PG: FRATELLI TUTTI? NON È UN’ENCICLICA, È UNO SPOT PUBBLICITARIO.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Pezzo Grosso ha letto “Fratelli tutti”. Secondo me non gli è piaciuta. Secondo voi? Leggete e date un’opinione…
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SAN FRANCESCO SFIDO’ IL SULTANO AL MARTIRIO NEL FUOCO PER CONVERTIRLO.
PAPA FRANCESCO DEDICA UNA ENCICLICA AL SULTANO IMAM DI ABU DHABI...
Caro Tosatti, un cenno al manifesto di Bergoglio titolato “Fratelli tutti”. Mi rifiuto di definirla Enciclica.
Lo chiamerò, spiegando perché, “Spot Pubblicitario” con tanto di testimonial, per dividere ancor più il sempre più diviso mondo piccolo cattolico.
Già è stata definita Enciclica del migrante, Enciclica statalista, l’Enciclica di Bill Gates, ecc.
Invece questa è (lo dico provocatoriamente) l’Enciclica della fine della civiltà cristiana e della Chiesa cattolica apostolica romana.
Scritta da varie persone (molti stili diversi) di infimo livello, intorno a Santa Marta,ma con una arroganza mai vista, perfino oltraggiante l‘intelligenza dei cattolici rimasti.
Basta evidenziare nella premessa del documento la manifesta volontà di ignorare la verità su san Francesco che andò nel 1219 in Terrasanta esclusivamante per convertire i musulmani, anche a costo del martirio,tanto che sfidò il sultano a a convertirsi dopo la sua famosa prova del fuoco (si suggerisca al papa quando andrà ad Assisi di dare un’occhiata all’affresco di Giotto).
Questo documento è destinato ad accrescere il conflitto nel mondo cattolico, a dividere più che mai con la scusa di una verità (la fratellanza) che si presta a troppe interpretazioni contraddittorie.
Papa Francesco dichiara che gli è stata ispirata dall’Imam Ahmad Al Tayyeb ad Abu Dabi.
Non aveva niente di meglio per trarre ispirazione per una Enciclica cattolica?
O si tratta di sottomissione ecumenica pura e semplice in un documento di Magistero?
E’ proprio vero che l’ecumenismo sarà l’eresia del XXI secolo.
La dichiara anche ispirata da quattro personaggi: sanFrancesco, Martin Luther King, Desmond Tutu e Gandhi. A parte san Francesco (che il papa continua ad interpretare sempre arbitrariamente) gli altri tre son personaggi di grande prestigio, attivisti per i diritti umani.
Tanto simbolici da esser utilizzati spesso persino per campagne pubblicitarie: ricordate lo spot di Telecom con Gandhi testimonial? (comunicare, via telefono, la pace).
Ricordate lo spot Fiat-Chrysler con Martin Luther King testimonial con il famoso sermone di Atlanta?
Oggi il papa li usa come testimonial per comunicare la fratellanza? Quale?
Papa Francesco in questo documento comunica in modo contraddittorio ed ambiguo, senza mai spiegere il perché, che c’è diritto di emigrare e di esser integrati, ma bisognerebbe permetter al migrante di stare a casa sua…
Ma noi abbiamo il dovere di integrare, garantendo però loro libertà culturale e religiosa. Sai che dibattiti confondenti e divisori genererà questo concetto ambiguo e fumoso…
Comunica anche che il sovranismo è cattivo (senza spiegare perchè), creando un dibattito politico conflittuale e divisorio…
Comunica che la proprietà privata, capitalismo, finanza, vanno cambiati (sempre senza sapere il perché e spiegarlo), ma soprattutto non ci dice come.
A meno che non stia pensando a qualche forma utopistica di solidarietà predistributiva e antimeritocratica. Forse ce lo spiegheranno al Convegno di Assisi sull’Economy of Francesco.
Anche se è evidente che proporranno Stato, più Stato, statalismo che controlli tutto, stabilisca le regole del gioco e ridimensioni il privato, avido, egoista, rapinatore, che “oltraggia la natura e produce la sua vendetta: il Covid 19″. (L’ho sentito nell’omelia alla santa messa di oggi)
Comunica però anche un qualcosa a cui alcuni cattolici sono ancora sensibili.
Comunica che al papa del peccato originale, dei Comandamenti, della Genesi divina,non frega più nulla.
Ecco perchè questo spot pubblicitario mi rifiuto di chiamarlo enciclica.
