L MEZZO È IL MESSAGGIO
Un Vangelo moderno non è comprensibile al mondo
Marshall McLuhan, grande intellettuale, spiegava che forma e contenuto coincidono: perciò il «linguaggio nuovo» non può comunicare le verità di sempre: la Chiesa dunque non riesce più a comunicare il Vangelo non perché usa un linguaggio vecchio, ma perché utilizza un linguaggio nuovo. Dovrebbe quindi reinsegnare il significato delle parole eterne.
Uno degli intellettuali più noti del Novecento è, senza dubbio, il sociologo Marshall McLuhan (1911-1980). Canadese, convertitosi al cattolicesimo, è autore di alcune tra le più felici espressioni che descrivono l’epoca moderna come «galassia Guthemberg» per indicare il mondo dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili; «villaggio globale» per il mondo rimpicciolito dalle comunicazioni planetarie; media «caldi e freddi», a seconda che anestetizzino o coinvolgano lo spettatore.
Profondo e brillante esperto di comunicazione, non era però – a mio modesto parere – lui stesso un abile comunicatore: spesso, infatti, le sue locuzioni avevano successo ma non venivano capite, o lo erano… al contrario delle intenzioni di McLuhan. C’è una famosa scena, nel film di Woody Allen intitolato Io e Annie (1977), nel quale compare lo stesso sociologo a correggere un giovane professore universitario che non aveva capito nulla delle sue teorie.
Bene, prendiamo la più nota delle locuzioni di McLuhan: «Il mezzo è il messaggio». Questa sintetica frase è ben più comprensibile della spiegazione che ne dà lo stesso autore nel libro Gli strumenti del comunicare (1964). Significa che il mezzo che noi usiamo per comunicare non è neutro, anzi: è più importante del contenuto del messaggio. Il mezzo, infatti, stabilisce la cornice (il frame, in termini tecnici) che permette di comprendere il contenuto.
Facciamo un esempio comprendibile ai lettori de La Nuova Bussola Quotidiana. Quante volte abbiamo sentito frasi come «La Chiesa deve trovare un linguaggio nuovo per comunicare il Vangelo»; «Non si tratta di dire cose nuove, ma di dire le cose di sempre con un linguaggio nuovo»; «Se noi parliamo ma la gente non ci capisce, è tutto inutile»? Bene: se aveva ragione McLuhan, tutto questo non ha senso. Perché il «linguaggio nuovo» non può comuncare le verità di sempre: comunicherà necessariamente cose nuove, fornendo un nuovo frame nel quale il Vangelo non avrà lo stesso significato di sempre.
Non è certo un caso se gli ideologi di genere insistono così tanto sul linguaggio gender-neutral: hanno letto e capito McLuhan (mentre i cattolici non l’hanno né letto, né capito). Al di là del gender, è ovvio che la cultura moderna si è imposta manipolando il linguaggio. La parola «natura», nel linguaggio classico, indica il progetto di una cosa, la sua realizzazione, ossia un concetto metafisico; nel linguaggio moderno indica l’esatto opposto, ossia la pura materia. La «forma», nella filosofia aristotelico-tomista, rappresenta l’essenza della cosa, ciò che rende una cosa ciò che essa è; nel linguaggio moderno diventa accessorio, accidente, l’inessenziale.
Stessa cosa per le virtù: la prudenza, che indica la radicalità nel bene (non solo nel fine, ma anche nei mezzi), diventa indecisione, circospezione; la forza, antidono alla violenza, diventa essa stessa violenza; la giustizia, legalismo; la temperanza si trasforma in continenza. Potremmo continuare, ma il concetto è chiaro: se io cambio il linguaggio, posso utilizzare parole familiari per comunicare l’esatto contrario di ciò che sigificano. Il mezzo è il messaggio, come volevasi dimostrare.
