Dove porta il «cammino sinodale»? (E soprattutto, da dove viene?)
A prendere sul serio la strana lettera di dimissioni del cardinale Marx, la chiesa cattolica (quantomeno in Germania) sarebbe arrivata «a un punto morto (an einem „toten Punkt“ angekommen). Un punto morto è un punto dal quale non si sa come uscire, un non-luogo aporetico da cui non si può evadere perché qualunque direzione di marcia si prenda potrebbe essere sbagliata: la situazione di Dante nella selva oscura, tanto per capirci. Il cardinale, tuttavia, dice di conoscere la via di uscita: proseguire, con maggior forza e decisione, quello stesso «cammino sinodale» (Synodale Weg) che li ha portati fin lì. Che dire? A me sembra che abbiano spento la luce. Al buio, si diventa ciechi e, come è già stato notato, «può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?» (Lc 6, 39).
Pare che il papa non sia affatto d’accordo con ciò che vogliono i “viandanti sinodali” di Germania, poiché qualche settimana fa la Congregazione per la dottrina della fede, con la sua esplicita approvazione, li ha formalmente avvertiti che gran parte delle cose che vorrebbero fare, la chiesa non le può consentire, poiché non sono nella sua disponibilità in quanto contrastano con l’insegnamento di nostro Signore. Il che, a rigor di logica, dovrebbe significare che, se non se ne daranno per intesi e andranno avanti per quella strada (come sembrerebbero intenzionati a fare), saranno fuori dalla chiesa.
Tuttavia lo stesso papa pare che stia cercando con tutte le sue forze di spingere la chiesa universale sulla via di un cammino sinodale molto simile. In particolare, per quanto riuguarda noi del Belpaese, egli ha imposto ai riluttanti vescovi italiani l’avvio immediato di un processo sinodale i cui contorni non so se siano già stati precisati ma che, a quanto leggo in una fonte giornalistica, dovrebbe essere un «percorso “diffuso”, non accentrato e precostituito, che abbia per protagonisti i territori», di durata almeno triennale. In ogni caso, pare ormai chiaro che la sinodalità (che è altra cosa dai sinodi così come la chiesa li ha sempre fatti) rappresenta un elemento-chiave nell’operazione di ristrutturazione della chiesa tentata da questo papa, al punto che il prossimo sinodo dei vescovi, previsto per il 2022 sarà dedicato a questo tema: un sinodo sulla sinodalità. Ci si potrebbe chiedere quale sia il motivo di questa accentuazione così forte: c’è chi dice che essa dipenda dalla convinzione di papa Bergoglio che la cosa più importante sia «avviare processi», comunque si svolgano e dovunque essi portino. Non saprei che dire, anche se in linea di massima mi sembra improbabile che sia meglio fare dei passi nella direzione sbagliata piuttosto che stare fermi. In ogni caso, trovo che, nelle presenti circostanze, sia del tutto ragionevole avere dei forti timori circa la meta del viaggio che stiamo per intraprendere, considerate le infelici conseguenze di quello già avviato in Germania.
Comunque sia, più che interrogarsi su dove porti il “cammino sinodale” (chi vivrà, vedrà), penso sia importante chiedersi da dove venga. Posso sbagliarmi, e sarò grato a chi mi aiuterà a vedere il mio errore, ma ho l’impressione che alla base della categoria di sinodalità oggi tanto in voga ci sia l’idea che anche nella chiesa la verità venga dal basso, cioè emerga attraverso la discussione, il confronto e il coinvolgimento quanto più ampio possibile del popolo (quel popolo che, come ha detto una volta il papa parlando coi gesuiti colombiani, per lui non è una «categoria logica», ma una «categoria mitica»). Un’idea rispettabile, come tante altre del resto, ma che temo abbia il difetto di non essere molto cristiana. Perché nel cristianesimo la verità non emerge dal basso, dal fondo dei nostri cuori e delle nostre viscere o dalla somma delle nostre opinioni, ma scende dall’alto. Anzi, è scesa dall’alto, perché la verità è Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo, è morto ed è risorto per noi e vive nella chiesa, che è il suo corpo.
