ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 26 dicembre 2020

Sotto la Curia la terra trema..?

Dopo l’inganno della Pachamama, a San Pietro si respira il grande vuoto. Sembra che continuino a smantellare tutto. Motus in fine velocior

Nell’atmosfera di “venti di burrasca che soffiano Oltretevere” – a cui oggi il Direttore di Korazym.org ha dedicato un Editoriale [“I ritorni in Vaticano di certi battitori liberi, di certe ombre del passato, non fanno altro che confermare un presupposto: sotto la Curia la terra trema. Il Papa è la punta dell’iceberg o meglio, il capro espiatorio di chi cammina con il volto coperto”] – riportiamo alcune notizie, informazioni, riflessioni e valutazioni, messe a tacere con lo spegnimoccolo, come siamo ormai abituato con la stampa di regime. Invece, sono questioni che per amore di verità vanno affrontate nella trasparenza. A scanso di equivoci, auspicare, favorire e applicare la trasparenza non vuol dire tifare per una o per l’altra parte sul campo di battaglia delle guerre intestine, in corso nella Curia romana ormai da molti decenni, dai tempi del Concilio Vaticano II. Significa cercare la verità.

La mia memoria ritorna spesso al colloquio che ho avuto nel 1984 con il compianto amico Dott. Joaquín Navarro-Valls, medico, psichiatra e giornalista, alcuni mesi prima che diventasse “Il Portavoce”, chiamato da San Giovanni Paolo II a fare il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Questo nostro incontro nel suo Ufficio da corrispondente a Roma per il quotidiano di Madrid ABC – che in seguito mi portò ad essere nominato Segretario di Stato Cardinale Angelo Sodano Assistente della Sala Stampa della Santa Sede – aveva come tema l’urgenza di trasparenza nella comunicazione istituzionale della Santa Sede. Questo auspicio diventò successivamente l’indirizzo programmatico su cui ho lavorato con Navarro-Valls dal 1985 al 2006 e poi, con il suo successore Padre Federico Lombardi, S.I., fino al mio pensionamento alla conclusione dell’anno 2013, 7 mesi dopo l’elezione di Francesco.

Nel frattempo, il Tevere ha portato al mare tanta acqua e anche questa trasparenza, asfaltato nel corso della rottamazione denominata “riforma dei media della Santa Sede”. Lo spegnimoccolo ne è ormai lo strumento simbolico.

Un grande vuoto dopo il culto della pachamama a San Pietro: l’altare papale inutilizzato da mesi
Aldo Maria Valli
Duc in altum, 19 dicembre 2020

In Vaticano è accaduto un fatto di cui nessuno ha parlato. L’altare maggiore della basilica di San Pietro, l’altare usato per le cerimonie presiedute dal Papa e che si trova proprio sopra la tomba di Pietro, è inutilizzato ormai da molti mesi. Sottolineando la circostanza su Twitter, il Professor Armin Schwibach, che vive a Roma da più di trent’anni, lo descrive come un “vuoto simbolico”. Schwibach fa notare che l’altare è rimasto inutilizzato in seguito alle restrizioni introdotte per il Covid-19, ma anche dopo che Papa Francesco, nell’ottobre 2019, contro le regole liturgiche, vi collocò una ciotola contente terra e pianticelle dell’Amazzonia, dedicate alla falsa dea detta Pachamama.


Armin Schwibach, Professore di filosofia e corrispondente da Roma del sito cattolico austriaco Kath.net, ha pubblicato su Twitter il 17 dicembre una foto dell’altare con questo commento: “L’altare papale svuotato e oggi inutilizzato. Una specie di vuoto percettibile al centro della basilica”.


LifeSiteNews ha contattato il Professor Schwibach, chiedendogli di spiegare il significato del suo commento e della foto. Ha riferito che dal lockdown anti-Covid il Papa non ha più offerto il sacrificio della Santa Messa su questo altare. Papa Francesco ha invece celebrato la Messa, ad esempio nella Pasqua di quest’anno, sull’altare della Cattedra di San Pietro, che si trova dietro l’altare maggiore della basilica, e solo con un piccolo gruppo di persone presenti. In un video è possibile verificare che l’altare maggiore è inutilizzato, mentre viene usato quello dietro di esso. Anche il 12 dicembre, festa della Madonna di Guadalupe, Papa Francesco ha celebrato la Messa sull’altro altare, dietro l’altare maggiore, e quando è passato accanto all’altare papale non si è inchinato. Idem per quanto riguarda la Messa in occasione del Concistoro per i nuovi cardinali, il 28 novembre. Per tutti questi mesi, dice Schwibach, l’altare papale è rimasto abbandonato: un vuoto simbolico.


Un leccio (detto anche elce, un albero appartenente alla famiglia Fagaceae e al genere Quercus) proveniente da Assisi piantato dal Papa e due sciamani dell’Ammazonia, nel corso della cerimonia con l’idolo pagano inca, la Pachamama, nei Giardini Vaticani, nel cuore della Chiesa universale, nel giorno della festa di San Francesco, 4 ottobre 2019.

Interpellato da Duc in altum, il Professor Schwibach ha confermato quanto scritto su Twitter ed ha aggiunto: “È innanzitutto una questione di simboli e di sentimenti. La scelta dell’altare della Cattedra secondo me è assai incomprensibile, e strumentale. A ciò si aggiunge lo scempio dell’anno scorso con la Pachamama. Ricordo poi che ancora oggi è a dimora nei giardini vaticani quella famosa quercia piantata con gli sciamani. Sono coincidenze? Secondo me, no. A San Pietro si respira il grande vuoto. La tomba di san Pietro abbandonata. Durante la seconda guerra mondiale Pio XII non usò l’altare maggiore per mesi, ma quello era l’uso preconciliare, mentre era molto più utilizzata la Cappella Sistina, anche per le canonizzazioni”.

Lo scorso anno, per la Messa della veglia natalizia del 24 dicembre 2019, Papa Francesco celebrò sopra l’altare maggiore, con la basilica gremita di fedeli. Quest’anno celebrerà la Messa di mezzanotte alle 19.30, alla presenza di poche persone, e utilizzando l’altare della Cattedra di San Pietro.

L’altare papale, detto anche altare della Confessione (da “confessio”, perché Pietro testimoniò la sua fede con il martirio), è il fulcro della basilica di San Pietro. Sovrastato dal baldacchino realizzato da Gian Lorenzo Bernini, fu consacrato da Papa Clemente nel 1594 ed è situato in perpendicolare sopra la tomba di Pietro.

Il 10 marzo la basilica di San Pietro venne chiusa a causa delle restrizioni contro il Covid e fu utilizzata solo dal Cardinale Angelo Comastri, fino a maggio, per la preghiera del rosario.

La ciotola con la terra e le piante, consegnata al Papa durante l’offertorio e poi posta sopra l’altare maggiore in occasione della Messa di chiusura dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per Pan-Amazonia il 27 ottobre 2019, in precedenza era stata data al Papa da una “sacerdotessa” amazzonica nei giardini vaticani durante una cerimonia pagana il 4 ottobre 2019, all’inizio del sinodo.