Questo non è Magistero, è uno spot pubblicitario.
PG
Marco Tosatti
4 Ottobre 2020 32 Commenti
Francesco, il santo per nulla buonista
Un elenco delle distorsioni della figura di san Francesco d’Assisi, di cui oggi ricorre la celebrazione, riempirebbe, da solo, un intero volume. Basti ricordare che se, da una parte, scrittori come Nikos Kazantzakis hanno letteralmente favoleggiato sull’amore giovanile tra Francesco e Chiara d’Assisi, dall’altra studiosi come Anton Rotzetter sono giunti non solo ad accostare il figlio di Pietro Bernardone a istanze femministe, ma pure a vergare frasi tipo «Francesco comprende se stesso come donna», facendone, così, quasi un’icona gender ante litteram. Grande, insomma, è la confusione sulla biografia dell’Assisiate, al punto che uno studioso come il medievista Franco Cardini ha osservato come nessuno, più di lui, sia «stato al tempo stesso più onorato e più tradito».
In effetti, le cattive interpretazioni sul santo di Assisi abbondano anche se, a ben vedere, tra i fraintendimenti sul suo messaggio, ve n’è uno più che più di altri ha avuto successo, vale a dire quello che secondo cui egli sarebbe stato, in sostanza, un mieloso pacifista. Una bufala tale che persino papa Bergoglio, in un’omelia tenuta nel 2013 proprio in omaggio al santo di cui porta il nome, ha sentito il bisogno di precisare: «La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”».
Una puntualizzazione, questa, dalla quale è francamente difficile dissentire anche perché non solo non abbiamo evidenze del presunto pacifismo del Serafico, ma vi sono dati storici inoppugnabili che mostrano come egli, riletto coi canoni dell’odierno politicamente corretto, passerebbe per intollerante e islamofobo. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’intolleranza, è sufficiente ricordare – come fa Guido Vignelli nel suo San Francesco Antimoderno (Fede&Cultura), dando la voce a chi conobbe Francesco – come alla predicazione dell’Assisiate «l’eresia ne rimaneva confusa, la fede della Chiesa ne usciva esaltata, i fedeli si abbandonavano ad un santo giubilo e gli ereti correvano nascondersi».
Che il francescanesimo autentico fosse ben poco ecumenico è altresì suffragato dal fatto che Gerardo da Modena e il beato Leone da Perego, i francescani che per primi svolsero il ruolo inquisitoriale, risultavano appartenenti al gruppo dei fedelissimi del Fondatore, col secondo dei due che si fece conoscere come «famoso predicatore e gran persecutore e vincitore degli eretici». Oltre a quella di intolleranza, si diceva poc’anzi, a san Francesco toccherebbe pure, oggi, la critica di islamofobia. Sì, perché anche se molti tutt’ora lo ignorano, il Serafico partecipò alle vituperate crociate, per la precisione alla quinta crociata, prendendovi parte non come pacificatore bensì come cappellano delle truppe cristiane; il che, a ben vedere, ne mette definitivamente in crisi l’icona pacifista. Ma c’è dell’altro.
Infatti, durante una pausa degli scontri, nel settembre 1219, avvenne un episodio assai significativo: Francesco d’Assisi, affiancato da fra’ Illuminato da Rieti, ebbe la temerarietà di presentarsi al cospetto di Malik al-Kāmil, il sultano d’Egitto, non già per avviare trattative o imbastire un fecondo dialogo né negoziare una tregua, come vi sarebbe da aspettarsi alla luce dello stereotipo del santo tramandatoci; no: l’Assisiate gli si rivolse col tentativo – plateale – di convertirlo e, ancora prima, di rivendicare le ragioni dei crociati.
«Gesù ha voluto insegnarci – furono infatti le parole del Poverello – che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo». Parole all’udire le quali non risulta, almeno stando alle fonti, il sultano si sia scomposto.
Accadde però che mentre san Francesco era alla sua corte, costui tentò di metterlo alla prova. Così il sultano, un giorno, fece stendere dinnanzi al Serafico un tappeto decorato di croci e chiedendogli di calpestarlo per venirgli incontro. Se il frate verrà – era il suo pensiero – calpesterà il suo credo, ma se egli non lo farà mi mancherà di rispetto. Ebbene, l’Assisiate stupì tutti andando incontro al monarca e così motivando la sua scelta: «Noi possediamo la vera croce del Signore e l’adoriamo, a voi invece sono state lasciare le croci dei due ladroni». Un’affermazione, ancora una volta, pesante e distante anni luce dall’icona del pacifista col saio.
