Come si capisce che un pensiero è inutile? L'antropologa "scientista" Ida Magli: quando è l’umano che pretende di giudicare "il divino" di applicargli le sue categorie, di schedarlo e catalogarlo secondo i suoi modi di pensare
di Francesco Lamendola
Volete sapere che cos’è, veramente, il culto mariano, poveri cattolici bifolchi e creduloni? È una costruzione affabulatoria, come dicono gli esperti del linguaggio: cioè, in buona sostanza, una favola, costruita appositamente per rispondere a dei bisogni umani, molto umani: il bisogno di purezza, di perfezione, di un modello femminile che sia caratterizzato dalla più soave maternità e al tempo stesso dalla più assoluta verginità; e così via. Insomma è una favola, ma più noiosa delle altre favole, perché costretta a correre su di un binario morto, senza ammettere alcuno spazio all’improvvisazione e alla fantasia; una favola rigida, tale da generare un senso di nausea intellettuale per il fatto di essere ripetuta infinite volte, senza mai cambiare il più piccolo dettaglio della storia.
La tesi non è originalissima, però c’è un’antropologa che l’ha portata avanti con la massima serietà e con ammirevole perseveranza, come se avesse scoperto l’acqua calda: Ida Magli (Roma, 5 gennaio 1925-ivi, 21 febbraio 2016), la quale come studiosa accademica non si scorda mai d’essere anche una femminista intransigente e fiammeggiante, e come femminista non dimentica mai di guardar le cose, tutte le cose, con le lenti speciali (e specialistiche) dell’antropologia culturale. Il risultato è quello che si può benissimo immaginare, ancor prima di sfogliare uno qualsiasi dei suoi libri: meno male che è arrivata la cultura moderna, con Marx e Freud e Jung ecc.; anzi, meno male che è arrivata lei, a spiegarci come tutto ciò che il cristianesimo tramanda ed insegna da un paio di millenni, altro non è che una mediocre favola, irrigidita da assurde pretese e fissazioni teologiche, imbalsamata da una tradizione autoritaria che non consente critiche o riforme. Quanto le dobbiamo essere grati per averci aperto gli occhi, a noi poveri cattolici semianalfabeti e semideficienti, che ancora prendiamo sul serio il Vangelo, la vita di Gesù Cristo e il culto di Maria Santissima; che ancora facciamo la santa Comunione pensando di assumere il Corpo e il Sangue di Cristo, e non già di celebrare una semplice rievocazione dell’Ultima Cena; che ancora recitiamo il Rosario con la testarda, ingenua persuasione che Maria ci ascolterà benevola e che intercederà presso il suo divino Figlio, per ottenerci le grazie che umilmente noi le domandiamo. Che cosa ne sarebbe di questa povera umanità butta, sporca e superstiziosa, se non ci fossero le figure luminose (e illuminate) come Ida Magli, a indicarle il cammino? E che le cose stiano proprio così; che lei e quelli come lei abbiano ragione, abbiamo sempre avuto ragione, non lo prova forse oltre ogni dubbio il fatto che il clero, oggi, e più di tutti colui che viene chiamato papa e che ha assunto l‘angelico nome di Francesco, sembrano proprio essere andati alla sua scuola, aver studiato le sue tesi, aver fatto proprie le sue affermazioni?
Come si capisce che un pensiero è inutile?
Prendiamo uno dei suoi libri più noti, dedicato appunto alla Santa Vergine, e scegliamo quasi a caso una pagina – perché ogni pagina si presta ugualmente bene, secondo lo stesso identico schema – tratta dal paragrafo intitolato La non-scienza teologica, come perfetto esempio di questa riduzione dell’ineffabile alle categorie umane, con l’ovvio risultato d’impoverirlo, immeschinirlo e, in definitiva, “dimostrarne” l’assoluta inconsistenza (da: Ida Magli, La Madonna, Milano, Rizzoli, 1987, pp. 166-168):
Il senso di nausea intellettuale che la bibliografia Maria provoca per il suo stesso macroscopico sviluppo (c’è chi ha contato 16.685 titoli apparsi in vent’anni, dal 1948 al 1968) dipende soprattutto alla sua inutilità. Non “nutre” il pensiero perché non apre nessuna possibilità di crescita, di sviluppo critico al suo interno: in altri termini è un non-pensiero, la non-scienza per definizione. Ciò non accade soltanto perché è una lettura naturalmente chiusa nella “fede” e che, di conseguenza, tende sempre a giungere alle conclusioni prestabilite per salvarle; l’impressione di inutilità intellettuale la danno anche gli scritti mariologici in campo riformato, che sono quindi ostili alle definizioni dogmatiche, e perfino i commento di coloro che negano le “verità” del cristianesimo e sfuggono all’enunciato teologico. Di fatto, le proposizioni intorno alla Madonna non possono esse oggetto di discorso, né negativo, né positivo, perché appaiono chiaramente collocate nell’ambito dell’affabulazione. Un’affabulazione che non permette il piacere della fantasia, come accade, per esempio, leggendo i miti di tante popolazioni antiche e moderne. Questo dipende soprattutto dal fatto che la costruzione “Madonna” è stata eretta su una persona umana.
