La falsità dell’unica “lex orandi”
La pietra angolare dell’intero Motu Proprio sadicamente intitolato Traditionis Custodes è l’affermazione che “libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.” (Art. 1).
Questa pretesa di Francesco è semplicemente un’aberrazione teologica con apparenze di saggezza e, di per sé, una tale affermazione non esprime altro che vacuità.
Da un lato, il significato dell’assioma “lex orandi, lex credendi” è proprio quello di indicare la tradizione liturgica della Chiesa come fonte della sua fede teologica: cioè, l’insieme dei testi della lunga tradizione liturgica della Chiesa è un grande monumento dell’ortodossia della fede cattolica e quindi la fonte stessa della sua elaborazione teologica.
In questo senso, la liturgia romana tradizionale è di per sé, checché se ne dica, un’esimia espressione della “lex orandi” e della “lex credendi”, perché è un colosso dell’ortodossia che si è sviluppata organicamente nel corso dei secoli in una continuità che in ultima analisi rimanda alla Fede apostolica.
Nel suo Motu Proprio, Francesco dimostra di ignorare il significato preciso di questa terminologia teologica, intendendo per “lex orandi” ciò che egli determina a sua discrezione, un modo casuale, autoritariamente. Nella testa del Papa argentino la “lex orandi” è l’insieme delle norme liturgiche espresse nel diritto positivo.
La cattiva volontà di Bergoglio verso i conservatori “rigidi” è tale che ha ignorato per tutta la vita le lezioni del Papa tedesco, tra le quali:
«Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge; è piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e quindi il primo garante dell’obbedienza. Non può agire a suo piacimento, e quindi può opporsi a coloro che, a loro volta, vogliono fare ciò che gli passa per la testa. La sua legge non è quella del potere arbitrario, ma dell’obbedienza nella fede. Per questo, per quanto riguarda la Liturgia, ha il ruolo di un giardiniere, e non quello di un tecnico che costruisce nuove macchine e getta le vecchie nel ferro vecchio» (Cardinale Joseph Ratzinger, prefazione a “Lo sviluppo organico della Liturgia”, 2005).
Nella lettera ai vescovi che accompagna il motu proprio, Francesco arriva a dire che sta facendo come San Pio V, cioè abolendo i libri liturgici precedenti. Ma San Pio V non ha mai voluto creare una nuova messa ai suoi tempi. Seguendo esattamente il criterio teologico “lex orandi, lex credendi”, restaurò la liturgia romana com’era nella sua tradizione e rimosse alcuni usi recenti, meno di 200 anni, assicurando così una detossificazione protestante e stabilendo i nuovi libri come obbligatori, proprio perché più vecchi e non perché più nuovi.
Il Novus Ordo, al contrario, fu una produzione di laboratorio, creata da una squadra che nella stesura includeva protestanti e massoni - certamente con una partecipazione meno rilevante e pericolosa di quella degli stessi modernisti. Una nuova liturgia non è mai stata inventata da un giorno all’altro nella Chiesa, e infatti non è quello che aveva chiesto il Concilio Vaticano II. I riformatori sono andati ben oltre quanto richiesto dal Concilio, e in questo caso nemmeno l’autorità del Papa può cambiare i fatti: a differenza della Messa tradizionale, la nuova Messa non fu una produzione organica ma un esperimento di laboratorio imposto a tutti i fedeli.
«La riforma liturgica, nella sua realizzazione concreta, si è allontanata ancora di più dalla sua origine. Il risultato non è stato una rinascita ma una devastazione. Invece di una liturgia che è il frutto di uno sviluppo continuo, hanno messo in atto una liturgia fabbricata. Hanno svuotato un processo vitale di crescita per sostituirlo con una montatura. Non hanno voluto continuare lo sviluppo, la maturazione organica di qualcosa di vivo durante i secoli, e l’hanno sostituito, alla maniera della produzione tecnica, con una fabbricazione, un banale prodotto del momento». (Cardinale Joseph Ratzinger, Revue Theologisches, Vol. 20, febbraio 1990, pp. 103-104)
Ovviamente, si presuppone che, se c’è la materia, la forma e l’intenzione, la Nuova Messa sia valida, ma questo non significa che sia liturgicamente in continuità intrinseca con la “lex orandi” oggettiva della Chiesa, e tanto meno che non possa e nemmeno debba essere corretta nei suoi difetti e migliorata (quella che Benedetto XVI ha chiamato la “riforma della riforma”).