L’avversione che il santo nutriva verso l’islam è suffragata pure dal fatto che arrivò a spedire dei frati in Marocco col preciso scopo di annunciare il cristianesimo e, si ricorda nel testo del già citato Vignelli, di «combattere la legge di Maometto». Tanto è vero che cinque di quegli eroici frati, nel gennaio 1220, furono arrestati, torturati e decapitati dal califfo di Marrakesh, nelle cui terre andavano predicando ai mussulmani che Maometto «guida su una strada falsa e menzognera che vi condurrà all’Inferno, dove ora viene eternamente tormentato insieme ai suoi seguaci». Una ennesima conferma di quanto politicamente scorrettissimo sia francescanesimo, quello vero. E ovviamente censurato.
[Questo articolo è stato pubblicato su La Verità, 4.10.2017, p.10]
https://giulianoguzzo.com/2020/10/04/sanfrancesco/
Catechismo francescano. L'altra verità sul Santo d'Assisi, con Guido Vignelli ed Aurelio Porfiri
SAN FRANCESCO E FRATE ELIA: OTTO SECOLI DI MENZOGNE.
4 Ottobre 2020 12 Commenti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, in occasione della festa di San Francesco l’amico Americo Mascarucci ci ha inviato questa riflessione estremamente interessante, che tenta di far giustizia della patina menzognera incollata nel corso del tempo sulla figura del santo di Assisi. Buona lettura.
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San Francesco e Frate Elia: otto secoli di menzogne
Caro Tosatti
Chi scrive è un devotissimo della figura di San Francesco d’Assisi, il santo “più deformato della storia” come ha giustamente evidenziato la scrittrice Cristina Siccardi in uno dei suoi ultimi libri.
Deformato da una letteratura che, nel tentativo di esaltarne più gli aspetti umani e artificiosamente ideologici che quelli spirituali, ha finito appunto per deformarne la vera natura di “figlio della Chiesa”, la Chiesa del suo tempo, che invece molti storici di sinistra hanno tentato di contrapporgli. Facendo passare il messaggio che San Francesco fosse stato in realtà un “eretico” del suo tempo, uno che era quasi in antitesi alla Chiesa, alle sue istituzioni, nel nome della difesa di un “vangelo integrale” (vedremo più avanti come il papa emerito Benedetto XVI abbia smontato questa teoria).
Una letteratura che non ha risparmiato neanche le persone che gli sono state accanto, ad iniziare da quello che è stato considerato il principale “guastatore” del “francescanesimo puro”, Frate Elia da Cortona. Vittima in realtà di una dubbia letteratura francescana che ha risentito molto degli scontri e delle rivalità scoppiate fra i frati dopo la morte del fondatore.
I tanti pellegrini che quotidianamente affollano la basilica di San Francesco ignorano l’esistenza di Frate Elia o ne hanno un’opinione negativa come ho avuto modo di constatare io stesso, sia nell’ambito della mia attività giornalistica sia in veste di pellegrino.
Eppure frate Elia ha avuto un ruolo di primissimo piano nella storia e nell’evoluzione del francescanesimo. Come mai tanto disinteresse nei suoi confronti? E perché tanta disinformazione su di lui?
Nei Fioretti si racconta ad esempio che San Francesco, quando era ancora in vita, apprese direttamente dal Signore che Frate Elia era dannato e che sarebbe morto fuori dell’ordine. Solo i meriti del santo e le preghiere da questo rivolte al Signore perché avesse pietà di lui e della sua anima, avrebbero poi consentito a frate Elia di morire in grazia di Dio, in pace con la Chiesa e con l’ordine. I Fioretti non sono però fonti storiche, non riportano una cronaca fedele dei fatti e degli avvenimenti raccontati. Essi sono stati più volte riadattati nel corso dei secoli, mantenendo la fedeltà al racconto originario, ma senza evitare l’aggiunta di particolari ed elementi romanzati ritenuti utili a rafforzare l’attualità e la forza del messaggio francescano.
Altre fonti raccontano al contrario di un frate Elia amico e consigliere fidato di San Francesco. Anzi, c’è chi come Tommaso da Celano il primo biografo ufficiale del santo, lo descrive come il discepolo prediletto, il più amato, tanto che sul punto di morire Francesco lo avrebbe addirittura benedetto affidandogli in eredità la guida dei francescani considerandolo il più meritevole.
