violenza domestica sono aumentati durante la pandemia, così come i casi di abusi su minori. Si prevede un’ondata di divorzi quando la crisi finirà.
La coronofobia ha generato una moralità perversa, per cui stare a casa e guardare Netflix è un atto di eroismo come quello dei soldati che hanno combattuto nell’invasione del D-Day (lo Sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, ndr). Evitare il prossimo, anche attraversare la strada per evitarlo, e indossare una mascherina quando non si può evitarlo, è un’espressione di solidarietà; costringere le famiglie in difficoltà a passare più tempo insieme migliorerà i loro rapporti, e l’amore per Gesù significa negare alle persone l’Eucaristia.
Per quanto tempo? Finché non sarà “sicuro” – il che può significare per sempre.
Agli americani piace pensare al loro Paese come a una democrazia costituzionale, nonostante le riduzioni di libertà associate alla Guerra al Terrore. La speranza di una democrazia rinata richiede il superamento di quello che Charles Taylor chiama il nostro “isolamento auto-imposto”, che l’ideologia covidista rafforza in modo massiccio.
Stiamo vivendo quella che Denis Praeger ha definito “una prova generale per uno Stato di polizia”. L’antropofobia si trasforma rapidamente in paura degli estranei sociali. Le minoranze religiose e razziali di tutto il mondo hanno fatto da capro espiatorio per Covid-19. E in stati come il Maine, la paura di Covid-19 è stata usata come veicolo di un risentimento di lunga data nei confronti degli “out-of-staters” (le persone che non vivono permanentemente in uno stesso Stato degli USA, ndr). Le tensioni tra afroamericani e polizia sono esplose, portando a proposte assurde di abolizione della polizia. Ed è sorto un conflitto di classe tra chi è in grado di proteggersi dalle conseguenze delle nostre precauzioni e chi non può farlo.
I cittadini e i politici, nel prendere decisioni prudenziali sulla salute pubblica, devono liberarsi, per quanto umanamente possibile, da distorsioni ideologiche. Le precauzioni prese contro Covid-19 possono fare più male del virus stesso. Un lettore potrebbe chiedersi: penso di essere immune da distorsioni ideologiche? Al contrario, siamo tutti peccatori – cognitivamente come in ogni altro modo.
Il meglio che posso fare è pensare come meglio posso.
Stiamo sperimentando un uso politico della paura legata al COVID?
Rilanciamo dal blog di Antonio Socci l’ultimo suo articolo perché si inserisce nel filone che stiamo affrontando su questo blog, filone che vede l’intreccio tra paura connessa al COVID e la sua gestione da parte delle autorità di governo.
La pandemia è un’immensa sciagura, per tutti i popoli. Ma c’è stato (e c’è) un uso politico della paura da parte di certe élite di governo? E con quali scopi? Ha ragione chi ritiene che sia in corso un gigantesco e inquietante esperimento politico?
A parlarne sono alcuni pensatori “non allineati” che subito il sistema mediatico delegittima bollandoli come “complottisti”. Ma a notare che qualcosa di strano sta accadendo è anche – per esempio – il pensatore simbolo dell’europeismo mainstream, Bernard Henri Lévy, che ha appena pubblicato un libro: “Il virus che rende folli”.
Lévy nota, giustamente, che l’epidemia di Covid non è stata affatto una novità apocalittica nei nostri anni. Rammenta l’influenza di Hong Kong, “dopo il maggio ‘68”, che fece un milione di morti “per emorragia polmonare o soffocamento” o, dieci anni prima, l’influenza asiatica, arrivata sempre dalla Cina, che fece due milioni di morti.
Ma allora non si verificò il panico planetario di oggi. Lévy si dice “raggelato”, ma non dalla pandemia: dal “modo molto strano in cui abbiamo reagito questa volta”, dall’“epidemia di paura che ha attanagliato il mondo”.
Infatti “abbiamo visto le città di tutto il mondo diventare città fantasma. Abbiamo visto tutti, da un capo all’altro del pianeta… popoli interi tremare e farsi trascinare nelle proprie abitazioni, a volte a colpi di manganello, come animali selvatici nelle loro tane”.