A questo punto si capisce che è assurdo pretendere di comunicare le stesse cose cambiando il linguaggio. Comunicherò meglio cose nuove cambiando il linguaggio, più che cambiando il contenuto ma usando lo stesso linguaggio. E, forse, il problema è proprio questo. Forse la Chiesa non riesce più a comunicare il Vangelo non perché utilizza un linguaggio vecchio, ma proprio perché utilizza un linguaggio nuovo, moderno. Crede di comunicare il Vangelo ma, grazie al linguaggio moderno, comunica modernità. Se vuole comunicare il Vangelo in un mondo moderno, quindi, non deve usare un linguaggio nuovo, ma insegnare (prima di passare i contenuti), il linguaggio vecchio (che io preferisco definire eterno). Il linguaggio, cioè, che rende comprensibile il Vangelo (e non assurdo, come il linguaggio moderno).
Cambiamo medium e vediamo se il ragionamento regge. La musica. È dal Sessantasei che ci frantumano le orecchie con musichette infantili ma ben ritmate per attirare e coinvolgere i giovani. La strategia è sempre quella: cambiare il linguaggio (musicale) per parlare ai giovani. Peccato che anche il risultato sia sempre quello: giovani spariti e un patrimonio musicale perso per sempre. Usando un linguaggio ritmato, si mette in primo piano il corpo, la materia; e in cantina la ragione e lo spirito. Così si allontanano i giovani dalla religione e li si getta tra le braccia del mondo materialista, edonista e consumista.
Non c’è niente da fare: aveva ragione Marshall McLuhan: il mezzo è il messaggio. Utilizzando mezzi moderni, si comunica modernità. Utilizzando un linguaggio eterno, si comunica eternità. Sarà bene tenere questo concetto in opportuna considerazione.
Roberto Marchesini
https://www.lanuovabq.it/it/un-vangelo-moderno-non-e-comprensibile-al-mondo
Dialogo con i liturgisti che "insegnano" sui social
Da qualche tempo è comparsa su facebook la pagina "Lo Spigolatore Romano - piccole note di storia liturgica romana". Fra dotte dissertazioni e note storiche riguardo la liturgia, la pagina offre molti strumenti per riflettere sul culto divino e la Chiesa attuale.
Li abbiamo contattati per fare loro qualche domanda sulla liturgia e la sua storia.
Cos'è lo Spigolatore romano? I redattori della pagina sembrano molto ferrati riguardo la liturgia, potete dirci qualcosa sui vostri studi?
È una pagina nata per pochi lettori desiderosi di approfondire piccoli aspetti della storia liturgica, che sovente si ignorano. E' sentimento diffuso il credere che le costumanze liturgiche preconciliari siano da vedere quasi come paradigmatiche, mentre a volte non è così. Perché anche prima dell'ultimo concilio vi erano quelli che possiamo definire "abusi" liturgici, spesso inveterati. Le rubriche ci dicono come celebrare un rito, ma non ci dicono l'origine ed il senso di quel rito. Che sovente invece troviamo proprio nella genesi storica, che bisogna dunque conoscere. Per tale motivo si è deciso di aprire questa pagina nonostante si conosca bene la limitatezza del mezzo utilizzato: per gettare uno sguardo sulla liturgia attraverso la sua storia. Vi collaborano diverse persone, alcune stabilmente altre saltuariamente, compatibilmente con impegni pastorali o accademici. C'è chi ha avuto l'opportunità di conoscere bene esperti come Nocent, Jungmann, Marsili, Bouyer, Righetti etc e con essi studiare; c'è pure qualcuno di molto giovane, compresa una donna. Anche un monaco inizialmente collaborò per poi sfilarsi. E' comunque consolante costatare come siano diversi i giovani che hanno una conoscenza profonda e vasta, di alto livello accademico, della liturgia antica, che amano, e della sua storia.
Potete definire il concetto di "rito" e quello di "liturgia"?
Al di là dell'etimologia, nella Bibbia dei LXX il termine "liturgia" indica sempre il culto pubblico ed ufficiale. In tale senso in ambito cristiano lo si usa praticamente da sempre per indicare il culto pubblico reso a Dio dalla Chiesa. Rito invece indica un determinato modo di esercitare tale culto. E' evidente che in origine il rito era unico essendosi la liturgia cristiana sviluppata a Gerusalemme, e solo in seguito, col diffondersi del cristianesimo, ci sono state delle diversificazioni che hanno poi portato alla nascita dei vari riti liturgici i quali hanno pure potuto influenzarsi in qualche modo a vicenda.