In ogni caso, è assurdo, ridicolo, frutto di ignoranza, cercare di definire in modo propriamente legalistico quale sia la “lex orandi” della Chiesa attraverso un decreto. Questo non è solo calpestare i fatti e imporre dispoticamente un’opinione infantile, ma è soprattutto ignoranza della natura stessa della cosa e dei limiti propri dell’autorità pontificia.
C’è molta leggerezza che viene espressa in questi giorni, anche con buone intenzioni. Una di queste è l’idea che se il Papa è cambiato e dobbiamo obbedire; che ha l’autorità di cambiare i riti nella Chiesa, ecc.
Quello che queste anime benintenzionate non capiscono è che non si tratta di un cambiamento di rito (a proposito, stiamo sempre parlando del Rito Romano, che ha subito non una riforma ma una ri-creazione nella cosiddetta riforma liturgica - bisogna dare i nomi giusti alle cose!), ma di una nuova interpretazione simultaneamente ignorante e abusiva di ciò che significa “lex orandi”, come se un papa potesse crearla ex nihilo, invece di identificarla e determinarla nella sua intrinseca e oggettiva fedeltà.
Come la Sacra Scrittura è una delle fonti della Teologia, la “lex orandi”" è una delle fonti della Tradizione. Non è una regola canonica, una legge ecclesiastica positiva che può essere cambiata in qualsiasi modo. Il concetto teologico di “lex orandi” è molto più ricco e preciso e dire che d’ora in poi i nuovi libri liturgici sono la sua unica espressione per il rito romano è semplicemente ridicolo. Non è qualcosa che può essere preso sul serio.
Quindi qui non si tratta di obbedire o meno. È ciò che è scritto che non ha alcun senso. È come voler cambiare le leggi della fisica o della logica per decreto, è superare i limiti dell’autorità e della realtà stessa.
Questo Francesco non può farlo. Così come non può cambiare i dogmi, alterare la Sacra Scrittura o il contenuto della Tradizione stessa. È un Papa, non un Dio.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4036_Fratres_in_unum_La_falsita_dell-unica_Lex_Orandi.html
Comunicato
dell’Istituto Mater Boni Consilii
sul “Motu Proprio” Traditionis Custodes
Come tutti sanno, il 16 luglio 2021 è stata pubblicata la “lettera apostolica sotto forma di motu proprio” Traditionis custodes accompagnata da una lettera dell’attuale occupante della Sede Apostolica ai suoi Vescovi (i “custodi della Tradizione” di cui sopra) con la quale – con inusuale fretta, promulgando immediatamente il documento con la sola pubblicazione sull’Osservatore Romano – vengono revocate le concessioni fatte dal suo predecessore con il “motu proprio” Summorum Pontificum cura del 7 luglio 2007.
A proposito di questo nuovo “motu proprio” valgono da parte nostra le riflessioni e le conclusioni già da noi espresse in occasione del precedente ora parzialmente revocato: https://www.sodalitium.biz/comunicato-riflessioni-sul-motu-summorum-pontificum-2/
I due documenti sono in evidente opposizione, e forse non solo nelle scelte pastorali (uno revoca le concessioni dell’altro) ma anche su di una questione di principio: sapere cioè se il Rito Romano avrebbe due forme liturgiche (quella ordinaria e quelle straordinaria, per utilizzare l’espressione del documento del 2007) o se la sua unica espressione è quella del rito riformato (come afferma l’attuale documento riprendendo le dichiarazioni di Paolo VI nel concistoro del 24 maggio 1976).
Essi hanno tuttavia un fondamentale punto comune:
sia il m.p. Summorum Pontificum sia il m.p. Traditionis custodes impongono a chi utilizzasse il messale romano del 1962 (di Giovanni XXIII) il riconoscimento della legittimità, della validità e della santità della riforma liturgica in applicazione del Concilio Vaticano II.
Su questo punto i due documenti differiscono solo in questo: il m. p. del 2007 presume l’accettazione del Concilio e della Riforma liturgica da parte di chi si avvarrà delle sue concessioni, mentre il m. p. del 2021 revoca dette concessioni perché pretende constatare una diffusa non accettazione di quanto sopra.
