Negli Stati Uniti calano i cristiani e aumentano i senza religione. Ma Trump ha i suoi fedelissimi
Nella febbrile vigilia delle elezioni presidenziali del 3 novembre, negli Stati Uniti – ma non solo – ci si interroga su quanto le appartenenze religiose incideranno sul voto.
È l’interrogativo a cui risponde il Pew Research Center on Religion and Public Life di Washington in una grande inchiesta pubblicata il 17 ottobre che però va molto al di là del voto, perché mette a fuoco l’intero paesaggio religioso americano.
Con due risultati importanti e concatenati. Da un lato ii netto declino dei cristiani e dall’altro il forte aumento dei “none”, cioè di coloro che si dichiarano atei, agnostici o comunque privi di qualsiasi appartenenza religiosa:
L’inchiesta conferma il tramonto di ciò che ancora alla fine del Novecento distingueva gli Stati Uniti rispetto ad altre nazioni occidentali desertificate dalla secolarizzazione: la permanenza in essi di un vibrante “mercato” religioso cristiano.
Oggi questa eccezionalità della società americana è ampiamente svanita.
Negli ultimi dodici anni, negli Stati Uniti, i cristiani sono calati dal 75 al 65 per cento della popolazione adulta, con i cattolici scesi dal 24 al 20 per cento, mentre i “none” sono cresciuti dal 16 al 26 per cento, in cifre assolute 30 milioni in più.
Il calo dei cristiani e l’ascesa dei “none” sono rilevanti tra i laureati, i residenti nel Nordest, gli elettori del Partito Democratico e soprattutto i “millennial”, cioè i nati tra il 1981 e il 1996 che hanno oggi tra i 25 e i 40 anni. Tra i “millennial”, ormai, i cristiani e i “none” numericamente si equivalgono e si fronteggiano, sia gli uni che gli altri con un 40 per cento dell’insieme.
La frequentazione delle chiese è anch’essa diminuita. Mentre dieci anni fa gli americani che andavano in chiesa almeno una volta al mese erano il 54 per cento della popolazione e quelli che ci andavano poche volte all’anno o mai il 45 per cento, oggi le proporzioni si sono perfettamente capovolte: i primi sono il 45 per cento e i secondi il 54. Quelli che non mettono mai piede in una chiesa sono oggi il 27 per cento, più di un quarto degli americani.
La pratica religiosa è un po’ più marcata tra i neri, tra i quali coloro che vanno in chiesa almeno una volta al mese continuano ad essere la maggioranza, sia pure meno che in passato. Ma tra gli ispanici le quote di chi ci va e di chi non ci va si equivalgono, mentre tra i bianchi non ispanici quelli che non vanno mai in chiesa hanno ormai preso il sopravvento.
Sempre tra gli ispanici, i cattolici, che dieci anni fa erano in netta maggioranza, oggi sono calati al 47 per cento. Con i “none” anche qui in decisa crescita, arrivati al 27 per cento.
Sia i cattolici che i protestanti sono diminuiti di più proprio nelle aree in cui sono stati storicamente più presenti, con flessioni del 9 per cento per i cattolici del Nordest e dell’11 per cento per i protestanti del Sud.
Ma tra i protestanti, pur diminuiti nel loro insieme, coloro che si dichiarano “evangelical” o “born again”, rinati di nuovo, sono oggi cresciuti, passando in dieci anni dal 56 al 58 per cento.
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Ebbene, in che misura questi orientamenti religiosi si incrociano con le scelte elettorali?
Il calo dei cristiani e la crescita dei “none” sono molto più marcati tra i democratici che tra i repubblicani.
Tra i democratici, i cristiani sono calati in dieci anni dal 72 al 55 per cento e i “none” sono aumentati dal 20 al 34 per cento.
Tra i repubblicani, invece, i cristiani continuano ad essere il 79 per cento e i “none” appena il 16 per cento, entrambi poco lontani dalle quote di dieci anni fa.
Anche nella frequentazione delle chiese i due partiti si differenziano. Tra i democratici quelli che non vanno mai o quasi mai in chiesa sono oggi in netta maggioranza, il 61 per cento, mentre tra i repubblicani la maggior parte, il 54 per cento, continua ad andare in chiesa almeno una volta al mese.
