Un lettore, l’avvocato Salvatore Scaglia, con Dottorato in Diritto Canonico presso PUST – Pontificia Università San Tommaso D’Aquino – Angelicum, mi invia una riflessione sulla emergenza legata al COVID.
In una Regione, una delle tante, di Italia, dove non mancano reati davvero gravi da perseguire e a cui dedicare senza risparmio ogni forza, culturale e repressiva, accade che un giorno si presentino alla porta di un istituto religioso degli uomini della Digos.
Benché l’acronimo sia noto non è sconveniente ricordare cosa indichi: la Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali della Polizia di Stato, presente in ogni Questura.
Non è neanche inopportuno sottolineare quando nasca la Digos e quali siano i suoi compiti istituzionali: creata nel 1978, in pieni “anni di piombo”, essa è chiamata ad acquisire informazioni generali al fine di tutelare l’ordine pubblico e investigare per prevenire e combattere illeciti penali come quelli del terrorismo e dell’eversione politica. Quale Polizia di prevenzione dal 1981 svolge investigazioni e raccoglie informazioni per contrastare attività eversive dell’ordine democratico e terroristiche, controllando pure le condotte di gruppi estremistici che perseguono scopi di sovvertimento sociale ricorrendo alla violenza.
Questo, pur succinto, intermezzo, basato su dati che chiunque può attingere dai siti del Ministero dell’Interno e della Polizia, in verità è necessario per la piena comprensione del prosieguo del racconto appena iniziato.
Quegli uomini della Digos, infatti, parlano con la Superiora dell’istituto perché assai di recente nei locali dell’istituto stesso si è tenuto un raduno di persone – presente anche un Sacerdote -, raccolte per pregare e confrontarsi sulla critica situazione che vive da un anno e mezzo il Paese per via della c. d. emergenza da Covid-19. Tutto lecito e legittimo, dunque. Sennonché gli adunati hanno l’‘imprudenza’ (scritto volutamente tra apici) di condividere una foto di loro stessi senza mascherina. Apriti cielo!
La Superiora viene, dunque, da quegli uomini convocata in Questura per fornire spiegazioni sul fatto. Tuttavia – particolare non trascurabile, anzi! – gli uomini della Digos concludono di non dire nulla (sic) all’organizzatore dell’evento, carissimo amico di chi scrive.
La religiosa, però, informa l’organizzatore, che, per avventura, è anche Avvocato e, nel giorno stabilito, si presenta in Questura al colloquio col Dirigente indicatole. Ma non è sola. Infatti è accompagnata dall’organizzatore-Avvocato, il quale nel presentarsi, correttamente, esibisce il tesserino rilasciatogli dall’Ordine Forense di competenza. Il Dirigente, quasi sobbalzando sulla sedia, esclama che non c’è alcun bisogno del Difensore e, conseguentemente, l’Avvocato replica che, allora, si tratta di un colloquio informale, una chiacchierata insomma. Il Dirigente, però, risponde negativamente: è proprio un incontro formale. Al che l’Avvocato, prontamente, controbatte che dunque c’è bisogno, eccome, del Difensore.
Dopo qualche altro scambio di battute tra i presenti – Dirigente, Superiora ed Avvocato – la questione praticamente finisce in un nulla di fatto.
Allora – ci si chiederà – perché l’accaduto merita di essere raccontato? Per qualche, semplice e breve, considerazione che è doveroso fare.
Invero, se l’epilogo è quello appena esposto, perché gli uomini della Digos dicono alla Superiora di non riferire alcunché all’organizzatore? Perché, verosimilmente, vogliono che la suora si rechi da sola in Questura?
Come visto, è lo stesso Dirigente a cadere in contraddizione: prima, infatti, asserisce che non occorre l’Avvocato; poi però ammette che quella a cui è convocata la Superiora non è propriamente una conversazione con tarallucci e vino.
Ferma la massima fiducia nelle Forze dell’Ordine, non si può sottacere il punctum pruriens: perché suscita prurito, nel senso stretto di fastidio e, in quello traslato, di un insieme di interrogativi: come mai, cioè, per l’innocente riunione descritta si attiva addirittura la Digos?