Ora, di due cose l’una: o coloro che si avvalgono del messale romano (del 1962) riconoscono l’autorità degli occupanti della Sede Apostolica dal 1965 in poi, e conseguentemente la legittimità, la validità e la santità del messale riformato, ed il valore magisteriale dei documenti del Vaticano II, oppure no.
Nel primo caso, non si vede perché essi provino delle difficoltà a celebrare con il rito riformato, o ad assistere al medesimo, in spirito d’obbedienza a colui che reputano essere Vicario di Cristo e Successore di Pietro, il quale ha tra l’altro espresso il voto che tutti finiscano con l’adottare il messale di Paolo VI: un rito della Chiesa, promulgato dall’autorità della Chiesa, d’altronde, non può essere che legittimo, valido e santo.
Nel secondo caso, il m.p. Traditionis custodes avrebbe ragione in questo (l’inconciliabilità dei due riti) ed i sacerdoti e fedeli alla tradizione cattolica dovrebbero coerentemente rifiutare ogni concessione fondata sull’accettazione del Vaticano II e dei nuovi riti, e non dovrebbero avvalersi dei due motu proprio, né quello del 2007 né quello attuale.
Ora, il nuovo rito della messa (e dei sacramenti) è stato redatto esplicitamente nello spirito del movimento ecumenista avallato dal Vaticano II: si propone cioè non di difendere le verità della Fede, specie il sacrificio della Messa, il sacerdozio, la Transustanziazione, quanto piuttosto di andare incontro a chi queste verità di fede rigetta, al seguito di Martin Lutero (l’eresiarca omaggiato dagli ultimi occupanti della Sede Apostolica, in particolare dall’autore di Traditionis custodes); non può quindi essere un rito della Chiesa, né pertanto venire da una legittima autorità della Chiesa.
Insomma: la chiave di tutto consiste nel riconoscere la legittimità di Paolo VI che ha promulgato la “costituzione apostolica” Missale romanum, riconosciuta la quale (come fa la stessa Fraternità San Pio X, beneficiata come mai prima, paradossalmente, proprio dall’autore di Traditionis custodes) ne segue inevitabilmente il dover riconoscere la legittimità, la validità e la santità della riforma liturgica nel suo insieme, e la necessità, al di là delle astuzie dei canonisti, di uniformarsi alle disposizioni del m. p. Traditionis custodes.
In base a queste considerazioni, concludiamo:
▪ Il m. p. Traditionis custodes – come pure il m. p. Summorum Pontificum e la “costituzione apostolica” Missale Romanum non sono un documento della Chiesa. Non si deve loro pertanto obbedienza o disobbedienza, né devono essere aggirati, ma ignorati.
▪ Il m. p. Traditionis custodes, pur non essendo espressione del diritto e della dottrina della Chiesa, è però insigne testimonianza dell’avversione profonda dei neo-modernisti e degli ecumenisti filo-luterani contro la liturgia immemoriale della Chiesa Romana, manifestando così l’incompatibilità dei due riti: i riformatori vogliono far scomparire il rito cattolico, i cattolici devono ottenere da Dio e da un legittimo Pontefice che quello riformato sia cacciato dalle nostre chiese e dai nostri altari.
▪ “Non si può servire a due padroni”. Il m. p. Traditionis custodes conferma l’impossibilità di essere e di celebrare in comunione con colui che ha come scopo dichiarato la soppressione della messa e dei sacramenti della Chiesa.
▪ “Non si può servire a due padroni”. Il m. p. Traditionis custodes potrà avere l’involontario benefico effetto di aprire gli occhi ai dubbiosi, e di far cessare delle celebrazioni “tradizionali” spesso dubbiosamente valide e comunque sempre oggettivamente ingannatrici dato il presupposto dell’accettazione del Vaticano II e della riforma liturgica.
▪ I sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii continueranno pertanto tranquillamente a celebrare il Santo Sacrificio della Messa e ad amministrare i santi Sacramenti senza essere in comunione con gli occupanti materiali ma non formali della Sede Apostolica, seguendo i venerati libri liturgici della Chiesa Cattolica Romana promulgati da Papa San Pio V e dai suoi successori, e secondo le rubriche di San Pio X.
Verrua Savoia, 21 luglio 2021.
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