DANTE E L'ODIO ANTICRISTIANO
Su questo argomento, Dante e l’islamismo, vigono da tempo due grossi luoghi comuni, che è necessario analizzare e sfatare. Il primo riguarda l’influenza che la cultura islamica avrebbe avuto su quella cristiana nella trasmissione della filosofia greca, che, senza tale mediazione, sarebbe andata in gran parte perduta per l’Occidente. Si tratta di una leggenda, puramente e semplicemente; una leggenda che va inserita in una questione culturale più ampia, che riguarda l’auto-deprezzamento e il senso di colpa che attanagliano da tempo la coscienza europea e che spingono molto intellettuali a sottostimare il contributo originale della propria civiltà al progresso del mondo, e a sovrastimare gli apporti delle altre culture, quasi che senza di esse non si potesse nemmeno immaginare il magnifico sviluppo che essa ha conosciuto nei secoli centrali del Medioevo, allorché si costruivamo le cattedrali romaniche e poi gotiche, si levava a Dio il meraviglioso canto gregoriano, si studiavano amorevolmente la Divina Commedia e la Summa Theologica e si ammirava la pittura di Cimabue, di Giotto.
Il contributo allo sviluppo del pensiero europeo, dei filosofi islamici, come Averroè ed Avicenna non va negato, ma va drasticamente ridimensionata la tesi secondo la quale, se non fosse stato per gli arabi, il pensiero di Platone, Aristotele e degli altri filosofi greci sarebbe andato praticamente perduto e la cultura cristiana si sarebbe trovata privata delle sue stesse basi, talché san Tommaso d’Aquino, per esempio, non avrebbe potuto fare la sua superba opera di attualizzazione del pensiero aristotelico in chiave cristiana. Il secondo luogo comune, riguarda Dante in particolare e vuole che il sommo poeta si sia largamente ispirato, per la composizione del suo poema cui han posto mano e cielo e terra, a delle opere islamiche d’ispirazione mistica, in particolare al Libro della Scala, che descrive il mondo dell’aldilà: cosa che si può ammettere senz’altro in via di congettura, ma che sarebbe azzardato dare per certa e cui, di nuovo, sarebbe ingiustificato attribuire un ruolo determinante nella genesi della Commedia.
Perchè vi è stato il tentativo di arabizzare retroattivamente la cultura cristiana medievale, e porre il capolavoro di Dante in posizione di debito verso l’islam?
Il massimo esponente, e quasi il creatore, della corrente filologica che sosteneva un diretto influsso islamico sulla genesi della Divina Commedia, e contestualmente una forte mediazione islamica nella ricezione di Aristotele da parte della cultura cristiana medievale, fu un sacerdote spagnolo, lo storico e arabista Miguel Asín y Palacios (Saragozza, 5 luglio 1871-San Sebastián, 12 agosto 1944), che espose i risultati delle sue ricerche, e le sue personali teorie, in due libri che diedero luogo a un acceso dibattito ma aprirono comunque un nuovo filone interpretativo sia degli studi danteschi, sia di quelli medievalisti in generale: Averroísmo teológico in Santo Tomás de Aquino, del 1904, e La escatología musulmana en la Divina Comedia, del 1919. In particolare egli si diceva convinto che sull’Alighieri avesse esercitato un’influenza forte e diretta la lettura del Libro della Scala, detto anche La scala di Maometto, del quale esistevano a quel tempo numerose versioni e varianti tradotte nelle diverse lingue neolatine, divenute piuttosto note a un pubblico non di soli specialisti, e risalenti ad un capostipite redatto da Ibn ‘Arabi e intitolato in realtà Mj’rai, ossia Viaggio mistico. In esso si descrive una straordinaria ascensione di Maometto in cielo, ancor vivente, per sorvolare i sette cieli cavalcando un animale fantastico, il Buraq, una sorta di cavallo alato, e contemplando anche la condizione delle anime punite nei giorno infernali con delle pene commisurate alla gravità dei loro peccati e in qualche modo ad essi speculari. Notevole antecedente, e forse – congetturava il buon sacerdote spagnolo - dell’idea dantesca della pena del contrappasso, che sarebbe poi confluita appunto nei versi immortali della Divina Commedia. Come se per giungere a un’idea del genere Dante avesse avuto bisogno di attingere ad una fonte islamica e non avesse trovato sufficiente materiale cui ispirarsi nella trattatistica e nel misticismo cristiano.
Perchè la cultura europea moderna ha sentito la necessità di rivendicare, nelle proprie radici medievali, un’influenza islamica molto più forte e profonda di quanto, verosimilmente, non sia mai esistita?
Citiamo un passaggio centrale dello studio del saggista Gianandrea De Antonellis Giudizio sull’Islam e sulle Crociate nella “Divina Commedia” (nella rivista Nova Historica, n. 31 anno 8 del 2009, pp. 49; 51-55):
Se un normale uomo del Medioevo considerava giusta e necessaria la Crociata, cosa poteva pensare del mondo islamico, al di là della necessità di combatterlo per permettere un sicuro pellegrinaggio verso il Sepolcro?