Non molto tempo dopo questo evento, Papa Francesco decise di non essere più chiamato, nell’Annuario pontificio 2020, con l’appellativo di Vicario di Cristo, attribuendo a questa espressione il carattere di mero “titolo storico” [“Vicario di Cristo” da primo e sostanziale titolo, rilegato “graficamente” a solo “titolo storico”. Cardinale Müller: “Una barbarie teologica” – 4 aprile 2020]. All’epoca il Professor Schwibach commentò su Twitter: “Sembra che continuino a smantellare tutto”.

Maike Hickson ha intervistato per LifeSiteNews l



’Arcivescovo Carlo Maria Viganò [Arcivescovo Viganò: “Stiamo assistendo alle prove generali per l’instaurazione del regno dell’Anticristo” – 23 dicembre 2020]. Il tema dal quale parte la conversazione – di cui riportiamo di seguito la versione italiana – è il vuoto venutosi a creare nella Basilica Vaticana, dove ormai da mesi, come ha notato Armin Schwibach (poi ripreso dalla stessa Maike Hickson), Francesco non celebra più il Sacrificio Eucaristico all’Altare della Confessione.

Confessione sulla tomba di San Pietro a Roma. Sotto la Cupola della Basilica di San Pietro in Vaticano si trova l’Altare sopra la Confessione, luogo che segnala la tomba di San Pietro. Nella lingua latina, questo termine esprime l’affermazione di una verità fino alla morte: quando un martire versa il proprio sangue per Cristo lo “confessa”, proclamando con un atto di suprema testimonianza la sua fede. Per una doppia rampa di 16 gradini per lato si scende nella Confessione, esedra definita da 74 balaustrini di broccatello alternati a 24 piccoli pilastri con specchiature sia in alabastro orientale sia in marmo bianco e nero. Rivestita sulle pareti e nel pavimento con marmi policromi, essa costituisce architettonicamente la più importante opera in commesso di pietre dure eseguita a Roma nel Seicento e l’ultima opera di tale importanza e ricchezza realizzata con questa tecnica. Nel 1615 Paolo V Borghese incaricò della progettazione l’architetto Carlo Maderno, che concluse il lavoro nel 1618. Oggi è illuminata da 89 fiammelle perenni inserite in eleganti cornucopie bronzee dorate, disegnate da Mattia de’ Rossi. In fondo all’esedra si trova una piccola abside decorata con un mosaico del IX secolo, raffigurante Cristo Benedicente che regge nella mano sinistra un libro aperto sul quale si legge: EGO SUM VIA, VERITAS ET VITA: QUI CREDIT IN ME VIVET. Questa immagine, preziosa per il suo valore simbolico, risale probabilmente al tempo di Leone IV (847-855) ed è l’unico elemento della basilica costantiniana ricollocato sulla tomba di San Pietro. Nel corso dei secoli fu restaurato più volte: l’ultimo intervento, nel 1683, è opera del mosaicista Gaetano Pennacchini, che l’anno seguente consolidò anche i mosaici laterali con San Pietro e San Paolo. La piccola esedra è chiusa da un cancello alto m 2,40 disegnato nella fascia superiore da Nicolas Cordier nel 1604, fuso da Orazio Censore nel 1605 e collocato nel 1617. Le due ante inferiori sono di Onorio Fanelli. Sul prospetto, Ambrogio Buonvicino eseguì le statue in ottone dei Santi Pietro e Paolo, fuse e dorate da Biagio de’ Giusti nel 1616.

L’Arcivescovo Viganò con Maike Hickson
sull’altare papale vuoto
Omnes dii gentium dæmonia. Ps. 95, 5

Maike Hickson: Eccellenza, in un mio recente articolo ho fatto notare che l’Altare Papale della Basilica Vaticana non viene utilizzato da quando fu profanato dall’offerta presentata all’idolo della Pachamama. In quella circostanza, alla presenza di Bergoglio e della sua corte, fu compiuto un gravissimo sacrilegio. Qual è il Suo pensiero in proposito?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: La profanazione della Basilica Vaticana nel corso della cerimonia conclusiva del Sinodo Panamazzonico ha contaminato l’Altare della Confessione, dal momento che sulla sua mensa è stato posto un vaso dedicato al culto infernale della Pachamama. Trovo che questa ed altre analoghe profanazioni di chiese e altari ripropongano in qualche maniera altri gesti analoghi avvenuti nel passato e consentano di comprenderne la vera natura.


Papa Francesco con cardinali e vescovi intorno all’idolo pagano inca, la Pachamama nella Basilica di San Pietro, il 7 ottobre 2019.

Maike Hickson: A cosa si riferisce?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: Mi riferisco a tutte le volte in cui Satana si è scatenato contro la Chiesa di Cristo, dalle persecuzioni dei primi Cristiani alla guerra di Cosroe contro Bisanzio, dalla furia iconoclasta dei Maomettani al Sacco di Roma per mano dei Lanzichenecchi, e poi la Rivoluzione francese, l’anticlericalismo dell’Ottocento, il Comunismo ateo, i Cristeros in Messico e la Guerra civile in Spagna, fino agli esecrabili delitti dei Partigiani comunisti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale e alle forme di cristianofobia che vediamo oggi in tutto il mondo. Ogni volta, invariabilmente, la Rivoluzione – in tutte le sue molteplici varianti – conferma la propria essenza luciferina, lasciando emergere la biblica inimicizia tra la stirpe del Serpente e la stirpe della Donna, tra i figli di Satana e i figli della Vergine Santissima. Non si spiega altrimenti questa ferocia contro la Madonna e i suoi figli.


La fête de la Raison dans Notre-Dame de Paris le 10 novembre 1793. gravure d’après Charles Louis Müller, 9 aprile 1881.

Penso in particolare all’intronizzazione della “dea ragione”, che ebbe luogo il 10 novembre 1793 nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, in pieno Terrore. Anche in quella circostanza l’odio infernale dei rivoluzionari volle sostituire al culto della Madre di Dio il culto di una prostituta, eretta a simbolo della religione massonica, portata a spalle, su una portantina, e collocata in presbiterio. Le analogie con la Pachamama sono molteplici e rivelano la mente infernale che le ispira.



L’idolo pagano inca, la Pachamama portato in processione all’interno della Basilica di San Pietro.

Non dimentichiamo che il 10 agosto 1793, pochi mesi prima della profanazione di Notre-Dame, era stata eretta in piazza della Bastiglia la statua della “dea ragione”, nelle sembianze della dea egizia Iside: è significativo ritrovare questo richiamo ai culti dell’antico Egitto anche nell’orrido presepe che oggi campeggia in Piazza San Pietro. Ovviamente le analogie che riscontriamo in questi eventi si accompagnano anche ad un elemento assolutamente nuovo.


Charles Louis Müller, La fête de la Raison dans Notre-Dame de Paris le 10 novembre 1793, 1880/La statua dell’idolo pagano inca, la Pachamama portata in processione all’interno della Basilica di San Pietro, 7 ottobre 2019.