Il problema non può essere affatto il mancato uso della mascherina da parte dei presenti; e almeno per due ragioni. Intanto la foto è, per definizione, l’atto dell’immortalare un attimo, dalla brevissima, istantanea appunto, durata. La foto pertanto, di per sé, non prova alcunché. Inoltre sulla base di un mero scatto fotografico, caso mai, non potrebbero essere eventualmente irrogate le sanzioni previste per il mancato ricorso ai dispositivi di protezione individuale nel caso dei c. d. assembramenti.
Ecco quindi che il punctum pruriens diviene, ahinoi, una nota dolens, per cui è indispensabile richiamare l’interludio di cui sopra.
Invero che alcune, tranquillissime, persone si riuniscano in orazione e discussione è ancora permesso? Che dei soggetti perbene – come dimostra la presenza tra loro di un Sacerdote e come evidenzia l’atto di ammissione dei soggetti nell’istituto da parte della Superiora – si incontrino per quei motivi è ancora consentito? Ovvero, ciò è diventato un problema di “ordine pubblico” se non un reato quasi di “terrorismo” o di “eversione politica”? Cos’è, ancora, una riunione siffatta? È forse un’adunata riferibile a “gruppi estremistici che perseguono scopi di sovvertimento sociale ricorrendo alla violenza”? Perché sono queste, come più su anticipato, le competenze della Digos.
Delle due una, dunque, e tertium non datur: o sono ravvisabili, nella fattispecie, reati e allora gli uomini della Digos sono tenuti a procedere ritualmente, ossia con le forme previste dalla legge a garanzia di ogni persona. O se, in concreto, non sono individuabili reati non si spiega affatto tale modus procedendi: la richiesta di non dire niente all’organizzatore-Avvocato; e, poi, le viste contraddizioni del Dirigente in Questura.
Non è, quindi, a questo punto pleonastico nemmeno ricordare qualche principio, cioè regola fondante lo stesso sistema giuridico-politico italiano, della Costituzione ancora, almeno formalmente, in vigore.
Tutti i “cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi” (art. 17, co. 1°, Cost.): e questo è proprio il caso narrato. “Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso” (art. 17, co. 2°, Cost). E questo è, ancora, il caso narrato perché l’istituto religioso è, alle condizioni dell’ammissione sotto la responsabilità della Superiora, un luogo aperto al pubblico.
In siffatte riunioni, poi, tutti “hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione“ (art. 21, co. 1°, Cost.). Ed è questo, ancora, il caso narrato.
E tutti “hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” (art. 19 Cost.). Ed è questo, finalmente e ad abundantiam, il caso narrato.
Cosa può dunque originare preoccupazione, a tal segno da provocare l’intervento della Digos e con le viste modalità? Che dei cittadini della Repubblica esercitino i loro diritti – costituzionalmente previsti e tutelati – di riunione, di libera manifestazione della propria opinione e di libertà religiosa?
In questo tempo in cui, tra l’altro, molti, troppi, sono supinamente indifferenti o tacciono, da ultimo magari per l’imporsi del solleone, al credente sovviene la frase del Signore Gesù durante il suo drammatico arresto, consumatosi nottetempo: “questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre” (Luca 22, 53).
Ma i cittadini non ci stanno.
Almeno i cittadini ancora consapevoli, vigili. Consci di essere titolari di doveri sì, ma anche di diritti. Di trovare nella “legge fondamentale della Repubblica”, ossia la vigente Costituzione, la suprema garanzia contro eventuali abusi. “La Costituzione”, infatti, deve “essere fedelmente osservata” non solo “da tutti i cittadini”, ma altresì “dagli organi dello Stato” (XVIII Disposizione transitoria e finale, Cost.).
Questi cittadini pretendono dallo stesso Presidente Sergio Mattarella, che è il custode della Costituzione (cf. Carl Schmitt, 1931), l’intransigente vigilanza contro trasgressioni, più o meno palesi, più o meno surrettizie, della Magna Charta stessa.
Questi cittadini, non sudditi, bensì protagonisti di una democrazia, non vogliono, e per ciò si battono ogni giorno, che l’emergenza da Covid-19 si trasformi, se non lo è già, in vera – questa sì ! – emergenza democratica.
di Salvatore Scaglia
https://www.sabinopaciolla.com/emergenza-da-covid-19-o-emergenza-democratica/
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