Frate Elia fu sicuramente fra i primi seguaci di Francesco e fu da questi molto stimato. Altrimenti come spiegare il fatto che dal 1221 al 1227 proprio lui sia stato chiamato a ricoprire l’incarico di vicario generale dell’ordine con San Francesco ancora vivente? (è morto infatti nel 1226) Se fosse stato vero quanto raccontato nei Fioretti, come avrebbe potuto Francesco affidare un incarico così prestigioso ad uno dei suoi frati che sapeva dannato e condannato a morire scomunicato? Frate Elia lascerà l’incarico di vicario generale esattamente un anno dopo la morte del fondatore. Questo starebbe a dimostrare come in realtà San Francesco non avesse mai dubitato della serietà del suo principale collaboratore al di là di possibili divergenze di vedute che possano essere sorte sulla conduzione delle prime comunità.
In realtà la “leggenda nera” su frate Elia nascerà successivamente, nel periodo compreso fra il 1232 ed il 1239 in cui fu successore di Francesco e dunque ministro generale dell’ordine. Indispensabile non tenere conto del contesto storico che si andò sviluppando in seguito alla scomparsa di Francesco. Inevitabili le dispute sulla conduzione dell’ordine e sullo stile di vita da adottare. Nel 1228, esattamente due anni dopo la morte di Francesco, il papa Gregorio IX volle procedere alla sua canonizzazione. Francesco, il poverello d’Assisi, era dunque diventato un santo della Chiesa. La devozione nei suoi confronti era cresciuta a dismisura e si rendeva dunque necessario un rafforzamento ed un maggiore sviluppo dell’ordine da lui fondato. Frate Elia era dell’idea di dover consolidare la presenza dei francescani attraverso la realizzazione di una vasta rete di conventi. Ma questa tesi trovava la forte opposizione dell’ala dei cosiddetti “intransigenti”, i frati cioè legati al rispetto assoluto e senza deroga della regola francescana, contrari a qualsiasi processo riformatore che potesse in qualche maniera allontanare la missione dei francescani dall’esigenza di vivere nella povertà più assoluta. E’ vero, San Francesco aveva scelto di vivere seguendo il Vangelo nella sua rigidità, ma era pur vero che l’ordine francescano in seguito alla sua canonizzazione, necessitava inevitabilmente di una ristrutturazione, che senza infrangere la regola di vita e di condotta imposta da Francesco ai suoi frati, consentisse un maggiore radicamento e sviluppo del francescanesimo. Di questo era convinto anche Gregorio IX che promosse la realizzazione di una nuova basilica dove poter custodire il corpo del santo. Nel 1228, il giorno successivo alla canonizzazione di San Francesco, lo stesso pontefice e frate Elia in qualità di rappresentante dell’ordine minoritico, posarono la prima pietra del redigendo edificio. La nuova basilica venne realizzata su un colle donato ai francescani da Simone di Pucciarello. Sembra che lo stesso Francesco, più volte, in vita, abbia espresso il desiderio di essere sepolto in quel luogo dove venivano solitamente seppelliti i corpi dei condannati a morte.
Diventato ministro generale dell’ordine nel 1232, Frate Elia decise di deviare dal progetto originario e di ampliare la struttura con la creazione di due basiliche sovrapposte, una inferiore e l’altra superiore, e di abbellirle entrambi con raffigurazioni sulla vita del fondatore. Lo scontro con gli intransigenti fu inevitabile. La basilica così come concepita fu considerata uno schiaffo alle regole imposte da Francesco che aveva raccomandato ai frati la realizzazione di chiese il più possibile compatibili con lo stile di vita dell’ordine. Contro Frate Elia iniziò quindi una dura lotta da parte dei cosiddetti rigoristi.
Il principale oppositore di Frate Elia all’interno della famiglia francescana fu l’inglese Aimone da Faversham che organizzò una vera e propria corrente di opposizione, scatenando contro il ministro generale una lotta senza esclusione di colpi con tanto di esposti al papa. A causa dei difficili rapporti fra il papato e l’imperatore del Sacro Romano Impero Federico II di Svevia grande estimatore di Elia, gli esposti di Aimone porteranno alla rimozione del francescano dal vertice dell’ordine ed alla sua scomunica.