Maike Hickson: Vorrebbe spiegarci in cosa consiste questo elemento nuovo?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: Mi riferisco al fatto che mentre fino al Concilio – o, a voler essere indulgenti, fino a questo “pontificato” – le profanazioni e i sacrilegi erano compiuti da nemici esterni alla Chiesa, da allora gli scandali vedono coinvolti attivamente i vertici stessi della Gerarchia, nel silenzio colpevole dell’Episcopato e nello scandalo dei fedeli. La chiesa bergogliana sta dando di sé un’immagine sempre più sconcertante, in cui la negazione delle verità cattoliche si accompagna all’affermazione esplicita di un’ideologia intrinsecamente anticattolica e anticristica; e in cui non si nasconde nemmeno più il culto idolatrico di false divinità pagane – ossia dei demoni – che vengono propiziate con atti sacrileghi e profanazioni delle cose sacre. Mettere quel vaso immondo sull’Altare della Confessione è un gesto liturgico, con una precisa valenza e uno scopo non solo simbolico. La presenza di un idolo della “madre terra” è un’offesa diretta a Dio e alla Vergine Santissima, un segno tangibile che spiega in qualche modo le molteplici esternazioni irriverenti di Bergoglio nei riguardi della Madonna.
Non vi è dunque da stupirsi se chi vuole demolire la Chiesa di Cristo e il Papato Romano lo faccia proprio dal più alto Soglio, secondo la profezia di Nostra Signora alla Salette: «Roma perderà la Fede e diverrà sede dell’Anticristo». Mi pare che oggi non si possa più parlare di semplice “perdita della Fede”, ma si debba prendere atto del passo successivo, che si esplicita in una vera e propria apostasia, così come l’iniziale sovversione del culto cattolico con la riforma liturgica si vada evolvendo in una forma di culto pagano che comporta la sistematica profanazione del Santissimo Sacramento – specialmente con l’imposizione della Comunione nella mano, col pretesto del Covid – ed in un’avversione sempre più evidente nei riguardi dell’antica liturgia.
In sostanza, molte forme di iniziale “prudenza” nel dissimulare i veri intenti dei Novatori stanno venendo meno, rivelando la vera natura dell’opera dei nemici di Dio. Il pretesto della preghiera comune per la pace che ad Assisi legittimò lo sgozzamento di polli e altre abominazioni scandalose, oggi non serve più, e si teorizza che la fratellanza tra gli uomini può prescindere da Dio e dalla missione salvifica della Chiesa.


Le statue dell’idolo pagano inca, la Pachamama nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, 12 ottobre 2019. “Hanno portato via il Signore! L’Amazzonia entra in chiesa con un culto pagano. Gesù e la Madonna escono di scena. Al loro posto una statua di un’indigena nuda e incinta adorata abusivamente come Nostra Signora delle Amazzoni, una para-liturgia di avemarie e girotondi tribali, un martirologio con attivisti marxisti come Chico Mendes: il peggio del sincretismo paganeggiante va in scena a pochi metri da San Pietro nella chiesa di Santa Maria in Transpontina con l’imprimatur del Sinodo dei Vescovi. Una statua di un’indigena nuda e incinta adorata abusivamente come Nostra Signora delle Amazzoni, un rito sincretistico fatto di avemarie, danze e girotondi tribali, un martirologio con attivisti marxisti come Chico Mendes. Il tutto sotto gli occhi di Gesù nel tabernacolo della chiesa. Il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ha detto che durante l’assise panamazzonica non ci saranno affatto “riti” pagani. Ma forse il Cardinal Baldisseri non aveva ancora visto quanto andato in scena martedì e mercoledì scorso non distante da lui. Precisamente nella chiesa di Santa Maria in Transpontina dove si è svolto un rito completamente alieno alla fede cattolica. Proprio a due passi dal Vaticano, nella chiesa parrocchiale di via della Conciliazione che in questi giorni di Sinodo è stata letteralmente presa in ostaggio da una specie di “Fuori Sinodo”. Amazzonia Casa Comune. Così si chiama il ricco cartellone di eventi collaterali al Sinodo in cui, tra mostre e incontri, si stanno sperimentando le più astruse liturgie – blasfeme, eretiche, sacrileghe? Giudicate voi – nel segno dell’inculturazione amazzonica. Oggi è il 12 ottobre, data della scoperta dell’America. Ed è anche la data in cui la Chiesa festeggia Nossa Senhora de Aparecida, la Madonna brasiliana per antonomasia. Ma ormai, si è capito, si guarda ad altre divinità (Andrea Zambrano – La Nuova Bussola Quotidiana, 12 ottobre 2019 – Gesù e la Madonna escono di scena).

Maike Hickson: Qual è la Sua valutazione degli eventi a partire dallo scorso Ottobre 2019, in particolare l’abbandono del titolo di Vicario di Cristo da parte di Bergoglio, il fatto che non abbia più celebrato all’Altare Papale e la sospensione della celebrazione pubblica della Messa a Santa Marta [*]?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: Il principio filosofico secondo il quale «Agere sequitur esse» ci insegna che ciascuno si comporta conformemente a come è. Chi rifiuta di farsi chiamare Vicario di Cristo evidentemente ha la percezione che questo titolo non gli si confaccia, o addirittura guarda con disprezzo all’eventualità di essere Vicario di Colui che con le parole e i fatti dimostra di non voler riconoscere e adorare come Dio. O più semplicemente non considera che il proprio ruolo al vertice della Chiesa debba coincidere con il concetto cattolico del Papato, ma con una sua versione aggiornata e “demitizzata”. Allo stesso tempo, non considerandosi Vicario di Cristo, Bergoglio può anche esimersi dal comportarsi come tale, adulterando con disinvoltura il Magistero e dando scandalo all’intero popolo cristiano. Celebrare in pontificalibus all’altare eretto sulla tomba dell’Apostolo Pietro farebbe sparire l’argentino, metterebbe in ombra le sue eccentricità, quell’espressione perpetuamente disgustata che non si perita di dissimulare ogniqualvolta che celebra le funzioni papali: molto meglio primeggiare sul sagrato deserto di San Pietro, in pieno lockdown, riservando a sé l’attenzione dei fedeli altrimenti rivolta a Dio.

[*] Ultima Santa Messa pubblica al Domus Sanctae Marthae Papa Francesco l’ha celebrato il 17 maggio 2020 [l’indice QUI].

Maike Hickson: Ella riconosce quindi il valore “simbolico” degli atti di papa Francesco?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: I simboli hanno un loro valore preciso: fu simbolica la scelta del nome, la decisione di vivere alla Domus Santa Marta, l’abbandono delle insegne e delle vesti proprie del Romano Pontefice, come la mozzetta rossa, il rocchetto e la stola, o lo stemma papale sulla fascia [**]. È simbolica l’enfasi ossessiva su tutto ciò che è profano, ed altrettanto simbolica l’insofferenza verso tutto ciò che simbolicamente richiama contenuti specificamente cattolici. È forse simbolico il gesto con cui, all’epiclesi della Consacrazione della Messa, Bergoglio ogni volta copre completamente il calice, lo tappa con la mano, quasi a voler impedire l’effusione dello Spirito Santo.
Così, come nell’atto di inginocchiarsi dinanzi al Santissimo Sacramento si testimonia la fede nella Presenza Reale e si compie un atto latreutico nei confronti di Dio, nel non inginocchiarsi davanti al Santissimo, Bergoglio proclama pubblicamente di non volersi umiliare dinanzi a Dio, mentre non ha alcun problema a mettersi carponi davanti a degli immigrati o a funzionari di una repubblica africana.


