PIANO INCLINATO
Scimmia-uomo, embrioni chimera da novelli stregoni
Ricercatori cinesi e americani hanno inserito cellule umane adulte (riconvertite a uno stadio di pluripotenza) in blastocisti di scimmia, con il fine di arrivare a «organi e tessuti per il trapianto». L’esperimento è fallito sul piano pratico e, su quello morale, fa temere per la deriva opposta: l’uomo-scimmia. Segno che, intanto, l’uomo si è fatto bestia.
La Cina non ci ha regalato solo il Coronavirus, ma anche gli embrioni chimera scimmia-uomo. È stato pubblicato lo scorso 15 aprile sulla rivista scientifica Cell lo studio dal titolo: Chimeric contribution of human extended pluripotent stem cells to monkey embryos ex vivo.
L’articolo, redatto da ricercatori cinesi e americani appartenenti a diversi istituti o università tra cui una cattolica, dà conto della seguente sperimentazione. Si sono prese cellule umane adulte e fatte regredire ad uno stadio di pluripotenzialità (cellule hPSC), ossia in uno stadio in cui possono generare - a livello teorico - moltissimi tessuti e organi. Queste cellule così riconvertite sono state inserite nelle blastocisti di scimmia (la blastocisti è il livello di sviluppo embrionale dopo 5-6 giorni dal concepimento) per vedere come interagivano. Dei 132 embrioni così manipolati solo tre, dopo 19 giorni, erano ancora vivi. Al ventesimo giorno sono morti anche questi tre embrioni.
Per quale motivo si sono creati questi embrioni chimera? La prima motivazione sarebbe quella di studiare il comportamento in vivo delle cellule pluripotenti umane. In secondo luogo lo studio voleva indagare le reali possibilità in merito alla «generazione di organi e tessuti per il trapianto». Infine «questi risultati possono aiutare a comprendere meglio lo sviluppo umano iniziale e l’evoluzione dei primati e sviluppare strategie per migliorare il chimerismo umano in specie evolutivamente distanti».
Le riserve sull’efficacia pratica di tale sperimentazione e sulla sua eticità sono presenti nell’editoriale dello stesso numero della rivista Cell che ospita l’articolo. In merito all’utilità di questa sperimentazione il genetista Giuseppe Novelli, dell'Università di Roma Tor Vergata, si domanda in modo retorico: «Siamo sicuri che questa sia una strada che porta alla formazione di organi funzionanti? Siamo certi che dobbiamo utilizzare embrioni chimera, se è possibile ottenere organoidi da cellule staminali indotte di una sola specie?».
Sul versante più squisitamente morale annotiamo qualche riflessione. In primo luogo, a scanso di equivoci, questi embrioni non sono embrioni umani imbastarditi con qualche cellula di scimmia, bensì l’opposto. Si tratta di embrioni di scimmia con materiale biologico umano. In secondo luogo riprendiamo il rilievo del dottor Novelli: se esistono altre soluzioni più efficaci per studiare il comportamento delle cellule staminali pluripotenti e per ottenere organoidi perché non perseguirle? In breve, alcune finalità indicate dallo studio saranno pur nobili, ma il metodo utilizzato non è dei più efficaci.
In terzo luogo - e arriviamo alla critica più importante - prendere cellule umane da inserire in embrioni di scimmia è la porta di ingresso per fare l’opposto e arrivare ad avere l’uomo-scimmia. Si inizia a prendere embrioni umani in cui inserire cellule di scimmia e poi si arriva a modificare il DNA umano con patrimonio genetico scimmiesco. Ecco perché, come ricorda ancora Novelli, «introdurre cellule staminali embrionali umane nella blastocisti di un macaco è fortemente vietato da tutte le linee guida di bioetica esistenti: le cellule chimeriche embrionali sono potenzialmente in grado di generare embrioni-chimera - e quindi feti - di cui non sappiamo nulla».
Questa eventualità è già capitata nel passato. Nel 1997 nuclei di cellule umane sono stati inseriti in ovociti di topo e l’incontro tra patrimonio genetico umano e animale si è ripetuto poi negli anni a venire con le mucche e i maiali. Le varianti sono molteplici. Ad esempio abbiamo quelle che, diversamente dalla qualificazione indicata in questo articolo, vengono indicate da alcuni ricercatori come chimere: esseri viventi ottenuti dalla fusione di due zigoti che possono appartenere alla stessa specie oppure a specie differenti [cfr. R.T. TECIRLIOGLU ET AL., Interspecies somatic cell nuclear transfer and preliminary data for horse-cow/mouse iSCNT, in «Stem Cell Rev.», n. 2 (2006), pp. 277-287]. Gli organismi transgenici sono invece organismi il cui patrimonio genetico contiene geni esogeni inseriti nel DNA nucleare, intatti o modificati. Gli ibridi invece sono organismi ottenuti dalla fusione di due gameti provenienti da due specie diverse [cfr. S. CAMPORESI - G. BONIOLO, Fearing a non-existing Minotaur? The ethical challenges of research on cytoplasmic hybrid embryos, in «J. Med. Ethics», n. 34 (2008), p. 821]. Nei cibridi, invece, la fusione non riguarda i gameti ma una cellula con nucleo e un ovocita denucleato: il patrimonio genetico finale di questa fusione deriva dunque dal nucleo per la massima parte e per una minima parte dai mitocondri dell’ovocita.
Insomma, già da molti anni i ricercatori giocano all’apprendista stregone. Il rischio maggiore, come accennato sopra, è quello di mischiare, come già avvenuto, patrimonio genetico umano con quello animale. In tal modo avremmo l’uomo mucca o l’uomo maiale o l’uomo scimmia, tanto per far piacere a Darwin. Tali esperimenti ci fanno concludere che, prima di creare l’uomo-bestia, l’uomo si è già fatto bestia.
Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/scimmia-uomo-embrioni-chimera-da-novelli-stregoni
I vaccini, la loro efficacia, i legami con l’aborto
Cari amici di Duc in altum, di recente un articolo ha definito “fake news” le preoccupazioni di ordine morale circa la vaccinazione contro il Covid. Su LifeSiteNews, rispondendo al testo in questione, Pamela Acker (biologa e ricercatrice, autrice del libro Vaccination. A Catholic Perspective) spiega perché non di “fake news” si tratta, ma di legittime domande che i cattolici, in particolare, non possono e non devono ignorare.
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Verità scientifiche, errori logici e accettazione del male: risposta a Emmanuele Barbieri
di Pamela Acker
In molti mi hanno chiesto di rispondere a un recente articolo di Emmanuele Barbieri [1] intitolato Verità scientifiche e fake news sui vaccini anti-Covid-19. Mi sorprende che l’articolo abbia avuto un certo seguito fra persone ragionevoli, dal momento che inizia con una classica argomentazione ad hominem, termina delegittimando l’interlocutore e in molti punti fornisce una rappresentazione distorta delle questioni sul tappeto o contiene veri e propri errori. Il tono generale mira a far leva sulle emozioni e allo stesso tempo a intimidire, perché l’autore in più occasioni suggerisce – o addirittura sostiene a chiare lettere – che quanti dissentono con la sua tesi sono sprovveduti o in malafede. A fronte di ciò, trascura volutamente la realtà del collegamento tra aborto e scienza biomedica – abbondantemente documentata dagli stessi ricercatori – contribuendo ad aumentare la confusione sugli attuali vaccini contro il coronavirus, frutto di una tecnologia sperimentale, dalle dubbie basi etiche [2], che viene imposta alla popolazione su una scala inconcepibile fino a un anno fa.
Purtroppo, questa risposta prenderà decisamente più spazio dell’articolo originale, perché per fondare in maniera seria un ragionamento occorre sempre spendere sempre più parole di quante ne occorrano per imbastire una polemica.
Problemi fin dall’inizio
Nonostante il titolo promettente e il tentativo dichiarato di fare chiarezza sulla differenza tra vera scienza e “fake news”, l’articolo di Barbieri contiene alcune affermazioni del tutto scorrette sulla storia delle linee cellulari provenienti da feti abortiti e sulle evidenze scientifiche che le riguardano.
Eccone alcune:
Le prove degli aborti eseguiti con taglio cesareo si riducono più che altro ai video girati da David Daleiden.
In realtà, si trovano nella letteratura scientifica [3, 4, 5,] e in particolare in diversi articoli in cui si descrive lo sviluppo dei vaccini antipolio [6].
La sperimentazione su tessuti fetali era vietata prima della legalizzazione dell’aborto.
In realtà, sperimentazioni di questo tipo sono state condotte a partire dagli anni Trenta del Novecento e per tutto il periodo che va dagli anni Cinquanta ai Settanta [7] ci sono stati addirittura rivenditori internazionali di tessuti di feti abortiti (in particolare il Karolinska Institutet) che continuano ancor oggi a fornire materiale per la ricerca.
Nessuna sperimentazione su tessuti fetali è stata condotta con l’intenzione di produrre vaccini.
In realtà, lo sviluppo del vaccino antipolio ha stimolato la ricerca sulle linee cellulari da feti abortiti [8, 9, 10] e quello della rosolia [11] è stato prodotto utilizzando virus ottenuti da feti abortiti [12], mentre sarebbe stato sufficiente effettuare un semplice tampone nasale su un bambino infetto (come si è fatto in Giappone). La storia degli intrecci tra vaccini e aborto risale a molto indietro nel tempo.
La quantità di DNA fetale che rimane nei vaccini è trascurabile, secondo tre studi (dello stesso autore) basati su ipotesi statistiche.
In realtà, i dati sperimentali mostrano come la quantità e le dimensioni dei residui di DNA fetale presenti nei vaccini costituiscano un problema serio e possano superare di più di duecento volte i limiti di sicurezza fissati dall’OMS [13].
La ricerca sui vaccini e una carriera rovinata
Sebbene questo mio intervento intenda affrontare in primo luogo la questione dei rapporti tra ricerca con feti abortiti e vaccini, conviene occuparsi brevemente del fatto che Barbieri inizia il suo intervento liquidandomi come persona non titolata a trattare di vaccini in quanto “senza alcuna competenza specifica”. L’accusa si basa principalmente sull’assenza di pubblicazioni scientifiche a mio nome. C’è una ragione molto semplice e diretta per la quale non ho pubblicato in nessuna rivista scientifica i risultati del mio lavoro nel campo dello sviluppo dei vaccini.
Il progetto in cui ero impegnata riguardava un vaccino per l’HIV che utilizzava linee cellulari HEK-293. Le ricerche di cui mi occupavo venivano condotte impiegando linee cellulari non problematiche da un punto di vista etico (cellule di cavie, topi e cellule umane cancerose); l’obiettivo era trovare il modo di sfruttare peptidi segnale di piccole dimensioni per rendere il vettore del vaccino (di tipo virale, simile a quello utilizzato dai vaccini anti-Covid di Johnson & Johnson e AstraZeneca) captabile dalle cellule dendritiche, attori importanti nel processo di attivazione di un’efficace risposta immunitaria. Ho lasciato il laboratorio in cui lavoravo dopo dieci mesi, quando ho scoperto che gli antigeni che sarebbero stati usati nel prodotto finale provenivano da cellule di feti abortiti; una decisione, la mia, in linea con i doveri del ricercatore tratteggiati nella Dignitas personae, 14 in particolare ai paragrafi 34 e 35. Se fossi comparsa tra gli estensori di uno qualsiasi degli studi pubblicati (tutti disponibili sul sito del dottor Venigalla Rao [15]), il mio nome sarebbe stato associato nella letteratura scientifica alle cellule di feti abortiti e la mia credibilità ne sarebbe risultata irrimediabilmente compromessa.