Tra i repubblicani, le differenze di appartenenza e pratica religiosa tra bianchi, neri ed ispanici sono minime.
Tra i democratici, invece, l’allontanamento dalla religione è vistoso soprattutto tra i bianchi. Tra questi, quelli che si dichiarano cristiani sono ormai minoranza, il 47 per cento, mentre quelli che non vanno mai in chiesa sono il 70 per cento.
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In un’altra inchiesta pubblicata lo scorso mese di marzo, il Pew Research Center ha appurato che è ormai convinzione della maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti che l’influenza del cristianesimo sulla società americana stia diminuendo.
Ciò non toglie però che una buona metà della popolazione voglia che la Bibbia continui a influenzare le leggi.
Un forte legame tra religione e politica caratterizza soprattutto la popolazione bianca di fede protestante “evangelical”.
Gli americani sono molto discordi nel definire quale sia di preciso la religione di Donald Trump. Ma due su tre dei bianchi “evangelical” lo giudicano “religioso”, “onesto”, “intelligente” e quattro su cinque ritengono che egli sia uno che “combatte per ciò in cui io credo”.
C’è da presumere che proprio tra i bianchi “evangelical” Trump potrà raccogliere molti dei suoi voti.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 19 ott
Amy Coney Barrett, una cattolica per una giustizia indipendente
Dopo una settimana di audizioni, ci si avvia al voto in Senato per la conferma di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Nessuno si attende un voto unanime, i Democratici, pur se in minoranza, sono pronti a votare contro questa giurista cattolica che interpreta le leggi per come sono scritte e non in base allo "spirito dei tempi".
Dopo una settimana di audizioni, ci si avvia al voto in Senato per la conferma di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Nessuno si attende un voto unanime, i Democratici sono pronti a votare contro, ma la conferma della nomina pare quantomeno molto probabile, considerando la maggioranza repubblicana nella camera alta del Congresso.
La scelta della Barrett, giurista cattolica, giudice del Settimo Circuito, docente alla Notre Dame School of Law, ha alimentato polemiche politiche ancor prima che venisse menzionata. Alla morte di Ruth Bader Ginsburg, la più anziana dei giudici liberal della Corte Suprema, i Democratici ritenevano che il successore potesse essere nominato solo dopo le elezioni presidenziali di novembre. Il fatto che Trump abbia deciso di nominarlo subito, ha suscitato la reazione scomposta dell’opposizione che ora minaccia velatamente, in caso di vittoria di Joe Biden e di maggioranza democratica al Senato, di cambiare il numero dei giudici supremi, in modo da annullare l’attuale maggioranza conservatrice. La nomina di un successore della Bader Ginsburg, a giudicare dai quotidiani liberal, parrebbe solo un capriccio di Trump, per assicurarsi una vittoria elettorale al fotofinish (in caso di disputa legale e riconteggio dei voti) o un modo di lasciare un terreno minato alla Corte Suprema in caso di vittoria di Joe Biden.
Una volta che Trump ha presentato, alla Casa Bianca, la sua nominata, Amy Coney Barrett, giovane, cattolica, famiglia numerosa, allieva di Antonin Scalia, è iniziata un’altra narrazione critica: che la nuova giudice sia un’arma scelta dai Repubblicani per invertire la tendenza progressista, dominante dagli anni Settanta, su aborto, nozze gay e riforma sanitaria. Con i numeri favorevoli ai conservatori e una giudice suprema ancora giovane come la Barrett, potrebbe essere ribaltata (difficilmente) o contenuta negli effetti (più probabilmente) la sentenza Roe vs. Wade che ha portato alla legalizzazione dell’aborto nel 1973. E lo stesso dicasi per la sentenza Obergefell v. Hodges, che ha portato alla legalizzazione delle nozze omosessuali in tutto il territorio degli Stati Uniti nel 2015\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\.
In realtà, la battaglia per il massimo organo del potere giudiziario statunitense parte da molto più lontano e la sua importanza trascende, sia i singoli casi di controversia, sia lo scontro politico del 2020.