E nel prostrarsi davanti alla pachamama alcuni frati, suore, chierici e laici hanno compiuto un atto di vera e propria idolatria, onorando indebitamente un idolo e rendendo culto ad un demone. I simboli, i segni, i gesti rituali sono dunque lo strumento tramite il quale la chiesa bergogliana si manifesta per ciò che è.

Tutti questi “riti” della nuova chiesa, queste “cerimonie” più o meno accennate, questi elementi presi in prestito da liturgie profane non sono casuali. Essi costituiscono uno dei passaggi della Finestra di Overton verso l’accettazione di ciò che in realtà Bergoglio aveva già teorizzato nei suoi interventi e negli atti del suo “magistero”. D’altra parte lo stregone che fa il segno di Shiva sulla fronte di Giovanni Paolo II e il Buddha adorato sul tabernacolo di una chiesa di Assisi si comprendono nella loro perfetta coerenza con gli orrori odierni, esattamente come in ambito sociale prima di considerare accettabile l’aborto al nono mese si è dovuto legittimarlo in casi più limitati, e prima di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso si è prudentemente preferito lasciar credere che la tutela della sodomia non avrebbe messo in discussione l’istituto del matrimonio naturale.



[**] Nell’era della sciatteria galoppante, il ricordo e la difesa dell’eleganza regale dell’umile Papa Benedetto XVI – 3 dicembre 2020.

Charles Louis Müller, La fête de la Raison dans Notre-Dame de Paris le 10 novembre 1793, 1880/Una rappresentazione in carne ed ossa dell’idolo pagano inca, la Pachamama, portata in trionfo nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, 12 ottobre 2019 (Foto Aci Prensa).

Maike Hickson: Vostra Eccellenza ritiene quindi che questi eventi avranno uno sviluppo ulteriore?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: Se il Signore, Sommo ed Eterno Sacerdote, non si degnerà di porre fine a questa azione di pervertimento generale della Gerarchia, la Chiesa Cattolica verrà sempre più oscurata dalla setta che le si sovrappone abusivamente. Noi confidiamo nelle promesse di Cristo e nella speciale assistenza dello Spirito Santo, ma non dobbiamo dimenticare che l’apostasia dei vertici della Chiesa fa parte degli eventi escatologici e non potrà essere evitata.
Ritengo che le premesse poste finora – e che rimontano in buona parte al Vaticano II – conducano inesorabilmente in modo sempre più esplicito verso una “professione di apostasia” dei vertici della chiesa bergogliana. Il Nemico esige fedeltà dai suoi servi e se all’inizio pare accontentarsi di un idolo di legno adorato nei Giardini Vaticani o di un’offerta di terra e piante posta sull’Altare di San Pietro, a breve egli pretenderà un culto pubblico e ufficiale, che sostituisca il Sacrificio perpetuo. Si concretizzerebbe cioè quello che profetizzò Daniele a proposito dell’abominazione della desolazione che sta nel luogo santo. Faccio notare l’espressione precisa della Sacra Scrittura: «Cum videritis abominationem desolationis stantem in loco sancto»; è scritto chiaramente che questo abominio starà, si troverà cioè in una posizione di sfrontata e arrogante imposizione di sé nel luogo che le è più alieno ed estraneo. Sarà uno sfregio, uno scandalo, una cosa inaudita dinanzi alla quale mancano le parole di condanna.

Maike Hickson: Cosa ci aspetta, se le cose continuano in questa direzione?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: Ciò a cui stiamo assistendo rappresenta a mio parere la prova generale per l’instaurazione del regno dell’Anticristo, che sarà preceduto dalla predicazione del Falso Profeta, il Precursore di colui che compirà la persecuzione finale contro la Chiesa prima della vittoria definitiva e schiacciante da parte di Nostro Signore.
Il “vuoto simbolico” dell’Altare Papale non è solo un monito per quanti fingono di non vedere gli scandali di questo “papato”. Esso è in qualche maniera un modo con cui Bergoglio vuole abituarci a prendere atto di una mutazione sostanziale del Papato e della Chiesa stessa; a vedere in lui non già l’ultimo di una lunga serie di Romani Pontefici ai quali Cristo ha ordinato di pascere le Sue pecore e i Suoi agnelli, ma il primo capo di una multinazionale filantropica che usurpa il nome «Chiesa Cattolica» solo perché gli consente di godere di un prestigio e di un’autorità difficilmente eguagliabili, anche in tempi di generale crisi religiosa.
Il paradosso è quindi evidente: Bergoglio sa che può distruggere efficacemente la Chiesa e il Papato solo se viene riconosciuto come Papa; ma allo stesso tempo non può esercitare il Papato nel senso stretto del termine, perché così facendo dovrebbe necessariamente parlare, comportarsi e apparire come il Vicario di Cristo e il Successore del Principe degli Apostoli. È lo stesso paradosso che vediamo in ambito civile o politico, dove chi è costituito in autorità per governare la cosa pubblica e promuovere il bonum commune è allo stesso tempo emissario dell’élite e ha il compito di demolire la Nazione e violare i diritti dei cittadini. Dietro a deep state e deep church vi è sempre il medesimo ispiratore: Satana.

Maike Hickson: Cosa possono fare i laici e il clero per scongiurare questa corsa verso il baratro?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: La Chiesa non appartiene al Papa, e men che meno ad una conventicola di eretici e fornicatori che con l’inganno e la frode è riuscita ad arrivare al potere. Dobbiamo quindi unire la nostra fede soprannaturale nell’azione costante di Dio in mezzo al Suo popolo con un’opera di resistenza, così come consigliato dai Padri della Chiesa: il Cattolico ha il dovere di opporsi alle infedeltà dei suoi Pastori, perché l’obbedienza che egli deve loro è finalizzata alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Denunciamo quindi tutto ciò che rappresenta un tradimento della missione dei Pastori, implorando il Signore di abbreviare questi tempi di prova. E se un giorno dovessimo sentirci dire da Bergoglio che per rimanere in comunione con lui dobbiamo compiere un atto che offende Dio, avremo un’ulteriore conferma che costui è un impostore, e che come tale non ha alcuna autorità.
Preghiamo, quindi. Preghiamo tanto e con fervore, memori delle parole del Salvatore e della Sua vittoria finale. Saremo giudicati non per gli scandali di Bergoglio e dei suoi complici, ma per la nostra fedeltà all’insegnamento di Cristo: una fedeltà che inizia dalla vita in grazia di Dio, dalla frequenza ai Sacramenti, dai sacrifici e dalle penitenze che offriamo per la salvezza dei Ministri di Dio.