Nel secolo scorso si è sviluppata l’idea che la maggior parte dei contemporanei di Dante ammirassero la cultura, se non la religione, islamica, e si è diffusa anche la leggenda – definitivamente confutata solo di recente (Sylvain Gouguenheim,”Aristote au Mont Saint-Michel. Les racines grecques de l’Europe chrétienne, Éditions du Seuil, Seuil, Paris, 2008) – che la filosofia medioevale fosse debitrice ai commentatori arabi della “scoperta” di Aristotele. In realtà la stessa struttura linguistica dell’arabo avrebbe impedito una corretta trasmissione del pensiero filosofico, nato non a caso in Grecia, cioè in una terra che utilizzava un linguaggio ben più complesso e preciso, che impediva confusioni interpretative.
Al di là di tali questioni filologiche, rimane il fatto – peraltro abbastanza ovvio – che per ammirare l’Islam è necessario ammirare e rispettare anche la figura del suo fondatore, Maometto. Vediamo dunque come ce lo mostra Dante. (…)
Solo l’innamoramento, per così dire, di Miguel Asín Palacios poteva vedere una “particolare benevolenza” in questa descrizione [quella di Maometto fra i dannati nella nona bolgia dell’Inferno] per il fatto di porre Maometto non tra gli eresiarchi, ma “solamente” tra gli scismatici (riducendolo, in tal guisa, alla vera religione). Tanto è vero che in ambiente musulmano il canto XXVIII dell’Inferno viene spunto o l’intero poema vietato (come avviene in Pakistan).
L’idea stessa di contrappasso, si sostiene, verrebbe da testi islamici: aver messo Maometto nell’unico canto in cui questa parola viene esplicitata ed anzi sottolineata sarebbe una sorta di “segnale”. In realtà, come si può leggere direttamente, la figura maciullata di Maometto è descritta utilizzando termini di una durezza tale – si pensi alle viscere che fuoriescono dalla profonda ferita, alla circonlocuzione per descrivere lo stomaco (“il tristo sacco, etc.”), la lunghezza del taglio che pare dal mento per raggiungere l’ano (“là dove si trulla”, cioè si emettono rumorose flatulenze) è poco adatta al fondatore di una religione, ad un patriarca che si voglia realmente rispettare, se non addirittura onorare.
Ma la teoria delle fonti islamiche che sarebbero state utilizzate da Dante ha altri, importanti sostenitori. Ad esempio la linguista Maria Corti, nell’ultimo periodo della propria esistenza, avallò la teoria islamica, tra l’altro facendo notare l’uso dell’arabismo “meschite” (donde moschea) per “case”, ad indicare le dimore del diavolo in Inferno, VIII, 24.
«Abbiamo veramente gli elementi per dire che siamo in presenza di una fonte di Dante. Credo che Dante ce l’abbia [il “Libro della Scala”] voluto indicare. Dante spesso, quando usa una fonte, dà dei segnali perché i lettori capiscano che fonte ha usato. Qui che segnali usa? Un segnale divertentissimo, ma nessuno lo ha notato: le case le chiama “meschite”. “Meschite” è un termine arabo per indicare la casa e la moschea. Siamo quindi fiori di ogni dubbio che Dante qui ha usato la fonte precisa» (Maria Corti, “Dante e l’Islam”, intervista rilasciata all’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=490).
In realtà, già Tommaseo, nel suo “Commento” (1837) lo aveva notato. Ma ne aveva dato un’altra – peraltro ovvia – interpretazione: «Meschite chiama quelle d’Inferno; come se le moschee fossero cosa diabolica». Perché diciamo ovvia? Nel maggio 1992, ai funerali del giudice Giovanni Falcone, il cardinal Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo, venne criticato per aver usato la frase scritturale (Ap. 2,9 e 3,9) “sinagoga di Satana” a proposito della mafia: parlare di “moschea di Satana” sarebbe invece indice di adesione all’Islam?
Qual è l'origine di quel bisogno oscuro di sminuire tutto ciò che è propriamente cristiano, e contestualmente ad enfatizzare gli elementi non cristiani della civiltà europea; di sminuire ciò che è greco e romano per enfatizzare gli apporti delle culture più lontane, e, nel caso degli ultimi secoli, perfino quelli del tribalismo e del primitivismo africano, americano, ecc. sulla scia del mito del “buon selvaggio” !