Sappiamo che nel corso dei secoli, anche prima del fatidico 1969 la liturgia ha subito dei cambiamenti, anche notevoli. Possiamo parlare quindi di "evoluzione della liturgia"?
Certo nel corso dei secoli la liturgia ha subito modifiche, a volte in maniera insensibile e non programmata ma tante volte per la volontà esplicita di apportare variazioni, cioè le cosiddette "riforme liturgiche", che non sempre sono state felici. Ora, alcune di tali riforme sono realmente intoccabili (pensiamo, ad esempio, all'inserimento del Sanctus che il rito romano in origine non aveva, etc.) ma tante altre riforme sono realmente da riconsiderare, anche perché oggettivamente hanno creato un impoverimento; facciamo un esempio: la colletta di Pasqua che tuttora si trova nel messale del 1962 è il risultato di una alterazione fatta ai tempi di san Gregorio Magno quando si tagliò l'ultima frase per sostituirla con quella appunto tuttora presente nel messale antico.
Anche un bambino delle elementari si rende conto di quanto povera sia la frase tuttora in uso se paragonata con quella originaria presente negli antichi sacramentari. Proprio tale frase il messale di Paolo VI ha cercato di riportare alla bellezza originaria, ma la tentazione neomodernista di metter le mani su tutto ha finito non per recuperare il meraviglioso testo originario, bensì per crearne uno nuovo visto che la frase originaria, pur recuperata, è stata però nuovamente manomessa! L'"evoluzionismo" liturgico neomodernistico consiste nella contraddittoria tendenza a recuperare materiale eucologico antico ma pure ad usarlo solo dopo averlo ulteriormente manomesso per adattarlo a quella che si crede essere l'esigenza moderna. Nel caso della colletta in questione l'adattamento fatto dal messale del 1969 consiste nell'eliminare il riferimento alla morte spirituale che produce il peccato.
Tralasciando tutte le dissertazioni relative alla riforma del 1969, verso la quale ormai l'interesse è scarso (è stato già detto tutto), facciamo un passo indietro. Anche voi di recente avete scritto che il rito tridentino abbisognasse di cambiamenti. Voi che rito immaginate?
Il rito detto "tridentino" necessitava di restauro. Visto che tale restauro non è stato fatto, e considerato che gli interventi fatti sotto Pio XII più che restaurare hanno manomesso, ne consegue che tuttora il rito antico necessita di essere restaurato. In questo Sacrosanctum Concilium ha visto bene, ma restaurare non significa demolire per poi ricostruire mentre la riforma del 1969 ha fatto proprio questo: ha demolito il rito fin dalle fondamenta per poi ricostruirlo tutto ex novo pur se usando molte delle macerie prodotte dalla demolizione. Il rito antico necessita certamente di qualche cambiamento, ma nel senso che si devono eliminare certe riforme poco felici che ha dovuto subire, certe costumanze che noi amiamo definire scostumamanze, e ridargli quindi il suo splendore. Ciò di cui necessita il rito antico è un restauro scientifico. Per capirlo possiamo fare un esempio: negli anni scorsi si sono restaurati gli affreschi della cappella Sistina. Quel restauro è consistito, sia in un accurato studio preliminare, e poi in una eliminazione degli strati di colle poste nei secoli che col tempo si erano scurite rendendo i cromatismi tipici di Michelangelo quasi in bianco e nero. Ecco, il rito antico necessita di essere liberato dall'inevitabile strato di polvere che coi secoli si è sedimentato sopra, e pure dai risultati di qualche improvvido intervento di riforma che ne ha alterato la bellezza originaria.