Per quanto riguarda i commenti di Barbieri sul mio libro, li riporto per esteso in originale (ringraziando un amico italiano che ha provveduto per me alla traduzione in inglese):
“Entrando più nello specifico, l’unica pubblicazione di Pamela Acker di cui si ha traccia, Vaccination: A Catholic Perspective, edita dal Kolbe Center for the Study of Creation, non tocca che incidentalmente il caso dei vaccini anti-Covid (pp. 73-77, ovvero 5 su 85 pagine), ma è dedicata a rifiutare qualsiasi tipo di vaccinazione. La sua tesi (Good Health, pp. 80-83) è che tutti i vaccini siano nocivi alla salute e che bisognerebbe sostituirli con la vita fisica all’aria aperta, una corretta alimentazione e rimedi tratti dalla natura. Pamela Acker ha scoperto che scienziati come Edward Jenner, Louis Pasteur o Robert Koch non avrebbero portato alcun beneficio all’umanità e vuole convincere i suoi lettori che abbiano perso tempo, senza fornire alcuna seria prova in merito”.
Secondo Barbieri la mia tesi sarebbe che tutti vaccini andrebbero sostituiti con la vita fisica all’aria aperta, una corretta alimentazione e rimedi tratti dalla natura; ma si tratta di un’accusa inconsistente nella migliore delle ipotesi (nel libro arrivo a mettere in guardia il buon cattolico nei confronti di certi rimedi naturali) e di una semplificazione strumentale della mia vera posizione: ossia, che invece di affrontare la malattia intervenendo in maniera inefficace e artificiosa, addirittura prima del contatto con l’agente patogeno, si dovrebbe acquisire una conoscenza adeguata del funzionamento del sistema immunitario e del modo in cui sia possibile sostenerlo nel compito che il progetto divino gli ha affidato, che è quello di proteggerci contro un ampio spettro di potenziali rischi per la salute, non soltanto quelli contro i quali normalmente ci vacciniamo. È fondamentale non fare confusione: il ragionamento che Barbieri mi attribuisce si può smontare molto più facilmente di quello che io sviluppo nella realtà.
Quanto alle prove, il mio libro contiene 85 pagine di argomentazioni con 379 note a piè di pagina in cui si riportano, oltre a diversi altri fatti importanti, i seguenti dati:
Gli esperimenti di Jenner non furono di natura sistematica, produssero un aumento dell’incidenza delle malattie congenite tra i vaccinati e causarono la morte precoce dei primi due volontari (il figlio dello stesso Jenner e un ragazzo del vicinato): morirono entrambi di tubercolosi, contratta molto probabilmente attraverso la vaccinazione.
Il crollo della mortalità causata da certe malattie che si registrò quando vennero introdotte le vaccinazioni è imputabile in misura assai maggiore al miglioramento delle condizioni igieniche e del tenore di vita che ai provvedimenti sanitari adottati all’epoca.
Il successo dell’ipotesi anticorpale si è fondato su esperimenti viziati da errori, condotti con due tipi di organismi patogeni che si comportano in maniera del tutto diversa da tutto ciò contro cui ci vacciniamo oggi.
I vaccini possono essere e sono talvolta inefficaci, con una frequenza tale da rendere il raggiungimento dell’immunità di gregge attraverso la vaccinazione impossibile sul piano teorico.
I vaccini innescano una sequenza anomala di reazioni immunitarie che porta all’attivazione di cellule auto-reattive. Certi individui arrivano a sviluppare vere e proprie patologie autoimmuni, in altri si possono manifestare forme allergiche croniche quando il vaccino sensibilizza le cellule del sistema immunitario nei confronti di sostanze innocue.
Tutti i vaccini presentano controindicazioni (in particolari condizioni possono risultare addirittura letali per certi individui) di cui non si tiene conto prima di somministrarli durante le consuete campagne vaccinali per l’infanzia.
La vaccinazione di massa dà origine a nuovi ceppi di organismi patogeni (un fenomeno analogo a quello della resistenza che i batteri sviluppano agli antibiotici) e può provocare l’esposizione alla malattia di fasce di popolazione più vulnerabili.
Il passaggio attraverso il normale ciclo di malattie dell’infanzia col conseguente sviluppo di una risposta immunitaria adeguata può costituire un fattore protettivo contro le patologie croniche in tarda età, comprese quelle di origine autoimmune e il cancro.
In breve, la stimolazione di una risposta immunitaria per mezzo della vaccinazione è un atto artificioso, ha un effetto temporaneo e un’efficacia inferiore rispetto all’immunità acquisita per vie naturali, oltre a essere decisamente rischiosa per un numero crescente di individui. Il sistema immunitario è immensamente più complesso di quanto si pensasse nell’Ottocento e si basa su molecole e processi di cui i primi inventori e procacciatori di vaccini non potevano nemmeno lontanamente immaginare l’esistenza. Non ha quindi molto senso continuare a far uso in maniera indiscriminata di un dispositivo medico obsoleto, messo a punto in un’epoca in cui si ignorava totalmente questa incredibile complessità.
Aborto e vaccini
Passiamo ora al vero oggetto del contendere: che relazione c’è tra aborto e industria dei vaccini e come ha influito sugli attuali vaccini anti-Covid? E perché la questione è importante?