Lévy si chiede se è la “vittoria dei saggi del mondo che vedono in questo grande confinement – (…) il ‘grande internamento’ teorizzato da Michel Foucault nei testi in cui descriveva i sistemi di potere del futuro – la prova generale di un nuovo tipo di fermo e di arresto domiciliare dei corpi”. Oppure se è “il contrario” ovvero “il segno, rassicurante, che il mondo è cambiato, che finalmente sacralizza la vita e che tra questa e l’economia, sceglie la vita”.
La seconda ipotesi mi sembra radicalmente confutata da molti fatti e dati che mostrano come la vita umana nel mondo abbia totalmente perso la sua sacralità.
Resterebbe la prima, ma purtroppo Lévy non la analizza. Certo, nota che “è stata la prima volta che abbiamo visto tutte le menti critiche della galassia di ultrasinistra applaudire a uno stato di emergenza”. Ma si ferma alla protesta contro la paura.
Cita però di sfuggita il filosofo italiano Giorgio Agamben che – essendo di sinistra – ha scatenato malumori e polemiche proprio a sinistra perché, riflettendo sulle “conseguenze etiche e politiche” della tempesta Covid ha colto “la trasformazione dei paradigmi politici che i provvedimenti di eccezione andavano disegnando”.
Nel suo libro “A che punto siamo?” valuta la vicenda Covid “in una prospettiva storica più ampia” e conclude che qualcosa di importante si stava (e si sta) sperimentando.
Scrive: “Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze (…) i poteri dominanti hanno deciso di abbandonare senza rimpianti i paradigmi delle democrazie borghesi, coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni, per sostituirle con nuovi dispositivi di cui possiamo appena intravedere il disegno, probabilmente non ancora del tutto chiaro”.
Davvero si può usare politicamente “il pretesto di una pandemia” o Agamben esagera? In effetti c’è chi, già qualche anno fa, ha invitato a “usare” proprio una eventuale pandemia per scopi politici (ovviamente, a suo avviso) lodevoli.
Nel 2009 – quando si paventava la diffusione dell’influenza suina – il famoso economista e tecnocrate francese Jacques Attali, da acuto analista, in un articolo su “L’Express”, scrisse: “La Storia ci insegna che l’umanità non si evolve in modo significativo se non quando ha davvero paura: essa allora mette in campo anzitutto dei meccanismi di difesa; a volte intollerabili (i capri espiatori e i totalitarismi); a volte inutili (la distrazione); a volte efficaci (strategie terapeutiche, respingendo se necessario tutti i precedenti principi morali). Poi, una volta terminata la crisi, trasforma questi meccanismi per renderli compatibili con la libertà individuale e includerli in una politica sanitaria democratica. Questa iniziale pandemia” scriveva Attali “potrebbe innescare una di queste paure strutturali”.
In particolare Attali, prevedendo la necessità di governare “meccanismi di prevenzione e controllo” per “un’equa distribuzione di farmaci e vaccini”, scriveva: “Verremo quindi, molto più velocemente di quanto avrebbe prodotto la sola ragione economica, a gettare le basi di un vero governo mondiale” e “nel frattempo potremmo almeno sperare nella messa in opera di una vera politica europea in materia”.
Attali nel 2006 aveva pubblicato “Breve storia del futuro” e già lì vagheggiava un “governo mondiale” che segnava la fine dell’egemonia americana e vedeva “l’Unione europea avanguardia dell’iperdemocrazia”. Ma quella sua utopia aveva i tratti di una cupa distopia.
In questi mesi ormai ci siamo resi conto della presenza di affermazioni contraddittorie da parte dei medici più rinomati: quindi almeno alcuni di loro hanno fatto affermazioni completamente infondate. Alcuni hanno detto che questo è avvenuto per il fatto che la medicina non è una scienza esatta come la fisica. In realtà questo è avvenuto perché molti medici hanno affermato come sicuro quello che non lo era, quindi questo è avvenuto per l'immoralità o per la grande incompetenza di questi stessi medici. Inoltre non è vero che i fisici non affermino come sicure anche cose che non lo sono, per immoralità o per incompetenza:
RispondiEliminacfr. https://gloria.tv/post/7UAfL62ocVTCDriBDDGjQZGi6