Maike Hickson: Qual è il Suo auspicio per il prossimo Natale?
Arcivescovo Carlo Maria Viganò: Il mio augurio è che questi tempi di prova ci permettano di vedere che dove non regna Cristo Re, si instaura inevitabilmente la tirannide di Satana; dove non regna la Grazia, si diffonde il peccato e il vizio; dove non si ama la Verità si finisce per abbracciare l’errore e l’eresia. Se molte anime tiepide non hanno saputo finora rivolgersi a Dio riconoscendo che solo in Lui possono trovare la piena e perfetta realizzazione della loro esistenza, forse possono ora capire che senza Dio la nostra vita diventa un inferno.
Come i pastori si prostrarono in adorazione ai piedi del Re Bambino, deposto nella mangiatoia ma significativamente rivestito delle fasce che nell’antichità erano prerogativa dei sovrani, così noi dobbiamo raccoglierci in preghiera attorno all’altare – fosse anche in una soffitta o in una cantina per sfuggire alla persecuzione o ai divieti di assembramenti – perché anche nella povertà di una cappella clandestina o di una chiesetta abbandonata il Signore scende sull’altare ad immolarsi misticamente per la nostra salvezza.
E preghiamo di poter vedere il giorno in cui un Papa tornerà a celebrare il Santo Sacrificio all’Altare della Confessione, nel rito che Nostro Signore insegnò agli Apostoli e che essi tramandarono intatto nei secoli. Sarà anche quello un simbolo della restaurazione del Papato e della Chiesa di Cristo.

I cinque inganni della Pachamama

di Gianfranco Amato
Culturacattolica.it, 14 novembre 2019

Le cronache degli ultimi tempi hanno reso il termine “Pachamama” particolarmente conosciuto anche tra il pubblico non addetto alle questioni teologico-religiose. Se ne parla persino al bar.

La Chiesa cattolica, attraverso il Sinodo dell’Amazzonia, ha sdoganato questa parola che in lingua quechua significa “Madre Terra”. Qualcosa però non quadra dentro e fuori la Chiesa. Il concetto di Pachamama nasconde un inganno. Anzi, per l’esattezza ne nasconde cinque. E meritano di essere visti uno per uno.

1. La Pachamama è un inganno religioso
Si tratta, in realtà, di una divinità pagana che appartiene alla cultura e alla religione inca del Perù. Secondo la mitologia pagana inca Pachacamac, dio del cielo, si unì a Pachamama e da questa unione nacquero due gemelli, un maschio e una femmina. In Amazzonia ci sono circa quattrocento popolazioni indigene distinte, la maggior parte delle quali non ha la stessa cultura né la medesima religione di quelle tribù peruviane che conservano elementi inca tra cui, appunto, la Pachamama. Presentare quest’ultima come l’icona della cultura indigena amazzonica significa non solo falsificare la realtà ma anche disconoscere e svilire la diversità delle vere culture amazzoniche nel tentativo di imporre una visione teologica indigena, per finalità esclusivamente ideologiche e politiche. Questo tentativo, tuttavia, è più ampio e non riguardando soltanto l’Amazzonia ma coinvolge tutto il continente latino-americano fino al Messico. Però, che cosa hanno in comune un indigeno tzotzil, maya o purépeche, con gli incas e la Pachamama? Assolutamente nulla. L’inganno, quindi, è tanto grave in quanto pretende di imporre una teologia indigena latino-americana unificata che vanifica la ricchezza della diversità degli stessi popoli indigeni originari di tutta l’America Latina.

2. La Pachamama è un inganno politico
Si impone alle popolazioni indigene e all’immaginario collettivo della comunità latino-americana come rappresentativa di una unificazione indigena da parte del potere politico. Perché, ad esempio, il presidente messicano Lopéz Obrador ha celebrato un rito in onore della Pachamama, divinità peruviana, per chiederle il permesso di costruire la linea ferroviaria maya nel sudest del Messico? Hugo Chavez, Nicolás Maduro, Cristina Fernández de Kirchner, Andrés Manuel López Obrador, Evo Morales, Daniel Ortega, sono solo alcuni capi di stato che hanno partecipato ufficialmente ad atti di culto in onore della Madre Terra e che promuovono questa idea di un’unica ideologia indigena. Non si tratta, quindi, solamente di un mero fatto religioso peruviano, ma siamo difronte ad un vero e proprio fatto politico inserito in una precisa agenda politica, che prevede la promozione di un pensiero panteista, costruito a tavolino, in cui l’idea della Pachamama rappresenta la cultura latino-americana in totale contrapposizione con l’eredità culturale ispanica, a cominciare dalla religione cattolica. Curiosamente, però, questa visione panteistica è del tutto estranea alla maggior parte delle culture indigene. Proviene da altre concezioni filosofiche, sia occidentali che orientali, e persino da alcune fonti esoteriche. In realtà non si tratta di una vera e propria cosmovisione panteistica ma di un progetto politico che esclude di fatto il concetto cristiano di un Dio trascendente rispetto alla creazione e pone la dignità della terra sopra la dignità della persona umana. Si sta tentando una rivoluzione copernicana culturale: superare l’antropocentrismo della modernità con un “geocentrismo” ecologico. La terra, anziché l’uomo, al centro del cosmo. Fino al punto che ci tocca ascoltare discorsi in cui si arriva a teorizzare la limitazione dei diritti umani in favore dei “diritti” della terra.

3. La Pachamama è un inganno teologico per i cristiani
Si tratta, come abbiamo visto, di una divinità pagana inca. Le immagini che la riproducono, da un punto di vista teologico, sono semplicemente degli idoli. Il fatto che un teologo, un pastore, un sacerdote, un vescovo, un cardinale, un Papa o un semplice fedele non abbiano la capacità di riconoscere questo fatto evidentemente innegabile appare davvero inquietante e del tutto incomprensibile. Potremmo dire che siamo difronte ad una nuova eclisse della coscienza, questa volta non nell’ambito del diritto della vita, ma in quello del primo e più importante comandamento: il diritto di Dio. Con l’aggravante che così facendo non si oscura solo la coscienza di un popolo, bensì la coscienza della stessa Chiesa. Alla luce della Rivelazione Divina, contenuta nella Parola di Dio, nella Tradizione della Chiesa e nel Magistero, la questione è molto semplice: fabbricare idoli da adorare è un peccato gravissimo. Prostrarsi difronte agli idoli è idolatria. Fare loro offerte, sacrifici, portarli in trionfo, porli su un trono, incoronarli, bruciare loro incenso, rappresenta un evidente culto idolatrico gravemente immorale. Metterli su altari o all’interno di chiese consacrate per venerarli costituisce una vera e propria profanazione.

4. La Pachamama è un inganno per quanto riguarda il concetto di tolleranza
La sensibilità dei fedeli appare giustamente ferita quando assiste al desolante spettacolo di idoli che ricevono culto in chiese cattoliche. É un fatto profondamente disdicevole che richiede una ferma condanna. Non si tratta di una mancanza di rispetto o di tolleranza verso le persone che professano un’altra religione. Si rispetta il credo religioso di tutti, ma qui si tratta dell’imposizione di una tolleranza ad un culto idolatrico in templi e luoghi cattolici che vengono profanati dalla presenza di idoli. Questo non è accettabile. Tollerare tutto ciò significa essere complici della profanazione. Per questo il gesto di “idoloclastia” (distruzione degli idoli) che è stato coraggiosamente compiuto nella chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, e che ha avuto vasta eco a livello mondiale, rappresenta un’espressione del più nobile senso della fede, e lungi dall’essere oggetto di riprovazione, merita un encomio.

