Nuove traduzioni. Le ragioni dei dotti e quelle dei semplici
Cari amici di Duc in altum, ho ricevuto dal lettore Mario Grifone questo contributo, che volentieri condivido.
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Caro Valli, noto che si fa un gran parlare delle recenti modifiche alla liturgia della Messa sia a favore, con argomentazioni dottissime, sia contro, con altrettante ragioni. Ho letto commenti anche in merito a quelle poche righe in calce alla mia lettera che ha gentilmente pubblicato una decina di giorni fa.
Volevo, se me lo consente, fare qualche considerazione da cristiano comune, quidam de populo, come mi definisco. Premesso che non mi sembra che questa mini-riforma fosse richiesta a gran voce dal popolo cristiano al quale la liturgia, forse anche per abitudine, andava bene così com’era, noto, invece, che quanto pensato dai nostri illustri liturgisti non stia riscontrando un gran consenso.
Mi soffermo su qualche punto: nella preghiera liturgica più comune è stata sostituita la frase “Ti preghiamo Dio Onnipotente santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo” con “Santifica questi doni con la rugiada dello Spirito”… Non metto in dubbio, come ha scritto qualcuno, che il termine rugiada ricorra in vari passi delle Scritture e proprio in riferimento allo Spirito Santo, tuttavia, così come è formulata, questa rugiada sembra un prodotto succedaneo che arriva da chissà dove; inoltre l’eliminazione del pronome tuo davanti a Spirito lo fa apparire come qualcosa di sganciato da Dio. Nella formula originale il semplice cristiano vedeva richiamata tutta la Trinità, dall’invocazione a Dio, all’effusione dello Spirito Santo con il corpo e il sangue di Gesù. Lo stesso termine effusione richiamava il sangue che di lì a poco il Signore avrebbe versato per noi. Più avanti la frase “Egli consegnandosi volontariamente alla passione”, al posto di “Egli offrendosi liberamente alla sua passione”, mi fa pensare più a un malfattore che si consegna alla giustizia piuttosto che al Salvatore che offre tutto se stesso per la nostra redenzione.
Prima della comunione l’invocazione “Beati gli invitati alla cena del Signore ecco l’Agnello di Dio…”, adesso è stata capovolta “Ecco l’agnello… Beati gli invitati alla cena dell’agnello”. A parte la ripetizione del termine agnello che da un punto di vista linguistico i bravi insegnanti di una volta correggevano a matita rossa, non si capisce perché la cena non è più del Signore. Va bene che è lui l’agnello, ma dava forse fastidio a qualcuno essere invitato alla sua cena? Sarà forse un cedimento alla moda animalista del momento, vai a capire.
E veniamo al Padre nostro. Tralascio la polemica sull’indurre in tentazione sostituito con abbandonarci alla tentazione, già ampiamente sviscerata anche nel suo blog. Nessuno invece si è soffermato sull’aggiunta della congiunzione “anche” nella parte finale: rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. Devo dire che inizialmente anch’io ci ho fatto poco caso, sembrandomi un semplice rafforzativo, ma poiché nella liturgia ogni parola, verbo, congiunzione ha un preciso significato e non è messa a caso, mi sono chiesto per quale motivo si sia voluto aggiungere questa congiunzione. Sarà forse un mio abbaglio, ma mi sembra che in questo modo si capovolga l’ordine dei fattori. Se nella formula tradizionale Dio rimette i nostri debiti nella misura in cui noi facciamo altrettanto con gli altri (Misericordia e Giustizia), nella nuova formula sembra che Dio sia misericordioso perché anche noi lo siamo (Misericordia senza Giustizia), cosa peraltro tutt’altro che vera.
Ora ci sarà qualche dottissimo critico che, citazioni latine alla mano, mi darà dell’incompetente che vuole discutere di cose più grandi di lui. Tutto vero, ma vorrei ricordare che ai tempi di Gesù i più grandi esegeti del momento, i farisei, non solo non seppero riconoscerlo, ma quando alla fine se lo trovarono davanti lo condannarono a morte, mentre gli umili e gli ignoranti lo accolsero come il Messia.
Non praevalebunt
Mario Grifone
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