Frate Elia era infatti molto stimato da Gregorio IX e al tempo stesso aveva discreti rapporti con Federico II. Da buon francescano si sentiva in dovere di pacificare le opposte fazioni, sfruttando proprio il suo ruolo di mediatore fra il papa e l’imperatore. Gregorio IX sul principio sembrò assecondare i desideri di Frate Elia autorizzandolo a tentare un approccio con Federico II per verificare la fattibilità di un incontro che potesse gettare le basi per una ritrovata armonia. E Frate Elia si mosse di conseguenza incontrando l’imperatore a Pisa nel 1239. Nel frattempo Elia continuava a seguire i lavori della basilica di Assisi e a scontrarsi con i rigoristi che denunciavano quello che consideravano “l’ingente sperpero di risorse e le presunte megalomanie del ministro generale”. In questo contesto ebbe buon gioco Aimone nel condurre la sua lotta ad Elia con l’intento di rimuoverlo dalla guida dell’ordine per sostituirlo con un francescano più vicino alle sue posizioni. Sta di fatto che, ad un certo punto, il papa iniziò a dubitare della fedeltà di Elia nei confronti della Chiesa e a sospettare che, nella disputa politica in corso, si fosse mosso più per favorire l’imperatore. Informato sul fatto che Elia si era incontrato con Federico II a sua insaputa, Gregorio IX perse definitivamente la fiducia nell’attività di mediazione del francescano comminandogli la scomunica, senza retrocedere di un millimetro neanche di fronte alle spiegazioni che Elia prontamente fornì in sua difesa per smontare le accuse dei suoi detrattori e dimostrare la sua assoluta fedeltà al papato. Non gli restò che ripiegare sull’amicizia dell’imperatore che lo accolse nella sua corte e, consapevole delle sue capacità in campo politico e diplomatico, non mancò di affidargli prestigiosi incarichi.
Una storiografia avversa e pregiudizialmente ostile ha cercato di accreditare l’idea che Elia avesse intrattenuto realmente rapporti segreti con Federico II all’insaputa del papa tramando contro Gregorio IX. Peccato però che nessuna fonte sia stata giudicata attendibile al riguardo visto che, certe accuse, sono sempre arrivate da persone chiaramente animate da motivi di ostilità verso di lui.
Fra Salimbene de Adam esponente dell’ala spiritualistica dell’ordine ad esempio, è l’autore della Cronica, una raccolta di notizie e racconti sulle principali vicende del XIII secolo. Salimbene parla accuratamente dei rapporti fra Elia e l’imperatore avanzando l’ipotesi delle trame segrete antipapiste fra il frate e Federico II. Tuttavia le sue cronache al riguardo sono state giudicate poco attendibili ed ispirate da evidenti pregiudizi anti imperiali. Si dà infatti il caso che il padre di Salimbene fosse contrario all’ingresso del figlio nell’ordine francescano e abbia chiesto l’aiuto dell’imperatore per riaverlo in casa. Federico II si mosse presso frate Elia, allora ministro generale dell’ordine, pregandolo di esaudire la richiesta dell’uomo e di rimandare Salimbene a casa. Pare che il giovane non abbia affatto gradito l’intervento dell’imperatore, né tantomeno il fatto che frate Elia si sia intromesso nella disputa fra il giovane ed il padre. Nella Cronica Salimbene fa poi riferimento ad una lettera che Federico II avrebbe inviato ad Elia, anche questa utilizzata per screditare l’affidabilità del frate nei confronti del papa. Una lettera che in realtà, a detta di alcuni storici, spotrebbe addirittura assolvere Elia dalle accuse di connivenza con il nemico. Se per Salimbene infatti costituisce un’ulteriore prova dei rapporti pregressi fra il frate e l’imperatore, per altri invece altro non sarebbe che un tentativo dell’imperatore di ammorbidire le posizioni dei francescani troppo favorevoli al papa ed in parte ostili all’imperatore. Prendendo a pretesto l’anniversario della beatificazione di Elisabetta d’Ungheria, Federico II scrive a frate Elia esaltando la figura delle beata sua parente, evidenziando la sua continuità con San Francesco ed esprimendo ammirazione per l’ordine francescano. Un tentativo di ottenere benevolenza presso l’ordine stesso tutt’altro che favorevole alla sua politica antipapista.
Il perdono papale per Frate Elia arriverà poco prima della morte avvenuta a Cortona nel 1253, città dove scelse di ritirarsi dopo aver abbandonato la corte di Federico II e dove edificò la basilica di San Francesco.