Ma c’è di più: la caratteristica peculiare del cristianesimo, almeno per come l’hanno insegnato a me, è che in esso contenuto e metodo coincidono. Gesù Cristo non è solo la verità e la vita, ma è anche la via: il metodo per arrivare alla verità e alla vita è lui stesso. Rispetto a questo assunto, mi chiedo dunque quale sia il fondamento teologico (il che vuol dire, necessariamente, quali sono le fonti nella Scrittura e nella Tradizione) della sinodalità. Non mi pare che nel vangelo vi sia il minimo cenno a qualcosa di anche lontanamente simile ad un processo di “estrazione” della verità attraverso la consultazione assembleare, il confronto dei punti di vista, l’accoglimento di proposte e pareri. Gesù non discute mai con nessuno, nel senso che non si pone mai, nei confronti di alcun interlocutore, sul piano di una ricerca paritaria e dialettica della verità. In particolare, egli non accetta mai il consiglio né in alcun modo “impara” dai suoi discepoli, anzi i racconti evangelici sottolineano come respinga, anche con durezza, ogni loro tentativo di dargli dei suggerimenti o muovergli delle obiezioni. Gesù è sovranamente indifferente a ciò che la gente pensa di lui, né fa mai alcuno sforzo per rendersi gradito al popolo e agevolare così la ricezione del suo messaggio. L’unica volta in cui lo vediamo porre la domanda: «La gente, chi dice che io sia?” (cfr Mc 8. 27-30 e paralleli), lo fa non per riflettere “sinodalmente” insieme ai suoi discepoli – come forse faremmo noi oggi – “sulle domande e le attese degli uomini del nostro tempo” per ricavare da questa analisi “le risposte che come cristiani siamo chiamati a dare alle sfide che ci vengono dalla società in cui viviamo eccetera eccetera” – come si direbbe nell’ecclesialese moderno – bensì unicamente per porre a ciascuno di loro la sola questione che conti veramente ai suoi occhi, cioè la questione della fede: «voi, chi dite che io sia?». È tale domanda a rendere possibile la confessione di fede di Pietro, ma subito Gesù attesta, come il vangelo di Matteo non per nulla si affretta a precisare, che quella verità non viene “dal basso” (Mt 16, 17: «né la carne né il sangue te l’hanno rivelato»), ma dall’alto («il Padre mio che sta nei cieli»). Ora, se avessimo qui lo spazio per dilungarci, potremmo mostrare che questa linea di condotta è la stessa che i primi cristiani cercano di seguire nei primi passi di costruzione della chiesa, come si evince chiaramente dalla lettura degli Atti degli Apostoli. Di fronte a tutte le difficoltà e le crisi della chiesa nascente, nella ricostruzione che Atti ne fa, l’accento non è mai posto sulla discussione come luogo di ricerca della verità né sulle procedure “sinodali” di composizione dei conflitti, ma sul fatto che è l’iniziativa divina a “mettere in crisi” la chiesa, destabilizzandola di volta in volta e chiedendole una risposta che è un’obbedienza di fede, a volte faticosa ma sempre certa, a tale verità che viene dall’alto.
Forse la mia reazione di perplessità di fronte all’odierna parola d’ordine della sinodalità è condizionata da un vecchio pregiudizio anti-assembleare. Però può anche darsi che più che di pregiudizio si tratti di anticorpi. Appartengo ad una generazione che, negli anni della formazione, è venuta su a ”pane e assemblee” (e i più stolti o i più ingenui di noi si sono fatti anche un bel po’ di “comitati di base”): perciò sappiamo tutto sulla “partecipazione” come metodo della lotta “per abbattere il potere verticistico dell’istituzione che vogliamo cambiare, dando finalmente agibilità politica alle istanze democratiche degli studenti e dei lavoratori e bla bla bla”. Sappiamo anche che tutta quella roba là c’entrava assai poco con la partecipazione popolare e con la democrazia: ricordiamo bene come si facevano le assemblee, chi le dirigeva, come si fissavano gli ordini del giorno e come si stilavano i documenti conclusivi; come si “respingevano le provocazioni” e come si isolavano “i nemici del popolo”. L’assemblearismo, come forma tipica di una certa ideologia politica novecentesca, è un virus che ci siamo beccati da giovani e da cui speriamo di essere ormai immuni. Abbiamo già dato.
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