Mascarucci: la Messa in Latino e la Decadenza di Bergoglio. Guareschi…
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Americo Mascarucci ci ha inviato questa riflessione sul Motu Proprio Traditionis Custodes, e sul suo suo significato nel contesto del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Buona lettura.
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La messa in latino e la decadenza di Bergoglio
La visione che ispira oggi papa Francesco nell’attacco alla messa in latino è esattamente la stessa che ispirava l’azione dei vari don Chichì (il celebre personaggio di Giovannino Guareschi descritto come l’antagonista di don Camillo nel libro “Don Camillo e i giovani d’oggi”), tipica degli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II.
Anni in cui imperversavano nelle diocesi preti accecati da furore conciliarista, pronti ad eliminare ogni traccia di tradizione, per rendere la Chiesa sempre più aperta alle istanze del mondo moderno. In quei periodi di buio della fede, si assistette ad altari maestosi completamente smontati e spogliati con la pretesa di tornare a quella che era la semplicità evangelica; balaustre abbattute in virtù del principio che non dovessero esistere barriere fra il popolo e l’eucaristia, negando così la sacralità e inviolabilità degli altari. A rimetterci furono anche le madonne addolorate e trafitte , così come i cristi sofferenti e flagellati e le statue dei santi martirizzati, perché la Chiesa non doveva più parlare di dolore ma trasmettere allegria, gioia, fiducia, non preparare alla “buona morte” ma far vivere al meglio la vita.
La messa in latino fu percepita come il principale simbolo della tradizione e quindi presa di mira dai progressisti più infervorati, persino nella culla del tradizionalismo cattolico, nella Trento del Concilio della Controriforma, che conobbe il fanatismo rinnovatore dell’arcivescovo Alessandro Maria Gottardi e del suo braccio destro monsignor Iginio Rogger. Ne fecero le spese tanto il messale di San Pio V che due culti tradizionali della città: il culto del patrono San Vigilio in primo luogo, che Rogger arrivò e negare sostenendo che il martirio ad opera dei pagani avvenuto a colpi di bastoni e “zoccolate” fosse una leggenda priva di fondamento storico; e il culto di San Simonino, il bimbo che la tradizione ritiene assassinato nell’ambito di un rituale ebraico e che fu sacrificato sull’altare dell’ecumenismo conciliare e della pacificazione con i “fratelli ebrei”.
Oggi come allora si colpisce la messa in latino perché considerata da ostacolo alla piena attuazione del Concilio Vaticano II. Non solo, ormai da anni dentro la Chiesa sta emergendo una chiara coscienza anti-conciliare di cui si è fatto promotore soprattutto negli ultimi anni monsignor Carlo Maria Viganò, evidenziando come i mali della Chiesa di oggi derivino da lì. Si sta andando ben oltre l’ermeneutica della continuità di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI i quali ritenevano che non fosse giusto buttare via il bambino con l’acqua sporca. Il Concilio andava salvato e ciò che invece andava estirpato erano i frutti malati, gli errori. Ma ormai si sta prendendo chiaramente conoscenza di come il Concilio nella sua integrità sia un frutto acerbo, una mela avvelenata che ha permesso al serpente di insinuarsi nella Chiesa e propalare il suo veleno. E la riscoperta della tradizione, la rivalutazione della messa in latino, in questi ultimi anni è stato un potente antidoto che ha sicuramente permesso una riscoperta della vera fede e di una lettura del Vangelo coerente e libera da contaminazione moderniste, marxiste, luterane. Troppo per i cattolici progressisti e per i gradi elettori di Bergoglio, il teologo tedesco Walter Kasper in testa, che invece come il compianto Carlo Maria Martini invocano da anni un Concilio Vaticano III che dia compimento al precedente e che soprattutto completi l’opera di modernizzazione della Chiesa riuscita soltanto parzialmente (e la messa ne è purtroppo il principale prodotto) nel Vaticano II.
Ma quella di Bergoglio ha anche il sapore di una mossa tattica e per certi versi strategica volta a ritornare in piena sintonia con quel mondo progressista che lo ha eletto papa, che si aspettava da lui una grande rivoluzione e che oggi invece si mostra deluso per le sue mancate aperture in tema di nozze gay, abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale, ordinazione delle donne, ammissione piena dei divorziati risposati. La messa in latino è un po’ lo scalpo offerto da Bergoglio ai vari Marx, Kasper e compagni, per compensare la loro insofferenza e dimostrare che ha dato il colpo di grazia all’odiato Benedetto XVI e a quell’ermeneutica della continuità che proprio con la liberalizzazione della messa in latino il suo predecessore aveva inteso riaffermare.