Che il dibattito sia essenzialmente politico si deduce dalle domande dei senatori democratici. Nel corso delle audizioni Barrett è stata letteralmente bombardata di richieste di spiegazioni sulle sue posizioni riguardo l’aborto, le nozze gay, l’immigrazione e la riforma della sanità voluta da Obama. Le risposte della candidata cattolica sono state definite “elusive” dalla stampa, che si aspettava da lei delle dichiarazioni in stile inquisizione spagnola. “Elusive” (“L’arte dell’elusione” è il titolo del servizio della Cnn), perché possono riassumersi in un unico argomento: giudicherò ogni caso in base alla legge. Parrebbe lapalissiano e una strategia di dissimulazione dei principi cattolici, ma la Barrett, allieva del compianto giudice supremo Antonin Scalia, è parte della corrente detta “testualista” e “originalista”, formatasi fra i giuristi e i magistrati della Federalist Society. I testualisti sono quei giudici che applicano la legge per come è stata scritta, gli originalisti la interpretano in base al senso che le era stato attribuito da chi l’aveva scritta. Questa corrente è contrapposta alla scuola “critica”, in voga dalla fine degli anni Sessanta, che si ripropone di reinterpretare le leggi alla luce delle esigenze e del pensiero contemporanei. Un giudice testualista e originalista rifiuta di fare politica, un giudice critico, al contrario, fa deliberatamente politica per interpretare la legge “secondo lo spirito del tempo”.
Ricordando la lezione di Antonin Scalia, nel suo discorso introduttivo, Amy Coney Barrett ha ribadito: “Un giudice deve applicare la legge per come è scritta, non per come avrebbe voluto che fosse interpretata. Talvolta questo approccio significa anche ottenere dei risultati che non ci piacciono, ma come aveva scritto in una delle sue più note opinioni, [Scalia sostenne che] questo è il sig\nificato di una società governata dalle leggi e non dagli uomini”.
Amy Coney Barrett, all’inizio del suo discorso, ha presentato tutta la sua famiglia numerosa, ha parlato di tutti i suoi sette figli, di cui due adottati ad Haiti, nominandoli e descrivendoli uno per uno. In questo, fa sua anche un’altra lezione di Scalia, un altro che aveva un famiglia numerosa “abbastanza da mettere in piedi una squadra di baseball”: “C’è un’abitudine, nella nostra professione, di considerare la pratica del diritto come un qualcosa di totalizzante, perdendo di vista tutto il resto, ma ciò rende la vita incompleta e insoddisfacente. Ho lavorato duro come legale e come docente. Lo dovevo ai miei clienti, ai miei studenti e a me stessa, ma non ho mai lasciato che il diritto definisse la mia identità o cancellasse il resto della mia vita. Un principio simile si applica al ruolo dei tribunali. I tribunali hanno una responsabilità fondamentale nel governo della legge, critico in una società libera. Ma i tribunali non sono stati progettati per risolvere ogni singolo problema, o ogni singola disputa nella nostra vita sociale. Le decisioni politiche e i giudizi di valore del governo sono opera dei poteri politici, eletti dal popolo e responsabili di fronte ad esso. Il popolo non deve aspettarsi che lo facciano i tribunali, né questi ultimi devono provarci”. Questo è un principio di separazione dei poteri che spesso e volentieri è saltato (sia negli Usa che in Italia). Quando la Barrett sostiene che gli americani abbiano diritto a una Corte Suprema indipendente, non sta dunque ribadendo l’ovvio, né facendo vuota retorica.
Anche negli Usa, tuttavia, la politica è entrata in ogni ambito e definirsi "semplicemente" rispettosi della legge è visto dai progressisti come una dichiarazione politica di conservatorismo, anche di reazione. Il dibattito su quest’ultima nomina alla Corte Suprema è fortemente condizionato dalla militanza progressista. L’originalismo della Barrett, specie se applicato a temi sensibili come la riforma della sanità o l’immigrazione, viene definito dai critici come una posizione “insensibile”, “inumana”. Sia Antonin Scalia che Ruth Bader Ginsburg erano stati confermati con voto quasi unanime e bipartisan. Altri tempi.
Stefano Magni
CRISTIANI CONTRO LA BARRETT di G. Guzzo
https://lanuovabq.it/it/amy-coney-barrett-una-cattolica-per-una-giustizia-indipendente
I Democratici che oggi criticano Amy Coney Barrett per la sua fede cattolica, prendano insegnamento da John F. Kennedy.