La tesi di Barbieri, a quanto pare, è che non solo l’uso di vaccini derivati da feti abortiti, compresi i recenti anti-Covid, è lecito per i cattolici anche sul piano morale, ma quanti vorrebbero combattere l’aborto vietando l’impiego di tessuti fetali nella ricerca biomedica sono del tutto fuori strada. Partiamo dalla prima affermazione, che sembra basarsi su due premesse (lasciamo perdere gli errori evidenziati più sopra in questo articolo): che gli aborti da cui sono derivati i tessuti per le linee cellulari non sono stati fatti con l’obiettivo di sviluppare i vaccini e che i vaccini stessi non contengono resti di cellule fetali o altro materiale biologico in misura significativa.
Tra le linee cellulari attualmente impiegate nello sviluppo dei vaccini anti-Covid ci sono la HEK-293 e la PER C6 [16]. Barbieri ha ragione a sostenere che nessuna delle due è stata creata espressamente per lo sviluppo dei vaccini: la HEK-293 aveva come obiettivo la ricerca di base, mentre la PER C6 doveva servire per la produzione di vettori virali per adenovirus [17]. Ma questa seconda linea, sviluppata nel 1995 [18] era comunque orientata specificamente alla ricerca in campo biomedicale. Secondo il dottor Van Der Eb “la linea PER C6 è stata creata con l’unico obiettivo di produrre vettori per adenovirus” [19].
In ogni caso, anche se entrambe le linee cellulari fossero state create con un fine diverso dallo sviluppo di vaccini o medicinali, la Chiesa si è espressa molto chiaramente nella Dignitas personae, 35 [20] riguardo all’illiceità di ricorrere a linee cellulari che abbiano una qualche correlazione con aborti:
“Una fattispecie diversa viene a configurarsi quando i ricercatori impiegano ‘materiale biologico’ di origine illecita che è stato prodotto fuori dal loro centro di ricerca o che si trova in commercio. L’Istruzione Donum vitae ha formulato il principio generale che in questi casi deve essere osservato: ‘I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o no, devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare, non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre, va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo’ “.
A tale proposito è insufficiente il criterio dell’indipendenza formulato da alcuni comitati etici, vale a dire affermare che sarebbe eticamente lecito l’utilizzo di “materiale biologico” di illecita provenienza, sempre che esista una chiara separazione tra coloro che da una parte producono, congelano e fanno morire gli embrioni e dall’altra i ricercatori che sviluppano la sperimentazione scientifica. Il criterio di indipendenza non basta a evitare una contraddizione nell’atteggiamento di chi afferma di non approvare l’ingiustizia commessa da altri, ma nello stesso tempo accetta per il proprio lavoro il “materiale biologico” che altri ottengono mediante tale ingiustizia. Quando l’illecito è avallato dalle leggi che regolano il sistema sanitario e scientifico, occorre prendere le distanze dagli aspetti iniqui di tale sistema, per non dare l’impressione di una certa tolleranza o accettazione tacita di azioni gravemente ingiuste.
Talvolta si obietta che le considerazioni precedenti sembrano presupporre che i ricercatori di buona coscienza avrebbero il dovere di opporsi attivamente a tutte le azioni illecite realizzate in ambito medico, allargando così la loro responsabilità etica in modo eccessivo. Il dovere di evitare la cooperazione al male e lo scandalo, in realtà, riguarda la loro attività professionale ordinaria, che essi devono impostare rettamente e mediante la quale devono testimoniare il valore della vita, opponendosi anche alle leggi gravemente ingiuste. Va pertanto precisato che [esiste] il dovere di rifiutare quel “materiale biologico”, anche in assenza di una qualche connessione prossima dei ricercatori con le azioni dei tecnici della procreazione artificiale o con quella di quanti hanno procurato l’aborto, e in assenza di un previo accordo con i centri di procreazione artificiale.
Si comprende dunque come il fatto che le linee cellulari in oggetto non siano state espressamente sviluppate per l’impiego nei vaccini non abbia alcuna rilevanza ai fini del dibattito sulla liceità del loro uso. La loro origine da sola è sufficiente a renderne illecito l’utilizzo in qualsiasi vaccino.
Il ricorso a “test di convalida” per i vaccini Pfizer e Moderna
C’è un’altra questione sul tappeto che riguarda gli attuali vaccini anti-Covid. Si è fatto un gran parlare di “test di convalida” con l’intenzione di minimizzare gli scrupoli di natura etica sull’uso di cellule di feti abortiti nello sviluppo di vaccini a mRNA sintetico. Ma le cellule in oggetto non sono state impiegate soltanto a scopo di convalida nella fase post-vendita, come suggeriscono l’espressione in questione e il modo in cui la si intende normalmente; al contrario, sono state usate in più fasi del processo di sviluppo [21] sia per il vaccino Pfizer che per il Moderna. La letteratura scientifica mette le cose in chiaro.
Un test fondamentale, parte integrante della progettazione sia nel caso Pfizer22 che Moderna [23], è stato eseguito su cellule di feti abortiti. La proteina spike originale separata dal resto del virus risultava instabile, così gli sviluppatori hanno inserito nella sequenza un certo numero di mutazioni (insieme ad altre necessarie a stabilizzare l’mRNA e a rallentarne la decomposizione all’interno del corpo a vaccinazione eseguita). Bisognava accertarsi che la nuova sequenza di mRNA sintetico generasse esattamente la struttura tridimensionale che ci si attendeva. A questo scopo si sono modificate geneticamente alcune cellule umane per far loro produrre la proteina spike mutata ed estrarla. La proteina è stata sintetizzata in cellule della linea HEK-293 (più specificamente, Pfizer ha utilizzato cellule della linea Expi293F derivata dall’originale HEK-293).24
Cellule della linea HEK-293 sono state impiegate per verificare l’espressione dell’mRNA. I ricercatori hanno messo l’mRNA sviluppato per il vaccino in un terreno di coltura assieme a cellule umane e ad alcune sostanze chimiche che facilitano l’assorbimento dell’informazione genetica. Poi hanno misurato la quantità di proteina “spike” prodotta dalle cellule. Nel processo sono state usate, sia per Pfizer25 sia per Moderna26, cellule di feti abortiti.