In generale dunque non è però il rito che si deve cambiare ma il nostro approccio ad esso. La nostra comprensione di esso, quasi l'uso che ne facciamo. Tuttora ad esempio tanti confratelli lo celebrano dando l'impressione di farlo macchinalmente; il rito antico possiamo dire che più che celebrato va vissuto per quello che è: un essere ammessi alla presenza di Dio per offrirgli il Sacrificio di suo Figlio. Noi dunque non immaginiamo nessun rito diverso da quello che si ha in base alle rubriche che lo regolano illuminate dalla storia liturgica che sovente ce ne disvela il senso. E così come il sacerdote non celebra senza il messale, altrettanto devono imparare a fare (chi già non lo fa) i fedeli usando il messalino che, per chi ne ha bisogno, contiene pure la traduzione.
Tornando ancora più indietro. Anche San Pio V non è esente da "critiche". Ad esempio, l'abolizione delle sequenze è stato un impoverimento notevole. Per quale motivo venne operata questa scelta? Quali altri tratti della liturgia medievale scomparvero?
La riforma liturgica di san Pio V è forse quella più rispettosa della liturgia, del suo spirito e del suo sviluppo organico. Sintetizzando al massimo san Pio V ha solo tolto alcuni elementi liturgici recenziori, come quasi tutte le sequenze. Noi non ci sentiamo di definirlo un impoverimento, nonostante certi testi espunti siano realmente molto belli. La riforma di san Pio V, nei suoi principii, secondo noi deve costituire il modello di ogni riforma liturgica. Egli infatti non fece altro che prendere la liturgia così come i secoli e la tradizione gliela avevano consegnata, ed andando indietro nel tempo ha cercato di eliminare proprio le aggiunte più recenti, i piccoli abusi che inevitabilmente col tempo si introducono. Il messale di san Pio V in pratica riproduce il messale romano stampato circa un secolo prima, con solo poche modifiche, soprattutto rubricali. Quando san Pio V parla di riportare il messale alla sua antica forma secondo i padri non intende riferirsi a chissà quale epoca antica, ma intende riferirsi alle tradizioni recepite, castigandone eventuali deformazioni. San Pio V, certo pure a causa della limitatezza della conoscenza storica della liturgia che allora si poteva avere, non ha inventato, ha solo restaurato. Ed ha cercato pure -in parte anche riuscendovi- di correggere le deformazioni di precedenti riforme liturgiche fatte circa mille anni prima : nel breviario, ad esempio, ha restaurato l'ora di prima domenicale che fu resa deforme, quasi mostruosa, al tempo di san Gregorio Magno.
Ultima domanda. Molti sono i detrattori del Motu Proprio Summorum Pontificum, anche in ambito tradizionale. Voi che ne pensate? Possiamo dire che, avendo aperto al recupero della liturgia tridentina, Benedetto XVI abbia aperto anche una riflessione generale su tutta la storia della liturgia nel '900 e dato vita anche a esperienze come la vostra?
Il M.P. Summorum Pontificum ha avuto il merito di sdoganare il rito antico presso i più, e forse pure quello di avviare una rflessione critica sul Novus Ordo. Sono molte le persone che solo a partire dal 2007 hanno scoperto la liturgia antica ma pure le molte problematiche di quella nuova. E questo è senza dubbio positivo.
Non sappiamo quanto coerente sia definire "forma extraordinaria" un rito che pure si riconosce non esser mai stato abolito. Ma sono le contraddizioni tipiche del modernismo. No, noi ci occupiamo di liturgia antica, di celebrarla, di studiarla, da ben prima del 2007. Solo i più giovani del nostro gruppo, ma solo per motivi anagrafici, si sono avvicinati al rito antico, lo hanno scoperto e studiato dopo il 2007, e tuttora lo studiano. E chi lo sa, forse un domani, proprio questi giovani potranno creare un istituto di studi liturgici autenticamente tradizionale. Di sicuro si avrà sempre più necessità di un approccio agli studi storico-liturgici fatto con amore e per amore del rito antico. Perché solitamente gli studi accademici di liturgia non fanno altro che magnificare la riforma liturgica e demonizzare il rito antico.
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