È la commistione fra persona umana e trascendenza che colpisce nella letteratura mariana come massimo distacco dalla realtà. Si potrebbe obiettare, ovviamente, che nel cristianesimo questa commistione è già presente nella figura di Gesù, Dio e Uomo secondo la teologia. Tuttavia il tipo di pensiero che si sviluppa intorno alla Madonna è del tutto diverso. Qui non è presupposta la doppia realtà: quella divina e quella umana. La Madonna diviene trascendete per la mancanza di condizioni fisiche costitutive della biologia umana. In una notissima enciclopedia mariana, “Theotókos”, pubblicata nel 1958, si afferma che le leggi della senescenza e della morte sono state abrogate per Maria: inevitabile conseguenza logica del dogma dell’Immacolata Concezione.
La discriminante fra umano e divino viene posta con l’affermazione che Maria è stata concepita senza il peccato originale, a che se, sul piano strettamente teologico, c’è un passaggio che racchiude il mistero non chiarito e non chiaribile del cristianesimo: che cosa sia il Male. Dio non ha creato il male, ma lo identifica come altro da sé, nel momento stesso in cui crea le cose. In realtà, l’uomo (maschio) rappresenta il male in confronto a Dio, in quanto Dio crea, e può creare, soltanto qualcosa che è altro da sé: Soltanto se procrea sfugge alla sua “solità”. Il diavolo deve esistere, perciò, come personificazione del male, altrimenti Dio non potrebbe uscire fuori da sé creando l’uomo. La donna, che è già “altro” in confronto all’uomo. È, quindi, altro dell’altro in confronto a Dio. Più lontana da Dio e di conseguenza più vicina al male. La Madonna, quindi, è ricondotta, tramite l’immacolata concezione, all’umanità primordiale, quella di Adamo ed Eva. Ma si tratta di un analogia apparente. L’abisso che separa la Madonna da Eva è la sua incapacità a peccare, il suo essere santificata fin dall’inizio, la sua pseudo vittoria sul male dato che si afferma che Dio l’aveva scelta fin dall’eternità come madre del Figlio. C’è quindi una profonda disparità fra Eva e Maria, che viceversa sono messe a confronto dalla teologia e identificate in una tipologia oppositiva. La Madonna, santificata prima della nascita, è totalmente diversa da Eva che è esposta alla tentazione. Eva è libera, Maria non lo è. Gli amanti della Madonna, ossessionati dalla sua purezza, affermano che Maria non ha mai avuto nessuna tentazione di lussuria. Si tratta di una affermazione “inevitabile”. Dire “tentazione” significa dire “desiderio”, quindi: immagini, pensieri, emozioni. È qui, dunque, la sua vera opposizione ad Eva. Non: aver vinto la tentazione, ma averla negata. Se schiaccia il serpente è perché non ha ingaggiato nessuna battaglia con lui. Se c’è lei, lui non c’è.
Ma che cos’è il serpente se non la sessualità maschile?
Ida Magli è un’antropologa culturale che fa dell’antropologia culturale la chiave di lettura di qualunque fenomeno umano e che la applica anche al soprannaturale, senza un dubbio né un sospetto!
Questo è un perfetto esempio di circolo chiuso: date le premesse, la conclusione è inevitabile. Ida Magli non si avvede che il suo stesso schema di ragionamento, che applica con tanta disinvoltura e sicurezza alla mariologia, e più in generale a tutta la teologia cattolica, si può benissimo utilizzare come chiave di lettura per interpretare il suo libro, anzi tutti i suoi libri. È un’antropologa culturale che fa dell’antropologia culturale la chiave di lettura di qualunque fenomeno umano e che la applica anche al soprannaturale, senza un dubbio né un sospetto. Figlia di Voltaire, di Marx, di Darwin, Freud e Jung (non dimentichiamo Jung, coi suoi simboli archetipici: non sia mai!), esclude in partenza che vi sia, nell’uomo e fuori dell’uomo, qualcosa di soprannaturale: per cui è letteralmente costretta a interpretare la figura di Maria come una costruzione culturale, una soddisfazione ai bisogni fantasmatici degli uomini in una determinata società – ovviamente maschilista e perciò, ovviamente, nemica del sesso e oppressiva della donna. Maria è vergine e madre, è figlia di suo figlio, perché così vuole il bisogno fantasmatico di purezza e di depotenziamento del “pericolo” sessuale, l’immaginario maschile. Che miseria: quale distanza abissale dalla profondità di Dante, nel trattare lo stesso argomento.