Archiviato pertanto, o in ogni caso fortemente ridimensionato, l’influsso che il Libro della Scala, e in genere la cultura islamica, avrebbero avuto su Dante, nonché sfatata la leggenda che senza i commentari arabi ad Aristotele e a Platone gran parte della tradizione filosofica greca sarebbe andata perduta per la civiltà cristiana, possiamo e dobbiamo chiederci a quali ragioni sia ascrivibile la nascita e la diffusione di tali esagerazioni e di tali leggende; perché, insomma, la cultura europea moderna abbia sentito la necessità di rivendicare, nelle proprie radici medievali, un’influenza islamica molto più forte e profonda di quanto, verosimilmente, non sia mai esistita, tranne nelle regioni che furono materialmente soggette alla dominazione araba per un lasso di tempo abbastanza lungo, come, in particolare, la Sicilia e buona parte (ma non tutta) della Penisola Iberica, e specialmente l’Andalusia. Ebbene la ragione fondamentale a noi sembra essere analoga, e di natura sostanzialmente ideologica, benché operante in gran parte a livello subconscio, a quella che spinge tanti intellettuali europei, col concorso determinante dei mass-media a parlare delle radici cristiano-giudaiche dell’Europa, avvalorando presso il grande pubblico l’idea, in realtà più che dubbio, per non dire inconsistente, di un debito fondamentale della civiltà europea nei confronti del giudaismo, e mettendo idealmente sullo stesso piano l’apporto semitico, che fu talmente tenue da potersi dire trascurabile, e quello cristiano, a sua volta arricchito dalla cultura greco-romana, che è stato invece, e senza alcuna possibilità di confronti, assolutamente preponderante. Ne abbiamo già parlato in diverse occasioni, anche di recente (vedi l’articolo: Queste e non altre sono le radici della nostra civiltà, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 24/07/21; e, oltre dieci anni fa, Gesù ebreo? No grazie, sul sito di Arianna Editrice il 20/09/10 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 29/01/18). In altre parole, riteniamo che si tratti di un bisogno oscuro e compulsivo di sminuire ciò che è propriamente cristiano, e contestualmente ad enfatizzare gli elementi non cristiani della civiltà europea; di sminuire ciò che è greco e romano per enfatizzare gli apporti delle culture più lontane, e, nel caso degli ultimi secoli, perfino quelli del tribalismo e del primitivismo africano, americano, ecc. (sulla scia del mito del “buon selvaggio” risalente a Rousseau e, prima ancora, a Montaigne). E tutto ciò sulla spinta di un imprecisato senso di colpa che fa sentire molti europei moderni indegni del posto che la loro civiltà occupa nel mondo e meritevoli della più severa riprovazione morale, a meno che loro stessi operino un’autocensura su di essa e soprattutto che procedano ad una revisione e ad una rimozione radicale e sistematica delle sue radici, offuscando e se possibile quasi cancellando il cristianesimo, e gonfiando oltre ogni ragionevole proporzione gli apporti non cristiani presenti nella sua storia, e che sovente hanno operato soprattutto in una forma puramente negativa e distruttiva, come nel caso del rullo compressore ottomano sulla civiltà cristiana-bizantina di Costantinopoli e dei Balcani (vedi la Basilica di Santa Sofia convertita in moschea, poi trasformata in museo e ora, dal 2020, nuovamente consacrata quale moschea e adibita al culto islamico, cancellando più di un millennio di storia cristiana).
Perchè oggi si è arrivati a insozzare le statue dei grandi uomini del passato: chi finanzia quei gruppuscoli animati da un odio satanico contro la nostra civiltà cristiana?
Il tentativo di arabizzare retroattivamente la cultura cristiana medievale, e di porre il capolavoro di Dante - sintesi di quella splendida civiltà – in posizione di debito verso l’islam, condotto anche con argomentazioni inconsistenti, patetiche o risibili, come nel caso dell’interpretazione del vocabolo meschite in un preteso senso onorifico verso l’islamismo, rientra in questo complesso stato d’animo, che caratterizza l’uomo europeo moderno. Qualcuno direbbe occidentale, ma noi preferiamo dire semplicemente europeo; anche perché non si riscontra nulla di simile nell’area nordamericana, tranne in alcuni recentissimi episodi di auto-denigrazione della civiltà “bianca”, a cominciare dalla figura di Cristoforo Colombo, che però vanno letti soprattutto in chiave politica. Quest’ultima osservazione ci riporta inevitabilmente alla domanda se tutto questo auto-disprezzo e questa feroce volontà di auto-castrazione - perché bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome - siano un fenomeno, aberrante quanto si voglia, ma pur sempre spontaneo e naturale, o se sia in qualche maniera pilotato e orientato da una centrale occulta (eh sì, cari signori del politicamente corretto, avete udito proprio bene: centrale occulta; perché noi non scartiamo affatto a priori, con un sorrisetto di scherno, l’ipotesi complottista, come voi fate con una ostinazione che appare un po’ sospetta). Riteniamo che in tale orientamento complessivo concorrano entrambi i fattori, una tendenza patologica ma spontanea e un atteggiamento che è frutto della manipolazione, in gran parte inconscia, operata attraverso i mass-media. Asín Palacios, che oltretutto era un prete, sarebbe oggi salutato come il tipico cattolico post-conciliare, così aperto al dialogo coi non cristiani da eccedere nel riconoscimento dei loro apporti positivi. Quando però si va oltre un’ingenua infatuazione e si arriva a insozzare o rovesciare le statue dei grandi uomini del passato, bisogna chiedersi chi finanzia quei moti di piazza e quei gruppuscoli animati da un odio satanico contro la nostra civiltà cristiana...
Perché tanto fastidio e disamore per le nostre radici?
di Francesco Lamendola
Vedi anche:
Queste e non altre sono le radici della nostra civiltà - LE RADICI DELLA NOSTRA CIVILTA'
Gesù ebreo? No grazie - GESU' EBREO ? NO GRAZIE
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