Altro particolare da non sottovalutare riguarda il già citato Salimbene, autore della già citata Cronica. Questi infatti, oltre che pregiudizialmente ostile a Federico II, era un convinto sostenitore delle dottrine dell’abate Gioacchino da Fiore. A tale proposito vale la pena riportare qui quanto scritto dal papa emerito Benedetto XVI nel libro I maestri francescani e domenicani in cui Ratzinger, esponendo la teologia di San Bonaventura da Bagnoregio riferisce quanto segue:
«San Bonaventura, tra i vari meriti, ha avuto quello di interpretare autenticamente e fedelmente la figura di san Francesco d’Assisi, da lui venerato e studiato con grande amore. In particolar modo, ai tempi di san Bonaventura una corrente di Frati minori, detti “spirituali”, sosteneva che con san Francesco era stata inaugurata una fase totalmente nuova della storia, sarebbe apparso il “Vangelo eterno”, del quale parla l’Apocalisse, che sostituiva il Nuovo Testamento. Questo gruppo affermava che la Chiesa aveva ormai esaurito il proprio ruolo storico, e al suo posto subentrava una comunità carismatica di uomini liberi guidati interiormente dallo Spirito, cioè i “Francescani spirituali”. Alla base delle idee di tale gruppo vi erano gli scritti di un abate cistercense, Gioacchino da Fiore, morto nel 1202. Nelle sue opere, egli affermava un ritmo trinitario della storia. Considerava l’Antico Testamento come età del Padre, seguita dal tempo del Figlio, il tempo della Chiesa. Vi sarebbe stata ancora da aspettare la terza età, quella dello Spirito Santo. Tutta la storia andava così interpretata come una storia di progresso: dalla severità dell’Antico Testamento alla relativa libertà del tempo del Figlio, nella Chiesa, fino alla piena libertà dei Figli di Dio, nel periodo dello Spirito Santo, che sarebbe stato anche, finalmente, il periodo della pace tra gli uomini, della riconciliazione dei popoli e delle religioni. Gioacchino da Fiore aveva suscitato la speranza che l’inizio del nuovo tempo sarebbe venuto da un nuovo monachesimo. Così è comprensibile che un gruppo di Francescani pensasse di riconoscere in san Francesco d’Assisi l’iniziatore del tempo nuovo e nel suo Ordine la comunità del periodo nuovo, la comunità del tempo dello Spirito Santo, che lasciava dietro di sé la Chiesa gerarchica, per iniziare la nuova Chiesa dello Spirito, non più legata alle vecchie strutture. Vi era dunque il rischio di un gravissimo fraintendimento del messaggio di san Francesco, della sua umile fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, e tale equivoco comportava una visione erronea del Cristianesimo nel suo insieme».
«San Bonaventura, che nel 1257 divenne Ministro Generale dell’Ordine Francescano – scrive ancora Ratzinger – si trovò di fronte ad una grave tensione all’interno del suo stesso Ordine a causa appunto di chi sosteneva la menzionata corrente dei “Francescani spirituali”, che si rifaceva a Gioacchino da Fiore. Proprio per rispondere a questo gruppo e ridare unità all’Ordine, san Bonaventura studiò con cura gli scritti autentici di Gioacchino da Fiore e quelli a lui attribuiti e, tenendo conto della necessità di presentare correttamente la figura e il messaggio del suo amato san Francesco, volle esporre una giusta visione della teologia della storia. San Bonaventura affrontò il problema proprio nell’ultima sua opera, una raccolta di conferenze ai monaci dello studio parigino, rimasta incompiuta e giuntaci attraverso le trascrizioni degli uditori, intitolata Hexaëmeron, cioè una spiegazione allegorica dei sei giorni della creazione. I Padri della Chiesa consideravano i sei o sette giorni del racconto sulla creazione come profezia della storia del mondo, dell’umanità. I setti giorni rappresentavano per loro sette periodi della storia, più tardi interpretati anche come sette millenni. Con Cristo saremmo entrati nell’ultimo, cioè il sesto periodo della storia, al quale seguirebbe poi il grande sabato di Dio. San Bonaventura suppone questa interpretazione storica del rapporto dei giorni della creazione, ma in un modo molto libero ed innovativo. Per lui due fenomeni del suo tempo rendono necessaria una nuova interpretazione del corso della storia Il primo: la figura di san Francesco, l’uomo totalmente unito a Cristo fino alla comunione delle stimmate, quasi un alter Christus, e con san Francesco la nuova comunità da lui creata, diversa dal monachesimo finora conosciuto. Questo fenomeno esigeva una nuova interpretazione, come novità di Dio apparsa in quel momento. Il secondo: la posizione di Gioacchino da Fiore, che annunziava un nuovo monachesimo ed un periodo totalmente nuovo della storia, andando oltre la rivelazione del Nuovo Testamento, esigeva una risposta. Da Ministro Generale dell’Ordine dei Francescani, san Bonaventura aveva visto subito che con la concezione spiritualistica, ispirata da Gioacchino da Fiore, l’Ordine non era governabile, ma andava logicamente verso l’anarchia. Due erano per lui le conseguenze: La prima: la necessità pratica di strutture e di inserimento nella realtà della Chiesa gerarchica, della Chiesa reale, aveva bisogno di un fondamento teologico, anche perché gli altri, quelli che seguivano la concezione spiritualista, mostravano soltanto un apparente fondamento teologico. La seconda: pur tenendo conto del realismo necessario, non bisognava perdere la novità della figura di san Francesco».