Il giudice Amy Coney Barrett, nelle sue audizioni in commissione del Senato americano per la sua candidatura a giudice della Corte Suprema USA, proposta dal presidente Donald Trump, sta subendo un fuoco di sbarramento da parte di esponenti del Partito democratico a causa della sua fede cattolica. Le viene infatti obiettato che, a causa della sua fede, non potrebbe essere un giudice imparziale. E’ la stessa cosa che accadde al candidato presidente John F. Kennedy, un membro del Partito Democratico. Gli si obiettava che, a causa della sua fede, non potesse essere un presidente super partes. Ecco come Kennedy rispose a quelle obiezioni. E’ bene che i Democratici di oggi prendano insegnamento dal dai Democratici di allora.
Il 12 settembre 1960, il candidato alla presidenza John F. Kennedy tenne un importante discorso alla Greater Houston Ministerial Association, un gruppo di ministri protestanti, sulla questione della sua religione. All’epoca, molti protestanti si chiesero se la fede cattolica romana di Kennedy gli avrebbe permesso di prendere importanti decisioni nazionali come presidente indipendente dalla Chiesa. Kennedy affrontò queste preoccupazioni davanti a un pubblico scettico del clero protestante. Quella che segue è una trascrizione del discorso di Kennedy.
La proposta del discorso e la sua traduzione è a cura di Maurizio Patti.
Kennedy: Rev. Meza, Rev. Reck, le sono grato per il suo generoso invito a esprimere la mia opinione.
Mentre la cosiddetta questione religiosa è necessariamente e propriamente l’argomento principale qui stasera, voglio sottolineare fin dall’inizio che abbiamo questioni molto più critiche da affrontare nelle elezioni del 1960: la diffusione dell’influenza comunista, fino a quando non si sarà ridotta a 90 miglia al largo della costa della Florida; il trattamento umiliante del nostro presidente e vicepresidente da parte di coloro che non rispettano più il nostro potere; i bambini affamati che ho visto in West Virginia; gli anziani che non possono pagare le spese mediche; le famiglie costrette a rinunciare alle loro fattorie; un’America con troppi bassifondi, con troppe baraccopoli, con troppe poche scuole, e troppo tardi per andare sulla luna e nello spazio.
Questi sono i veri temi che dovrebbero decidere questa campagna. E non sono questioni religiose – perché la guerra e la fame e l’ignoranza e la disperazione non conoscono barriere religiose.
Ma siccome io sono cattolico, e nessun cattolico è mai stato eletto presidente, i veri problemi di questa campagna sono stati oscurati – forse deliberatamente, in alcuni ambienti meno responsabili di questo. Quindi è apparentemente necessario che io affermi ancora una volta non in che tipo di chiesa credo – perché questo dovrebbe essere importante solo per me – ma in che tipo di America credo.
Credo in un’America dove la separazione tra Chiesa e Stato è assoluta, dove nessun prelato cattolico direbbe al presidente (se fosse cattolico) come comportarsi, e nessun ministro protestante direbbe ai suoi parrocchiani per chi votare; dove nessuna chiesa o scuola ecclesiastica abbia fondi pubblici o preferenze politiche; e dove a nessun uomo viene negato un incarico pubblico solo perché la sua religione è diversa. Credo in un’America che non è ufficialmente né cattolica, né protestante, né ebrea; dove nessun funzionario pubblico chiede o accetta istruzioni di ordine pubblico dal Papa, dal Consiglio Nazionale delle Chiese o da qualsiasi altra fonte ecclesiastica; dove nessun organismo religioso cerca di imporre la sua volontà direttamente o indirettamente alla popolazione in generale o agli atti pubblici dei suoi funzionari; e dove la libertà religiosa è così indivisibile che un atto contro una chiesa è trattato come un atto contro tutti. Perché mentre quest’anno è essere un cattolico contro il quale è puntato il dito del sospetto, in altri anni è stato, e potrebbe essere un giorno di nuovo, un ebreo – o un quacchero o un’unitaria o un battista. Sono state le vessazioni della Virginia nei confronti dei predicatori battisti, per esempio, che hanno contribuito a portare allo statuto della libertà religiosa di Jefferson. Oggi potrei essere io la vittima, ma domani potresti essere tu – fino a quando l’intero tessuto della nostra società armoniosa non sarà strappato in un momento di grande pericolo nazionale.