Cellule della linea HEK-293 sono state utilizzate anche per convalidare il meccanismo di trasporto del vaccino basato su una nuova tecnologia che fa uso di nanoparticelle lipidiche. I ricercatori dovevano accertarsi che fosse possibile far entrare l’mRNA nelle cellule inserendolo all’interno delle nanoparticelle, perché questo è l’unico modo per introdurlo nelle cellule di una persona vivente. Si tratta di un processo molto simile a quello descritto sopra, con la differenza che in questo caso si racchiude l’mRNA in una particella lipidica e non c’è bisogno di ricorrere a particolari composti chimici. A tale scopo per il vaccino Moderna sono state usate cellule di feti abortiti [27].
Cellule della linea HEK-293T caratterizzate da una sovraespressione del gene ACE-2 sono state impiegate per creare pseudovirus usati nel corso di esperimenti di neutralizzazione finalizzati a rilevare la presenza di anticorpi. Ciò vuol dire che agli sviluppatori del vaccino servivano alcuni virus non infettivi per stabilire se i vaccinati avrebbero prodotto anticorpi in grado di legarsi al virus reale. Questi pseudovirus (capaci di esprimere le proteine “spike” ma non di infettare gli esseri umani) sono stati cresciuti in cellule di feti abortiti e poi raccolti. Sia Pfizer [28] sia Moderna [29] hanno fatto ricorso per questi test alla linea HEK-293.
Tutto questo dimostra che il ruolo svolto dalle linee cellulari provenienti da feti abortiti nello sviluppo dei vaccini è molto maggiore di quanto alcune recenti dichiarazioni sulla loro presunta moralità vogliano far credere. Questo solo fatto giustificherebbe di per sé la richiesta di riconsiderare certe affermazioni, che partono evidentemente da una base di conoscenza inadeguata. Si tratta peraltro di questioni di estrema rilevanza nell’ambito del dibattito sulla cooperazione remota al male, di cui ci occuperemo più avanti.
Le conseguenze della violazione delle leggi di natura
Anche riguardo alla seconda ragione addotta da Barbieri per giustificare l’uso di vaccini derivati da feti abortiti, l’idea cioè che non contengano resti di cellule fetali o altro materiale biologico in concentrazioni significative, occorre fare una chiara distinzione. È certamente vero che c’è una probabilità piuttosto bassa che i vaccini prodotti in questo modo contengano al loro interno cellule umane intatte. Infatti, perché le sostanze prodotte all’interno delle cellule diventino utilizzabili le cellule stesse devono essere sottoposte a lisi (frantumazione) e il loro contenuto dev’essere purificato per rimuovere la maggior quantità possibile di detriti cellulari. A prima vista suona rassicurante. Tuttavia, come qualunque scienziato che abbia lavorato alla purificazione di materiale molecolare sa bene, nessun procedimento, per quanto rigoroso, sarà mai in grado di garantire la purezza assoluta dei preparati finali. Rimarrà sempre una certa quantità di detriti.
Diversamente dal dottor Paul Offit, che non si perita di rilasciare dichiarazioni frettolose e imprecise sulla sicurezza dei vaccini e la credibilità di quanti la mettono in dubbio, la dottoressa Theresa Deisher e i suoi colleghi del Sound Choice Pharmaceuticals hanno misurato la quantità effettiva di DNA fetale residuo presente nei vaccini. Il limite di sicurezza fissato dall’OMS, che è cresciuto di un fattore 1000 dalla sua prima introduzione nel 1980, è pari a 10 ng [nanogrammi] di DNA per dose [30]. Purtroppo non esiste al momento alcun organismo di vigilanza che imponga alle aziende produttrici di attenersi a queste linee guida; ci si limita a suggerire che venga “accertato il rischio” correlato a ciascun vaccino [31]. A causa di questa mancanza di controlli vengono prodotti vaccini che contengono quantità molto maggiori di DNA residuale: 150 ng/dose nel vaccino della rosolia, 300 ng/dose in quello dell’epatite A e ben 2000 ng/dose in quello della varicella [32] (una concentrazione doppia rispetto a quella del principio attivo). Di solito questi frammenti di DNA sono piccoli (per via del processo di lisi cellulare, cui può seguire anche la digestione del DNA), ma ciò non riduce il rischio connesso. Al contrario, frammenti di lunghezza contenuta sono l’ideale per favorire l’inserzione di mutazioni nella cellula ospite [33]. Le mutazioni per inserzione non sono correlate soltanto al rischio di cancro, ma anche a una pluralità di disturbi del neurosviluppo tra cui schizofrenia infantile, disordine bipolare e autismo [34]. È anche possibile che il DNA fetale umano presente nel vaccino induca una reazione autoimmune del bambino nei confronti del suo stesso DNA, particolarmente nel caso del vaccino della varicella in cui la concentrazione è particolarmente alta. I cattolici non dovrebbero sorprendersi troppo delle conseguenze di una plateale violazione delle leggi di natura come quella perpetrata per la produzione dei vaccini, contaminati dai frutti di un crimine come l’aborto; dovrebbero aspettarsi, anzi, che simili trasgressioni generino qualche effetto nefasto sul piano naturale.