5. La Pachamama è un inganno dell’inculturazione
Il principio di inculturazione è l’annuncio del Vangelo che riesce ad essere accolto da tutti i popoli di tutte le culture. La stessa dinamica dell’evangelizzazione stabilisce un processo graduale di trasformazione della cultura che accoglie la Parola di Dio, penetrando nel cuore di quella stessa cultura attraverso il mantenimento di ciò che di bene si trova in essa, la purificazione del male che essa contiene, lo sviluppo dinamico della fede che è sempre capace di rinnovare tutto. Senza tener conto del criterio della contrapposizione non si può parlare di inculturazione. È chiaro che l’evangelizzazione implica una necessaria contrapposizione con gli aspetti gravemente immorali delle culture che intende raggiungere, ed esige, ovviamente, la rinuncia all’idolatria. Il modello di inculturazione paradigmatico che si trova in America Latina è costituito dalla Vergine Maria di Guadalupe. Questo modello è riuscito a recuperare i migliori elementi delle culture preispaniche coniugandoli con la verità del Vangelo, che ha naturalmente portato alla cessazione delle condotte immorali (come i sacrifici umani) e delle tenebre dell’idolatria. Non ci resta che invocare, con fiducia e affetto filiale, proprio la Vergine di Guadalupe, affinché dissipi le tenebre e ristabilisca pace e serenità nella Chiesa.

Postille

Postilla 1

Tre riflessioni recenti di Prof. Massimo Viglione

24 dicembre 2020
Un Natale di posizione
Diffidate di chi vi si presenta come difensore della sana dottrina cattolica, come maestro di fede, e al contempo vi invita alla sottomissione al totalitarismo sanitario, all’accettazione del liberal-comunismo finanziario, all’obbedienza ai padroni del mondo e ai loro servi nostrani, alla fiducia verso i “professionisti dell’informazione”, che altro non sono che gli orchi di Sauron, magari invocando pure i santi a proprio scudo.
La sana dottrina cattolica, oggi, è difesa da chi si espone al pericolo e combatte per la libertà di ognuno di noi e contro l’idolatria salutista e il Leviatano che ci transumanizza.
Chi denuncia la volontà distruttiva delle élites mondialiste è oggi il vero pastore da seguire, non chi vi invita alla sottomissione.
Sappiate distinguere, abbiate il coraggio di aprire gli occhi alla realtà per quella che è, trovate la forza di demitizzare ogni inveterata convinzione sentimentalista, perché oggi tutto è rovesciato.
Schieratevi dalla parte del piccolo resto, che certamente non può essere sottomesso al potere della finanza, dei vaccini, delle App Immuni, del Grande Reset e del Nuovo Ordine Mondiale.
Siate semplici e onesti, e tutto apparirà chiaro.
Mettiamo tutto ai piedi del Divino Infante, e seguiamo i pastori, con la loro semplicità santa, schierandoci contro Erode e tutto il suo potere infernale.
Chi invita a obbedire a Erode non può rappresentare la vera Fede e la sana dottrina. Questa risiede ai piedi della greppia di Betlemme.
Nei cuori semplici dei pastori e nelle menti libere degli uomini di Buona volontà. (MV)

19 dicembre 2020
Vedo cadere come meteore le migliori intelligenze

Una dopo l’altra, chi prima chi dopo, chi in maniera pacchiana ed esecrabile, chi in maniera più sottile e velenosa.
È un dolore lancinante.
Ma vedo risvegliarsi l’intelligenza di tante persone anonime che dormivano beatamente, e che ora possono insegnare ai maestri proni al potere della Rivoluzione.
È il segno della speranza.
Personalmente, non ho più nulla a che vedere con i primi, e sono al servizio dei secondi.
Preghiamo perché la Divina Provvidenza ci mantenga sempre nella luce della Verità. (MV)

11 dicembre 2020
Due umanità differenti per due religioni differenti

I Papi, i cardinali, gli abati e i vescovi della Chiesa dei secoli bui hanno finanziato i Cosmati e Simone Martini, Cimabue e Giotto, Arnolfo e Antonello, beato Angelico e il Perugino, Duccio e Gentile, Piero della Francesca e Masaccio e tutte le altre decine di geni assoluti del XV e XVI secolo, fino a Michelangelo e Raffaello.
I papi oscurantisti della Controriforma hanno finanziato le opere dei Carracci e di Guido Reni, di Bernini e del Cortona, di Borromini e magari pure di un certo Merisi, tale Caravaggio, e tutti gli altri geni del XVII secolo, fino ai grandi maestri presepiali del XVIII secolo.
Poi i Papi e il clero del Concilio Vaticano II hanno finanziato le chiese-hangar e i garage degli ultimi sessant’anni, con le loro patetiche vetrate tutte uva e pane e la loro asimmetrica nullità e il loro insopportabile e gelido squallore, specchio della morte della fede nelle anime di un clero apostata.
Poi è arrivato Bergoglio e il suo clero. La cui bellezza interiore è inferiore al presepe inaugurato oggi in Piazza San Pietro.
La Chiesa Cattolica è solo una e per sempre. Ma poi vi sono molte chiese.
Ognuno ogni giorno sceglie a quale chiesa appartenere.
Io mi tengo Giotto e pure Caravaggio. E tutto il resto.
Altri scelgono Bergoglio e l’astronauta fallico. E tutto il resto.
Non siamo solo due chiese differenti. Siamo due umanità differenti. (MV)

Il singolarissimo Crocifisso nel quale l’asse verticale della Croce è l’impugnatura del martello di una falce e martello: il dono del Presidente della Bolivia Evo Morales a Papa Francesco, l’8 luglio 2015 a La Paz. Morales ha anche messo al collo del Papa una onorificenza, la cui placca riproduce la stessa immagine del Crocifisso con la falce e il martello. La spiegazione su quella che resta una delle immagini simbolo della visita di Papa Francesco in Bolivia ha dato lo stesso Morales. Il Crocifisso, ha spiegato alla CNN in spagnolo, non è “una mia invenzione”, ma riproduce un “disegno del gesuita martire dei poveri Luis Espinal”, ha sottolineato. Quando gli hanno chiesto se non temeva di mettere il Papa in una posizione “scomoda” Morales ha risposto ricordando che Bergoglio è oggi “il primo politico del mondo” su fronti quali “la giustizia, la pace con giustizia sociale, la dignità. Quando l’ho conosciuto, ho subito pensato ora sì ho un Papa”. Insomma, Morales ha ribadito di sentirsi particolarmente vicino al Santo Padre, aggiungendo la sua prossima idea: “Ne faremo una medaglia da consegnare a uomini e donne che promuovono la fede religiosa per la liberazione dei popoli”.