Come tutti i materialisti, la signora Magli non è mai sfiorata dal più lieve sospetto che tutto ciò che ella dice della figura di Maria si applica benissimo a ciò che lei dice e pensa a proposito di qualsiasi cosa. Si prenda una proposizione come questa: è una lettura naturalmente chiusa nella “fede” e che, di conseguenza, tende sempre a giungere alle conclusioni prestabilite, che lei applica a tutta la letteratura mariologica, e si osservi come essa calza come un guanto al suo libro, dalla prima all’ultima parola. Infatti anche la signora Magli, che crede di essere seguace della scienza, nel senso specifico della parola, è, in realtà, una “credente”: la sua fede è la fede nella scienza moderna, e si caratterizza proprio come una fede, ossia come un blocco omogeneo e intangibile di certezze, nessuna delle quali può essere posta in discussione, e che tutte insieme permettono di giudicare ogni altra cosa e altro fenomeno, infallibilmente e inesauribilmente (con buona pace del criterio di falsificabilità di Karl Popper, che pure era un positivista, ma non uno scientista). È l’umano che pretende di giudicare il divino, di applicargli le sue categorie, di schedarlo e catalogarlo secondo i suoi modi di pensare. Ma quando ciò che è piccolo incontra ciò che è infinitamente grande, dovrebbe farsi umile e tentare di assumere una diversa forma di consapevolezza; altrimenti non potrà che trovare qualcosa di mostruoso. Per il nano, un uomo molto grande è sempre e comunque un mostro – specie se non ne riconosce la reale grandezza. Per capire un uomo grande, un nano dovrebbe lasciar andare le sue categorie e sforzarsi di assumerne di nuove. Ciò di cui ha bisogno è un salto di qualità, il porsi su una diversa lunghezza d’onda; altrimenti non capirà nulla e vedrà solo gli aspetti inverosimili, perfino grotteschi di ciò che ha davanti. Non gli viene in mente che forse è una deformazione prospettica dovuta alla sua piccolezza, alla sua inadeguatezza. È la limutazione arrogante dello specialista che pretende di giudicare tutto il mondo esclusivamente sotto il suo particolare punto di vista. Per lo psicologo, l’esperienza religiosa è una forma di nevrosi; per l’antropologo culturale, le figure dei Santi, di Maria, le stesse Persone divine non sono che proiezioni compensative del bisogno fantasmatico degli uomini, ovviamente alienati e incapaci di vivere qui e ora, nella dimensione terrena.
David Hume
Tutto questo è molto banale, e sommamente inutile. La signora Magli definisce in pratica la teologia come la scienza dell’inutile per antonomasia, sulle orme di Kant e riecheggiando, forse intenzionalmente, il celebre (e tristo) aforisma di David Hume (cfr. il nostro articolo Lo scientismo intollerante della filosofia di Hume come rogo non metaforico del’uomo spirituale, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 12/10/18 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 12/01/18), il quale, nella sua Ricerca sull’intelletto umano, testualmente dichiara:
Quando scorriamo i libri di una biblioteca, persuasi di questi principi [ossia quelli del suo personale scetticismo illuminista], che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: «Contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità e sui numeri?» No. «Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatti e di esistenza?» No. E allora, gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie e inganni.
Ma sì; gettiamo nel fuoco quelle migliaia e migliaia di libri dedicati alla Madonna; gettiamo nel fuoco tutto ciò che non tratta, in maniera sperimentale, questioni di fatto e di esistenza: in pratica, gettiamo nel fuoco tutta la metafisica classica e cristiana, tutta la teologia, tutta la letteratura patristica e mistica dell’Occidente. Non sono altro che favole, per giunta noiose e prevedibili! Che se ne fa, l’uomo moderno, di simili vaneggiamenti? E la donna moderna, soprattutto: la donna resa infine cosciente dei suoi diritti, protesa verso la propria liberazione, come potrà tollerare di lasciarsi imprigionare ancora in un ruolo sottomesso, secondario, e sia pure ispirato a un altissimo modello, come quello della Vergine Maria? Sono tutti trucchi e invenzioni del maschio padrone per meglio sottomettere la donna nel corso dei secoli! E sta bene: largo alle donne diacono, alle donne prete, alle donne vescovo, sposate con un uomo o con un’altra donna, a piacer loro: questo è il nuovo ideale della donna, per le cattoliche moderne ed emancipate! Come c’insegna l’ineffabile Saviano: bisogna guardar Maria mentre partorisce urlando, colla vagina aperta: solo una donna, una meticcia…
Vedi anche:
HUME L'INTOLLERANZA SCIENTISTA - Lo scientismo intollerante della filosofia di Hume come rogo non metaforico del’uomo spirituale
Come si capisce che un pensiero è inutile?
di Francesco Lamendola
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