Infine, credo in un’America dove l’intolleranza religiosa un giorno finirà; dove tutti gli uomini e tutte le chiese saranno trattati allo stesso modo; dove ogni uomo avrà lo stesso diritto di frequentare o meno la chiesa di sua scelta; dove non ci sarà nessun voto cattolico, nessun voto anti-cattolico, nessun voto di blocco di alcun tipo; e dove cattolici, protestanti ed ebrei, sia a livello laico che pastorale, si asterranno da quegli atteggiamenti di disprezzo e divisione che hanno così spesso guastato le loro opere in passato, e promuoveranno invece l’ideale americano di fratellanza. Questo è il tipo di America in cui credo. E rappresenta il tipo di presidenza in cui credo – una grande carica che non deve essere umiliata facendone lo strumento di un qualsiasi gruppo religioso, né offuscata da un arbitrario rifiuto di occupare i membri di un qualsiasi gruppo religioso. Credo in un presidente le cui opinioni religiose sono un affare privato, non imposto da lui alla nazione, né imposto dalla nazione come condizione per ricoprire tale carica.
Non guarderei con favore a un presidente che lavora per sovvertire le garanzie di libertà religiosa del Primo Emendamento. Né il nostro sistema di controlli e contrappesi glielo permetterebbe. E non guardo con favore nemmeno a coloro che si adopererebbero per sovvertire l’articolo VI della Costituzione richiedendo una prova religiosa – anche per indietreggiamento – per esso. Se non sono d’accordo con questa salvaguardia, dovrebbero essere fuori a lavorare apertamente per abrogarla.
Voglio un capo dell’esecutivo i cui atti pubblici siano responsabili nei confronti di tutti i gruppi e non obbligati ad alcuno; che possa partecipare a qualsiasi cerimonia, servizio o cena che il suo ufficio possa opportunamente richiedergli; e il cui adempimento del giuramento presidenziale non sia limitato o condizionato da alcun giuramento religioso, rituale o obbligo. Questo è il tipo di America in cui credo, e questo è il tipo per cui ho combattuto nel Pacifico del Sud, e il tipo per cui mio fratello è morto in Europa. Nessuno suggeriva allora che potessimo avere una “lealtà divisa”, che non credessimo nella libertà, o che appartenessimo a un gruppo sleale che minacciasse le “libertà per le quali i nostri antenati morirono”.
E infatti, questo è il tipo di America per la quale i nostri antenati sono morti, quando sono fuggiti qui per sfuggire ai giuramenti di prova religiosi che negavano la carica ai membri delle chiese meno favorite; quando hanno combattuto per la Costituzione, la Carta dei diritti e lo Statuto della libertà religiosa della Virginia; e quando hanno combattuto nel santuario che ho visitato oggi, l’Alamo. Perché accanto a Bowie e Crockett sono morti McCafferty e Bailey e Carey. Ma nessuno sa se erano cattolici o no, perché non c’è stata una prova religiosa all’Alamo.
Vi chiedo stasera di seguire questa tradizione, di giudicarmi sulla base della mia storia di 14 anni di Congresso, delle mie dichiarazioni contro un ambasciatore in Vaticano, contro l’aiuto incostituzionale alle scuole parrocchiali, e contro qualsiasi boicottaggio delle scuole pubbliche (che io stesso ho frequentato) – invece di giudicarmi sulla base di questi opuscoli e pubblicazioni che tutti noi abbiamo visto selezionare accuratamente citazioni fuori contesto dalle dichiarazioni dei leader della Chiesa cattolica, di solito in altri Paesi, spesso in altri secoli, e sempre omettendo, naturalmente, la dichiarazione dei vescovi americani del 1948, che sostenevano fortemente la separazione tra Chiesa e Stato, e che riflette più o meno il punto di vista di quasi tutti i cattolici americani. Non considero queste altre citazioni vincolanti per i miei atti pubblici. Perché dovresti? Ma lasciatemi dire, rispetto ad altri Paesi, che sono totalmente contrario all’uso dello Stato da parte di qualsiasi gruppo religioso, cattolico o protestante, per costringere, proibire o perseguitare il libero esercizio di qualsiasi altra religione. E spero che voi ed io condanniamo con uguale fervore quelle nazioni che negano la loro presidenza ai protestanti e quelle che la negano ai cattolici. E piuttosto che citare i misfatti di coloro che sono diversi, vorrei citare il resoconto della Chiesa cattolica in nazioni come l’Irlanda e la Francia, e l’indipendenza di statisti come Adenauer e De Gaulle.