Cooperazione al male e causa grave
Una volta stabilita l’origine illecita delle linee cellulari e l’inammissibilità del loro impiego da parte dei ricercatori, il lettore potrebbe ancora chiedersi: e il fatto che l’aborto originale sia per me un evento remoto? Devo comunque preoccuparmi della liceità di questi vaccini per uso personale, specialmente alla luce dei recenti pronunciamenti del Vaticano [35] e della Conferenza episcopale americana [36]?
È evidente che il paziente che riceve il vaccino ha un livello di prossimità al male diverso dal ricercatore che partecipa attivamente a sperimentazioni che fanno uso di linee cellulari fetali. Persino un tecnico di laboratorio della Pfizer, che contribuisce a sviluppare il vaccino ma non ha voce in capitolo sulle modalità con cui viene prodotto, è meno colpevole del capo del team di ricerca da cui è partita la decisione di utilizzare linee cellulari provenienti da feti abortiti. Facciamo però chiarezza su quel che insegna davvero il magistero: deve sussistere una ragione proporzionalmente grave perché l’impiego dei vaccini in questione sia giustificato. Di questo si parla esplicitamente alla fine del paragrafo 35 della Dignitas personae:
“Naturalmente all’interno di questo quadro generale esistono responsabilità differenziate, e ragioni gravi potrebbero essere moralmente proporzionate per giustificare l’utilizzo del suddetto “materiale biologico”. Così, per esempio, il pericolo per la salute dei bambini può autorizzare i loro genitori a utilizzare un vaccino nella cui preparazione sono state utilizzate linee cellulari di origine illecita, fermo restando il dovere da parte di tutti di manifestare il proprio disaccordo al riguardo e di chiedere che i sistemi sanitari mettano a disposizione altri tipi di vaccini. D’altra parte, occorre tener presente che nelle imprese che utilizzano linee cellulari di origine illecita non è identica la responsabilità di coloro che decidono dell’orientamento della produzione rispetto a coloro che non hanno alcun potere di decisione”.
Un recente articolo scritto da un bravo sacerdote [37] spiega in maniera molto chiara che nel caso del coronavirus SARS-CoV-2 non si può parlare di circostanze gravi e quindi il permesso condizionato di usare vaccini connessi a pratiche abortive non si applica: “Si può accettare sul piano morale l’impiego di dispositivi terapeutici connessi a pratiche abortive come i vaccini allo scopo di scongiurare un potenziale pericolo per la salute se si verificano tutte le seguenti condizioni:
Non sono disponibili dispositivi terapeutici moralmente irreprensibili atti a scongiurare il pericolo per la salute che si va prospettando.
Per utilizzare dispositivi terapeutici connessi con pratiche abortive deve sussistere una causa proporzionale alla gravità dei rischi che si corrono.
Deve presentarsi un’effettiva grave minaccia per la salute propria o degli altri nel caso in cui ci si astenga dal ricorrere ai dispositivi terapeutici connessi a pratiche abortive che vengono proposti.
Si deve dichiarare la propria contrarietà al fatto che i dispositivi terapeutici in questione siano correlati a pratiche abortive”.
L’autore prosegue spiegando che nell’attuale contingenza legata al coronavirus solo il quarto criterio può essere soddisfatto. Sarebbe a dire che invocare la “causa grave” nel dibattito in corso sui vaccini è del tutto inappropriato. Non è il caso qui di riportare tutte le argomentazioni contenute nell’articolo, che il lettore interessato potrà trovare nel testo originale.
Purtroppo, la questione della causa grave non è nuova per quanti seguono da vicino le discussioni su vaccini, aborto e cooperazione al male. Persino il caso della sindrome da rosolia congenita (SRC), utilizzato in passato come causa grave per giustificare l’impiego di vaccini derivati da feti abortiti [38], risulta discutibile come base di partenza ai fini della discussione sulla liceità morale della cooperazione al male. I casi di SRC non sono diminuiti per effetto della vaccinazione ma a seguito della legalizzazione dell’aborto e del crollo del tasso di fertilità [39], mentre il ricorso ai vaccini non ha praticamente influito sull’immunità di gregge [40]. Invece di costituire un fattore di protezione, la vaccinazione di massa contro la rosolia (con un vaccino il cui sviluppo ha richiesto almeno novantanove diversi aborti) [41] ha incrementato in una prima fase l’incidenza della SRC rendendo poi le donne incinte più esposte alla malattia a causa del rapido venir meno dell’immunità indotta [42].
L’appropriazione del male
Quand’anche la prossimità all’aborto originale fosse sufficientemente remota da rendere tollerabile la cooperazione, è utile ricordare che usando questo tipo di vaccini non si può evitare ciò che i teologi moralisti chiamano “appropriazione del male”. Si tratta di una precisazione importante in riferimento agli attuali vaccini anti-covid.
La natura degli atti afferenti alla fattispecie della cooperazione e a quella dell’appropriazione è fondamentalmente la stessa. In entrambi i casi, un attore compie un’azione ausiliaria che facilita in qualche misura o rende possibile il compimento dell’azione principale da parte di un altro attore. La differenza risiede nell’identità di chi deve decidere se compiere o meno un atto moralmente discutibile e di chi ha già risolto di procedere in tal senso. In sostanza, nel caso della cooperazione l’attore ausiliario è colui che si pone il problema di coscienza di che cosa fare di fronte all’eventualità che la sua azione possa contribuire al male compiuto dall’attore principale. Nel caso della appropriazione, i ruoli sono invertiti. Ora a porsi il problema di coscienza è l’attore principale, che deve decidere se far uso dei frutti o dei sottoprodotti di un atto moralmente riprovevole compiuto dall’attore ausiliario.