Dulcis in fundo è evidente come il pontificato di Bergoglio volga al termine e il bilancio sia del tutto fallimentare. La Chiesa oggi è più divisa che mai, lontano dal Vangelo, piegata alle esigenze del mondialismo globale e all’agenda Soros , ispirata più da logiche pagane che cristiane. Non solo, al di là della narrazione farlocca dei media mainstream non c’è stata in Vaticano alcuna vera opera di rinnovamento e di pulizia, la corruzione continua a dilagare, gli scandali sono all’ordine del giorno e persino un ultra bergogliano come Marx ha dovuto ammettere che la Chiesa sta su un binario morto. E allora forse a Bergoglio non rimane che tentare di preparare una successione il più possibile pilotata. Il collegio cardinalizio lo ha già in larga parte blindato, ora non gli resta che tagliare le gambe ai suoi nemici interni, magari spingendoli anche ad uscire dalla Chiesa, aggredendoli nel loro punto d’orgoglio, distruggendo la messa in latino e sancendo la morte di quelle realtà interne alla Chiesa che sono le principali avversarie del suo modo molto creativo e stravagante di (non) fare il papa.
Americo Mascarucci
Marco Tosatti
28 Luglio 2021 10 Commenti
Porfiri: la Liturgia è per la Gloria di Dio, ha un Valore Oggettivo. E Doveri.
28 Luglio 2021 2 Commenti
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il M° Aurelio Porfiri ci offre questa riflessione sulla liturgia, i suoi diritti ma anche i doveri che essa richiama al fedele. E sul suo valore oggettivo. Buona lettura.
Il valore oggettivo della liturgia
Noi viviamo in un tempo in cui c’è una predominanza del soggetto, un tempo,in cui sembra che la prigione del cogito cartesiano non dia nessuna possibilità di fuggire. In realtà, anche il soggetto ha conosciuto una crisi nel pensiero moderno e contemporaneo, ma esso ritorna spesso e volentieri ed orienta il modo in cui vediamo il mondo.
Questo ci accade anche per la liturgia, che abbiamo imparato a vedere a partire da noi stessi, dal modo in cui la liturgia ci fa sentire, e non a partire dalla liturgia stessa, la sua dimensione oggettiva.
Cominciamo col dire che la liturgia a noi richiama dei doveri, prima che dei diritti. Prima di dichiarare come essa ci fa sentire dobbiamo considerare a quali responsabilità ci richiama. Lo esprimeva bene Pio XII nella Mediator Dei: “Il dovere fondamentale dell’uomo è certamente quello di orientare verso Dio se stesso e la propria vita. «A Lui, difatti, dobbiamo principalmente unirci, e indefettibile principio, al quale deve anche costantemente rivolgersi la nostra scelta come ad ultimo fine, che perdiamo peccando anche per negligenza e che dobbiamo riconquistare per la fede credendo in Lui» (San Tommaso, Summa Theol., 2.a 2.æ, q. 81, a. 1).
Ora, l’uomo si volge ordinatamente a Dio quando ne riconosce la suprema maestà e il supremo magistero, quando accetta con sottomissione le verità divinamente rivelate, quando ne osserva religiosamente le leggi, quando fa convergere verso di Lui tutta la sua attività, quando per dirla in breve presta, mediante le virtù della religione, il debito culto all’unico e vero Dio”.
Ecco che questo culto dovuto ci introduce nella classica definizione della liturgia, che è in primis per la gloria di Dio e come conseguenza per la santificazione dei fedeli. Non ci santifichiamo arrampicandoci su noi stessi. Più avanti Pio XII precisa: “La sacra Liturgia è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra”.
Sempre nella Mediator Dei viene precisata questa idea del valore oggettivo della liturgia: “Nelle celebrazioni liturgiche, e in particolare nell’augusto Sacrificio dell’altare, si continua senza dubbio l’opera della nostra Redenzione e se ne applicano i frutti. Cristo opera la nostra salvezza ogni giorno nei Sacramenti e nel suo Sacrificio, e, per loro mezzo, continuamente purifica e consacra a Dio il genere umano. Essi, dunque, hanno una virtù oggettiva con la quale, di fatto, fanno partecipi le nostre anime della vita divina di Gesù Cristo. Essi, dunque, hanno, non per nostra ma per divina virtù, l’efficacia di collegare la pietà delle membra con la pietà del Capo, e di renderla, in certo modo, un’azione di tutta la comunità”. Ecco, soltanto con uno sguardo di questo tipo, rispettando il valore oggettivo della liturgia, possiamo beneficiare dei profondi benefici che essa offre.