Postilla 2

L’eresia pauperista della neochiesa iniziò con Lercaro e Dossetti
La Chiesa di Cristo è solo dei poveri? È un’espressione ambigua che diventa eretica se per “poveri” s’intendono quelli che lo sono in senso puramente economico
di Francesco Lamendola
Accademia Adriatica di Filosofia Nuova Italia, 14 dicembre 2017

Siamo ormai talmente abituati a sentirci rintronare gli orecchi, dal papa Francesco e dai cardinali e vescovi progressisti, che la Chiesa di Cristo è la Chiesa dei poveri, che questa espressione ci sembra perfettamente logica e naturale, come potrebbe esserlo l’espressione che la Chiesa è cattolica, apostolica e romana; eppure si tratta di una espressione recente, conciliare e post-conciliare, e, quel che è peggio, di un’espressione ambigua, che diventa decisamente eretica se, per “poveri” si intendono quelli che lo sono in senso puramente economico. Gesù è venuto per i poveri, ha fondato la sua Chiesa per i poveri? Ma chi lo dice? E perché mai? Nella nostra grossolana ignoranza e ottusità pre-conciliare, noi credevamo di aver capito che Gesù è venuto sulla terra per amore degli uomini, di tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro condizioni sociali, economiche, dalla loro appartenenza razziale, eccetera; e che la Chiesa da lui fondata è uno strumento di salvezza per tutti gli uomini, liberi e schiavi, greci e giudei.

Che al mondo ci siano i poveri, che ci siano anche i poveri, è sempre stato considerato normale, sotto tutti i cieli e presso tutte le civiltà umane, con la sola eccezione delle tribù primitive di cacciatori e raccoglitori. E nessuno ha mai pensato di abolirli, perché nessuno ha mai pensato che sia “ingiusto” il fatto che ve ne siano. Oltretutto, i “poveri” costituiscono una categoria quanto mai variegata: alcuni sono poveri a causa dello sfruttamento dei ricchi, altri sono poveri semplicemente perché non hanno voglia di lavorare, preferendo vivere di accattonaggio e di furti; oppure perché hanno dilapidato stupidamente i loro beni; oppure, ancora, perché non vogliono assumersi la responsabilità del lavoro e del mantenimento della propria famiglia, preferendo lasciare che ci pensino “altri” (i parenti, gli amici, le istituzioni, la chiesa, lo stato). Una cosa è certa: il povero, per il fatto di essere povero, non è moralmente migliore di chi povero non è; può essere migliore, in senso morale, come può anche essere peggiore: e, di fatto, vi sono dei poveri moralmente ignobili, che prostituiscono le mogli e i figli, che non esitano a rapinare e a uccidere, e che, dalla loro povertà, non hanno imparato nulla, se non l’invidia, il rancore e il cinismo. Non è vero, quindi, che il povero ha sempre ragione. E non è neppure vero che Dio ami i poveri perché sono poveri, più di quanto ami qualsiasi altro essere umano: chi afferma questo, vuol fare del cristianesimo un socialismo o, quanto meno, un populismo, una religione politica basata sul fattore economico, che esaurirà la sua ragion d’essere quando la povertà sarà stata definitivamente debellata. Ma, in tal caso, perché mai Gesù Cristo avrebbe detto ai suoi discepoli: I poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre (Mc., 14,7)? Evidentemente, i poveri ci saranno sempre, finché ci sarà la storia umana.

La divisione del mondo in ”ricchi” e “poveri” è rozza, schematica, del tutto ideologica, nel senso deteriore del termine. Chi non è povero, non è necessariamente un ricco, come chi possiede due case non è necessariamente un capitalista, e meno ancora uno sfruttatore, ma, per esempio, semplicemente una persona che ha duramente lavorato per acquistare la propria abitazione, e poi, alla morte dei genitori, ne ha ricevuta una seconda in eredità. I normali lavoratori, per non parlare dei membri delle classi medie, non sono poveri, ma nemmeno ricchi. Ad ogni modo, Gesù non ha mai condannato la ricchezza in se stessa: ha condannato l’avidità di chi ne fa un cattivo uso, ossia il vizio di farsene dominare. E se ha detto, molte volte, beati i poveri”, non intendeva dirlo in senso economico, o, sicuramente, non solo in senso economico: è evidente dal contesto di quelle frasi, ma anche dal senso complessivo del Vangelo, che i poveri che Gesù loda sono i poveri in spirito, i “piccoli” e i “semplici”, ossia coloro i quali ricevono con semplicità e con fiducia la parola di Dio, l’accolgono devotamente e si sforzano di osservarla. E se Gesù loda la donna povera che fa la sua commovente offerta nel tesoro del Tempio, non la loda perché è povera, ma perché, nella sua povertà, si è mostrata più generosa, ovviamente in proporzione, rispetto a tanti ricchi, che avevano fatto delle offerte assai meno generose. Certo, nella Chiesa è sempre serpeggiata la tentazione di vedere nei poveri i soli destinatari del messaggio di Cristo, e nella povertà un valore da imporre con ogni mezzo; ma si è trattato di movimenti ereticali, come quello di Fra Dolcino, che la Chiesa ha sempre condannato, appunto perché essa ha sempre rifiutato di lasciarsi strumentalizzare in senso pauperista e politico-sociale.

Ma poi è arrivata la modernità; è arrivato l’illuminismo; è arrivata l’ideologia democratica, dalla quale è derivata quella marxista. Attorno agli anni ’60 del Novecento l’ideologia comunista, benché scomunicata dalla Chiesa, ha toccato il punto più alto della sua parabola ed è sembrata a un passo dall’imporsi a livello mondiale, con l’appoggio entusiastico degli intellettuali e di grandi masse di popolazione dei Paesi che non avevano ancora avuto la delizia di sperimentare il comunismo sulla propria pelle. Anche la Chiesa cattolica era piena di simpatizzanti di sinistra che guardavano al comunismo come alla meta finale della storia, che il cristianesimo perseguiva anch’esso, a suo modo; e che si sentivano volonterosi “compagni di strada” di tutti i compagni che, scomunica o non scomunica, lottavano per un mondo “migliore”, cioè al fianco dei popoli. Inoltre, le ideologie terzomondiste avevano messo all’ordine del giorno la miseria degli ex Paesi coloniali quale risultato dello “sfruttamento” dell’Occidente: il che in parte era vero, e in parte no, dato che bisognerebbe vedere, caso per caso, in maniera imparziale, ciò che i regimi coloniali hanno preso e ciò che hanno dato ai popoli del Sud del mondo (e forse il bilancio fonale sarebbe assai diverso da quello che l’opinione politically correct ritiene ancora oggi). Si andava anche delineando l’enorme crescita demografica del Sud della Terra e il ristagno del Nord, per cui, già allora, era chiaro che, in prospettiva, il centro di gravità del cattolicesimo si sarebbe spostato dall’Europa all’Africa, all’Asia e all’America. In questo contesto, si è fatta strada l’idea, venuta pienamente in luce con il Vaticano II, che la Chiesa doveva schierarsi senz’altro dalla parte dei “poveri”, cioè della maggioranza della popolazione umana, se necessario anche prendendo posizione contro i “ricchi”, in base a delle astratte categorie ideologiche. E fu così che il 1° gennaio 1968, Giornata mondiale della Pace, a Bologna il cardinale Lercaro – il cui segretario e più stretto collaboratore era Giuseppe Dossetti, già anima dell’estrema sinistra democristiana – condannò, nel corso di una famosa e controversa omelia, i bombardamenti statunitensi sul Vietnam, mentre né lui, né altri prelati e monsignori progressisti avevano fiatato per l’invasione sovietica dell’Ungheria, o lo avrebbero fatto per quella della Cecoslovacchia; e meno ancora a avevano fiatato per il persecuzioni anticristiane nell’Unione Sovietica, nella Cina di Mao e in altri Paesi comunisti, perché i comunisti, in quel momento – anche sul piano della politica interna – erano visti come dei possibili e apprezzabili compagni di strada, coi quali i cattolici progressisti sentivano di avere, tutto sommato, più cose in comune che con i loro confratelli di tendenza conservatrice.