Nel caso della cooperazione, l’atto questionabile si situa nel futuro e l’azione di chi coopera contribuisce sul piano causale al suo compimento da parte dell’attore principale. Dal punto di vista degli effetti esteriori dell’azione umana, il problema della cooperazione è palese: l’atto di chi coopera fomenta chiaramente quello orientato al male di un altro attore. Ma in questa prospettiva il rischio morale dell’appropriazione passa inosservato. Chi si appropria dei frutti o dei sottoprodotti di un’azione immorale non contribuisce sul piano causale alla sua esecuzione; generalmente (ma non sempre), nel momento in cui deve prendere una decisione il male è stato già compiuto da qualcun altro. L’effetto di una tale decisione è quindi interno; scegliendo di legare il proprio agire al male compiuto da un altro, si incide sul proprio carattere in un modo che può non avere un riscontro immediato e tangibile nel mondo esterno. In altre parole, la decisione di appropriarsi dell’atto illecito di un’altra persona tocca nel profondo l’interiorità di chi la prende alterandone il carattere [43].
Non si può liquidare questo problema a suon di proclami sull’immunità di gregge o la pandemia, la maggior parte dei quali non trovano riscontro nella realtà. È anzi importante che i paladini della liceità della cooperazione si rendano conto di questo fatto: mentre la cooperazione al male può essere ammissibile in circostanze proporzionalmente gravi, di fatto non è mai richiesta ai fedeli cattolici [44]. Chi sceglie di prendere le distanze da un simile atteggiamento e incoraggia gli altri a fare altrettanto non viola alcun sano precetto morale.
In conclusione
Barbieri termina il suo articolo asserendo apoditticamente che “chi afferma pertinacemente che l’aborto esiste solo in funzione di tali industrie o mente sapendo di mentire oppure, più semplicemente, ignora la reale origine della cultura abortista”. Non si capisce come si possa affermare in buona fede una cosa del genere, dal momento che chi depreca il legame tra aborto e industrie farmaceutiche non sostiene che l’aborto esista solo in funzione della ricerca biomedicale (mi spingo a dire che quanti condividono questa posizione sono sufficientemente consapevoli della realtà del peccato originale da riconoscere che l’aborto esiste in funzione del desiderio egoistico dell’uomo di violare liberamente il sesto e il nono comandamento) ma insiste anzi – e con ragione – sul fatto che l’accettazione passiva della presenza di cellule di feti abortiti nei vaccini ha contribuito all’approvazione sempre più diffusa non solo dell’aborto ma anche della ricerca sulle cellule staminali embrionali, ripetutamente condannata dalla Chiesa. A questo si aggiunga che la ricerca sui tessuti di feti abortiti è degenerata in una serie di pratiche barbare e grottesche che richiedono un continuo rifornimento di tessuti freschi. Spesso la giustificazione per il proseguimento di simili pratiche, che comportano la creazione e l’immediata distruzione di vite umane, è che dopo tutto i vaccini di cui ci serviamo sono stati sviluppati in tessuti fetali. Non si tratta di una questione di poco conto, ma di un aspetto grandemente sottovalutato di una battaglia che va combattuta su più fronti per sconfiggere l’anti-cultura della morte e ripristinare la dignità della persona umana.
Una nota finale: polemizzando con chi esprime preoccupazione per l’uso di linee cellulari da feti abortiti nei vaccini, Barbieri giudica “disinvolto” il collegamento con la questione dei feti estratti con parto cesareo. Mi permetto di dissentire. La nostra cultura è diventata a tal punto insensibile di fronte alla realtà dell’aborto, del suo orrore e dei suoi intrecci con quei principi gnostici occulti che Barbieri stesso menziona, che diventa un obbligo morale cercare di restituire alle sue vittime una dimensione umana. Tutto ciò non ha nulla a che fare con il sensazionalismo. Dar voce ai bambini abortiti descrivendo la loro agonia non è un espediente a buon mercato per attrarre l’attenzione del pubblico. Piuttosto, è un modo di far riflettere su quanto ci siamo assuefatti ai vantaggi apparenti della nostra cooperazione al male.
Note
1 http://www.corrispondenzaromana.it/verita-scientifiche-e-fake-news-sui-vaccini-anti-covid-19/
2 http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=31058&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html
3 Albert B Sabin, Peter K. Olitsky, Proceedings of the Society for Experimental Biology and medicine, Cultivation of Poliomyelitis Virus in vitro in human embryonic tissue. Proc Soc Exp Biol Med 1936, 34:357-359.
4 Joan C. Thicke, Darline Duncan, William Wood, A. E. Franklin and A. J. Rhodes; Cultivation of Poliomyelitis Virus in Tissue Culture; Growth of the Lansing Strain in Human Embryonic Tissue, Canadian Journal of Medical Science, 1952; 30: 231-245.
5 Thomas H. Weller, John F. Enders, Frederick C. Robbins and Marguerite B. Stoddard; Studies on the Cultivation of Poliomyelitis Viruses in Tissue Culture : I. The Propagation of Poliomyelitis Viruses in Suspended Cell Cultures of Various Human Tissue; J Immunol 1952; 69: 645-671.
6 http://cogforlife.org/2012/06/13/polioperversion/
7 http://cogforlife.org/2012/06/13/polioperversion/
8 Albert B Sabin, Peter K. Olitsky, Proceedings of the Society for Experimental Biology and medicine, Cultivation of Poliomyelitis Virus in vitro in human embryonic tissue. Proc Soc Exp Biol Med 1936, 34:357-359.
9 Joan C. Thicke, Darline Duncan, William Wood, A. E. Franklin and A. J. Rhodes; Cultivation of Poliomyelitis Virus in Tissue Culture; Growth of the Lansing Strain in Human Embryonic Tissue, Canadian Journal of Medical Science, 1952; 30: 231-245.