Da quanto scrive Benedetto XVI appare chiaro, alla luce della teologia di san Bonaventura come le teorie degli spirituali fossero errate prendendo a pretesto ed in parte deformando le tesi di Gioacchino da Fiore. Appare quindi poco attendibile anche la Cronica di Salimbene De Adam che proprio in Gioacchino da Fiore trovava linfa per sostenere le sue convinzioni.
E’ doveroso a questo punto però presentare il personaggio di Frate Elia da Cortona nella giusta chiave d’interpretazione smentendo le calunnie che su di lui sono state costruite nel corso dei secoli e che, nemmeno i suoi diretti discendenti, ovvero i “francescani conventuali” custodi del sacro convento di Assisi hanno mai avvertito il bisogno di confutare. Frate Elia fu uno dei primi discepoli di San Francesco e questo è un dato di fatto. Era, se non il prediletto, uno dei più fidati amici e collaboratori di San Francesco e godeva della sua piena fiducia. Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che nel 1221, quando San Francesco era ancora in vita, alla morte di Pietro Cattani, proprio a lui fu affidato l’incarico di vicario generale dell’ordine. A Frate Elia si deve la realizzazione della basilica di Assisi dove è custodito il corpo di san Francesco. Si può sostenere tranquillamente che la basilica rappresenti una vistosa deroga alle regole di vita e di condotta di San Francesco. Benissimo ma va tenuto conto del fatto che San Francesco non era più semplicemente il “poverello d’Assisi”, il fondatore di un ordine mendicante, ma un santo della Chiesa Cattolica la cui venerazione, anche grazie al miracolo delle stimmate, si stava espandendo a macchia d’olio in tutto il mondo conosciuto. Da ogni parte arrivava gente ad Assisi desiderosa di pregare sulla tomba del santo ed in più i francescani iniziavano ad essere richiesti ovunque. Una devozione quella per San Francesco che non poteva non coinvolgere anche il campo artistico; non esistendo all’epoca la possibilità di documentare tutto con fotografie o video, la pittura diventava, insieme alla scrittura, l’unico fondamentale strumento di diffusione della storia e di rappresentazione delle vicende legate alla vita del santo. Quanto alla scomunica papale fu comminata per ragioni prettamente politiche e non religiose, a causa del desiderio di pace che animava l’azione di Frate Elia, convinto di poter riportare armonia nei rapporti fra il papato e l’impero. Le tensioni del momento, cui vanno assommate le false notizie fatte arrivare al papa dai nemici di frate Elia, porteranno Gregorio IX a perdere la fiducia fino a quel momento coltivata nel francescano e a scomunicarlo per la sua troppa vicinanza all’imperatore. Tutto il resto, le trame con l’imperatore, la passione per l’alchimia e l’esoterismo, sono tutte notizie provenienti da fonti non attendibili, pregiudizialmente ostili al frate ed all’imperatore e diffuse ad arte per screditare l’uomo che, dopo la morte di San Francesco, aveva tentato seppur in maniera discutibile, di fare grande il suo ordine.
Americo Mascarucci – giornalista e scrittore
https://www.marcotosatti.com/2020/10/04/san-francesco-e-frate-elia-otto-secoli-di-menzogne/
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