Ma lasciatemi sottolineare ancora una volta che queste sono le mie opinioni. Perché, contrariamente all’uso comune dei giornali, io non sono il candidato cattolico alla presidenza. Sono il candidato alla presidenza del Partito democratico, che si dà il caso sia anche cattolico. Io non parlo per la mia chiesa su questioni pubbliche, e la chiesa non parla per me.
Qualunque sia la questione che mi si presenta come presidente – sul controllo delle nascite, sul divorzio, sulla censura, sul gioco d’azzardo o su qualsiasi altro argomento – prenderò la mia decisione in accordo con queste opinioni, in accordo con ciò che la mia coscienza mi dice essere l’interesse nazionale, e senza riguardo alle pressioni o ai dettami religiosi esterni. E nessun potere o minaccia di punizione potrebbe indurmi a decidere altrimenti.
Ma se mai dovesse arrivare il momento – e non ammetto che un conflitto sia anche solo lontanamente possibile – in cui la mia carica mi chiedesse di violare la mia coscienza o di violare l’interesse nazionale, allora mi dimetterei dalla carica; e spero che qualsiasi funzionario pubblico coscienzioso faccia lo stesso.
Ma non intendo scusarmi per queste opinioni con i miei critici di fede cattolica o protestante, né intendo rinnegare le mie opinioni o la mia chiesa per vincere queste elezioni.
Se dovessi perdere sulle questioni reali, tornerò al mio posto in Senato, soddisfatto di aver fatto del mio meglio e di essere stato giudicato con equità. Ma se questa elezione viene decisa sulla base del fatto che 40 milioni di americani hanno perso la possibilità di diventare presidente il giorno del battesimo, allora sarà l’intera nazione a perdere – agli occhi dei cattolici e dei non cattolici di tutto il mondo, agli occhi della storia, e agli occhi del nostro stesso popolo.
Ma se, d’altra parte, dovessi vincere le elezioni, allora dedicherò ogni sforzo della mente e dello spirito a compiere il giuramento della presidenza – praticamente identico, potrei aggiungere, al giuramento che ho fatto per 14 anni nel Congresso. Infatti, senza alcuna riserva, posso “giurare solennemente di esercitare fedelmente la carica di presidente degli Stati Uniti, e di preservare, proteggere e difendere al meglio la Costituzione, che Dio mi aiuti”.
La giudice nominata alla Corte Suprema Amy Coney Barrett è stata attaccata per aver usato il termine “preferenza sessuale” invece di “orientamento sessuale” nel contesto del “matrimonio” omosessuale. Nel frattempo, alcuni leader democratici, incluso il candidato alla presidenza Joe Biden, hanno usato la stessa terminologia senza alcuna critica.
Ce ne parla Martin Bürger nel suo articolo pubblicato su Lifesitenews, nella traduzione di Riccardo Zenobi.
La giudice nominata alla Corte Suprema Amy Coney Barrett è stata attaccata per aver usato il termine “preferenza sessuale” invece di “orientamento sessuale” nel contesto del “matrimonio” omosessuale. Nel frattempo, alcuni leader democratici, incluso il candidato alla presidenza Joe Biden, hanno usato la stessa terminologia senza alcuna critica.
In risposta alla senatrice Dianne Feinstein (D-CA), Barrett aveva detto durante le udienze di conferma di questa settimana davanti alla commissione giudiziaria del Senato: “Non ho mai discriminato sulla base della preferenza sessuale e non avrei mai discriminato sulla base della preferenza sessuale. Come il razzismo, penso che la discriminazione sia abominevole “.
Poco dopo, durante la stessa udienza, la senatrice Mazie Hirono (D-HI) ha attaccato Barrett per i suoi commenti.