Don Enrico Finotti (Dogma e Liturgia in Liturgia Culmen et Fons) esprime bene questo concetto quando asserisce: “Il dogma «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica», a cui asseriamo nella professione di fede, si esprime nella celebrazione liturgica proprio nel momento in cui tutti insieme con un cuor solo e un’unica voce lodiamo e supplichiamo il Signore in intima comunione col «noi» della Chiesa. Questo fatto esige che la liturgia sia oggettiva, ossia che i contenuti, le forme e gli intenti dei riti e delle preci siano in tutto conformi al pensiero di Colui che è il soggetto stesso della liturgia: Cristo indissolubilmente unito alla Chiesa sua sposa. La legge dell’oggettività è basilare nella liturgia ed essa deve assicurare che tutto sia conforme al dogma della fede, il quale non è altro che il pensiero stesso del Signore così come egli ce lo ha rivelato.
Infatti, appena lo si dovesse sostituire con un contenuto diverso, soggettivo e conforme a ideologie o sensibilità private, la liturgia perderebbe immediatamente la sua forza in quanto non potrebbe più presentarsi al Padre in nome di Cristo, né essere tramite di quella grazia divina che solo nella conformità e fedeltà a Cristo ci viene elargita dal Padre nella potenza dello Spirito Santo. Da questo principio si comprende bene quanto sia rischioso e talvolta iniquo ogni tentativo di sovversione dell’oggettività liturgica, in quanto rivela la pretesa di accedere a Dio, senza la mediazione di Cristo e senza la umile sottomissione al suo pensiero: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6).
Infatti, idee peregrine e gusti privati oscurano quella nobile verità e quella mirabile arte che risplendono nel dogma riflesso nelle preci liturgiche e nessun fedele deve subire l’ingiustizia di dover ratificare suo malgrado testi e riti i cui contenuti fossero alieni dall’oggettivo pensiero di Cristo e difformi dalla fede sempre professata dalla Chiesa. La sostituzione del vero soggetto della liturgia è un pericolo ricorrente, che si palesa ogni volta che si accredita la propria sensibilità religiosa o ideologica contro il dogma della fede con una presuntuosa interpretazione soggettiva del culto divino inteso più come espressione psicologica della nostra esperienza che neanche quale deve essere: il riflesso fedele ed integro del pensiero e delle leggi stabilite dal Signore”. Il pensiero qui espresso da don Finotti, in linea con quanto la Chiesa ha sempre insegnato, ci aiuta a capire di più e meglio come la liturgia non sia qualcosa che riguarda noi ma ci riguarda solo in quanto riguarda Lui.
In tempi intrisi di soggettivismo di ritorno, ecco che la liturgia si è ridotta ad un corto circuito fra chi celebra e chi partecipa. Al centro è stata messa “l’assemblea”, che in realtà non è protagonista della liturgia. Se al centro è l’assemblea non siamo più ad una celebrazione della gloria di Dio, ma ad un autocelebrazione che lascia il tempo che trova. Ecco perché si sentì l’esigenza di un’arte dedicata alla liturgia, arte sacra, di una musica sacra; non sacre nel senso di sacralizzare i repertori, ma nel senso di dedicata e separata per il culto di Dio, non inquinata eccessivamente da quello che è fuori dal Tempio, da quello che è profano.
Ecco perché quando si parla della liturgia bisogna partire dal suo valore oggettivo, più che da noi. Se questo valore è ben stabilito, non potremo dubitare che anche gli effetti sui fedeli saranno ricchi di abbondanti grazie spirituali. Benedetto XVI parlando ai vescovi svizzeri nel 2006 diceva: “Io credo che a seguito di tutto ciò man mano diventi chiaro che la Liturgia non è un’“auto-manifestazione” della comunità la quale, come si dice, in essa entra in scena, ma è invece l’uscire della comunità dal semplice “essere-se-stessi” e l’accedere al grande banchetto dei poveri, l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. Questo carattere universale della Liturgia deve entrare nuovamente nella consapevolezza di tutti. Nell’Eucarestia riceviamo una cosa che noi non possiamo fare, ma entriamo invece in qualcosa di più grande che diventa nostro, proprio quando ci consegniamo a questa cosa più grande cercando di celebrare la Liturgia veramente come Liturgia della Chiesa”.
Ritengo che partendo da questo, diventa chiaro un po’ tutto il resto e si illumina la comprensione verso ciò che la liturgia ci chiede, prima di pretendere quello che ci concede.
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