Nel Concilio Vaticano II Lercaro svolse un ruolo molto importante e fu specialmente lui a indirizzare i lavori nel senso di delineare una “Chiesa dei poveri”, nell’accezione puramente economica della parola: fu lui, pertanto, col suo consigliere-ispiratore Dossetti, ad attuare il passaggio dalla monarchia costituzione alla repubblica socialista; opera nefasta che è proseguita negli anni successivi e che culmina oggi con il pontificato di Francesco, il quale, paradossi della storia, si serve con estrema decisione di quel che resta degli strumenti coercitivi della monarchia assoluta (commissariamento dei Francescani dell’Immacolata e dell’Ordine di Malta; rimozione di vescovi e cardinali a lui sgraditi per sostituirli con uomini di sua fiducia) per instaurare definitivamente il socialismo nella Chiesa cattolica, con tutto ciò che questo comporta anche a livello di politica internazionale: si vedano le sue relazioni di ostentata amicizia con il presidente Obama e, viceversa, i suoi inauditi interventi nelle elezioni presidenziali americane terminate con la vittoria di Trump. E Lercaro, guarda caso, nel 1968 era stato legato papale al Congresso eucaristico di Bogotà, dove poté respirare a pieni polmoni la nascente teologia della liberazione.

La data ufficiale dell’inizio di questo processo di socialistizzazione della Chiesa è il 7 dicembre 1962, quando il cardinale Lercaro tenne uno storico discorso al Concilio, affermando che i nuovi schemi propositi dai padri non sembrano, più dei vecchi, tener conto in modo esplicito e adeguato della situazione storica, di questa rivelazione essenziale e primordiale del mistero del Cristo tra i poveri. Questo è un linguaggio rivoluzionario: con Lercaro non solo il socialismo, ma la rivoluzione entra nel Concilio, viene accolta ed applaudita, e la Chiesa diventa una chiesa rivoluzionaria, cioè sceglie di snaturare completamente se stessa e di trasformarsi in ciò che non era mai stata, con dei fini di giustizia terrena che, per quanto legittimi in sé, non hanno niente a che fare con il messaggio di salvezza rappresentato dal’Incarnazione di Gesù Cristo. Vale la pena di riportare un brano più esteso di quel discorso (da: Autobiografia della Chiesa. Dagli Atti degli Apostoli al testamento di Paolo VI, a cura di Michele Meslin e Jacques Loew; titolo originale: Histore de l’Église par elle-même, Paris, Fayard, 1978; traduzione dal francese di Massimo Cerea e Luigi Fiorani, Firenze, Sansoni, 1981, pp.647-650):

Si cerca una dottrina della Chiesa che sia capace di andare in profondità, oltre le linee principali di ordine giuridico alle quali gli schemi sembrano per lo più rimanere legati. […]
Le mie parole infatti si propongono di renderci pi attenti a questo aspetto del mistero di Cristo nella Chiesa, non solamente perenne ed essenziale, ma della più grande attualità storica. Voglio dire che il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre, ma soprattutto oggi,  il mistero del Cristo nei poveri, poiché la Chiesa, come dice il santo Padre Giovanni XXIII, è, sì, la Chiesa di tutti, ma soprattutto la “Chiesa dei poveri”.[…]
Per questo motivo, concludendo questa prima sessione del nostro Concilio bisogna riconoscere e proclamare solennemente che non assolveremo a sufficienza il nostro compito, non riceveremo con spirito aperto il piano di Dio e l’attesa degli uomini, se non porremo, come centro e anima del lavoro dottrinale e legislativo di questo Concilio, il mistero del Cristo nei poveri e l’evangelizzazione dei poveri. […]
Se ci mostriamo docili al piano della divina Provvidenza affermando e rivendicando il primato dell’evangelizzazione dei poveri, non sarà difficile, con l’aiuto dello Spirito Santo e la protezione di Maria, Madre di Dio, trovare per tutti i problemi, sia dottrinali che pratici, un modo autentico di presentazione integrale, senza nessuna reticenza o attenuazione, dell’eterno e immutabile Vangelo di Dio…

Come si vede, l‘obiettivo di Lercaro-Dossetti è, niente di meno, cambiare la dottrina della Chiesa: egli parla di cercare “una dottrina della Chiesa capace di andare in profondità” come si potrebbe parlare di andare ai grandi magazzini per cercare un abito più adatto di quello che si possiede: non si sa se apprezzare maggiormente la sua franchezza brutale e quasi ingenua o se deplorare il totale disprezzo – ché certo non può essere ignoranza – di ciò che la dottrina è per la Chiesa, vale a dire l’espressione di una verità trascendente, certa e incrollabile, che non muta affatto per il mutare delle situazioni storiche, come invece essi pretendono che  sia obbligata a fare. In altre parole, la loro “scoperta” consiste nel fatto che il Vangelo va calato nella storia e il cristianesimo deve diventare uno storicismo: e, una volta presa questa direzione, in anni di rivoluzione (manca poco al ’68), la Chiesa deve diventare rivoluzionaria e socialista… come infatti stiamo vedendo, ai nostri giorni.

E poi che significa “una dottrina della Chiesa capace di andare in profondità”, se non accusare la Chiesa di essere rimasta, per millenovecento anni, alla superficie delle cose, legata ai vecchi “schemi giuridici”? Forse che la Chiesa, nei secoli della sua storia, non si è mai accorta del mistero di Cristo nei poveri? E tutti i santi “sociali”, Camillo de’ Lellis, Vincenzo de’ Paoli, Giovanni Bosco? Ineffabile superbia di questi progressisti: proprio come i philosphes del XVIII secolo, solo loro hanno compreso il vero senso delle cose. E la loro improntitudine giunge al segno di affermare che solo introducendo le novità socialiste (e moderniste) ci si mostra “docili al piano della divina Provvidenza”: vale a dire che arruolano la divina Provvidenza nel loro partito e ne fanno strumento per i loro disegni di socialistizzazione e trasformazione modernista della Chiesa…

http://www.korazym.org/53283/dopo-linganno-della-pachamama-a-san-pietro-si-respira-il-grande-vuoto-sembra-che-continuino-a-smantellare-tutto-motus-in-fine-velocior/

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.