10 Thomas H. Weller, John F. Enders, Frederick C. Robbins and Marguerite B. Stoddard; Studies on the Cultivation of Poliomyelitis Viruses in Tissue Culture : I. The Propagation of Poliomyelitis Viruses in Suspended Cell Cultures of Various Human Tissue; J Immunol 1952; 69: 645-671.
11 Plotkin S, et al. Attenuation of RA27/3 Rubella Virus in WI-38 Human Diploid Cell, Amer J Dis of Children, 1969; 118: 178-179.
12 http://cogforlife.org/vaccines-abortions/
13 Deisher TA, et al. Impact of environmental factors on the prevalence of autistic disorder after 1979. J Pub Health Epidem, 2014; 6(9): 271-286.
14 http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20081208_dignitas-per sonae_en.html
15 Le pubblicazioni del Rao Lab sono disponibili qui: http://www.t4lab.net/Publications.htm. Quelle che riguardano l’uso delle cellule HEK-293 cells hanno una relazione diretta con lo sviluppo del vaccino per l’HIV.
16 Secondo il sito Children of God for Life per i vaccini AstraZeneca si usa la linea MRC-5; di ciò però non ho trovato alcun riscontro nella letteratura citata.
17 FDA, Center for Biologics and Evaluation of Research. Vaccines and Related Biological Products Advisory Committee, Meeting, 26 March 2001. https://wayback.archive-it.org/7993/20170404095417/https:/www.fda.gov/ohrms/dockets/ac/01/transcripts/375 0t1_01.pdf
18 https://cogforlife.org/per-c6-hek-293/
19 Ibid.
20 https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20081208_dignitas-p ersonae_en.html
21 https://cogforlife.org/guidance/
22 Vogel LB, et al. A prefusion SARS-CoV-2 spike RNA vaccine is highly immunogenic and prevents lung infection in non-human primates. bioRxiv 2020.09.08.280818; doi: https://doi.org/10.1101/2020.09.08.280818
23 Wrapp D, et al. Cryo-EM structure of the 2019-nCoV spike in the prefusion conformation. Science; 13 Mar 2020 : 1260-1263.
24 https://biomedpharmajournal.org/vol11no2/the-scattered-twelve-tribes-of-hek293/
25 Vogel LB, et al. A prefusion SARS-CoV-2 spike RNA vaccine is highly immunogenic and prevents lung infection in non-human primates. bioRxiv 2020.09.08.280818; doi: https://doi.org/10.1101/2020.09.08.280818
26 Corbett, K.S., Edwards, D.K., Leist, S.R. et al. SARS-CoV-2 mRNA vaccine design enabled by prototype pathogen preparedness. Nature 586, 567–571 (2020).https://doi.org/10.1038/s41586-020-2622-0
27 Moderna. US Patent 10,583,203. 10 Mar 2020. http://patft.uspto.gov/netacgi/nph-Parser?Sect1=PTO1&Sect2=HITOFF&d=PALL&p=1&u=%2Fnetahtml%2FP TO%2Fsrchnum.htm&r=1&f=G&l=50&s1=10,583,203.PN.&OS=PN/10,583,203&RS=PN/10,583,203
28 Vogel LB, et al. A prefusion SARS-CoV-2 spike RNA vaccine is highly immunogenic and prevents lung infection in non-human primates. bioRxiv 2020.09.08.280818; doi: https://doi.org/10.1101/2020.09.08.280818
29 Jackson LA, et al. An mRNA Vaccine against SARS-CoV -2 — Preliminary Report. N Engl J Med 12 Nov 2020; 383:1920-1931
30 Yang H. Establishing Acceptable Limits of Residual DNA. PDA JPST, 2013; 67(2): 155-163.
31 Ibid.
32 Jarzyna P, Doan NV, Deisher TA. Insertional Mutagenesis and Autoimmunity Induced Disease Caused by Human Fetal and Retrovial Residual Toxins in Vaccines. Issues in Law & Medicine, 2001; 31(2): 221-234.
33 Ibid.
34 Ibid.
35
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20201221_nota-vacci ni-anticovid_en.html
36 https://www.usccb.org/moral-considerations-covid-vaccines
37 https://www.lifesitenews.com/opinion/on-abortion-tainted-vaccines
38 https://cogforlife.org/wp-content/uploads/2012/04/vaticanresponse.pdf
39 Ravitz J. Before Zika: The virus that helped legalize abortion in the US. CNN, 11 Aug 2016. https://www.cnn.com/2016/08/09/health/rubella-abortion-zika/index.html. Sito visitato il 21 aprile 2020.
40 Diodati CJM. Immunization: History, Ethics, Law and Health. Ontario, CN: Integral Aspects Incorporated, 1999, p. 18.
41 https://cogforlife.org/2019/05/20/vaccinetruth/
42 Ibid.
43 Kaveny, MC. Appropriation of Evil: Cooperation’s Mirror Image, Theological Studies, Jun 2000; 61: 284-286.
44 https://www.bitchute.com/video/a4eJhjenkjaY/
Fonte: lifesitenews.com
https://www.aldomariavalli.it/2021/04/20/i-vaccini-la-loro-efficacia-i-legami-con-laborto/
Scenari inquietanti (!).
RispondiEliminaP.S.:
Non so se c'entra col tema ma il vaccino Astrazeneca è preparato a partire dagli adenovirus di scimpanzé.
https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.humanitas-sanpiox.it/news/vaccino-covid-19-astrazeneca-perche-e-diverso/&ved=2ahUKEwj91IrQjY3wAhUKtaQKHePYBPIQFjAAegQIBBAC&usg=AOvVaw2ToZIs1UlgQwRIomel1YIW