“Non una ma due volte hai usato il termine ‘preferenza sessuale’ per descrivere coloro che fanno parte della comunità LGBTQ”, ha detto. “E lasciatemi chiarire:” preferenza sessuale “è un termine offensivo e obsoleto. È usato dagli attivisti anti-LGBTQ per suggerire che l’orientamento sessuale è una scelta. Non lo è. L’orientamento sessuale è una parte fondamentale dell’identità di una persona. Che l’orientamento sessuale è sia un’espressione normale della sessualità umana che immutabile era una parte fondamentale dell’opinione della maggioranza in Obergefell, con cui, tra l’altro, Scalia non era d’accordo. “
“Quindi, se è tua opinione che l’orientamento sessuale sia solo una preferenza, come hai notato, la comunità LGBTQ dovrebbe giustamente preoccuparsi della tua volontà di difendere il loro diritto costituzionale di sposarsi”, ha aggiunto Hirono.
Gli osservatori conservatori si sono affrettati a sottolineare che lo stesso Joe Biden ha usato il termine “preferenza sessuale” in passato, anche solo pochi mesi fa.
Come riportato da The Daily Wire, Biden ha detto durante una tavola rotonda virtuale a maggio: “Questa volta avrò bisogno di voi per aiutare a ricostruire la spina dorsale di questo paese, la classe media, ma questa volta porta tutti con te indipendentemente da colore, preferenze sessuali, il loro background, se ne hanno … Solo portate tutti con voi”.
Il Washington Free Beacon ha pubblicato una raccolta video di eminenti democratici che usano il termine.
Due dei Democratici citati nel video sono membri della Commissione Giudiziaria del Senato, vale a dire il Sens. Richard Blumenthal (D-CT) e Dick Durbin (D-IL).
Il video presenta anche diversi membri democratici della Camera dei rappresentanti, così come l’ex sindaco di Philadelphia, Michael Nutter.
Anche la giudice pro-aborto e pro-omosessualità Ruth Bader Ginsburg, l’icona progressista morta a settembre, aveva parlato di “preferenza sessuale”.
Anche il Washington Post – certamente non un giornale conservatore – ha ammesso, “un sacco di figure a sinistra – tra cui il candidato alla presidenza democratica Joe Biden e il defunto giudice Ruth Bader Ginsburg, che Barrett spera di sostituire all’alta corte – hanno usato il termine, che è stato considerato accettabile fino a dieci o due anni fa”.
E durante un evento in municipio proprio questa settimana, Biden ha commentato: “L’idea che un bambino di 8 anni o di 10 anni decida, ‘sai, ho deciso di voler essere transgender, questo è quello che penso io, mi piacerebbe esserlo, mi renderebbe la vita molto più facile’ – Non dovrebbe esserci discriminazione”.
Non è del tutto chiaro dalla formulazione se l’ex vicepresidente stesse dicendo che un bambino prende la decisione di dichiarare di essere un membro del sesso opposto, il che indicherebbe che è una preferenza.
I suoi commenti potrebbero anche essere interpretati nel senso che non si tratta di una decisione, poiché il bambino non deciderebbe di rendere la sua vita più difficile affermando di essere un membro del sesso opposto.
In ogni caso, Biden “ha approvato esplicitamente i cambiamenti di sesso per i bambini di appena otto anni”, come sottolineato da Frank Cannon, presidente dell’American Principles Project.
“Secondo Joe Biden, un bambino troppo piccolo per andare a vedere un film di Avengers può decidere di avere il proprio corpo alterato in modo permanente attraverso un intervento chirurgico e iniezioni chimiche”, ha continuato. “Gli alunni di seconda o terza elementare sono troppo giovani per comprendere le basi della sessualità umana, figuriamoci per prendere decisioni così irreversibili. Mutilare i bambini in questo modo è una forma di abuso sui minori e gli americani, con un enorme margine, non credono che i bambini così giovani dovrebbero sottoporsi a tali procedure”.
In un tweet, l’American Principles Project ha notato che la maggior parte dei bambini all’età di otto anni ha raggiunto le pietre miliari dello sviluppo di essere in grado di allacciarsi i lacci delle scarpe e disegnare una forma di diamante.
Barrett, nel frattempo, ha semplicemente detto che “certamente non intendevo usare un termine che avrebbe causato alcuna offesa alla comunità LGBT”.
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